Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
Oltre 4 milioni di persone in Italia vivono l’impatto della malattia. Ansia, depressione e isolamento colpiscono i caregiver. Gli esperti: “Prevenzione, diagnosi precoce e comunità inclusive sono le vere armi per il futuro”
Non è solo una malattia della memoria, ma una vera e propria emergenza sociale. L’Alzheimer, che in Italia riguarda circa 1,1 milioni di pazienti, coinvolge direttamente oltre 3 milioni di caregiver familiari. Madri, padri, figli e coniugi che ogni giorno si trovano a sostenere un peso enorme, troppo spesso da soli, con conseguenze pesanti sulla salute psicologica, fisica ed economica. Si stima infatti che almeno il 40% di chi assiste un familiare con demenza sviluppi ansia o depressione: significa oltre 1,2 milioni di persone a rischio di ammalarsi proprio a causa del carico assistenziale.
La malattia, settima causa di morte nel mondo, in Italia assorbe circa 15 miliardi di euro l’anno. Una cifra che non grava tanto sul sistema sanitario nazionale, quanto sulle famiglie, costrette a ricorrere a risorse personali e assistenza privata. A tutto ciò si aggiunge lo stigma sociale: molti nuclei vivono la diagnosi come una vergogna da nascondere, restando isolati e privi di sostegno.
Sul fronte della ricerca, i progressi ci sono ma restano limitati. Le nuove terapie con anticorpi monoclonali anti-amiloide hanno mostrato di poter rallentare il declino cognitivo, ma solo in parte. La vera partita, avvertono i geriatri, si gioca sul piano della prevenzione e della presa in carico diffusa.
Gli esperti indicano tre priorità: rafforzare la diagnosi precoce con centri cognitivi distribuiti sul territorio, promuovere la prevenzione attraverso stili di vita sani – attività fisica, alimentazione equilibrata e stimolazione mentale – e costruire comunità “dementia-friendly”, capaci di includere invece che isolare. Altrettanto fondamentale è il sostegno ai caregiver, attraverso servizi domiciliari strutturati e un supporto psicologico continuo.
L’Alzheimer, insomma, non può più essere considerato un destino privato che riguarda solo le famiglie coinvolte: è una questione collettiva, che interpella la sanità pubblica, la politica e la società civile. La sfida è trasformare il dolore in una spinta al cambiamento, mettendo la prevenzione e la solidarietà al centro di una battaglia che riguarda tutti.