Helsinki, crocevia di pace

Con l’incontro tra il presidente USA, Trump, e quello russo, Putin, ancora una volta Helsinki, la bianca città del Baltico, come spesso viene definita nelle guide turistiche la capitale della Finlandia, attira su di sé, anche se solo per un giorno, l’attenzione dei mass media mondiali, con gli oltre 1500 giornalisti accreditati. Se incerti appaiono i risultati di questo vertice tra due leader mondiali, meno incerto invece si definisce il ruolo di questa città che li ospita, riaffermando una sua vocazione di ospitalità ed intermediazione per la ricerca di soluzioni pacifiche ai dissidi ed ai potenziali conflitti. Questa attitudine si può far risalire al lontano 1969, in pieno clima di guerra fredda tra il blocco occidentale e quello allora guidato dall’Unione Sovietica, ad Helsinki ebbe luogo infatti la prima fase del negoziato SALT I, a partire dal 17 novembre 1969. Il SALT, ovvero il negoziato sulla limitazione delle armi strategiche, ebbe due fasi, la prima delle quale fu appunto ospitata nella capitale finlandese e produsse il Trattato sui Missili Antibalistici.

Ma Helsinki ritornò sotto i riflettori del mondo nel periodo tra il 1972 ed il 1975, quando le varie fasi della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, CSCE, portarono alla firma del cosiddetto Atto Finale di Helsinki, il 1° agosto 1975, evento che pose le basi per un avvio della distensione tra i bue blocchi contrapposti, e che vide la partecipazione di 33 Stati oltre ad USA ed URSS. Il documento finale di Helsinki, può essere considerato come uno degli strumenti più significativi del dialogo internazionale. In quell’occasione tutti i trentacinque paesi firmatari arrivarono ad un accordo su un fatto fondamentale, ovvero che la pace non è sicura quando le armi tacciono; piuttosto la pace è il risultato della cooperazione degli individui da una parte e delle società stesse dall’altra. I famosi “dieci principi” che aprono il documento finale di Helsinki costituiscono la base sulla quale i popoli d’Europa, che sono stati per anni vittime di tante guerre e divisioni, esprimevano il desiderio di consolidare e preservare la pace, in modo tale da permettere alle generazioni future di vivere in armonia e in sicurezza. Fu, questo, definito lo ‘spirito di Helsinki, e molti considerano quell’evento il seme che cancellò il comunismo nell’URSS, favorendo la nascita della moderna Russia.

Ma se le ideologie nascono e muoiono, la necessità di promuovere il dialogo diretto fra coloro che posseggono armi che possono far scomparire la nostra Terra dall’universo non viene mai meno, e dunque il ruolo di una città come Helsinki ridiventa attuale nel favorire lo scambio di idee e di proposte de visu. Il Presidente finlandese Sauli Niinistö ospita l’incontro nel sobrio palazzo presidenziale che fronteggia il porto, ed incontra bilateralmente i due Capi di Stato, idealmente connettendosi al grande Presidente finlandese Urho Kekkonen, che fu l’artefice della riunione finale di Helsinki nel 1975. Da parte sua, il sindaco di Helsinki Jan Vapaavuori. non si è lasciato sfuggire l’occasione per una, giusta, vanteria “Helsinki è uno dei luoghi al mondo di cui ci si può fidare per organizzare un simile incontro in modo affidabile – tutto funziona bene qui, e possiamo predisporre il tutto in sole due settimane. Solo pochi giorni dopo l’annuncio della riunione, i preparativi erano già molto avanzati”.

Gianfranco Nitti




Cornuto e mazziato: beccato sul fatto, prete sferra un pugno al marito geloso

Una notizia pruriginosa, fra tante che raccontano sciagure e tensioni nazionali e internazionali, è riportata da un’agenzia di stampa, destinata ad essere sepolta sotto altre, ritenute più importanti. Ma importante per tutti noi è anche rilassarsi, magari facendo due risate all’italiana, come i film di costume ci hanno insegnato. Una notizia che potrebbe costituire la trama di un film dei fratelli Vanzina, tanto per ricordare chi ci ha lasciato in questi giorni.

