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Altro fango per Trump: in affari con banca iraniana della "lista nera" Usa per il terrorismo

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Tempo di lettura 3 minuti L'istituto, accertò il Tesoro, tra il 2002 ed il 2006, era usato per far affluire denaro ai Pasdaran (i guardiani della rivoluzione)

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Redazione

USA – Nuova bufera per Donald Trump a poco più di un mese dalle elezioni. Tra il 1998 ed il 2003 il candidato repubblicano alle presidenziali americane affittò un ufficio nel General Motors Building, uno dei suoi palazzi a New York, alla banca iraniana Melli, controllata dagli ayatollah e nell'elenco delle entità colpite da sanzioni internazionali per il programma nucleare. Lo rivela il team di giornalisti investigativi (International Consortium of Investigative Journalist) che già svelarono lo scandalo dei Panama Papers.

Secondo i giornalisti dell'Icij, la Melli Bank aveva già la sua sede nel General Motors Building sulla V strada, quando Trump acquisto l'edificio nel luglio del 1998 per poi rivenderlo a settembre del 2003. La banca venne inserita solo l'anno dopo, il 1999 nella lista nera degli istituti del Ministero del Tesoro Usa, per il suo coinvolgimento nel finanziamento delle programma nucleare (lo stesso cui ha posto fine – temporaneamente – l'intesa raggiunta il 14 luglio 20915 a Losanna) e dopo aver accertato che si trattava di una banca emanazione diretta della Repubblica Islamica.

L'istituto, accertò il Tesoro, tra il 2002 ed il 2006, era usato per far affluire denaro ai Pasdaran (i guardiani della rivoluzione) che in quel periodo erano considerati sponsor di attentati terroristici. Trump mantenne come affittuario la Melli Bank per altri 4 anni fino al 2003 (quando cedette l'edificio) e quando la banca lascio' a sua volta il grattacielo. La banca aveva in affitto un appartamento di 750 metri quadri al 44esimo piano del Gm Building per una cifra, hanno calcolato i reporter investigativi, che avrebbe potuto raggiungere il mezzo milione di dollari l'anno. La legalita' dell'operazione e' controversa.

"All'epoca gli Usa avevano in vigore un embargo contro l'Iran che – tra l'altro – proibiva agli americani di fare affari con Teheran, incluso ricevere affitti – spiega l'Icij – Tuttavia ad alcune organizzazioni iraniane era stata garantita un'esenzione che autorizzava specifiche transazioni, valutate caso per caso. Se il pagamento (dell'affitto a Trump, ndr) fosse stato legalmente esentato, sarebbe stato legalmente difficile sfrattare la banca. Il Tesoro non ha reso pubbliche le eccezioni concesse alle singole societa' per non rispettare i vincoli sanzionatori. Non solo. Ne' il ministero del Tesoro, ne' la Trump Organization ne' la Bank Melli hanno voluto rispondere alla domanda se l'istituto fosse stato esentato dalle sanzioni", scrivono ancora i reporter dell'Icij.

"Non e' chiaro se Trump fosse a conoscenza personalmente che la Bank Melli avesse affittato un ufficio dalla sua societa' ma lui era il presidente della Trump Organization e si descriveva come un manager molto attentato ai dettagli", si legge ancora nell'articolo.

George Ross, per lungo tempo vicepresidente esecutivo della Trump Organization, ha dichiarato di "non essere a conoscenza che la Bank Melli fosse affittuaria di Trump. Avevamo un gran numero di inquilini nel Gm Building. Avrebbero potuto essere li ma non me lo ricordo". Ricahrd Nephew, dal 2013 al 2015, vice coordinatore delle sanzioni al dipartimento di Stato, ha riconosciuto che "negli anni '90 c'era una consapevolezza ridotta sul programma nucleare iraniano e sul ruolo della banca nel finanziare il terrorismo. Ma accettare denaro dalla Bank Melli già dal 1998 avrebbe dovcuto far scattare un allarme".

Nel 2007 – 4 anni dopo la fine del rapporto tra la Trump Organization e la banca iraniana – le autorita' americane "incriminarono la Bank Melli con l'accusa di aver facilitato acquisti per il programma nucleare di Teheran e per aver usato almeno 100 milioni di dollari (per finanziare, ndr) la forza Quds, l'unita' delle operazioni speciali all'estero dei Pasdaran".

Di sicuro la notizia non puo' che imbarazzare il candidato repubblicano a prescindere dal fatto che si riesca a dimostrare che abbia commesso un crimine. Trump, infatti, e' stato da sempre uno dei piu' feroci critici dell'Iran che ha definito "uno Stato grande sponsor del terrorimo" e che il 9 settembre scorso era arrivato a minacciare di affondare una nave di Teheran se i marianai iraniani avessero continuato azioni ostili contro le unita' delle Us Navy nel Golfo Persico.
 

