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Cultura e Spettacoli

La rivelazione ipotizzata da Oreste Ruggiero. La madre di Leonardo da Vinci era una schiava dell’Est!

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Il grande Carlo Pedretti, a cui va dato il merito di avere fatto conoscere e amare Leonardo da Vinci dal grande pubblico, e col quale ho avuto l’onore di collaborare e confrontarmi negli ultimi anni della sua vita, mi diceva:

Se trovi la parola “scoperta” in uno dei miei scritti – e ne aveva scritti davvero tanti – pago quello che credi”.

Questo stava a significare il valore attribuito alla ricerca scientifica, fondata su atti certi e documenti di archivio o testimonianze, che caratterizzava senza flessioni la sua immensa bibliografia su Leonardo.

Alberto Angela con Carlo Pedretti

Si può dire che l’amico Pedretti “tollerava” il mio approccio “intuitivo”, comunque frutto di studi e ricerche seppure non probanti, in quanto ero anche architetto, artista e pertanto in qualche modo “dominato” dalla fantasia e dalla creatività; valori che Pedretti ammirava come qualità e di cui era ricco nello spirito e nelle capacità manuali.

Ma, altrettanto, nel profondo, Carlo Pedretti era affascinato dagli studi di iconologia-iconografia, il metodo che individua oltre la tecnica esecutiva (che spesso annoia gli studenti e il grande pubblico), il significato e il messaggio di un’opera (in cui generosamente mi definì “amico e collega particolarmente preparato”), tanto da scrivere un articolo nel 1994 dal titolo emblematico “l’iconografia, o l’iconologia, una disciplina  che è andata eclissandosi durante l’ultimo ventennio”.

Perché dico questo? Perché per anni da chi era vicino a Pedretti, e si reputava suo erede intellettuale (ed erano davvero tanti…) sono stato snobbato perché alla base delle mie ricerche non c’erano documenti “scoperti” in qualche archivio; tanto da indurmi infine a “raccontare” le mie teorie (che venivano definite ‘congetture’, sebbene frutto di studi e confronti, e come tali ignorate dal mondo degli studiosi identificati col metodo scientifico), in forma romanzata.

Oggi mi salta inevitabilmente agli occhi la parola “rivelazione” che accompagna sulla stampa nazionale e internazionale il “romanzo” di Carlo Vecce “Il sorriso di Caterina – La madre di Leonardo” in cui si “scopre e rivela” che la madre di Leonardo, Caterina, era una schiava dei paesi dell’Est, in particolare del Caucaso, rapita da pirati commercianti di schiavi sulle coste del Mar Nero.

Senza nulla togliere a Carlo Vecce come studioso e collaboratore stimato in tanti lavori di Carlo Pedretti, che non è stato citato fra tanti altri nei ringraziamenti in calce al libro, egli basa il suo romanzo su un documento d’archivio in cui il notaio Piero da Vinci, comunemente ritenuto il padre di Leonardo, redigeva l’atto di liberazione dalla schiavitù di Caterina. Da questo ad asserire che quella Caterina fosse la madre di Leonardo e che fosse l’amante (o peggio il sollazzo sessuale come emerge in alcune riviste) del notaio Piero da Vinci, il terreno scivola, nel secondo caso tristemente, dal piano scientifico a quello congetturale.

Allora la parola “rivelazione” per onestà intellettuale dovrebbe essere rivista; ma soprattutto, se siamo nell’ambito della “intuizione”, quella di Carlo Vecce allora non ha la primogenitura.

Perché asserisco questo? Perché la prima ipotesi che la madre di Leonardo dal nome Caterina fosse una schiava risale a Renzo Cianchi, non citato, che in un saggio pubblicato dal figlio Francesco nel 2008, dal titolo inequivocabile “La madre di Leonardo era una schiava?”, ipotizzò questa tesi.

