Nubia lancia Alpha, l’innovativo smartphone da polso

Lo smartphone dice addio alle tasche e alle borse per diventare indossabile: al polso più precisamente. Tutto questo è possibile ovviamente grazie all’utilizzo di un innovativo schermo flessibile. A crearlo è l’azienda cinese Nubia, che al Mobile World Congress di Barcellona porta un dispositivo che vuole mettere insieme le caratteristiche migliori dello smartphone e dello smartwatch. Il “wearable” si chiama Nubia Alpha ed è presentato come “il primo telefono indossabile con schermo flessibile disponibile in commercio”.

L’arrivo nei negozi europei del device è previsto fra la primavera e l’estate

Già in molti sembrano interessati per l’acquisto. Il Nubia Alpha possiede uno schermo Oled da 4 pollici ed è disponibile in due versioni: una con connettività Bluetooth e Wi-Fi, e una anche con eSim, cioè con scheda telefonica virtuale, che consente al bracciale di rimpiazzare lo smartphone. Dall’aspetto tutt’altro che minimale, è piuttosto ingombrante ed evidente, soprattutto nella versione placcata in oro a 18 carati, questo strano quanto innovativo dispositivo consente di mandare messaggi, telefonare, scattare foto e navigare in rete anche senza toccare lo schermo, perché riconosce i gesti e i comandi vocali. Dallo smartwatch, invece, il prodotto prende in prestito il rilevatore dell’attività fisica e il monitoraggio di battito cardiaco, esercizio e qualità del sonno. Insomma, sembra proprio che in Cina stiano tentando di trovare una nuova strada per controbattere lo strapotere statunitense in questa fetta di mercato. Il Nubia Alpha riuscirà a stravolgere il concetto di smartphone? O avrà un’accoglienza tiepida da parte del pubblico fruitore? Non resta altro che aspettare l’estate per vedere l’impatto che avrà sulle persone.

