Arce, omicidio di Serena Mollicone. Udienza preliminare per il Maresciallo dei carabinieri Franco Mottola: un caso in salita per il criminologo Carmelo Lavorino
Dopo diciotto anni, pareva che si avvicinasse la conclusione
del caso di omicidio che ha riguardato la morte di Serena Mollicone, ad Arce,
in provincia di Frosinone, uccisa presumibilmente il 1 giugno del 2001, giorno
in cui non fece ritorno a casa.
Ne fu trovato il cadavere due giorni dopo, il 3 di giugno, nel
bosco della Anitrella, in località Fontecupa, in un luogo già setacciato nelle
ricerche dai carabinieri. Il corpo era adagiato in posizione supina coperto da
alcuni arbusti e fogliame, la testa avvolta in un sacchetto di plastica, mani e
piedi legati con scotch e fil di ferro. Naso e bocca erano stati avvolti con
diversi giri di nastro adesivo, causando presumibilmente alla ragazza una lenta
morte per asfissia.
Del delitto fu accusato in un primo tempo Carmine Belli, un carrozziere
di Arce, condannato in prima istanza, poi assolto in appello e Cassazione
grazie al pool difensivo che vedeva come consulente il professor Carmelo
Lavorino.
Lo stesso criminologo è presente ora nel pool difensivo del
maresciallo Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di
Arce, di sua moglie Annamaria, e di suo figlio Marco, accusati dell’omicidio
che, secondo l’accusa, sarebbe avvenuto proprio nei locali della caserma dei
carabinieri. In particolare, il figlio Marco avrebbe avuto a che fare con un
giro di droga in paese, ragione per la quale Serena Mollicone quella mattina si
sarebbe recata in caserma per denunziare il figlio al padre: da qui il movente
per l’omicidio.
La prima udienza preliminare per il rinvio a giudizio dei
Mottola si è tenuta ieri mattina, presso il Tribunale di Cassino. Dopo diciotto
anni, e dopo il lavoro ai fianchi effettuato nei confronti dell’opinione
pubblica dal padre di Serena e dai vari programmi di intrattenimento televisivi
che lo hanno visto ospite, Guglielmo Mollicone riteneva che le sue accuse, da
lui ritenute fondate in base alla conoscenza che lui stesso si era formata del
caso e degli eventi, trovassero finalmente la loro logica conclusione nella
condanna della famiglia Mottola. Ma così pare che non sia.
Lo stesso professor Lavorino che ha fatto assolvere Belli,
si occupa ora, con il suo team criminologico-investigativo, della consulenza
per la difesa dei Mottola.
Lavorino afferma che non assume mai la consulenza per la
difesa di persone che lui stesso, a ragion veduta, ritenga colpevoli. Si
prospetta per lui, dato tutto ciò che è stato detto e scritto, un lavoro in
salita.
Abbiamo voluto intervistarlo, e queste sono le sue parole
Carmelo Lavorino criminologo
Professor Lavorino, dopo l’udienza preliminare di oggi,
ritiene che il camino sia ancora lungo?
Ci vorranno ancora tre udienze, programmate per il mese di febbraio, in cui il giudice dovrà valutare alcuni aspetti. dopodichè verso aprile deciderà per l’eventuale rinvio a giudizio di una o più persone. Abbiamo presentato la nostra consulenza, del dottor Antonio Dalla Valle medico legale, dello psicologo dottor Enrico Delli Compagni, oltre che del sottoscritto, una relazione complessa, in cui affrontiamo tutti i temi, e praticamente confutiamo dal punto di vista tecnico-scientifico e criminalistico l’impianto accusatorio, e concludiamo con ventiquattro punti.
Professor Lavorino, ci dica un po’ chi è lei. Noi la
conosciamo da tempo, e conosciamo bene la sua professionalità e il suo ‘tirar
diritto’, ma visto che in televisione vanno sempre certi personaggi, vorremmo
far sapere a chi non la conosce chi è il criminologo Lavorino, quali sono state
le sue esperienze, quali casi ha trattato, e così via. Sappiamo anche che lei
cura la pubblicazione on line di un periodico che tratta di criminologia, e che
ha la gestione del CESCRIN, una scuola di formazione criminologica e
criminalistica.