Ma ben oltre10 anni prima del libro di Carlo Vecce, nel 2012, l’ipotesi che la madre di Leonardo fosse una schiava dell’Est, un’ancella del tempio dell’Isola dei Serpenti nel Mar Nero, proveniente ancora da più lontano e rapita da pirati, appartiene al mio libro “La madre di Leonardo – Schiava e dea”. In quel libro, sempre in chiave romanzata ma non del tutto inattendibile, ipotizzo che il padre Piero non fosse il notaio da Vinci, prestatosi alla copertura del più importante personaggio, ma Piero de’Medici, il padre di Lorenzo il Magnifico (del resto anche Cosimo de’Medici, padre di Piero e nonno di Lorenzo de’ Medici ebbe un figlio proprio da una schiava circassa). Andrebbe maggiormente indagata a riguardo la frase, e il suo significato, che Leonardo, abbandonando Roma deluso da Giuliano de’ Medici e da Papa Leone X Medici, scrisse con amarezza: “I medici mi crearono e mi distrussero…”

Ma, se non bastasse, ho ripreso questa ipotesi nel libro del 2017 “Noi siamo Leonardo?” dove in modo ancora più preciso e anticipatore rispetto alla “rivelazione” di Carlo Vecce ipotizzo la provenienza di Caterina, la madre di Leonardo, dal Caucaso.

In entrambi questi volumi non ebbi l’accortezza di citare lo studio di Renzo Cianci, ma si trattava di romanzi puri e non anticipati come “rivelazione” storica, e comunque ebbi modo di scusarmene con la signora Cianchi correndo ai ripari nella mia pubblicazione del 2020 “Il Misticismo di Leonardo da Vinci (uomo senza lettere e fede) dialogo con Carlo Pedretti e altri” dove ripropongo il tema del rapporto formativo fra Leonardo e la madre (la schiava circassa) Caterina.

Perché ho fatto queste precisazioni? Perché quando si sviluppa un romanzo su un tema già scaturito dalla fantasia di altri, magari scrivendolo forse anche meglio e più ricco di particolari, ritengo sia comunque doveroso citare chi ha già trattato l’argomento e il tema che ne costituisce la base o l’essenza creativa: in questo caso che la madre di Leonardo fosse una schiava dell’Est e che avesse avuto, per le sue origini e sapere, una grande influenza, fino ad essere identificata nella Gioconda (come sosteneva Freud) per la grandezza di Leonardo, uomo universale.

Ma soprattutto intendo stavolta, dopo tanti anni di studi, “mettere le mani avanti” per quanto potrà servire…, almeno su altre quattro probabili future “RIVELAZIONI” da parte di altri autori, che elenco di seguito e sulle quali fino ad ora, lo stesso gruppo che ha partecipato al lavoro di Carlo Vecce, ha assunto negli anni uno sprezzante, silenzioso distacco.

Il primo argomento, come scrivo in “L’altro Leonardo – I mostri e la bellezza di Da Vinci” del 2009, è che le principali opere di Leonardo, fra cui La Gioconda e il San Giovanni Battista, se specchiate, contengono al loro interno immagini all’insegna della teoria dell’armonia degli opposti e rispettivamente una Gargoyle (e altro ancora…) e un Bafometto, quali anticipazioni di quelle anamorfosi che, come ricorda Pedretti, Leonardo sviluppò sul finire della vita.

Il secondo argomento è il contenuto del libro “Leonardo da Vinci e il (disegno del) territorio vivente” del 2013, dove sostengo che quel disegno non è una semplice rappresentazione topografica di un paesaggio ma contiene al suo interno un elaborato messaggio frutto di figure nascoste nelle rocce, simile all’antica tecnica cinese, e quindi eseguito, con riflessione e meditazione, in più tempi. Riscontro con soddisfazione che durante il recente restauro dell’opera presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze è emerso che il disegno è stato eseguito in più tempi e con più inchiostri e non è un disegno realizzato, pertanto, durante un viaggio e in pochi minuti come asserivano con determinazione vari studiosi.