Francesco Pellegrino Lise




Crackdown 3, l’Agenzia torna su Xbox One e Pc

Dopo un secondo
capitolo non particolarmente brillante e un’attesa lunga quasi 5 anni,
Crackdown 3 arriva sulle console della famiglia Xbox One e su Pc. Prima di
parlare di questo titolo però è bene mettere in chiaro una cosa: se si è alla
ricerca di un titolo con una trama solida, fatto di colpi di scena brillanti o
ricco di innovazione, Crackdown 3 non è il gioco che fa per voi. Nel caso in
cui invece si cerchi un videogame fatto per trascorrere il proprio tempo senza
pensare troppo, andando avanti a colpi di esplosioni, distruzione e personaggi
dotati di abilità sovraumane, allora questa è una produzione che non bisogna
assolutamente lasciarsi scappare. Vi diciamo questo in quanto questo terzo
capitolo della serie, un po’ come i suoi predecessori vuol essere volutamente
un titolo fatto per divertire, e lo fa mantenendo i toni iperbolici che da
sempre hanno caratterizzato il brand senza mezzi termini. Ma veniamo alla trama
di Crackdown 3: il gioco ha inizio esattamente 10 anni dopo i fatti accaduti nel
secondo capitolo. Qui un attacco terroristico non meglio identificato rende
inutilizzabile gran parte della tecnologia mondiale e i rifugiati cercano
riparo nella città di New Providence che non solo è rimasta “stranamente”
illesa, ma sembra offrire un ambiente idilliaco in cui ripartire da zero e
vivere serenamente la propria esistenza. Dietro a tutto questo ovviamente si
cela una multinazionale dalle pessime intenzioni, la TerraNova WorldWide, che
dietro la maschera del bene comune sta compiendo strani esperimenti e tiene in
pugno la città con la sua gang di criminali vestiti da guardie, scienziati
pazzi e guerrafondai esaltati. Ovviamente toccherà all’Agenzia risolvere le
cose nell’unico modo possibile: spaccando tutto. Decisi a liberare la città, i
vertici dell’Agenzia decidono d’inviare quindi sul campo i migliori agenti
disponibili che, tuttavia, subiscono un attacco da parte del Blackout, un
agente atmosferico che azzera tutte le abilità dei super soldati eliminandoli.
Tuttavia una giovane ragazza di nome Echo riesce a salvare il protagonista,
spingendolo a cercare di salvare New Providence da questa famigerata società
che sfrutta i cittadini per l’estrazione di un pericoloso materiale chimico: la
Chimera. La trama è raccontata con pochissime scene di intermezzo che sfruttano
il motore del gioco e alcune illustrazioni che ricordano un po’ i fumetti degli
anni ’90. Scelta molto coerente a nostro avviso in quanto la storia sembra
proprio esser venuta fuori direttamente da un action movie di vent’anni fa.
Parlando di giocabilità, Crackdown 3 ha inizio con la scelta dell’agente di cui
si deciderà vestire i panni. Ogni personaggio ha dei bonus peculiari, come ad
esempio più abilità nella guida, con gli esplosivi, con le armi da fuoco ecc…
Ma essi non influenzeranno mai in maniera troppo vistosa l’avventura, quindi la
scelta si ridurrà semplicemente puntando all’aspetto estetico che si
preferisce. La decisione in ogni caso non è vincolante perché come si vedrà
procedendo nella storia, in qualsiasi momento si potrà cambiare il proprio
personaggio, anche perché sparsi un po’ ovunque per la mappa si potranno
trovare i Dna degli agenti morti nell’introduzione per poterli sbloccare e
usare. Interessante la gestione dei salvataggi che non legano l’agente al mondo
di gioco, potendo dunque decidere di usare uno qualsiasi dei personaggi in una
qualsiasi delle partite già iniziate o direttamente in una nuova. Dopo la fase
introduttiva, il gioco getta il giocatore direttamente nella mischia dandogli subito
la possibilità di muoversi con un buon grado di libertà per le strade, o
meglio, i palazzi, di New Providence. A gestire la metropoli però non c’è solo
la perfida Elizabeth Niemand, ma un vero e proprio governo composto dai suoi
seguaci più fidati, che regolano i diversi aspetti della vita quotidiana,
tenendo in pungo tutti i principali servizi, dai trasporti alla sicurezza fino
alle comunicazioni. Il compito degli agenti sarà naturalmente quello di
ribaltare il governo centrale, sconfiggere Elizabeth e liberare gli innocenti
cittadini dalla morsa dello strapotere della Niemand.

