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ANGUILLARA SABAZIA (RM) – E’ valida a tutti gli effetti la variante al Prgc del 2006 di Anguillara Sabazia. Non c’e’ stato verso per la giunta Anselmo di far approvare l’ennesima variante che, secondo loro, avrebbe scongiurato un ritorno indietro nel tempo.
Dal Comune di Anguillara Sabazia, a giugno del 2017 era stato deliberato di adottare un nuovo progetto di Variante Urbanistica predisposto dall’Ufficio Tecnico Comunale. Una sorta di variante della variante quella approvata dal governo locale, che per le opposizioni consiliari presupponeva illegittimità in quanto priva di VAS (Valutazione Ambientale Strategica) che andava obbligatoriamente richiesta prima dell’approvazione. Una delibera approvata “in tutta fretta” senza una consultazione popolare o delle associazioni di categoria.
Un vero flop stellare la notizia appena pubblicata dal Consiglio di Stato che vede ancora una volta una condanna – l’ennesima – per il Comune di Anguillara Sabazia dell’era Anselmo
E così l’amministrazione comunale dopo aver speso soldi per avvocati che hanno rappresentato l’Ente prima al Tar e poi al Consiglio di Stato assiste oggi ad una sentenza che rappresenta l’ultimo grado di giudizio amministrativo che condanna il Comune a rifondere alla Regione Lazio le spese sostenute dall’Ente sovracomunale – la Regione – per il doppio grado di giudizio. Il CdS ha inoltre condannato il Comune di Anguillara Sabazia a rifondere ai signori Guido De Battistis e Paola De Battistis, Rosa Lancellotti, Filippo Francocci, Pierfrancesco Catarci, Marco Catarci, Angela Parrucci, Francesca Catarci e Paola Catarci in solido fra loro, le spese sostenute per il grado di giudizio.
Manciuria (A.S.): “Incapacità seriale degli atti assunti dall’amministrazione giallo sbiadito diretta da un sindaco delegittimato”
“Le sentenze si rispettano – commenta Sergio Manciuria presidente di AnguillaraSvolta – e confermano la regolarità amministrativa della Delibera 48 del 2006. Un altra dimostrazione – prosegue Manciuria – dell’incapacità seriale degli atti assunti dall’amministrazione giallo sbiadito diretta da un sindaco delegittimato anche dalla recente vicenda della scuola Container di via Duca degli Abruzzi”. Dopotutto per i pentastellati sbiaditi che non sono stati all’altezza di assemblare la scuola tipo lego o Ikea, era impensabile ottenete un risultato positivo al Consiglio di Stato che “senza se e senza ma” ha ribaltato una sentenza pilatesca e al limite della farsa”. La variante al Prgc è ora definitiva e grazie alla quale si può procedere al recupero di Vigna di Valle creandone un’area turistica e sportiva di rilevanza internazionale, è figlia di un epoca diversa che necessariamente la prossima Amministrazione dovrà renderla armoniosa sia sotto il profilo del consumo del territorio che ambientale con piani attuativi ecosostenibili. Ora – conclude il Presidente di Anguillara Svolta – questa maggioranza strampalata si autotassi e paghi con i propri stipendi tutte le risorse dei contribuenti investiti in atti amministrativi e ricorsi farlocchi”
Fatto e Diritto
La complessa vicenda oggetto di causa può essere sintetizzata come segue
Nel 2006, con delibera consiliare n. 48 del 23
dicembre, il Comune di Anguillara Sabazia ha adottato la variante generale
all’allora vigente PRG, risalente al 1978.
Con la successiva delibera consiliare n. 13 del 7
maggio 2013, è stata, quindi, adottata la variante normativa.
Gli atti sono stati trasmessi alla Regione per il
seguito di competenza.
Con il voto n. 238/1, deliberato alla seduta del 28
aprile 2016, il comitato regionale per il territorio, istituito con l.r. n. 38
del 1999, ha espresso parere favorevole all’approvazione della variante, sia
pure con “modifiche e raccomandazioni” da introdurre d’ufficio,
invitando il Comune a formulare, in merito, le proprie eventuali
contro-deduzioni ai sensi dell’art. 3 l. n. 765 del 1967.
Il Comune ha dapprima chiesto una proroga del termine
fissato dal comitato, quindi, con delibera consiliare n. 6 del 2 febbraio 2017,
ha svolto le proprie contro-deduzioni.
Il comitato, tuttavia, con il voto n. 248/2 deliberato
alla seduta del 9 marzo 2017, ha espresso in proposito un parere non
favorevole, confermando i rilievi già formulati nel pregresso parere n. 238/1:
il comitato, in particolare, ha ritenuto che le contro-deduzioni comunali
fossero in parte inconferenti, in parte incomplete e sostanzialmente
irricevibili in quanto prive della necessaria documentazione di supporto.