Dunque, siamo a Cremona, città di provincia, come d’obbligo per un giusto sfondo a certe vicende. Una città di quelle dove gli amici si incontrano al bar, e, attorno al tavolino su cui sono le consumazioni, si scambiano confidenze, a volte millantate, sulle signore del luogo. Magari allungando lo sguardo sulle curve di una di esse, che passa apposta nei loro pressi per farsi notare. Segno che la sua porta è aperta. E subito partono le fantasie e i commenti. Tipicamente maschilisti. Dunque, in un simile scenario, un ex marito, ex, ma ancora legato alla ex moglie – mica tanto ex, in quanto non divorziato, ma soltanto separato – sente dentro di sé mordere il tarlo della gelosia. Un tarlo che non lascia dormire. Un tarlo che incomincia a mordere nel silenzio della notte, quando il pensiero di tua moglie fra le braccia di un altro ti tormenta. Un tarlo che ti spinge a trascurare il lavoro per pedinare l’oggetto del tuo tormento, al punto da ricevere un ammonimento da parte dei carabinieri. Un tarlo che ti spinge ad acchiappare il telefono giorno e notte e chiamare quella donna con cui s’era giurato amore e fedeltà davanti ad un sacerdote…

Allora il buon uomo che fa? Si alza e va a controllare dove vive la donna, sperando, ma augurandosi di non scoprire, un altro uomo che le faccia compagnia. Così, al mattino, dopo una notte insonne, si mette in macchina e segue la ex fino al parcheggio di un supermercato – luogo di grande anonimità, dove ognuno ha fretta e non bada a ciò che gli succede accanto. E la coglie. Dopo tanti appostamenti, telefonate, pedinamenti, la sua ex è in compagnia di qualcuno. Guarda bene la macchina, il colore, la targa: è proprio lei, e dentro all’abitacolo si intravedono, dai vetri appannati dalla passione, due persone che si muovono. Per lui, in modo inequivocabile. Vorrebbe intervenire immediatamente, ma aspetta un po’, che l’atmosfera si surriscaldi, dentro quel metro cubo o poco più dell’abitacolo. L’auto è ferma in prossimità di un grande centro commerciale, lontana dagli ingressi, dove nessuno va a parcheggiare. Quando si avvicina, i due non gli fanno caso, presi come sono da quello che un giudice definirebbe ‘scambio di effusioni’.

Apre la portiera. Non diamo spazio alla fantasia, ma possiamo immaginare a cosa s’è trovato davanti il marito – ex – geloso: la moglie – ex – era in effetti con un uomo, ma non uno qualunque. Il suo rivale si dimostrava essere uno di colore. Subito il pensiero gli è corso ai barconi, ai profughi, o finti tali, ai rifugiati. Il suo senso di xenofobia e razzismo in quel momento è salito alle stelle. Ma quale non è stata la sua meraviglia nel riconoscere nella persona scarmigliata, sudata, mezzo vestita e con il collarino di traverso, il parroco di una chiesa della sua città. Ne è nato un diverbio, per dirla con stile cronachistico, e il sacerdote ha sferrato un pugno al malcapitato, che non ha reagito. Ma ha chiamato il 112. I carabinieri hanno riportato la calma, almeno apparentemente. Il marito – ex – s’è fatto medicare all’ospedale, con una prognosi di sette giorni, ma ancora non ha sporto denuncia. Ha piuttosto contattato la diocesi di appartenenza, ottenendo l’allontanamento del religioso dalla parrocchia e il suo probabile rimpatrio. Secondo la tradizione vaticana, ai fedeli non è stato spiegato il reale motivo dell’assenza del religioso, ma è stato detto che ‘si trovava altrove per un periodo di riposo e riflessione’. Episodio boccaccesco, in cui non manca neanche la conclusione, in linea con l’accaduto: infatti, il denunziato è il marito, per aver contravvenuto all’ammonizione già ricevuta in base alla legge 38 del 2009, a tutela delle potenziali vittime di stalking.

È proprio il caso di dire: cornuto e mazziato. Perché la signora abbia scelto un sacerdote di colore può avere solo una spiegazione. Infatti la religione cattolica prevede il segreto della confessione, e si può ipotizzare che tutto ciò che stava accadendo sarebbe rimasto riservato. Il dubbio è: si stava confessando, la signora, e stava rappresentando al sacerdote i suoi peccati, affinchè lui meglio potesse comprenderli? E perché di colore? Forse incuriosita dalle tante leggende che circolano a proposito di tali personaggi? Sappiamo già che la chiesa stenderà un velo sull’accaduto, magari rimandando in patria un sacerdote troppo zelante, che intendeva, oltre che curare le anime, curare anche i corpi dei suoi fedeli – o delle sue fedeli. Può darsi infatti che non fosse nuovo a tali imprese, ma questo non ci riguarda. Perché ha colpito il marito con un pugno, invece di recitare un atto di contrizione? Forse perché ha interrotto la confessione? Come direbbe Amleto: “That is the question”.