Per sconfiggere la
perfida antagonista di Crackdown 3 sarà necessario far fuori uno a uno tutti i
seguaci, scovandoli ed eliminandoli. Ogni nemico è legato a una particolare
attività che rappresenta anche il suo campo di specializzazione. Ad esempio per
raggiungere l’IA che gestisce le linee di trasporto sarà necessario conquistare
le stazioni, o ancora per individuare l’addetto alla sicurezza interna
bisognerà liberare dai campi di prigionia i cittadini detenuti. Altre attività
ancora richiedono di disattivare dei centri di comunicazione per disabilitare
la continua propaganda o dei centri chimici per cessare la produzione di
materiale tossico usato persino sulla popolazione. Tutte queste missioni, molto
varie tra loro, saranno sparse per l’intera mappa di gioco e al completamento
di tutte quelle di un certo tipo, verrà indicata automaticamente la posizione
del luogotenente di riferimento. Gli scontri con i luogotenenti di Elizabeth
sono il culmine di un sistema generalmente funzionale, con scontri ben
caratterizzati, mai noiosi e che ai livelli di difficoltà più elevati offrono
anche sfide particolarmente impegnative. L’esplorazione della città avviene con
una naturale, quanto apprezzabile, libertà, questo perché basta girare la mappa
per evidenziare i diversi luoghi d’interesse senza la necessità di raggiungere
i classici punti di osservazione. Analogamente anche le attività secondarie
vengono sbloccate nello stesso modo, dalle sfide di guida o di corsa, ai
chioschetti da distruggere e alle basi dove poter gestire il proprio arsenale o
generare un veicolo per facilitare gli spostamenti. Lo stile di gioco di
Crackdown 3, quindi si può dire che è totalmente incentrato sulla giocabilità e
quasi per nulla sulla trama. Proprio per tale ragione all’inizio abbiamo voluto
precisare che tale gioco è indicato per chi ha voglia di una sana quanto
scanzonata distruzione. Se da un lato la giocabilità ne guadagna in termini di
ritmo e continuità, dall’altro viene a mancare quel naturale senso di
progressione e suddivisione delle attività, ponendole praticamente tutte sullo
stesso livello. Peccato soltanto per la durata complessiva, che richiederà una
decina di ore per portare a termine la quasi totalità delle attività
disponibili, senza troppi incentivi a continuare la partita dopo i titoli di
coda. Un discorso simile lo si può fare anche per il gameplay in quanto non
esiste un vero e proprio processo di crescita classico. La gestione delle
nostre abilità avviene tramite cinque parametri di riferimento, sempre visibili
nella parte sinistra dello schermo: agilità, armi da fuoco, forza, esplosioni e
guida. Per aumentare il primo bisognerà raccogliere le settecentocinquanta
sfere agilità sparse per la mappa di gioco (non tutte comunque necessarie), per
i successivi tre campi invece basta semplicemente giocare, uccidendo con i
diversi mezzi a propria disposizione e infine per far incrementare il livello
di guida basterà essere spericolati al volante o completare le gare.
Raccogliendo invece le sfere segrete si potranno ottenere invece dei punti per
tutti i campi. A ogni scatto di livello corrispondono delle nuove abilità e nel
giro di poche ore sarà possibile sbloccare la quasi totalità dei bonus
disponibili, decisione condivisibile per consentire quanto prima di sfruttare
tutti i benefici disponibili, anche in termini di semplice godibilità del
gameplay. Per quanto riguarda il “gunplay” invece, Crackdown 3 adotta un
sistema imperniato sulla possibilità di bloccare la mira su un nemico e rendere
così quasi impossibile mancare i colpi, potendo inoltre passare da un bersaglio
all’altro in maniera piuttosto fluida. La vera difficoltà negli scontri non è
tanto il prendere la mira quando il gestire i tanti nemici presenti, rimanendo
dunque sempre in movimento e schivando quando possibile gli attacchi a noi
destinati. Gli scontri finiscono sempre con l’essere accesi senza mai diventare
confusionari, e in essi è sempre bello poter dare libero sfogo alle abilità
sovraumane di manovra dell’agente e massacrare i nemici con le decine di
granate e armi disponibili. Nonostante qualche bilanciamento sia opportuno, la
lista delle armi utilizzabili è ottima, capace di dare molteplici soddisfazioni
grazie a una gran varietà di bocche di fuoco. In Crackdown 3 morire non è di
certo un evento raro, soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati, ma ciò
non è un problema in quanto il gioco adotta un sistema di continuità molto
semplice: quando si muore, si può liberamente rientrare in uno qualsiasi dei
punti di rientro e riprendere esattamente dove si era rimasti. Infondo nel
futuro distopico dove il gioco è ambientato la clonazione rapida tramite
l’utilizzo del Dna sembra essere un gioco da ragazzi. Sul fronte tecnico
Crackdown 3 mantiene un frame rate costante anche nelle situazioni più
caotiche, con decine di nemici a schermo ed effetti particellari generalmente
buoni e di ogni tipo, quantomeno su One X. C’è da dire inoltre che se da una
parte il titolo offre un ambiente di gioco intoccabile, in cui gli edifici e il
terreno non vengono minimamente scalfiti dalla furia distruttrice del giocatore
e gli abitanti sono pupazzi di contorno che spesso diventano vittime
collaterali della potenza di fuoco del giocatore, dall’altra mostra una
spiccata estetica retrofuturista fatta di palazzoni al neon che si mescola con
le baraccopoli sudafricane. Il comparto audio, infine, presenta un’ottima
selezione musicale, in grado di sottolineare i ritmi degli scontri ed
enfatizzarne il dinamismo generale.