Bè, mi sono formato essenzialmente sul campo, mi sono
occupato di circa duecentocinquanta omicidi, ho iniziato con i delitti del
‘mostro di Firenze’, attribuiti al contadino di Mercatale val di Pesa Pietro
Pacciani, che facemmo assolvere in appello assieme all’avvocato Nino Marazzita
con un pool tecnico investigativo fondato da me, e sono specializzato
nell’organizzare, fondare e coordinare pool tecnici di difesa o investigativi
di analisi criminale. Mi sono interessato del caso di Via Poma, facendo
prosciogliere Federico Valle, e poi del caso di Arce, in cui facemmo assolvere
in primo grado, appello e Cassazione Carmine Belli, accusato di essere
l’assassino di Serena Mollicone. Ora invece per gli inquirenti l’assassino non
è più Carmine Belli, ma l’assassino sarebbe Marco Mottola con il concorso del
padre e della madre. Ancora, l’omicidio di Cogne, e diversi altri. Sono
professore a contratto all’Università dell’Aquila alla facoltà di Scienza
dell’investigazione, in analisi e scena del crimine.
Quindi anche se il grosso pubblico televisivo non la
conosce, è chiaro che lei può vantare un’esperienza che pochi altri possano
dire di avere accumulato.
Sono d’accordo con lei soltanto sulla seconda delle sue
affermazioni. Per ciò che riguarda la prima, una volta il pubblico televisivo
mi conosceva, poi è successo che pian piano sono stato messo un po’ in
punizione, perché non mi piego mai ai dettami degli autori e di chi vuol far
diventare il crimine un argomento da salotto, in cui si parla di tutto e del
contrario di tutto senza avere le basi, e poi anche perché molti opinionisti
del crimine non gradiscono la mia presenza perché secondo loro potrei rubare
loro visibilità. E poi questi soggetti sono abituati, in maniera molto
maleducata, e non deontologica, che, congiuntamente alla loro attività di
opinionisti in certi programmi, poi si procacciano clienti proprio abusando di
questa visibilità. Io questo lo vedo in effetti come concorrenza sleale, però
tanto è, tanto succede in Italia, non m’importa nulla, ciò che mi importa è la
scienza del crimine.
Quindi lei possiamo dire che è un personaggio un po’
scomodo per la televisione.
Senz’altro per un tipo di televisione in cui è evidente il
pressappochismo nell’analisi criminale, nei fatti di cronaca, e in cui si cerca
di usare la tecnica del fango, la tecnica di molestare le persone imputate
perché le vogliono trascinare per forza sullo schermo per fare spettacolo,
eccetera. Io sono per uno studio del crimine, della criminologia e della
criminalistica e dell’investigazione criminale, in una forma seria, tecnica,
scientifica a prova, e con molta coerenza, bisogna essere coerenti.
Quindi, secondo ciò che si sente soprattutto in
televisione, in questi programmi di intrattenimento, quella che lei ha preso in
mano oggi è una patata bollente, forse derivante dall’esperienza che lei ha
maturato nella difesa del carrozziere Carmine Belli?
Certo, una patata estremamente bollente perché ci troviamo
contro tutti. Questa famiglia [Mottola ndr] è sospettata e anche indagata da
circa otto anni per l’omicidio di Serena Mollicone, e siamo riusciti ad
ottenere gli atti del processo, quindi conoscere le investigazioni fatte e i
capi d’accusa, soltanto da sei, sette mesi, e sono ben cinquantadue faldoni.
Naturalmente è una patata bollente perché li abbiamo tutti contro, perché
finora, l’opinione pubblica, grazie agli opinionisti, grazie alle ‘vittime’,
fra virgolette, che si lamentano di ciò che è accaduto eccetera, l’opinione
pubblica è stata ammorbata con la notizia che questi tre sono colpevoli e non
presunti innocenti. L’opinione pubblica è convinta fermamente che nella caserma
dei carabinieri DI Arce è avvenuto l’omicidio ai danni di Serena Mollicone,
cosa che, secondo me, è falsa. L’opinione pubblica è convinta che l’arma del
delitto contro Serena Mollicone sia la porta del bagno che è stata sequestrata
sempre in questa caserma. Secondo me e i nostri consulenti è una notizia falsa
e sballata. Hanno propalato per anni queste notizie, l’opinione pubblica ha
abboccato, ha bevuto tutto, e purtroppo ora ci troviamo a cercare di pulire, di
eliminare il veleno della vipera che si è sparso. Però devo dire che da quando
abbiamo incominciato a fare delle conferenze stampa con dei giornalisti, – però a ragion veduta, perché lì abbiamo dovuto
studiare tutti quanti gli atti, non abbiamo sparato cavolate, come fa ogni
tanto qualche opinionista, senza sapere nulla, – dobbiamo dire che il vento sta cambiando,
perché giornalisti e opinione pubblica stanno incominciando a rendersi conto di
non trovarsi di fronte ad un caso risolto, e che molte fesserie, o altrimenti
molte versioni di parte sono state finora propalate a cavolo.