In seguito, con delibera consiliare n. 28 del 10
giugno 2017, il Comune ha dichiarato di adottare il nuovo progetto della
variante urbanistica, mentre la Regione, con delibera giuntale n. 313 del 13
giugno 2017, ha approvato “la Variante Generale al Piano Regolatore Generale
vigente adottata con Deliberazione di Consiglio Comunale n. 48 del 23.12.2006 e
la successiva Variante alle Norme Tecniche di Attuazione adottata con
Deliberazione di Consiglio Comunale n. 13 del 07.05.2013 secondo i motivi, con
le modifiche e le raccomandazioni contenuti nei pareri del Comitato Regionale
per il Territorio resi con voto n. 238/1 del 28.04.2016 e n. 248/2 del
09.03.2017”.
2. A questo punto sono stati radicati contrapposti ricorsi giurisdizionali
Il Comune ha impugnato la citata delibera regionale n.
313 nonché il presupposto parere del comitato regionale del territorio n. 248/2
del 9 marzo 2017, mentre quattro distinti gruppi di soggetti (persone fisiche e
giuridiche) proprietari di cespiti nel territorio del Comune di Anguillara
Sabazia hanno impugnato la delibera comunale n. 28 del 2017, che in vario modo
incideva negativamente sulle loro facoltà giuridiche di proprietari rispetto
alle previsioni recate dalla variante approvata dalla Regione.
3. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.a.r.,
previa riunione, ha accolto tutti i ricorsi, annullando sia la delibera
regionale n. 313 del 13 giugno 2017 insieme con il pregresso parere del
comitato regionale del territorio n. 248/2 del 9 marzo 2017, sia la delibera
comunale n. 28 del 10 giugno 2017.
In particolare, quanto al ricorso svolto dal Comune,
il T.a.r. ha affermato che le delibere del consiglio comunale n. 6 del 2
febbraio 2017 e n. 28 del 10 giugno 2017, pur non recando un’espressa e formale
revoca delle pregresse delibere n. 48 del 2006 e n. 7 del 2013 e pur difettando
dei requisiti necessari per adottare legittimamente una nuova variante,
avessero cionondimeno reso palese la non perdurante attualità della volontà
pianificatoria manifestata con tali originarie delibere: la Regione, pertanto,
non avrebbe potuto approvare una variante i cui contenuti il Comune aveva
implicitamente ma inequivocabilmente dimostrato di non condividere più.
Quanto ai quattro ricorsi svolti da distinti gruppi di
soggetti privati, il T.a.r. ha ritenuto che la delibera comunale n. 28 fosse
priva dei requisiti richiesti dalla legge per il legittimo esercizio del potere
di adozione di atti di pianificazione urbanistica e, pertanto, ne ha disposto
l’annullamento.
4. La Regione ha interposto appello, sostenendo che il
diritto amministrativo, specialmente nella materia urbanistica, sia retto da
regole formali e che, conseguentemente, la revoca della precedente adozione
della variante al PRG possa conseguire esclusivamente ad una formale ed
espressa manifestazione di volontà consiliare in tal senso, ovvero alla nuova
adozione di una ulteriore variante per mezzo di una delibera del Consiglio
dotata di tutti i requisiti di legge e, in particolare, corredata di tutta la
documentazione normativamente necessaria.
Si è costituito in resistenza il Comune, che ha,
altresì, svolto ricorso incidentale avverso la statuizione con cui il T.a.r. ha
annullato in toto la delibera n. 28 del 10 giugno 2017: ad avviso del
Comune, infatti, le stesse argomentazioni svolte dal Tribunale a sostegno della
pronuncia di accoglimento del ricorso formulato dall’Ente locale avverso la
delibera regionale n. 313 avrebbero dovuto condurre a circoscrivere lo
speculare annullamento della delibera comunale n. 28 alla sola parte in cui
questa reca l’adozione della nuova variante al PRG, lasciando viceversa salva l’ulteriore
“portata dispositiva” implicita di revoca delle precedenti delibere
consiliari del 2006 e 2013.
Si sono, inoltre, costituiti a ministero di distinti
difensori i signori Guido e Paola De Battistis ed i signori Rosa Lancellotti,
Filippo Francocci, Pierfrancesco Catarci, Marco Catarci, Angela Parrucci,
Francesca Catarci e Paola Catarci; i signori De Battistis hanno svolto appello
incidentale, contestando la sentenza del T.a.r sia per l’accoglimento del
ricorso del Comune, sia per la scelta di annullare la delibera del consiglio
comunale n. 28, anziché dichiararla radicalmente nulla per difetto degli
elementi essenziali.
