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ALDO MORO E PEPPINO IMPASTATO: 9 MAGGIO 1978, PER NON DIMENTICARE
Tempo di lettura 5 minutiIn entrambi i casi furono diverse le piste battute
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9 anni faon
Il 9 maggio del 1978, in Via Caetani, venne ritrovato il corpo senza vita del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Il corpo privo di vita si trovava all’interno di una Renaut 4 poco distante alla sede del Partito Comunista Italiano. Ma per capire meglio questa storia bisogna andare a ritroso, precisamente alla mattina del 16 marzo del 1978, quando l’auto di Moro fu bloccata in Via Fani dai brigatisti. Nell’agguato furono uccisi i Carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e i poliziotti che si trovavano sull’auto di scorta: Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. In seguito alla strage i terroristi sequestrano il presidente della DC. Il commando che assalì l’autovettura di Moro e della sua scorta era composto da 11 persone, ma rimane tutt’ora il dubbio sull’identità dei partecipanti. Quando la macchina fu bloccata, entrò in azione un gruppo di fuoco composto da quattro persone con divise da personale di volo e cominciarono a sparare. Questi soggetti vennero identificati in: Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Franco Bonisoli. Una prima perizia ha riscontrato 91 colpi esplosi di cui 45 nei confronti degli uomini della scorta. Morucci e Fiore fanno fuoco contro l’auto di Moro, Gallinari e Bonisoli contro l’Alfetta della scorta. I Brigatisti riferiscono inoltre che i mitra si sarebbero inceppati. Valerio Morucci raccontò davanti alla Corte d’appello di Roma che “l'organizzazione era pronta per il 16 mattina, uno dei giorni in cui l'on. Moro sarebbe potuto passare in via Fani. Non c'era certezza, avrebbe anche potuto fare un'altra strada. Era stato verificato che passava lì alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse lì sempre. Non c'era stata una verifica da mesi. Quindi il 16 marzo era il primo giorno in cui si andava in via Fani per compiere l'azione, sperando, dal punto di vista operativo, ovviamente, che passasse di lì quella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse ritenuto che la presenza di tutte queste persone, su quel luogo per più giorni, avrebbe comportato sicuramente il rischio di un allarme”. Moro fu poi trasportato in Via Montalcini 8. Alle 10.10 arriva una telefonata di Valerio Morucci all’Ansa di rivendicazione del sequestro in cui dice “Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana, Moro, ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato. Firmato Brigate rosse”. Mentre si celebravano i funerali degli uomini della scorta in San Lorenzo al Verano, esattamente due giorni dopo, venne rinvenuto il seguente comunicato “Giovedì 16 marzo, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali, è stata completamente annientata. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese – dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l'accordo a sei – ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste”. Lo scopo delle BR era quello di colpire la DC e per loro era importante il fatto che Moro fosse al governo da circa 30anni. In merito all’abitazione in cui fu detenuto Moro ci furono diverse contestazioni negli anni. Inizialmente si parlò di Via Gradoli, ma era un appartamento piccolo e in affitto quindi a rischio di essere scoperto. Dai processi che seguirono la cattura delle BR è emerso che si trattava di Via Camillo Montalcini, appartamento acquistato con i proventi del sequestro di Pietro Costa. Un elemento importante è che il covo di Moro si trovava all’interno del quartiere Magliara. Proprio in quegli anni la Banda della Magliana controllava Roma e zone periferiche, a capo delle “batterie” c’era Franco Giuseppucci “Er Negro” che da semplice fornaio diventa leader indiscusso di una delle bande criminali più pericolose di tutti i tempi. La città di Roma era suddivisa in zone di controllo: i quartieri Testaccio e Trastevere vanno a Renatino De Pedis e Danilo Abbruciati detto “Il Camaleonte”, alla Magliana e al Trullo restano Abbatino e Danesi. Ogni capo reclutava spacciatori sulle strade si Roma. Ma cosa c’entra la Banda della Magliana con il sequestro Moro? In quei giorni di preoccupazione e di ricerca, gli inquirenti sono disposti a tutto. Secondo i pentiti, gli inquirenti si rivolgono al boss della nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo, che a sua volta incarica il boss di Acilia e Ostia che è Nicolino Selis. Selis coinvolge la Banda della Magliana, sa che Giuseppucci è in grado di scovare il covo dove è tenuto segregato Aldo Moro. I collaboratori di giustizia raccontano che Giuseppucci riesce a trovare il covo, Abbatino racconta di un incontro tra Giuseppucci e L’Onorevole Piccoli.
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