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Le Case vacanza sono un business: si rafforza la richiesta di formazione dei futuri manager del settore
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Donne e Millennial sono maggioranza fra gli aspiranti Property Manager in ambito extralberghiero
Lavorare nel settore delle Case vacanza si rivela una concreta opportunità di carriera per giovani e donne. Sono state oltre 1000, in meno di un anno, le richieste di formazione finalizzata all’avvio di un’attività nel settore delle case vacanza pervenute a Hospitality Revolution da parte di aspiranti Property Manager di immobili privati a vocazione ricettiva. È quanto emerge dai dati relativi al 2022 diffusi dal programma digitale di formazione rivolto ai futuri professionisti dell’ospitalità extra alberghiera. Numeri che segnalano l’accresciuta consapevolezza nei confronti delle opportunità offerte da un mercato, quello extra alberghiero, che in Italia copre oltre il 50% dell’offerta del settore Ospitalità. Nello specifico, da gennaio a dicembre 2022 la piattaforma di e-learning diretta da Angelo Spinalbelli ha erogato la propria Guida base a 1.024 persone, residenti principalmente al centro sud (59%). In larghissima maggioranza facenti parte della generazione dei Millennial (42-26 anni), il 54% degli aspiranti Property Manager sono donne, contro il 46% degli uomini, a conferma di quanto emerso da un sondaggio condotto da Airbnb, reso noto a maggio 2022, secondo cui in Italia quasi il 60% degli Host sono donne. Il “turismo in appartamento” ha acquisito negli ultimi anni un ruolo centrale nello sviluppo del settore, grazie soprattutto alla diffusione di piattaforme digitali come Airbnb e Booking, che hanno avuto un effetto dirompente nell’industria ricettiva. L’Ospitalità extra alberghiera risponde alle nuove esigenze di viaggiatori e turisti in tema di flessibilità, immediatezza e costi contenuti. Il trend del cosiddetto neverending tourism – vale a dire la voglia di visitare in qualsiasi periodo dell’anno, anche per brevissimi periodi, località turistiche, piccoli borghi storici e città d’arte – è infatti una filosofia che si sposa bene con la modalità “casa vacanza”. E gli italiani sembrano apprezzare: secondo una ricerca realizzata da Quorum, pubblicata a fine novembre 2022 con il contributo di Airbnb, 8 italiani su 10 sono favorevoli alla possibilità per i cittadini privati di affittare la propria casa attraverso piattaforme turistiche digitali e considerano “positivo” l’impatto delle locazioni a breve termine per fini turistici sull’economia delle città. Di qui l’occasione di fare della gestione delle case vacanze un vero e proprio lavoro. Anche senza possedere direttamente un immobile, grazie alla formula rent to rent, vale a dire prendere in locazione o gestire un immobile allo scopo di affittarlo a turisti per periodi brevi. D’altra parte il panorama immobiliare italiano lo consente: secondo i dati emersi dal 1° Rapporto Federproprietà-Censis, presentato nei giorni scorsi, il 28% delle famiglie italiane proprietarie di casa possiede altri immobili oltre a quello in cui vive. Un patrimonio immobiliare da poter mettere a reddito anche grazie alla figura del Property Manager in ambito ricettivo, sviluppatasi anche in Italia a seguito del boom delle locazioni brevi. «Anche nel 2022 il mercato immobiliare turistico si conferma fra le opportunità di business migliori degli ultimi anni» commenta Angelo Spinalbelli, fondatore e Direttore di Hospitality Revolution. «La voglia di viaggiare – prosegue Spinalbelli – il rinnovato desiderio da parte delle famiglie di conoscere luoghi nuovi, specialmente dopo lo shock causato dalla pandemia, e le opportunità offerte dallo smartworking, contribuiscono a produrre una domanda di abitazioni a scopo turistico situate in aree d’Italia ancora poco conosciute dal grande pubblico. E per rispondere a tale domanda, c’è bisogno oggi più che mai di professionisti dell’ospitalità extra alberghiera seri e preparati, in grado di operare sul mercato con trasparenza e nel solco della qualità di cui l’italianità è sinonimo. Per questo – sottolinea Spinalbelli – nell’anno che sta per concludersi Hospitality Revolution