Questa volta lei e il pool difensivo avete di fronte due
nuovi avversari, l’Arma dei carabinieri che si costituisce parte civile, e la
figlia del brigadiere Santino Tuzi. Lei, però, afferma che assume la consulenza
di personaggi che secondo le sue valutazioni non sono assolutamente colpevoli.
La famiglia Tuzi con la famiglia Mottola non c’entra nulla, quindi conseguentemente con la morte di Serena Mollicone. Noi avremo come avversari l’Arma dei carabinieri, i familiari della Mollicone, e probabilmente ancora qualcun altro. Però è una cosa che non ci preoccupa assolutamente, perché ora che siamo arrivati al contraddittorio, e tutto quello che dovrà essere fatto sarà fatto in maniera estremamente seria, organizzata, meticolosa, per cui daremo il massimo di quello che possiamo dare. Una cosa che mi da’ fastidio come essere umano e criminologo professionista, è che, quando facemmo assolvere Carmine Belli, accusato dello stesso omicidio, contro di noi c’erano tutti quelli che abbiamo contro anche oggi. Tutti quanti puntarono contro Carmine Belli come l’assassino di Serena Mollicone, addirittura anche i familiari di Serena vedevano Carmine Belli come l’assassino. Fummo noi a salvare il Belli, e congiuntamente salvammo anche la giustizia e la verità. Ora ci troviamo a fare lo stesso schieramento contro diversi avversari tra cui ci sono alcuni che sono gli stessi di prima, che così come prima hanno sposato una tesi senza avere cognizione di causa, lo stanno facendo tuttora. Quindi una patata bollente molto forte, e una sfida molto forte che noi accettiamo, perché siamo certi che il nostro lavoro si produrrà al massimo delle sue potenzialità.
Il Parco ha revocato il nulla osta che precedentemente autorizzava la recinzione nell’area della preghiera che era stata richiesta dalla Onlus anche per motivi di invasione dei cinghiali.
Il 31 maggio è stata notificata alla Associazione Madonna di Trevignano E.T.S., la comunicazione di avvio del procedimento teso all’annullamento in autotutela del nulla osta rilasciato il 09 dicembre del 2019 per la realizzazione di “una recinzione in pali di castagno e rete metallica e la piantumazione di essenze arboree ed arbustive” su un terreno di proprietà della “Madonna di Trevignano E.T.S.” in località Campo Le Rose nel Comune di Trevignano Romano. Dopo la rimozione del gazebo proseguono quindi incessantemente le attività amministrative e giudiziarie che l’amministrazione dell’Ente Parco ha già da tempo messo in atto affinché, sul luogo delle presunte apparizioni, sia ripristinata completamente la legalità. Ora, l’Associazione dovrà rimuovere anche la recinzione, e i presupposti di questa scelta sono il frutto della necessaria attività istruttoria propedeutica, partita i primi mesi dell’anno ben prima dell’interesse mediatico, quando, l’Ente Parco non ha rilasciato analoghi pareri favorevoli per recintare i terreni limitrofi dell’Associazione ed è stato possibile accertare come, le motivazioni addotte come sostanziali ai fini del rilascio del nulla osta del 2019 fossero evidentemente, come specifica la norma, frutto di “falsa rappresentazioni dei fatti” (che costituisce infatti uno dei requisiti richiesti per l’annullamento in autotutela). Di fatto, tali condizioni, che all’atto del rilascio del N.O. nel dicembre 2019, non si rilevavano, hanno impedito una fase istruttoria del procedimento che potesse tener conto delle reali intenzioni dei soggetti proponenti. All’avvio del procedimento volto all’annullamento d’ufficio del Nulla Osta del 09/12/2019 prot. AP3342 affetto da vizio di legittimità, seguiranno gli atti consequenziali necessari alla rimozione della recinzione. Naturalmente si procederà in sinergia con l’Amministrazione Comunale di Trevignano Romano e rimane pertanto invariato l’obbligo, in capo all’Associazione, di provvedere ad eliminare tutti gli ulteriori abusi contestati, ai quali si aggiungerà anche la recinzione.