 Il terzo argomento, è riferito alla scultura dell’Angelo Annunciante di San Gennaro che Carlo Pedretti nel 1999 attribuì al giovane Leonardo da Vinci. Dopo la scomparsa di Pedretti mi occupai come promotore e coordinatore del restauro dell’opera, generosamente finanziato da comuni amici Russi. All’epoca, era il 2019, fui diffidato  dal “legare” l’opera al nome di Leonardo in quanto dal restauro avrebbe potuto emerge, tratti in inganno da maldestre ridipinture settecentesche, che la scultura fosse di tale epoca con grande conseguente discredito per l’intuizione “errata” di Pedretti. Andai avanti con la mia convinzione, in linea con quella di Pedretti, ed emerse inequivocabilmente dal magistrale restauro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure che l’opera era quattrocentesca, di ricca finitura ed eseguita da mano esperta e veloce.

L’Angelo annunciante” della Pieve di San Gennaro in Lucchesia

 Questo andava a confermare la mia teoria che l’opera potesse appartenere, andando così oltre Pedretti, a Leonardo in età matura, eseguita durante i suoi sopralluoghi a San Gennaro e dintorni per la realizzazione della mappa (oggi a Windsor) funzionale agli studi per la deviazione del fiume Arno fra il 1503-1504.

Successivamente questa tesi, circa l’appartenenza dell’opera a Leonardo adulto, è stata suffragata da una testimonianza di persona la quale, allora giovanissima, ricordava esattamente e dichiarava che negli anni 40’-50’ la mano destra dell’Angelo, non ricostruita dall’Opificio per mancanza di documentazione scientifica riguardo la postura delle dita mancanti, era con l’indice disteso, ‘tipico’ del gesto nell’arte di Leonardo; esattamente come ipotizzavo nel mio libro “Se fosse un indice che è Leonardo” del 2019.

Ma anche desidero anticipare la possibile “futura rivelazione” che l’Angelo Annunciante attribuito a Leonardo appartenga ad un gruppo scultoreo dell’Annunciazione, come ho ipotizzato nel mio libro “L’enigmatica Madonna del Parto di San Gennaro – Una singolare Annunciazione fra Leonardo e Piero della Francesca” del 2021, e come emerse da documenti di archivio del 1646 e del 1933, quest’ultimi da me ritrovati nella Pieve di San Gennaro, assieme al Parroco Don Cyprien Mwiseneza.

Il quarto argomento è il rapporto fra Leonardo da Vinci e la religione. Diceva Carlo Pedretti: «I grandi interpreti del pensiero e dell’indole di Leonardo, che si sono avvicendati negli ultimi centocinquant’anni, hanno sempre evitato di prendere di petto il problema del rapporto di Leonardo e della sua arte con la religione. É un problema abbastanza scomodo, per non dire spinoso…». Qualcosa a riguardo ho detto nel libro “IDEA dopo ‘Li omini grossi’ “, sperando in un mondo che possa andare oltre la grettezza degli uomini “di tristi costumi”, come li definiva Leonardo, cioè senza anima. Uno stato collettivo di frenesia, indolenza e rabbia, esploso violentemente dopo i melensi “cinguettii” e abbracci virtuali durante il periodo pandemico.

Alla fine di questo exursus, consapevole di avere poco promosso il mio lavoro, trascinato sempre da nuove curiosità e dall’impegno anche in altre attività, come la rappresentazione artistica di questi studi, per cui continuo ad essere grato a Pedretti per la sue esaltanti parole a riguardo; spero di poter scongiurare che prossimamente mi possa ancora trovare di fronte a “rivelazioni” circa: 1_opere presenti nella Gioconda e nel San Giovanni Battista in ossequio alla teoria rinascimentale dell’armonia degli opposti; 2_scoperta di figure presenti nelle rocce del disegno del paesaggio di Leonardo del 1473 (a riguardo qualcuno ha “scoperto” recentemente la presenza del volto di un leone al centro del disegno che illustrai anni e anni fa all’Istituto di Cultura dell’Ambasciata italiana di cultura a Vienna; 3_che la scultura dell’Angelo di San Gennaro è di Leonardo da Vinci e  soprattutto di Leonardo maturo, come ho ipotizzato; 4_ che è opportuno occuparsi, con conseguente annuncio alla stampa internazionale, del rapporto fra Leonardo e la religione.

