Bologna, domani la commemorazione del 28imo anniversario dell’eccidio del Pilastro

BOLOGNA – Domani il Sindaco di Bologna Virginio Merola parteciperà alla commemorazione del 28° anniversario dell’eccidio del Pilastro, nel quale morirono i carabinieri Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini. Alle 11, nella chiesa di Santa Caterina da Bologna in via Campana 2, si svolgerà la Messa in suffragio delle vittime. Alle 12, in via Casini, si terrà la cerimonia di deposizione delle corone al monumento in memoria delle vittime. Sarà presente anche il Civico Gonfalone.

I fatti

Era il 4 gennaio del 1991 quando intorno alle 22, nel quartiere Pilastro di Bologna, una pattuglia dell’Arma dei Carabinieri cadde sotto le pallottole del gruppo criminale consociuto come “La Banda della Uno Bianca”.
La banda si trovava in quel luogo per caso, essendo diretta a San Lazzaro di Savena, in cerca di un’auto da rubare. All’altezza delle Torri, in via Casini, l’auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dall’Arma.
La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri. Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini. Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l’auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili.
Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a uscire dall’abitacolo e a rispondere al fuoco, ferendo tra l’altro Roberto Savi.

La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i carabinieri rimasero sull’asfalto. I tre furono finiti con un colpo alla nuca. Il gruppo criminale si impossessò anche del foglio di servizio della pattuglia e si allontanò dal luogo del conflitto a fuoco. La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata a San Lazzaro di Savena nel parcheggio di via Gramsci ed incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Roberto Savi, rimasto lievemente ferito all’addome durante il conflitto a fuoco. Il fatto di sangue fu subito rivendicato dal gruppo terroristico “Falange Armata”. Tale rivendicazione fu però ritenuta inattendibile, in quanto giunta dopo il comunicato dei mass media. La strage rimase impunita per circa quattro anni. Gli inquirenti seguirono delle piste sbagliate, che li portarono ad incriminare soggetti estranei alla vicenda.

Il 20 giugno 1992, sulla base di false testimonianze, furono arrestati i due fratelli Santagata e Marco Medda, tutti pregiudicati e residenti nel quartiere del Pilastro. Il 24 gennaio 1995 furono dichiarati estranei ai fatti dalla corte di Assise di Bologna.
In seguito, saranno gli stessi assassini a confessare il delitto durante il processo.




Campodimele, il rifugio Faggeto torna ad essere il punto di riferimento per gli escursionisti

CAMPODIMELE (LT) – Il rifugio Faggeto a 1136 metri a Campodimele, nel cuore del Parco dei Monti Aurunci, è tornato a vivere.
Il rifugio ha riaperto le porte negli ultimi giorni del 2018 con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per tutti gli escursionisti.
Il primo gruppo di escursionisti “Svalvolati in the wild” di Terracina lo ha raggiunto partendo da Pico e lasciandolo scendendo verso Itri, tracciando un primo segmento del progetto “alta via degli Aurunci”, un collegamento tra sentieri e rifugi, che l’Ente Parco ha intenzione di realizzare nel 2019.