Il giudizio è stato trattato alla pubblica udienza del
3 ottobre 2019 e, all’esito della discussione, è stato trattenuto in decisione.
5. Ritiene la Sezione che il ricorso svolto dalla
Regione ed il parallelo motivo di appello incidentale formulato dai signori De
Battistis sono fondati e vanno accolti nel merito.
Possono, quindi, non essere esaminate le eccezioni di
rito svolte sia dagli stessi signori de Battistis (sulla violazione del
principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato), sia dai signori Rosa
Lancellotti, Filippo Francocci, Pierfrancesco Catarci, Marco Catarci, Angela
Parrucci, Francesca Catarci e Paola Catarci (sulla violazione del principio di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato e sulla improcedibilità – questione
peraltro, quest’ultima, espressamente affrontata dal T.a.r. e, dunque, da
sollevare con appello incidentale).
5.1. Va premesso che, in linea di principio, il
consiglio comunale con una successiva delibera può implicitamente revocare una
sua precedente delibera, quando il contenuto dispositivo e motivazionale del
secondo provvedimento contrasti con il contenuto dell’atto precedente.
In passato, alcune disposizioni dei testi unici sugli
enti locali affermavano il principio opposto.
L’art. 303 del testo unico sugli enti locali approvato
col regio decreto del 4 febbraio 1915, n. 148 (riproduttivo dell’art. 291 del
testo unico approvato col regio del 21 febbraio 1908, n. 269) disponeva infatti
che “le deliberazioni dei consigli, importanti modificazioni o revoca di
deliberazioni esecutorie, si hanno come non avvenute, ove esse non facciano
espressa e chiara menzione della revoca e della modificazione”.
Tale disposizione (a sua volta trasfusa con modifiche
lessicali nell’art. 282 del testo unico approvato con il regio decreto 3 marzo
1934, n. 383) è stata più volte interpretata da questo Consiglio nel senso che
la revoca poteva essere disposta anche in assenza di ‘formule sacramentali’ e
senza menzionare la parola ‘revoca’ nella delibera successiva, purché
risultasse del tutto chiara la determinazione del Comune ‘di sostituire l’una
all’altra deliberazione’ (Sez. IV, 27 maggio 1977, n. 533, riguardante la modifica
di uno strumento urbanistico; Sez. V, 28 settembre 1973, n. 656).
Entrambe tali disposizioni, poi, sono state abrogate
dall’art. 64 della legge n. 142 del 1990, con la conseguente affermazione della
regola generale per la quale una delibera comunale può essere revocata
implicitamente da una successiva delibera avente un contenuto incompatibile.
5.2. Pur se la revoca può essere disposta con un
successivo provvedimento incompatibile, in materia urbanistica continuano,
comunque, ad avere un rilievo centrale le esigenze di certezza e di chiarezza,
già sottolineate da questo Consiglio.
Invero, la materia urbanistica, strutturalmente
connotata dalla contestuale compresenza di plurimi interessi, pubblici e
privati, spesso in conflitto tra loro, si caratterizza, tra l’altro, per due
tratti fondamentali: l’ampia discrezionalità riconosciuta all’Autorità titolare
del potere di pianificazione (specie con riferimento alle scelte di massima) ed
il vincolo procedimentale e, più in generale, formale che avvince l’operato
dell’Amministrazione, per evidenti ragioni di certezza.
In particolare, lo strumento più importante della
pianificazione urbanistica a livello comunale, ossia il PRG (o il diverso atto
previsto dalla legislazione regionale), è l’esito di una serie rigidamente
procedimentalizzata di atti, in cui intervengono, a vario titolo ed in momenti
diversi, i singoli cittadini, gli uffici comunali, le Amministrazioni
competenti a dare i pareri e gli assensi eventualmente necessari nonché, in
sede di approvazione finale, la Regione.
E’ certamente vero, come sostiene il T.a.r, che il
Comune riveste “centralità sostanziale” nel procedimento che conduce
alla formulazione del PRG e delle relative varianti, posto che al Comune sono
riservate l’iniziativa e la formulazione delle scelte di merito.
E’, inoltre, altrettanto vero che il potere
pianificatorio può essere esercitato anche incidendo negativamente
sull’affidamento dei privati al mantenimento delle pregresse previsioni
urbanistiche.
Ciononostante, tale “centralità sostanziale” e
tale prevalenza sui contrapposti affidamenti dei privati si svolgono e si
esprimono esclusivamente nell’ambito delle forme previste dalla legge: la
tipicità del potere, del resto, si manifesta anche e soprattutto con la
tipicità delle forme di esteriorizzazione del potere e, a monte, dei
propedeutici procedimenti.