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NeverForget, 23 anni dopo: L’America ricorda l’11 settembre

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La nazione si unisce nel dolore e nella resilienza, mentre la ferita del World Trade Center rimane aperta

Sono passati 23 anni da quel fatidico martedì che ha cambiato per sempre il volto dell’America e del mondo intero. L’11 settembre 2001, le Torri Gemelle del World Trade Center di New York crollarono sotto gli attacchi terroristici, portando con sé quasi 3.000 vite innocenti e lasciando una cicatrice indelebile nel cuore della nazione.

Oggi, nel 2024, l’America si ferma ancora una volta per ricordare. La ferita, sebbene il tempo sia trascorso, rimane aperta, un promemoria costante della fragilità della vita e della resilienza dello spirito umano.

A Ground Zero, ora trasformato in un memoriale solenne, migliaia di persone si sono riunite all’alba per la tradizionale lettura dei nomi delle vittime. Familiari, sopravvissuti e primi soccorritori si sono alternati al microfono, la voce rotta dall’emozione mentre ricordavano padri, madri, figli e amici persi in quel giorno terribile.

Il presidente degli Stati Uniti, in un discorso commovente, ha sottolineato l’importanza di mantenere viva la memoria: “Non dimentichiamo mai. Non solo il dolore e la perdita, ma anche il coraggio e l’unità che abbiamo mostrato come nazione in quei giorni bui.”

In tutto il paese, le cerimonie di commemorazione si sono susseguite. A Washington D.C., presso il Pentagono, un’altra cerimonia ha onorato le 184 vite perse quando l’American Airlines Flight 77 si schiantò contro l’edificio. In Pennsylvania, nel campo dove precipitò il volo United 93, un momento di silenzio ha ricordato gli eroi che sacrificarono le loro vite per salvare quelle di molti altri.

Le città di tutto il paese hanno organizzato eventi per onorare la memoria delle vittime. A Boston, una maratona commemorativa ha visto la partecipazione di migliaia di corridori, ciascuno con il nome di una vittima sulla schiena. A Los Angeles, un concerto all’aperto ha riunito artisti di fama mondiale per una serata di musica e riflessione.

Sui social media, l’hashtag #NeverForget ha inondato le piattaforme, con milioni di americani che condividono ricordi, fotografie e pensieri. Le immagini iconiche delle torri avvolte dal fumo, dei primi soccorritori coperti di polvere e della bandiera americana issata tra le macerie continuano a evocare emozioni profonde.

Ma quest’anno, più che mai, c’è stato anche un focus sul futuro. Molti eventi hanno messo in luce le storie di resilienza e speranza emerse dalle ceneri della tragedia. Il Museo del 11 settembre ha inaugurato una nuova mostra dedicata ai “bambini dell’11 settembre”, ora giovani adulti, che hanno perso i genitori negli attacchi e hanno trovato modi straordinari per onorare la loro memoria.

“L’11 settembre non è solo un giorno di lutto,” ha detto Maria Rodriguez, che aveva solo 5 anni quando perse suo padre nella Torre Nord. “È un giorno che ci ricorda di vivere pienamente, di amare profondamente e di lavorare instancabilmente per un mondo migliore.”

Mentre il sole tramonta su questo 23° anniversario, l’America resta unita nel ricordo. La ferita dell’11 settembre potrà non chiudersi mai completamente, ma ha forgiato una nazione più forte, più compassionevole e più determinata che mai a preservare i valori di libertà e giustizia per cui tanti hanno dato la vita.

Nel cuore di New York, le luci dei “Tribute in Light”, due fasci luminosi che si elevano verso il cielo notturno, brillano come fari di speranza e memoria, un promemoria silenzioso ma potente che, nonostante tutto, l’America rimane in piedi, unita e resiliente.

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Usa, Harris vs Trump: Il dibattito che potrebbe decidere le sorti della Casa Bianca

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A soli due giorni dalla sfida televisiva, i candidati intensificano la preparazione mentre i sondaggi li vedono testa a testa

La corsa alla Casa Bianca entra nel vivo con l’imminente dibattito televisivo tra Kamala Harris e Donald Trump, un evento che potrebbe rivelarsi decisivo per le elezioni del 5 novembre. Con gli ultimi sondaggi che mostrano i due candidati praticamente alla pari, la tensione sale e gli strateghi politici si dividono equamente nelle loro previsioni.

A poco più di 48 ore dall’atteso confronto su ABC News, sia la democratica Harris che il repubblicano Trump hanno intensificato la loro preparazione. La vice presidente, chiusa nel suo hotel a Pittsburgh, Pennsylvania, si è circondata di consiglieri fidati e preparatori d’elite, tra cui Philippe Reines, ex consigliere di Hillary Clinton, che interpreta il ruolo di Trump nelle simulazioni.

Per Harris, la posta in gioco è particolarmente alta. Un recente sondaggio del New York Times/Siena College ha rivelato che il 28% degli elettori indecisi ritiene di “non conoscerla abbastanza” sottolineando l’importanza di questa opportunità per presentarsi al pubblico. La sua campagna ha espresso preoccupazioni riguardo al formato del dibattito, temendo che i microfoni spenti possano svantaggiarla.