“Il 29 dicembre abbiamo dato corso come Asd Svalvolati into the Wild Terracina al progetto di percorrere una via di cresta e pernottare in uno rifugio del Parco Regionale dei Monti Aurunci” hanno raccontato gli escursionisti. Alla due giorni nel Faggeto ha preso parte: Ivano Giuliani, Giulio Colandrea, Pino Coratti, Angelo Di Girolamo, Daniele Cervelloni, Sara Simoneschi e Andrea Tomeucci.
“Siamo partiti da Pico dal Rifugio Ranucci lungo il sentiero 906 e dopo un primo tratto di sottobosco corredato dalla caratteristica di sentiero letterario con segnavia e bacheche che riportano frasi del romanzo La Pietra Lunare di Tommaso Landolfi, scrittore di Pico, abbiamo percorso tutta la Serra Pontecorvo, costellata di Karren e formazioni carsiche affioranti. Bellissimo l’affaccio sulla innevata catene delle Mainarde, sul monte Meta e sul monte Marsicano, nel Parco Nazionale del Lazio, Abruzzo e Molise. Dopo quattro ore di cammino siamo finalmente arrivati al rifugio Faggeto non prima di esserci imbattuti in un barbagianni che ha spiccato il volo da un pozzo carsico delimitato da staccionata ed irritato dal nostro passaggio”. Il gruppo ha pernottato nel Rifugio Faggeto.
“Attrezzata la cucina, il camino ed il termocamino per rendere caldo e più accogliente il nostro riparo, – hanno aggiunto – abbiamo cenato cucinando una bella amatriciana e carni alla brace. Emozionante il cielo stellato e la policromia dell’alba. Il 30 dicembre sveglia alla 7 del mattino e partenza dal rifugio Faggeto per il monte omonimo e da qui discesa verso il monte Fragoloso e lo stupendo bosco e cuspidi del monte Revole dal quale poi nel tardo pomeriggio abbiamo fatto ritorno al rifugio di Tozze e ad Itri con sosta per una birra di commiato presso il bar di località Taverna. Grandi emozioni e luoghi di una bellezza antica ed incontaminata”.

“Il Rifugio Faggeto è il cuore pulsante di tutti i sentieri, è raggiungibile da diversi punti dell’area Parco: da Itri, da Esperia, da Pontecorvo, da Pico e Campodimele. Un tracciato per escursionisti e appassionati di montagna che vogliono immergersi nella natura in un luogo incantevole, tra colori ed emozioni uniche”, ha affermato il direttore del Parco dei Monti Aurunci Giorgio De Marchis.

“Ridare piena fruibilità alle strutture immerse nella splendida area del Parco è l’obiettivo che ciò siamo posti, con la riapertura del Rifugio Faggeto – ha aggiunto il presidente del Parco Marco Delle Cese -, un primo grande obiettivo è stato raggiunto a pieno. Ora lavoriamo per la realizzazione all’Alta via degli Aurunci. Ringrazio quanti si sono adoperati per la riapertura del Rifugio, in primis il direttore dell’Ente Parco Giorgio De Marchis”.




Roghi tossici e flambus. Rachele Mussolini (lista civica “Con Giorgia”): “A Roma la musica non cambia”

ROMA – “Nonostante il nuovo anno la musica non cambia e non cambierà almeno fino a quando la Sindaca e la sua Giunta resteranno a governare la nostra città. A darne ulteriore conferma due episodi di questa mattina: il rogo doloso di cumuli di rifiuti, avvenuto nei pressi del campo nomadi di via Candoni, e l’ennesimo autobus andato a fuoco in città, il primo del nuovo anno. Per fortuna grazie alla prontezza del conducente, che si è accorto del fumo, ha fatto scendere i presenti e dato l’allarme, nessuno è rimasto ferito o intossicato, ma chissà cosa sarebbe potuto accadere altrimenti.

I disagi e le emergenze che i romani continuano a vivere anche in questi primi giorni del 2019 sono, insomma, gli stessi del 2018. E la lista è decisamente lunga: il trasporto pubblico che funziona a singhiozzo; le buche che, divenute vere e proprie voragini, fanno ormai parte del paesaggio cittadino; i roghi tossici, che continuano ad alzarsi dai campi rom e stanno trasformando la nostra città in una nuova terra dei fuochi; l’immondizia che, disseminata ovunque, sta portando la città verso un’emergenza sanitaria impressionante; il degrado più totale presente, dal centro alla periferia, in ogni angolo di Roma.
E non mi venissero a dire che è colpa del Natale se i marciapiedi sono letteralmente sommersi da cumuli di spazzatura di ogni genere. L’emergenza rifiuti, infatti, è presente in città ormai da diverse settimane anche se in questi ultimi giorni è divenuta più evidente. Cosa dire, poi, del flop rappresentato dalla raccolta differenziata che, non solo non decolla, ma crolla paurosamente? Pessimo anche il fronte sicurezza: scippi e borseggi sono all’ordine del giorno e proiettano un’immagine pessima della Capitale anche all’estero. I soli responsabili di questo disastro sono la Sindaca e i suoi fedelissimi, che con la gestione fallimentare hanno ridotto Roma a una discarica a cielo aperto”.