E sempre la Onlus presieduta da Gianni Cardia ha fatto ricorso al TAR rispetto all’ordinanza del Comune che intima la demolizione delle opere abusive tra cui la teca con la Madonna. Quindi a breve il giudice amministrativo regionale sarà chiamato a decidere se la teca e gli arredi piantati a terra su terreno agricolo è vincolato potranno restare o dovranno essere rimossi. Nel frattempo per il raduno del Rosario di domani, la sindaca di Trevignano Claudia Maciucchi ha nuovamente allertato la Prefettura per chiedere il consueto ausilio di forze dell’ordine per garantire maggiore sicurezza oltre al regolare controllo dei carabinieri e polizia locale che viene puntualmente effettuato
Alessandro Impagnatiello ha confessato e ha dato indicazioni ai Carabinieri su dove aveva nascosto il corpo senza vita di Giulia Tramontano, in un lembo di terra dietro ai box di una palazzina in via Monte Rosa a Senago, nel Milanese, non lontano dall’abitazione della coppia.
Impagniatiello è in carcere a San Vittore, accusato di omicidio aggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza senza consenso.
Dall’interrogatorio sono emersi particolari agghiaccianti. La ragazza è stata infatti uccisa con 2-3 coltellate, dopo una lite in casa, e Impagniatiello ha poi tentato di bruciarne il corpo per due volte, senza però riuscirci.
Una prima volta, stando a quanto emerge dalle indagini e dalla sua confessione, ha tentato di dare fuoco al corpo nella vasca da bagno di casa con dell’alcol e poi successivamente in un’altra zona all’esterno della casa di Senago, un box di famiglia pare, ha provato a bruciarlo con della benzina. La Procura ha contestato nel provvedimento di fermo anche l’aggravante della premeditazione. Dalle indagini è inoltre emerso che l’uomo, poco dopo l’omicidio avrebbe tentato di incontrare l’altra donna con cui aveva una relazione, assicurandole che Giulia se ne era “andata” e che lui era un “uomo libero”, screditando anche la 29enne dicendo che quel figlio che aspetta non era suo, cosa non vera. La donna, però, per paura ha deciso di non incontrarlo. Si sarebbe presentato nella sua abitazione a Senago a Milano, verso le due di domenica scorsa, insistendo per poter entrare, ma lei non l’avrebbe fatto salire. In quel momento il corpo della 29enne sarebbe stato ancora nella sua casa, anche se, come è stato riferito dagli inquirenti, lui aveva già provato a bruciarlo con alcol nella vasca da bagno. Il corpo della donna, dunque, sarebbe rimasto in casa per alcune ore (l’omicidio è avvenuto tra le 19 e le 20.30). Non solo: secondo la Pm Alessia Menegazzo l’uomo “ha cercato online come uccidere e come disfarsi del corpo della sua compagna. Si tratta dunque di un omicidio premeditato. Quando ha incontrato in casa Tramontano aveva già deciso come ucciderla”. Dalle indagini è inoltre risultato che l’assassino “ha inviato messaggi all’amica della compagna dal telefono della Tramontano quando l’aveva già uccisa”
Roma – Sarebbe un caso di omicidio-suicidio dovuto a motivi passionali, a quanto apprende l’Adnkronos, il delitto della poliziotta uccisa oggi a Roma, nell’androne di casa, in un palazzo di via Rosario Nicolò nella zona di Torraccia, non lontano dal più noto quartiere di San Basilio
La vittima, Pier Paola Romano, era sposata con un collega, un poliziotto in servizio al commissariato Sant’Ippolito con il quale aveva un figlio di 22 anni. Collega della vittima, in servizio insieme a lei all’ispettorato della Camera, anche Massimiliano C., l’agente che l’avrebbe freddata nell’androne del palazzo con tre colpi sparati con la pistola di ordinanza. Dopo l’omicidio, l’uomo si sarebbe poi allontanato in auto. Poco dopo avrebbe fermato la vettura e si sarebbe sparato.
Secondo una prima ricostruzione, la vittima sarebbe stata uccisa mentre usciva dall’androne del palazzo. Il collega che l’avrebbe colpita con la stessa pistola con la quale si sarebbe poi suicidato a poca distanza, l’ha aspettata e ha fatto fuoco a distanza ravvicinata con tre colpi al volto e al busto. Morta sul colpo, la donna è crollata all’indietro.
Ad allertare la sala operativa della questura, questa mattina intorno alle 11.30, è stata una telefonata nella quale una donna segnalava di aver udito alcune esplosioni e di aver visto, poco dopo, un uomo allontanarsi a bordo di un’autovettura bianca. Gli agenti intervenuti subito sul posto hanno constatato il decesso della donna e attivato le ricerche, individuando poco distante il presunto autore del gesto, collega della vittima, che si era suicidato con colpi d’arma da fuoco all’interno della sua autovettura.