Vera novità di
questo Crackdown 3, oltre che essere una delle componenti del gioco più attese,
è la Zona di Demolizione, il multiplayer competitivo interamente gestito dal
Cloud e in grado di garantire una distruttività ambientale vicino al 100%.
Durante la nostra prova abbiamo avuto accesso alle tre mappe e alle due
modalità: Cacciatori di agenti e territori. La prima rappresenta un classico
Deathmatch a squadre in cui i due team di massimo cinque giocatori hanno come
unico obiettivo quello di uccidersi, totalizzando il maggior numero di
uccisioni entro lo scadere del tempo o raggiungendo il punteggio massimo. Nella
modalità Territori, invece, bisogna conquistare e difendere determinate
posizioni. Queste appariranno sulla mappa a gruppi di due, e quando un team ne
conquista una iniziano a consumarsi i punti dell’area, venendo dunque assegnati
alla squadra che la controlla. Quando si esauriscono, la zona si disattiva e si
passa a quella successiva. Esattamente come in Cacciatori di Agenti, lo scopo è
ottenere il punteggio più alto. Nel multiplayer di Crackdown 3 prima di ogni
partita si sceglie l’equipaggiamento. E’ possibile selezionare due delle nove
armi presenti e un gadget tra uno scudo aggiuntivo in grado di assorbire danni
extra, e un trampolino utile per saltare più in alto. Per quanto riguarda il
gameplay, esso è molto semplice, la mira, esattamente come nella campagna, è
automatica una volta premuto il grilletto sinistro, inoltre è possibile
utilizzare il doppio salto, il booster per avanzare più rapidamente e un
attacco corpo a corpo ricaricabile in breve tempi. La distruttibilità
dell’ambiente poi, nonostante non faccia gridare al miracolo per realizzazione
tecnica, rende l’esperienza nel complesso divertente e appagante. Tirando le
somme, Crackdown 3 è un titolo pieno di spunti interessanti, di attività
divertenti e di cose da fare. Il problema di fondo è che ci si trova dinanzi a
un titolo che possiede delle dinamiche che non appartengono più al panorama
videoludico attuale. In sostanza, se non si ha poco tempo per giocare, se non
si è amanti del multiplayer, se non si vuole perder tempo appresso a un titolo
fatto di trame complicate e rompicapo complessi Crackdown 3 è un titolo da non
perdere. Ma se si è in cerca di qualcosa di nuovo, più profondo e che sappia
meno di già visto allora è preferibile navigare verso altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Android a rischio, aumentano le false app bancarie

Android a rischio. I
ricercatori di ESET, azienda leader nel campo dell’individuzione e lotta contro
virus informatici e malware, mettono in guardia dalla minaccia sottovalutata
delle false app bancarie per dispositivi Android, che si presentano come applicazioni
finanziarie legittime con l’obiettivo di rubare credenziali o denaro dai conti
bancari delle vittime. Anche se tecnicamente lontane dalle modalità più
avanzate di frode, le false app bancarie presentano vantaggi strategici che le
rendono comparabili a tipi di malware molto più sofisticati come i trojan
bancari. L’analisi dei ricercatori di ESET relativa ai due tipi di frode,
entrambi presenti nello store ufficiale di Google Play, ha dimostrato che le
app bancarie fake presentano per i cybercriminali alcuni vantaggi che i temuti
trojan bancari non hanno. Il principale punto di forza di queste app fake è la
loro pressochè totale somiglianza alle applicazioni bancarie legittime. Se gli
utenti cadono nel tranello e installano l‘app fake sul proprio smartphone
Android, c’è un’alta probabilità che considerino legittima la schermata di
accesso visualizzata e inviino le proprie credenziali. E, contrariamente ai
trojan bancari, non vengono richiesti permessi aggiuntivi che possano sollevare
il sospetto degli utenti dopo l’installazione. Oltre a questo, i trojan bancari
sofisticati sono maggiormente soggetti al rilevamento dei software antivirus, a
causa delle loro tecniche avanzate che fungono da trigger per varie misure di
sicurezza.