La rigida procedimentalizzazione vigente in
subiecta materia – la cui rilevanza e la cui specialità sono evidenziate
dall’esclusione dell’applicazione degli istituti apprestati dalla legge
generale sul procedimento amministrativo – e le esigenze di certezza e
stabilità che la pervadono impongono di ascrivere rilievo giuridico alle sole
manifestazioni del potere svolte secondo le forme, i tempi ed i modi previsti
dalla legge.
Ne consegue, per quanto qui di interesse, che
dall’atto con cui il Comune dichiari di adottare il nuovo progetto di variante
urbanistica senza, tuttavia, né rispettare le previsioni della legge da un
punto di vista sia procedimentale sia contenutistico (questione, questa,
passata in giudicato, stante l’assenza di impugnazione comunale sul punto), né
in alcun modo manifestare espressamente l’intenzione di revocare precedenti
decisioni, non può trarsi l’implicita volontà di privare di efficacia pregresse
deliberazioni formalmente assunte.
Invero, la revoca della deliberazione di adozione
della variante generale consegue esclusivamente:
– o alla legittima adozione di una nuova variante generale,
giacché la disciplina della stessa materia (la pianificazione del territorio
comunale) non può che trovare un’unica sedes materiae;
– o all’espressa e formale manifestazione della
volontà consiliare, esternata con una apposita deliberazione, emanata prima
dell’esercizio del potere della Regione ed a questa tempestivamente comunicata,
di voler privare di efficacia la precedente deliberazione di adozione della
variante generale.
Si osserva, in proposito, che mentre con la prima
evenienza il Comune sostanzialmente determina l’inizio di un nuovo procedimento
pianificatorio, nella seconda, al contrario, il Comune chiude il procedimento a
suo tempo iniziato con la deliberazione revocata.
Orbene, nel caso di specie non si è verificata né
l’una, né l’altra ipotesi: la deliberazione n. 28, infatti, da un lato non
presenta i requisiti per poter essere qualificata quale atto di adozione di una
variante urbanistica, dall’altro non manifesta espressamente l’intenzione di
privare d’efficacia le pregresse deliberazioni consiliari del 2006 e 2013.
In sostanza, la volontà pianificatoria del Comune, per
avere rilievo giuridico anche solo puramente “negativo-soprassessorio”
(così il T.a.r.), si sarebbe dovuta manifestare nelle forme di legge: la
materia urbanistica, invero, non ammette né può ammettere, per le
imprescindibili esigenze di certezza, formalità e stabilità che la connotano,
manifestazioni implicite del potere, né può comportare opinabili e complesse
attività di interpretazione sul se una delibera sia o meno ancora efficace.
In materia urbanistica, in definitiva, la volontà
amministrativa rileva solo e nei limiti in cui è esplicitamente dichiarata
nelle forme all’uopo previste dalla legge.
Di converso, l’Amministrazione regionale non poteva
che procedere come è avvenuto: il dovere di concludere il procedimento e
l’inconferenza e, comunque, l’incompletezza delle contro-deduzioni comunali,
invero, evidenziano la legittimità dei contestati atti regionali.
6. Le argomentazioni che precedono comportano che va
respinto l’appello incidentale del Comune: la delibera n. 28, infatti, non
aveva né poteva avere alcuna “portata dispositiva” implicita di revoca
delle precedenti delibere consiliari del 2006 e 2013.
7. Quanto, infine, al motivo di appello incidentale
con cui i signori De Battistis hanno contestato la sentenza del T.a.r per la
scelta di annullare la delibera del consiglio comunale n. 28 anziché
dichiararla radicalmente nulla per difetto degli elementi essenziali, il
Collegio rileva – in disparte ogni considerazione in rito – che l’istituto
della nullità dell’atto amministrativo è riferito alle situazioni abnormi
previste dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, in cui
difetta ab imis il contenuto minimo che deve necessariamente connotare
la spendita del potere: nel caso di specie, invece, si è in presenza di una
deliberazione che, seppur in maniera per più profili (gravemente) irrispettosa
delle previsioni legislative, si iscrive comunque nell’alveo dei provvedimenti
di esercizio della potestà urbanistica.
8. Per le ragioni che precedono, vanno accolti
l’appello della Regione Lazio e, in parte, l’appello incidentale dei signori
Guido De Battistis e Paola De Battistis, mentre va respinto l’appello
incidentale del Comune di Anguillara Sabazia: per l’effetto, in parziale
riforma dell’impugnata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado del
Comune.
Il regolamento delle spese di lite, liquidate come in
dispositivo, segue la soccombenza.
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