Ma ancora di più mi preme, senza nulla togliere alla riconoscenza per chi fa ricerche di archivio, preziose per le successive riflessioni (non dogmi: ai miei studenti ricordavo che spesso il mito è più veritiero della storia), che venga riconosciuto, accompagnato da profondi studi, il valore del metodo intuitivo. A riguardo cito Einstein quando affermava: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”

Desidero terminare dedicando ai passati e futuri “scopritori di idee altrui” quanto di loro scriveva Leonardo da Vinci, definendoli ‘trombetti’ con evidente rammarico e un pizzico di risentimento:

«Costoro vanno sconfiati e pomposi, vestiti e ornati non delle loro, ma delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati.»

Ma prendo ancora un piccolo spazio per manifestare la preoccupazione che anche nei confronti del mio prossimo libro, che amplia i temi del precedente e uscirà a giorni, dal titolo “Leonardo da Vinci ‘omo’ postmoderno – Il vero volto di Leonardo?” avvenga che qualche “trombetto” possa scoprire, facendo sua l’idea del libro rivisitata, il valore della “filosofia” di Leonardo (non quella comunemente intesa) e quanto essa possa essere oggi utile come una sorta di eredità per il genere umano o antidoto “anti-nichilismo”.  Vorrei invece che qualcuno, magari con maggiore merito su quei temi, potesse poi approfondire e migliorare lealmente, o anche criticare, ma con onestà intellettuale, quanto attraverso quell’opera mi prefiggo di dire e raccontare.

Oreste Ruggiero, marzo 2023

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Cronaca

Roma, conto alla rovescia per la 4 edizione dell’Hip Hop Cinefest: un fine settimana all’insegna di cinema, musica e cultura

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Venerdì 10 e sabato 11 maggio alla Casa della Cultura di Torpignattara (Via Casilina, 665 – Roma) – Ingresso Libero
 
L’unico evento italiano e uno dei cinque al mondo dedicato alle storie scritte, prodotte e dirette da amanti della cultura Hip Hop, passando per tutti i generi cinematografici compresi quelli sperimentali.
 
La forte vocazione internazionale dell’Hip Hop Cine Fest conferma l’evento come punto di incontro di culture e idee che arrivano da tutto il mondo. Come nelle passate edizioni, oltre alla proiezione delle opere cinematografiche selezionate, l’evento diventa un forum di discussione sui temi complessi della narrazione culturale attuale. La kermesse, nelle varie attività e azioni di cui si compone, è un laboratorio di creazione, condivisione, ispirazione e sperimentazione che si muove oltre le barriere geografiche, favorendo scambi artistici su scala globale. L’Hip Hop Cine Fest esplora le intersezioni tra cinema, musica e le sfide culturali del nostro tempo, celebrando la ricchezza della cultura Hip-Hop e il suo impatto trasformativo nella società.
 
Durante la due giorni, si terranno dibattiti e workshop, con una particolare attenzione ai processi educativi non formali dell’Hip-Hop come strumento pedagogico innovativo. Le categorie in gara includono documentari, fiction, video musicali, e opere sperimentali, sia lunghe che corte. Per l’edizione 2024 sono stati selezionati 112 progetti provenienti da 26 paesi: 22 documentari lunghi, 19 documentari corti, 6 cortometraggi di finzione, 20 progetti sperimentali, 6 progetti web/seriali e 39 videoclip musicali.
 