Target delle false app bancarie

A differenza dei
trojan bancari, le false app bancarie si focalizzano in genere su un target di
clienti di un solo istituto finanziario o servizio – quello che impersonano.
Un’eccezione a questa regola è stata un’app falsa che sosteneva di essere uno
strumento bancario universale e che aveva come target i clienti di 19 banche
polacche. Alcuni autori di malware approfittano dell’assenza di un’app mobile
ufficiale di una certa banca o servizio, mentre altri tentano di ingannare gli
utenti impersonando app ufficiali esistenti. Occasionalmente, le false app
fingono di offrire funzionalità aggiuntive alle app legittime esistenti, come
la promozione di premi bancari, regali o offerte per aumentare i limiti delle
carte di credito.

Come proteggersi dalla minaccia degli Android banking malware:

Per stare al sicuro
dai malware bancari che imperversano sui dispositivi Android, gli esperti di
ESET consigliano agli utenti di:

–        Tenere
aggiornato il proprio dispositivo e utilizzare una soluzione di sicurezza
mobile affidabile.

–        Evitare
gli store non ufficiali, se possibile; tenere sempre disabilitata sul proprio
dispositivo l‘opzione “installazione di app da fonti sconosciute”.

–        Prima
di installare un’app da Google Play, controllare sempre le valutazioni degli
altri utenti, il contenuto delle recensioni, il numero di installazioni e le
autorizzazioni richieste; prestare attenzione al comportamento dell’app anche
dopo i primi utilizzi.

–        Scaricare sempre e solo applicazioni bancarie e altre applicazioni finanziarie collegate al sito Web ufficiale della banca o del servizio finanziario.

F.P.L.