Così Rachele Mussolini, consigliere comunale della lista civica Con Giorgia e Vice Presidente della Commissione Controllo, Garanzia e Trasparenza di Roma Capitale.




Latina, Caritas: una cena d’eccezione per i poveri della mensa cittadina

LATINA – Semplicemente una serata all’insegna della serenità, in questo periodo di feste. Così ieri sera i poveri che abitualmente usufruiscono della mensa cittadina della Caritas di Latina hanno cenato al ristorante, con dei camerieri d’eccezione: gli stessi preti della città.

L’evento è stato reso possibile grazie ad Antonio e Cristina Polzella, titolari dell’azienda agrituristica “Bacco e Circe” del Capoluogo, i quali hanno inteso offrire alla chiesa di Latina, per il periodo natalizio, un momento conviviale di festa dedicato ai poveri e alle persone in difficoltà. Con il coordinamento del vicario foraneo di Latina, don Gianni Toni, e il contributo della Caritas diocesana è stato organizzato questo evento che ha visto coinvolti i circa cento speciali ospiti. Gli stessi preti della città hanno condiviso l’iniziativa tanto da mettersi a disposizione come camerieri, un segno del senso del servizio e dell’attenzione ai più poveri e ai deboli che deve continuare ad animare le comunità parrocchiali della diocesi.

Quello della mensa Caritas di Latina è solo uno degli esempi in tal senso. Infatti, il servizio è assicurato tutti i giorni dell’anno, festivi compresi, con una turnazione giornaliera delle parrocchie cittadine che mettono a disposizione i volontari e le stesse derrate alimentari per coprire oltre cento pasti al giorno a favore di persone straniere ma anche di molti italiani. Uno sforzo enorme che si unisce a quello compiuto dalle singole Caritas parrocchiali o comunque in altri modi dalla Parrocchia stessa nell’assicurare vicinanza materiale e spirituale ai bisognosi, fornendo loro cibo o anche un momento per parlare dei propri problemi. Per i casi più complessi è attivo il Centro di Ascolto della Caritas, con sede in piazza San Marco, accanto alla chiesa di San Marco.




Decreto sicurezza, scontro Salvini – Orlando: l’Anci sollecita un tavolo di confronto chiedendo ascolto al Governo

“Col Pd caos e clandestini, con la Lega ordine e rispetto. Certi sindaci rimpiangono i bei tempi andati sull’immigrazione, ma anche per loro è finita la pacchia!”. Così su twitter il ministro dell’Interno Matteo Salvini torna stamani sul fronte che si è aperto con alcuni sindaci, in testa Leoluca Orlando, primo cittadino di Palermo, sull’applicazione delle norme del decreto sicurezza.

“Solo campagna elettorale da parte di sindaci che si devono sentire un po’ di sinistra facendo un po’ di rumore. Ma se vuoi sentirti di sinistra metti mano ai diritti sociali di questo Paese, quelli che la sinistra ha distrutto in questi anni. Pensate come stanno messi male”. Lo ha detto il vice premier Luigi Di Maio sul blocco del Dl sicurezza da parte di alcuni sindaci.

“Ho disposto la sospensione del Decreto e ho dato incarico all’ufficio legale di adire il giudice. Io vado dal magistrato perché non posso andare alla Corte Costituzionale per violazione dei diritti umani e per violazione di articoli specifici della Costituzione. Occorre sollevare la questione incidentalmente in un giudizio”. Lo ha dichiarato a Sky TG24 il sindaco di Palermo Leoluca Orlando commentando la sua decisione di sospendere alcune misure del Decreto Sicurezza a Palermo.