Tra le opere in concorso i documentari: “Street Heroines” di Alexandra Henry dagli Stati Uniti, la celebrazione del lavoro di tre artiste latine attive nella scena dei graffiti tra NY, Città del Messico e San Paolo, e “Olossa” diretto da F.Randrianambinana, J.O.Tsibeny E M.A.Ramangason, un viaggio nella drill del Madagascar. Tra i progetti di finzione “The last Carreo” dal Perù di P.Malek, 24 ore nella vita di Lucho freestyler di Lima, un action tra contraddizioni e dura realtà. Tra i progetti sperimentali “The graffiti mistery” dalla Francia di C.Diaz, un progetto che esplora il lettering attraverso la settima arte; per i best of the web “Fazilona” di Z.Bandido, M.A.Verdiell, E.d.G.Koperuna, web serie dedicata alla scena delle fanzine di Barcellona. Tra i videoclip musicali “Survaival” del regista cubano A.V.D’Mente.
 
Per tutte la durata della manifestazione, sarà allestita una mostra d’arte curata dalla galleria Croma e una selezione espositiva dell’Italian Hip Hop Museum.
Tutti progetti selezionati saranno trasmessi in streaming gratuito sulla piattaforma filmocracy.com dal 29 aprile al 19 maggio.
 
 
Il programma
 
venerdì 10
ore 13.00 – 21.30
Proiezioni non stop delle opere in concorso
dalle ore 15
graffiti live painting a cura dell’artista peruviano suc
ore 15.00
workshop di Djing con DJ Mixturesse dall’Olanda
ore 16.30 – 17.30
Talk “Hip Hop e Narcostati”, tra gli ospiti il regista Federico Peixoto.
All’interno dei difficili contesti del Latinoamerica dove i narcotrafficanti dettano legge, l’Hip-Hop è capace di veicolare un messaggio di resistenza e fratellanza, il tutto raccontato direttamente da un artista della Costa Rica.
Ore 18.00 – 19.30
Panel “Hip Hop e resistenza: Tunisia, Palestina e Siria”, tra gli ospiti l’artista tunisino Elyes Fatnassi. Testimoni diretti provenienti da tre paesi attualmente infiammati da guerre, oppressioni e instabilità: Palestina, Siria e Tunisia si incontrano sulla scia di un insolito filo conduttore: L’Hip Hop e la sua capacità di diventare strumento di resistenza per cultura anche nei contesti più difficili, restituendo speranza
 
 
Sabato 11
Ore 10.00 – 22.00
Proiezioni non stop delle opere in concorso.
Ore 11.00 – 12.30
Panel “Breaking: dall’arte-educazione alle olimpiadi”, tra gli ospiti il tecnico federale e giudice Edoardo Bernardini.
Partendo dal potere arte-educativo del Breaking, nato tra i vicoli delle periferie, fino alla consacrazione olimpica della disciplina, che futuro si prevede per la “original street dance”? La sua formalizzazione in disciplina olimpionica sarà preponderante, o rimarrà più forte il richiamo della strada?
Dalle ore 13
Graffiti live Painting a cura dell’artista palestinese Hamza Abu Ayyash.
Ore 13.30 – 14.30
Workshop “Hip Hop Filmaking” con il regista olandese Stephan Velema.
Ore 15.00 – 16.30
Panel “Hip Hop – Femminismo – Empowerment”, tra gli ospiti Martha Diaz dell’Hip Hop Education Center di New York.
In questa sezione si cercherà di affrontare le delicate questioni che riguardano il ruolo troppo spesso marginalizzato della donna a livello globale, tanto nella società come anche nella cultura Hip-Hop. È in questo contesto che nascono movimenti come il femminismo hip-hop e l’afro-femminismo, che promuovono l’empowerment femminile e un cambio di paradigma radicale.
18.00-19.30
Tavola rotonda “Storia del cinema hip hop vol. 4”, tra gli ospiti il professore e ricercatore Giuseppe Gatti.
Quarto appuntamento con la riflessione sulla natura e lo stato del cinema Hip-Hop, quest’anno si andranno ad analizzare le prospettive future di questo genere ibrido e le sue possibilità evolutive, sia dal punto di vista produttivo, che soprattutto distributivo.
Ore 21
Cerimonia di premiazione dei vincitori del festival.
 