Kingdom Hearts 3, la saga giunge al termine

Square Enix e Disney hanno finalmente lanciato Kingdom Hearts 3. Dopo ben 13 anni d’attesa dall’ultimo titolo della serie, finalmente i fan di tutto il mondo potranno accompagnare Sora, il giovane protagonista armato di keyblade , in una nuova splendida avventura. L’eroe, con l’aiuto dei suoi fedeli compagni Paperino e Pippo, ovvero degli emissari inviati da Re Topolino, si unirà ai personaggi più famosi della Disney e della Pixar per cercare di sconfiggere l’oscurità e salvare l’universo dagli spietati heartless in un lungo e meraviglioso viaggio capace di tenere letteralmente inchiodati al joypad. Con oltre un decennio trascorso dal secondo capitolo e con una narrativa frammentata in un numero indefinito di spin-off e piattaforme, l’arrivo di Kingdom Hearts III su Ps4 e Xbox One era tutto meno che scontato. Annunciato per la prima volta all’E3 del 2013, il terzo episodio numerato della saga di Tetsuya Nomura è stato difatti accolto fin dall’inizio con delirante entusiasmo, scaturito dall’immensa passione verso una serie straordinaria, abile nel coniugare linguaggi e culture diverse in unico e maestoso immaginario. Ma veniamo alla trama di quest’appassionante quanto incredibile storia: come fatto intendere nell’epilogo di “A Fragmentary Passage”, Kingdom Hearts 3 ha inizio con un Sora indebolito a seguito del tentativo di possessione da parte di Xehanort, che l’ha portato a perdere il potere del Risveglio ottenuto con Riku in precedenza. In vista della battaglia finale contro la nuova Organizzazione XIII e del prossimo raggruppamento dei sette Guardiani della Luce, di cui fanno parte Lea, Kairi, Topolino ed altri personaggi storici della saga, recuperare tale capacità risulta un imperativo, forzando Sora ad intraprendere un nuovo viaggio per chiarire la sua natura ed intraprendere legami con nuovi cuori. Il problema, se così si può definire, più grosso di Kingdom Hearts III è proprio il comparto narrativo che potrebbe effettivamente rappresentare un ostacolo per tutti quegli utenti che desiderano giocare per la prima volta assieme a Sora e amici. Kingdom Hearts III è infatti il terzo episodio di una trilogia debuttata nel 2002 su PlayStation 2 che nel corso degli anni si è ampliata con episodi “secondari”, usciti su diverse piattaforme, tra cui dispositivi mobile e console portatili. I vari giochi hanno quindi sviluppato a dismisura l’intreccio narrativo e, allo stato attuale, sono di fatto dei capitoli necessari per capire tutti i riferimenti presenti in Kingdom Hearts III. L’avventura di Sora e amici riparte dal Monte Olimpo dove Pippo e Paperino tentano di aiutare il protagonista a recuperare i poteri. Si inizierà quindi un lungo viaggio che porterà l’iconico Trio a visitare una serie di mondi Disney e Pixar, a combattere contro innumerevoli nemici, tra cui Heartless e Nameless, per prepararsi al meglio allo scontro finale mentre Riku e Topolino, in completa autonomia, raduneranno gli alleati in vista dell’ultima battaglia. A livello di gameplay, il titolo di Square Enix e Disney è davvero uno spettacolo, i combattimenti in tempo reale di Kingdom Hearts 3 sono visivamente spettacolari, un tripudio di effetti ed animazioni capaci di lasciare chiunque a bocca aperta. Questi si basano su una componente tendenzialmente “button mashing” che ha da sempre caratterizzato la serie, quindi, il sistema di controllo è assolutamente semplice ed intuitivo. I tasti utili all’azione sono pochi e per eseguire i vari “attacchi speciali” sarà sufficiente premere il pulsante predisposto per tale fine. Sui campi di battaglia, oltre a pozioni curative, elisir ed accessori, Sora potrà equipaggiare sino ad un massimo di tre Keyblade, ognuna dotata di attacchi, caratteristiche e Fusioni differenti, che potranno essere cambiate nel corso dello scontro. Tra attacchi speciali, magie, legami, evocazioni, Fusioni, attrazioni e mosse combinate con i personaggi presenti nel gruppo, ogni battaglia è quindi un tripudio di colori ed effetti semplicemente fanvolosi. L’intero sistema di combattimento poggia quindi sulle collaudate meccaniche del franchise. In basso a sinistra saranno sempre ben visibili le quattro “azioni” basilari: Attacco (Keyblade), Magia (incantesimi sia offensivi che curativi), Oggetti (utilizzare un item a patto di averlo equipaggiato) e Legami (evocazione). Accanto a questi quattro “pilastri” si innescano una serie di meccaniche più stratificate che permetteranno a Sora e compagni di innescare attacchi devastanti ed estremamente spettacolari.