Leoluca Orlando guida fronda contro decreto Salvini

Se non è una fronda poco ci manca, dalla sua parte si sono già schierati i sindaci di Napoli, Firenze, Parma e l’amministrazione di Milano, mentre l’Anci sollecita un tavolo di confronto chiedendo ascolto al Governo: a guidarla è Leoluca Orlando. Con la decisione di ‘sospendere’ nel suo comune, Palermo, gli effetti del decreto sicurezza ordinando ai dirigenti dell’anagrafe di continuare a iscrivere nel registro dei residenti i migranti con regolare permesso di soggiorno, apre un duro scontro con il ministro degli Interni Matteo Salvini, ‘padre’ del provvedimento. Che a caldo reagisce su Fb: “Con tutti i problemi che ci sono a Palermo, il sindaco sinistro pensa a fare ‘disobbedienza’ sugli immigrati”. Per poi aggiungere quando la polemica monta: “Orlando vuoi disobbedire? Disobbedisci, non vi mando l’esercito”. Rivolgendosi poi a “questi sindaci di sinistra” ricorda che il decreto sicurezza, “una legge di buon senso e civiltà, è stato approvato da governo e Parlamento, e firmato dal presidente della Repubblica”. “Prima dobbiamo pensare ai milioni di italiani poveri e disoccupati, difendendoli dai troppi reati commessi da immigrati clandestini”, avverte, “poi salveremo anche il resto del mondo”. E chiosa: “i sindaci ne risponderanno legalmente”. Il ministro per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, twitta: “Le leggi, piacciano o meno, vanno applicate. Non può esistere il ‘fai da te’: questo elementare principio non può essere ignorato”. Ma Orlando va dritto per la sua strada. “Il nostro non è un atto di disobbedienza civile né di obiezione di coscienza, ma la semplice applicazione dei diritti costituzionali che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro paese”. E incalza: “Siamo di fronte ad un problema non solo ideologico ma giuridico, non si possono togliere diritti a cittadini che sono in regola con la legge, solo per spacciare per ‘sicurezza’ un intervento che puzza molto di ‘razziale'” ed “è disumano, perché eliminando la protezione umanitaria trasforma il legale in illegale”. Dice il sindaco di Firenze Dario Nardella: “Non possiamo permetterci di assistere a questo scempio umanitario”. Per il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, “il decreto sicurezza lascia aperto un vulnus rispetto a stranieri e richiedenti asilo che non riescono a fare le cose più basilari” ma “bisogna capire qual è il percorso”. Netto il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris: “Noi continueremo a concedere la residenza e non c’è bisogno di un ordine del sindaco o di una delibera perché in questa amministrazione c’è il valore condiviso di interpretare le leggi in maniera costituzionalmente orientata”. Di diverso avviso il sindaco di Ascoli, Guido Castelli, che apre una spaccatura anche all’interno dell’Anci: “Il decreto sicurezza, in materia di immigrazione, contiene norme condivisibili e ampiamente attese da moltissimi sindaci italiani”. Sta con Orlando invece il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: “Capisco la sua fatica per porre rimedio a norme confuse scritte solo per l’ossessione di fare propaganda e che spesso producono caos, più diffidenza e insicurezza per tutti”. E il segretario del Pd in Sicilia, Davide Faraone, invita i segretari provinciali dem e gli amministratori locali nell’isola ad applicare anche nei loro comuni il “modello Orlando”. “È evidente, a questo punto, l’esigenza di istituire un tavolo di confronto in sede ministeriale per definire le modalità di attuazione e i necessari correttivi a una norma che così com’è non tutela i diritti delle persone”, dice il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. Persino un vecchio “nemico” politico di Orlando sposa la causa. “Proporrò al Parlamento siciliano una giornata di dibattito sull’argomento”, annuncia il presidente dell’Assemblea siciliana e commissario di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè. Di parere contrario all’iniziativa avviata dal sindaco di Palermo tanti altri primi cittadini. Tra questi il leghista Alessandro Canelli di Novara: “forse hanno nostalgia dell’epoca dell’immigrazione senza controlli, ma con la loro scelta arrecano un danno anche ai loro stessi cittadini”. “Relativamente al metodo – spiega il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza – sono convinto che il decreto sicurezza va a mettere ordine in quel far west creato dalla sinistra”. “Il Comune di Udine – gli fa eco il collega Pietro Fontanini – garantirà piena applicazione al Decreto Sicurezza varato dal Governo e approvato dal Parlamento”. Infine la presa di posizione del primo cittadino di Verona Federico Sboarina, secondo il quale si tratta “della solita strumentalizzazione dei sindaci di sinistra, che ancora una volta dimostrano di essere molto lontani da ciò che i cittadini chiedono”.