ha svolto un intenso di lavoro per avvicinare, con buoni risultati, i giovani adulti alla professione di Property Manager in ambito ricettivo». Sono stati 6 i pilastri dell’offerta formativa di Hospitality Revolution nel 2022: lo scouting e le valutazione delle opportunità immobiliari presenti sul mercato; l’implementazione di un business plan che tenga conto dei costi di investimento (locazione, budget dedicato all’advertising e spese di manutenzione e pulizia) e dei possibili ricavi sulla base delle previsioni dei flussi turistici nelle diverse aree geografiche; la gestione delle piattaforme, come Airbnb e Booking, e dei metamotori, come Trivago, Kayak e Tripadvisor; la valutazione del pricing rispetto alle stagioni e alla programmazione di eventi territoriali attrattivi; le azioni di marketing da mettere in campo; la gestione delle incombenze fiscali. «Per il 2023 – conclude il Direttore di Hospitality Revolution Angelo Spinalbelli – siamo già pronti con un’offerta formativa che tenga conto non soltanto delle attuali condizioni del mercato ma degli scenari del prossimo biennio».
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Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro
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2 Maggio 2024
Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.
Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.
La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.
Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?
Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.
Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.
Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.
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27 Aprile 2024Tempo di lettura 4 minuti
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Prevenzione e contrasto dei crimini informatici: siglato accordo tra Polizia di Stato e BCC Banca Iccrea
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La convenzione, firmata dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Prefetto Vittorio Pisani e da Mauro Pastore, Direttore Generale di BCC Banca Iccrea, è finalizzata a sviluppare una collaborazione strutturata tra le parti, per l’adozione ed il potenziamento di strategie sempre più efficaci in materia di prevenzione e contrasto al cybercrime, considerato il delicato e strategico settore di intervento del Gruppo.
Il Gruppo BCC Iccrea è il maggiore gruppo bancario cooperativo, l’unico gruppo bancario nazionale a capitale interamente italiano e il quarto gruppo bancario in Italia per attivi. BCC Iccrea, in qualità di Capogruppo esercita le attività di direzione, coordinamento e controllo sulle Società del Perimetro di Direzione e Coordinamento e, in tale ambito, supporta l’operatività bancaria delle BCC, fornendo prodotti, servizi e consulenza al fine di soddisfare le esigenze dei loro Soci, clienti, famiglie e territorio di riferimento.
La tutela delle infrastrutture critiche informatizzate di istituzioni e aziende che erogano servizi essenziali è una delle mission specifiche della Polizia Postale, l’articolazione specialistica della Polizia di Stato deputata alla prevenzione e contrasto della criminalità. La Polizia di Stato assicura attraverso la Polizia Postale e delle Comunicazioni, Organo del Ministero dell’Interno deputato alla sicurezza delle comunicazioni. In particolare, tale compito viene assolto attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) che, con una sala operativa disponibile h24, rappresenta il punto di contatto per la gestione degli eventi critici delle infrastrutture di rilievo nazionale operanti in settori sensibili e di importanza strategica per il Paese.
Alla firma della convenzione erano presenti per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Prefetto Renato Cortese, il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, Dott. Ivano Gabrielli mentre per BCC Banca Iccrea erano presenti Renato Alessandroni,
Responsabile Sicurezza e Continuità Operativa, Chief Information Security Officer, Pasquale De Rinaldis, Responsabile Sicurezza delle Informazioni, Giuseppe Cardillo, Head of Architecture & Innovation e Raffaella Nani, Responsabile Comunicazione Istituzionale.