Utilizzando il
Keyblade e infliggendo a lungo danni ai nemici, ad esempio, si potranno
attivare le Fusioni che potenzieranno e modificheranno l’attacco dell’arma
dando vita anche a un micidiale colpo di grazia. Discorso simile vale anche per
le magie con la possibilità di utilizzare incantesimi potenziati, a patto di
aver riempito l’apposita barra colpendo ripetutamente gli avversari. Nella
mischia sono presenti inoltre così dette “attrzioni” che si potranno attivare
dopo aver colpito i nemici contornati da un cerchio verde. Queste mosse, oltre
essere estremamente spettacolari, varieranno in base al luogo in cui si
combatte, avranno un raggio d’azione ampio, conferiranno ingenti danni ai
nemici e si potranno concludere con una sorta di colpo finale davvero
spettacolare. Per quanto riguarda il sistema di combattimento non mancano poi
gli attacchi combinati con i compagni di gruppo ed il “Fluimoto”, che permette
di coprire grandi distanze in poco tempo e che tornerà molto utile anche in
battaglia. Presente anche il colpo “Tiro” che, collegato alla barra Focus e al
Keyblade utilizzato, consentirà di agganciare e colpire più nemici in
simultanea e che sarà indispensabile anche per raggiungere luoghi altrimenti
inaccessibili. Ovviamente si potranno inoltre evocare alleati durante le
sessioni di combattimento a patto però di consumare l’intera barra dei PM che
si ricaricherà con il passare del tempo o utilizzando apposite pozioni. Da buon
gdr che si rispetti, anche in Kingdom Hearts 3 sconfiggendo nemici e boss,
Sora, Pippo e Paperino, saliranno di livello e aumenteranno le loro
statistiche. Inoltre sbloccheranno innumerevoli abilità con cui personalizzare
il set di mosse disponibili, le fasi offensive, difensive e curative. Ogni
abilità ha però un costo in punti che viene detratto da un massimale che
incrementerà salendo di livello. Nel complesso l’intera struttura che governa
le fasi di combattimento funziona e diverte rendendo gli scontri vari e
visivamente spettacolari, tuttavia il livello di sfida è davvero piuttosto
semplice, quindi il nostro consiglio è quello di giocare alla massima
difficoltà. Durante le nostre circa 50 ore di gioco, non ci è mai capitato di
trovarci in combattimenti troppo complessi o frustranti, neppure quando il
protagonista era di livello inferiore rispetto a quello richiesto dal mondo che
in quel momento stavamo esplorando.

Sempre a livello di gameplay, le meccaniche RPG di Kingdom Hearts 3 ci sono sembrate piuttosto semplici e con un sistema eccessivamente basilare. Le statistiche di Sora e compagni aumentano in modo autonomo e si potrà interagire solo con le abilità decidendo, in base ai punti a disposizione, quali attivare o disabilitare. Detto ciò, segnaliamo comunque la possibilità di abilitare alcuni malus, pensati appositamente per mettere in difficoltà il giocatore e garantire un livello di sfida superiore. Nel titolo fortunatamente è presente anche un sistema di crafting che, oltre a permettere la creazione di pozioni curative, elisir e oggetti di vario genere, consente anche di potenziare le Keyblade a patto di essere in possesso dei materiali richiesti. All’officina si accederà interagendo con il Moguri, unico personaggio di Final Fantasy presente, con cui si potrà anche commerciare. A Crepuscopoli inoltre, si avrà la possibilità di entrare al bistrot di Zio Paperone e creare, completando dei minigiochi di cucina, dei menù gourmet che conferiranno al trio bonus temporanei. Proprio come già visto in passato, Kingdom Hearts 3 non è solo combattimenti, la struttura di gioco viene infatti ampliata con una serie di attività secondarie che spaziano dalla ricerca di collezionabili, scattare foto, a boss opzionali sino ad arrivare ai 20 mini-giochi ispirati al mondo Disney degli anni 80 e ai “viaggi” nello spazio a bordo della ormai nota Gummiship. I minigiochi, rigorosamente in bianco e nero, non saranno disponibili sin da subito ma andranno sbloccati progredendo nell’avventura e trovando gli appositi scrigni sparsi nei mondi di gioco. Per accedervi, sarà necessario utilizzare il Gummifono, una sorta di smartphone inventato da Cip e Ciop che sostituisce il “diario” cartaceo del Grillo Parlante presente negli episodi precedenti. Tramite il Gummifono si potrà quindi accedere ad una sezione dove non mancheranno le schede dettagliate di alleati e nemici, il glossario e il riassunto della storia. Essendo una sorta di smartphone, con il dispositivo si potranno inoltre scattare foto e gli immancabili selfie. Per quanto riguarda le sessioni di gioco a bordo della Gummiship, l’iconico mezzo di trasporto con cui si viaggerà nello spazio per spostarsi da un mondo all’altro, il gampelay canonico è stato arricchito da qualche gustoso elemento in più. Si tratta di un gioco nel gioco considerando che l’universo stellato di Kingdom Hearts 3 è ricco di tesori ma anche di pericolosi nemici. Si affronteranno quindi battaglie spaziali, non mancheranno mini-boss e le insidie saranno dietro ad ogni angolo. Saranno presenti preziosi tesori e si potranno recuperare materiali rari, progetti esclusivi e componenti unici per la Gummiship. Oltre a poter personalizzare o modificare le “navi” esistenti, è presente anche un editor che consentirà di creare da zero la propria Gummiship, equipaggiandola con una serie di accessori, armi, bonus e facendo attenzione a equilibrare le varie statistiche: manovrabilità, punti vita, potenza, rollio, attacco.