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Cultura e Spettacoli

Prato, il museo di Palazzo Pretorio celebra i suoi 10 anni

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Inaugurata una nuova sala con dipinti del ‘400 e del ‘500  provenienti dai depositi
 
 
Sono trascorsi dieci anni dall’inaugurazione del Museo del Palazzo Pretorio di Prato che aprì il 12 aprile 2014, dopo un complesso restauro del Palazzo, iniziato nel 1998, sede dal 1912 del Museo Civico. E molti sono stati i progetti realizzati, guidati da un unico obiettivo: essere interprete della contemporaneità di ogni tempo e diventare sempre più inclusivo.
 
“Festeggiamo i 10 anni dall’apertura del Museo di Palazzo Pretorio con la presentazione di una nuova sala, a dimostrazione che il Pretorio non è mai rimasto fermo: mostre, nuove sale, linguaggi inclusivi, un polo culturale con una particolare attenzione all’autismo, sono la testimonianza di come l’arte sia capace di coinvolgere tutti con la sua bellezza e la sua capacità di comunicare.
 
Da oggi al primo piano si potranno ammirare opere del ‘400 e ‘500 provenienti dai depositi, grazie alla volontà di investire per valorizzare il patrimonio esistente”, dichiara Matteo Biffoni  sindaco di Prato. Un anniversario significativo, quello del decennale, che il Museo condivide con la comunità rendendo godibili diciassette opere che fino ad ora sono state custodite nei depositi e adesso hanno trovato collocazione nella nuova sala “Dai depositi al museo: dipinti del Quattrocento e del Cinquecento”, posta al primo piano nell’area recentemente restaurata dell’antico Monte dei Pegni. Il percorso espositivo così si amplia con un nucleo di maestri del Quattrocento che documentano il clima culturale che si riflette nelle tante botteghe attive a Firenze e nelle periferie; e con la preziosa raccolta di Sacre Famiglie e di Madonne con Bambino del secolo XVI composta da dieci dipinti.
 
La nuova sala rientra in un progetto di ampliamento dell’offerta museale che vedrà a breve altri due spazi dedicati, rispettivamente, “Prato prima di Prato” con reperti archeologici provenienti dal territorio e dalla vicina area di Gonfienti, sede di un insediamento etrusco del VI secolo avanti Cristo, arricchito anche da contenuti multimediali, e al Museo del Risorgimento, con una raccolta di cimeli dell’antico Museo del Risorgimento che dai primi del Novecento fu allestito nel Pretorio e ancora conservati nei depositi. “In questi dieci anni, il Museo civico di Palazzo Pretorio è diventato un punto di riferimento nel panorama non solo toscano. Un lavoro costante – in prima fila la Direttrice Rita Iacopino, tutto lo staff ed il Comitato scientifico – ha consentito di intrecciare relazioni e consolidare ed arricchire un patrimonio inestimabile. La scelta dell’amministrazione di ampliare il percorso della Collezione recupera l’idea del progetto di Gae Aulenti e Bianca Ballestrero e restituisce con ancora maggiore aderenza la storia non solo artistica del nostro territorio”, aggiunge Simone Mangani, Assessore alla cultura del Comune di Prato, presentando il nuovo allestimento anche a rappresentanti della stampa estera. Questi allestimenti si aggiungono al recente percorso parallelo multisensoriale arricchito di contenuti interattivi, opere da toccare e da ascoltare, guide nella lingua dei segni, nuovi dispositivi multimediali.
 