Trump, d’altra parte, sta affrontando la preparazione con un approccio apparentemente più rilassato, ma secondo fonti vicine, con un’intensità senza precedenti. Il tycoon continua a girare gli Stati in bilico, attaccando Harris definendola “peggio di Biden” durante un comizio in Wisconsin.

I sondaggi nazionali mostrano una situazione di sostanziale parità con Trump al 48% e Harris al 47% secondo il NYT/Siena. Questa situazione di equilibrio si riflette anche negli Stati chiave come Wisconsin, Pennsylvania e Michigan.

Per Harris, il dibattito rappresenta un’opportunità cruciale per conquistare gli elettori ispanici di sesso maschile, un gruppo demografico essenziale per la vittoria. Inoltre, dovrà dimostrare di essere una vera alternativa a Biden, considerando che oltre il 60% degli elettori desidera un cambiamento, ma solo il 25% vede Harris come tale, contro il 53% per Trump.

Mentre il paese si prepara a questo momento cruciale, entrambi i candidati sono consapevoli che la loro performance potrebbe influenzare significativamente le loro possibilità di vittoria. Con la nazione divisa e gli elettori indecisi che potrebbero fare la differenza, questo dibattito si preannuncia come uno degli eventi politici più importanti dell’anno, potenzialmente in grado di determinare il futuro leader degli Stati Uniti.

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Francia, nuovo Governo: Macron bloccato tra i partiti

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La Francia è intrappolata in un’impasse senza precedenti, con il presidente Emmanuel Macron bloccato in un labirinto politico che sembra non avere via d’uscita. La scelta del nuovo premier, incaricato di formare un governo che possa gestire efficacemente il Paese, si sta rivelando una sfida insormontabile. Le consultazioni con i partiti politici, iniziate la scorsa settimana, non hanno portato ad alcun risultato concreto, lasciando il Paese in uno stallo politico che giorno dopo giorno diventa sempre più difficile da risolvere.

Dopo aver incontrato il Nuovo Fronte Popolare, Macron ha ricevuto i rappresentanti della destra, nella speranza di trovare un consenso per il nuovo esecutivo. Tuttavia, il clima politico è rimasto teso e privo di progressi significativi. La presidente dell’Assemblea Nazionale, Yael Braun-Pivet, è stata la prima ad arrivare all’Eliseo, ma ha lasciato l’incontro senza rilasciare dichiarazioni, segno del profondo disaccordo che persiste.

Diverso l’approccio dei leader del Rassemblement National, Marine Le Pen e Jordan Bardella, che non hanno esitato a manifestare la loro opposizione a un eventuale governo del Nuovo Fronte Popolare, anche in assenza di ministri dell’ala sinistra di Jean-Luc Mélenchon. Le Pen ha chiaramente espresso l’intenzione di chiedere una sessione straordinaria del Parlamento a settembre per valutare la possibilità di censurare il governo non appena verrà formato. “Non cambia assolutamente nulla”, ha dichiarato, evidenziando come la sfiducia nei confronti di qualsiasi esecutivo proposto sia totale.

A peggiorare ulteriormente la situazione, si è aggiunto il leader dell’ex Republicain, Eric Ciotti, che ha dichiarato la sua ferma opposizione a un primo ministro scelto dal Nuovo Fronte Popolare, preannunciando un voto di censura immediato da parte del suo gruppo. La possibilità di una seconda ondata di consultazioni non è più solo un’ipotesi remota, ma un’opzione sempre più concreta, mentre il tempo stringe.

L’attuale stallo non è solo una questione politica, ma rappresenta anche una crisi istituzionale. Gabriel Attal, il premier dimissionario, è ormai da 41 giorni alla guida del governo per gli affari correnti, una situazione senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale. Questo prolungato periodo di incertezza sta sollevando preoccupazioni non solo tra i politici, ma anche tra i cittadini francesi, sempre più disillusi e preoccupati per la mancanza di una leadership stabile.

Nel frattempo, la tensione tra i partiti continua a crescere. Il Nuovo Fronte Popolare, ansioso di imporre la candidatura di Lucie Castets, non sembra disposto a scendere a compromessi. Il socialista Olivier Faure ha già messo in guardia contro una “messa in scena” orchestrata da Macron, mentre l’Insoumis Manuel Bompard ha parlato di “manovre” presidenziali per impedire alla sinistra di governare. Bompard ha avvertito che qualsiasi nomina diversa da quella di Castets potrebbe portare a un’escalation di tensioni, con proteste di piazza e, in ultima istanza, alla destituzione dello stesso Macron.

In questo contesto di crescente frustrazione e incertezza, il presidente Macron ha ancora pochi giorni per trovare una soluzione, prima di partire per la Serbia per una visita ufficiale. Con la cerimonia di apertura dei Giochi Paralimpici all’orizzonte, sembra sempre più probabile che la nomina del nuovo premier debba ancora attendere, prolungando ulteriormente l’impasse politica che sta paralizzando la Francia.

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