Roma, Tor Vergata: padre e figlio “aguzzini” finiscono in manette

ROMA – Da tempo minacciavano un loro conoscente e pretendevano somme di denaro. In manette, arrestati dai Carabinieri della Stazione Roma Tor Vergata, sono finiti padre e figlio, cittadini italiani di 48 e 22 anni, con l’accusa di tentata estorsione aggravata in concorso nei confronti di un 48enne egiziano.

La scorsa sera, i Carabinieri sono intervenuti su richiesta giunta al 112, perché, poco prima, la vittima aveva subito, da parte dei due, l’ennesima richiesta di denaro, di 100 euro, sotto minaccia di una pistola.

Il 48enne era accusato dagli aguzzini di aver fatto arrestare qualche tempo prima un loro amico e per tale motivo era diventato loro bersaglio.

Grazie alle informazioni acquisite dalla vittima e dai primi accertamenti eseguiti, i Carabinieri della Stazione Roma Tor Vergata hanno dato un volto ai due, portando alla luce altri episodi di violenza denunciati dal cittadino egiziano.

I Carabinieri hanno rintracciato e bloccato padre e figlio presso le rispettive abitazioni.

Nella casa del 22enne, di professione guardia giurata, i militari hanno rinvenuto e sequestrato la pistola, legalmente detenuta, oltre a due involucri in cellophane contenenti 1,1 kg di marijuana. Per tale motivo, il giovane dovrà rispondere anche di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Gli estorsori sono stati portati in carcere a Regina Coeli.




Latina, ‘ndrangheta: confiscati i beni al boss Carmelo Giovanni Tripodo

LATINA – Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma stanno eseguendo un

Decreto di confisca emesso dal Tribunale di Latina e eseguito dagli uomini della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Roma, di immobili, autoveicoli e quote societarie, per un valore complessivo di circa 2,8 milioni di euro nei confronti di Carmelo Giovanni Tripodo (classe 1958), di origini calabresi ma da tempo dimorante nel basso Lazio, ove si è posto a capo di un agguerrito sodalizio criminale di stampo mafioso che, come accertato all’esito di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, ha gestito e controllato illecitamente attività economiche e commerciali, condizionando il rilascio di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici.

Per tali fatti, nel giugno 2013 la Corte di Appello di Roma ha confermato la condanna del boss in relazione al delitto associativo di cui all’art. 416-bis c.p., a reati in materia di stupefacenti, nonché ad alcuni fatti di abuso d’ufficio in concorso con un amministratore pubblico e di intestazione fittizia di beni.

I successivi approfondimenti patrimoniali svolti dai Finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria hanno consentito di documentare la palese sperequazione tra gli esigui redditi dichiarati da TRIPODO e dai membri del suo nucleo familiare e il patrimonio, costituito da società e immobili – in parte intestati a compiacenti “prestanome” – accumulato nel tempo grazie al reimpiego dei profitti derivanti dalle attività illecite.

Nello specifico, il provvedimento di confisca oggi in corso di esecuzione – che fa seguito al sequestro operato nel mese di marzo 2017 – ha ad oggetto:

  • il patrimonio aziendale e i beni di 3 società, operanti nei settori delle pulizie e del trasporto merci per conto terzi;
  • 15 immobili residenziali e commerciali nonché 9 terreni siti a Fondi (LT);
  • 13 automezzi.