Roberto Ragone




Digiuno a staffetta contro Matteo Salvini: brandire la religione come clava per colpire un avversario politico non è cristiano

Un gruppetto di laici, qualche suora e qualche “prete di strada”, hanno scelto la famosissima piazza San Pietro per pubblicizzare la loro iniziativa, cioè un digiuno a staffetta contro il ministro degli interni, Matteo Salvini. Non tutto quello che passa da piazza San Pietro è testimonianza di verità evangelica. Quella dello scorso 10 luglio è stata una manifestazione di protesta, di natura politica e dunque così andrebbe derubricata. E la scelta di trovarsi in piazza San Pietro, dopotutto, non è stata per niente originale. Tutti si ricordano che questa piazza nel passato fu protagonista di una invasione da parte del movimento femminista, la volta che le femen furono portate via a peso dalla polizia. La basilica di San Pietro come sfondo ad iniziative eclatanti ha sempre esercitato un grande fascino e di questo se ne sono approfittati in un caldo agosto i radicali e l’Associazione anticlericale.net per una manifestazione pro la libertà sessuale e di coscienza. La 21esima edizione del Roma Pride, la parata dell’orgoglio Lgbt, famosa per avere visto in testa al corteo l’allora sindaco Ignazio Marino e la giunta capitolina, non sdegnava una sua comparsata in piazza San Pietro.

Questo 10 luglio 2018 è stato il turno della “Giornata di digiuno a staffetta” in solidarietà con i migranti

La manifestazione è stata organizzata da eminenti e rispettabilissimi missionari. Hanno anche essi scelto come teatro piazza San Pietro e il cupolone da sfondo. A dominare la variegata assemblea dei manifestanti, a dire la verità non si può definire oceanica, un grande striscione con l’invito: “Un giorno di digiuno”, meglio spiegato in “dieci giorni di digiuno a staffetta”. La manifestazione è stata organizzata in dissenso rispetto alle politiche migratorie del ministro dell’Interno e del governo. Gli organizzatori si sono tenuti ben lontano dal coinvolgere anche le politiche dell’Europa, nessun cenno alla politica della Francia e la sua chiusura dei confini a Ventimiglia come nessun cenno alla politica migratoria del gruppo di Visegrad. La politica migratoria della cattolicissima Austria non sembra preoccupare il pensiero di quei manifestanti. Tutto ciò conferma, se ce ne fosse bisogno, la natura politica dell’iniziativa e fino a qui nulla osta. In democrazia c’è spazio per tutti. La scorrettezza caso mai risiede nel fatto che si vuole coinvolgere la religione negli affari di “Cesare”.

Intanto va precisato che il digiuno a staffetta non ha nulla di cristiano. E’ un’ azione politica al pari della maglietta rossa di don Ciotti, delle firme sulla rivista Rolling Stone contro l’operato del ministro Salvini. Ai cristiani presenti in quel gruppo sul selciato di San Pietro vale ricordare cosa dice il Vangelo riguardo il digiuno: Mc 6, 16-18: “E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

E’ più che evidente che qui non si parla di striscioni urlanti Urbi et Orbi proclamando l’intenzione di digiunare.

Proprio di questi giorni, sul social facebook e in rete l’articolo “Piccola Venezia una pentola da riempire”, ci si può rendere conto che ci sono altre parti del mondo, oltre al sud mediterraneo, dove la gente sta morendo, letteralmente morendo, di fame. L’articolo appena citato fa riferimento al Venezuela, paese in lenta agonia. Come mai che il gruppo di San Pietro si dedica a Salvini ed al governo e non uno striscione a favore di quella povera gente che Maduro sta affamando? Sempre cristianamente parlando, tanta gente si domanda, dove stava questo gruppo quando l’altro governo discuteva la legge Cirinnà.? Quanti giorni di digiuno a staffetta, anche se non sono quelli di cui parla il Vangelo, quanti giorni hanno fatto per protestare quando in parlamento si discuteva d’ inseminazione artificiale, di aborto, di fine vita? No cari devoti, brandire la religione come clava per colpire un avversario politico non è affatto cristiano.

Emanuel Galea