Il Museo celebra il decennale proponendo anche un originale programma di eventi, spettacoli, danza, laboratori, musica, incontri a tema e attività, rivolte a pubblici diversi. Tra gli altri ha organizzato, in collaborazione con la Fondazione Opera Santa Rita, la mostra “PretorioAPERTO – 10 anni 1000 sguardi”, i cui I protagonisti sono i ragazzi con sindrome dello spettro autistico del Centro “Silvio Politano”, che attraverso il loro punto di vista regalano ai visitatori una chiave di lettura alternativa delle opere del Museo di Palazzo Pretorio; le loro produzioni artistiche, inedite e originali, sono realizzate in collaborazione con i loro educatori, gli operatori museali e il contributo degli studenti del Liceo Artistico “Umberto Brunelleschi”di Montemurlo. Uno spazio di confronto, conoscenza e dialogo con le diversità. La mostra è ad accesso gratuito, dal 20 al 29 di aprile.
Con Prato Card è disponibile un unico biglietto che permette di visitare i quattro musei principali di Prato: Museo di Palazzo Pretorio, Museo del Tessuto, Museo dell’Opera del Duomo di Prato e Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Una tessera rivolta a tutti, turisti e residenti, con offerte per giovani e famiglie.
 
Tuttavia Prato merita anche una rapida conoscenza del suo centro storico, con una passeggiata definibile “Prato Classica – La città dei mercanti, di ieri e di oggi”: Itinerario a piedi nel centro cittadino. Si parte da Francesco di Marco Datini, il mercante che nel ‘400 fondò la prima conglomerata europea e che con il suo lascito contribuì a fondare l’Ospedale Degli Innocenti di Firenze, per arrivare alla monumentale Forma Squadrata con taglio di Henry Moore, installata a Prato nel 1974, 50 anni fa, la cui presenza rappresenta il segno tangibile del rinnovato mecenatismo degli imprenditori tessili pratesi del secondo Novecento e l’inizio del rilancio culturale e artistico della città laniera. Imperdibile una vista all’antica chiesa diSan Francesco, con il chiostro di Santa
Maria delle Carceri e il Castello dell’Imperatore.
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Castelli Romani

“Firmitas, utilitas, venustas”: a Frascati il convegno per la rinascita di un’architettura umana

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Villa Falconieri dal 26 al 28 aprile

“Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza.
Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza parsimonia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie”

Vitruvio nel “De Architectura” sviluppa un concetto costruttivo che può essere racchiuso in tre semplici parole “Firmitas, utilitas, venustas” – solidità, funzione, bellezza – e partendo proprio da queste tre espressioni l’accademia Vivarium Novum di Frascati, nell’incantevole cornice di Villa Falconieri dal 26 al 28 aprile, terrà un Convegno dal titolo “Firmitas, utilitas, venustas: per la rinascita di un’architettura umana”.

Iniziativa estremamente lodevole patrocinata da School of Architecture della Notre Dame University, dal movimento internazionale New traditional architecture, dall’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, dal FAI – Fondo per l’ambiente italiano – Delegazione di Roma, dall‘Ordine degli architetti PPC di Roma e provincia, dall’Ordine degl’ingegneri di Roma, da Pulchria, dallo Studio ACAM, dal Festival dell’innovazione di Frascati.

Un “nuovo approccio della concezione architettonica” si legge nelle parole del Comunicato stampa diffuso in occasione di questo convegno che evidenzia, inoltre, la necessità di individuare “criteri e approcci architettonici e urbanistici rispondenti alle reali necessità materiali e spirituali dell’uomo, che da un lato aspira a proporzione ed equilibrio, dall’altra richiede socialità piena e vitale desiderosa di spazi da condividere con altri” – prosegue il comunicato stampa.

L’architettura deve tornare ad esprimere armonia con i luoghi ed, assieme alla solidità, offrire spazi capaci di rispondere ai bisogni sociali delle persone.

Lo scopo di Accademia Vivarum Novum punta ad una profonda “riflessione che possa approdare ad un rinnovamento delle pratiche culturali, artistiche e architettoniche, affinché esse pongano la naturale disposizione umana verso l’armonia e la bellezza al centro del loro operato, perseguendo inoltre un’idea di continuità, piuttosto che di rottura, coi paesaggi naturali e culturali costruiti attraverso i secoli”.

Un rinascimento architettonico che porti di nuovo l’Uomo al centro di ogni arte.

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