 

Kingdom Hearts III
grazie alle prestazioni offerte dalle attuali console si libera una volta per
tutte dei limiti tecnologici imposti da una tecnologia datata prima, dalle
console portatili poi, mostrando tutto il potenziale artistico di un concept
eclettico e stravagante. La progressione nei livelli appare più
tridimensionale, sviluppandosi non solo su un piano orizzontale, ma anche e
soprattutto su quello verticale. Il level design va infatti in questo terzo
capitolo arricchendosi notevolmente, garantendo sezioni ampie e continue e
abbandonando le continue schermate di caricamento delle iterazioni passate. La
progressione nei livelli appare inoltre più tridimensionale, sviluppandosi non
solo su un piano orizzontale, ma anche e soprattutto su quello verticale,
specie grazie alla nuova capacità di Sora di sfidare la gravità e muoversi su
pareti ben evidenziate. Passando invece a considerazioni di carattere
prettamente tecnico, il lavoro fatto per questo terzo capitolo di Kingdom
Hearts ha dell’incredibile, sebbene non manchi di mostrare il fianco ad alcuni
annosi problemi. L’Unreal Engine 4 del gioco vanta un sistema di illuminazione
sorprendente, supportato da ottimi shader e particellari. A fronte di quanto
detto sopra, la riproduzione grafica delle proprietà intellettuali Disney
rasenta in alcuni punti la perfezione, rispettando sempre lo stile artistico
iniziale e riproponendolo con cura all’interno del mondo di gioco. Le
meraviglie a schermo vengono inoltre accompagnate da un sonoro come al solito
d’eccellenza, con un ottimo doppiaggio inglese degno di annoverare, oltre alle
voci storiche della saga, persino alcune delle voci originali delle pellicole
trasposte. Peccato invece per la colonna sonora, caratterizzata quasi
unicamente da bellissimi remix e riarrangiamenti delle celebri tracce dei
capitoli precedenti, lasciando dunque spazio ad un numero minimo di inediti,
tali da poter essere contati sulle dita di una singola mano. Alla luce di
quanto detto, tirando le somme, nonostante ci siano voluti ben 13 anni
d’attesa, Kingdom Hearts 3 è riuscito a mantenere le solide basi della serie
permettendo ai fan di “rivivere” quelle sensazioni ed emozioni
provate un decennio fa. Il titolo però non è un gioco per tutti e in alcuni
ambiti si poteva fare meglio. Il comparto narrativo, per i neofiti, ma anche
per chi ha saltato qualche gioco della saga, potrebbe essere un vero ostacolo.
Per capire sino in fondo tutte le dinamiche, i riferimenti, gli intrecci e le
relazioni tra i vari personaggi tirati in ballo nel corso dell’avventura,
l’Archivio della Memoria presente al menù d’inizio non è sufficiente ed è
quindi necessaria una conoscenza approfondita non solo dei due capitoli
principali ma anche degli altri episodi. Nonostante questo il videogame è
sicuramente un titolo che vale a pena di giocare in quanto rappresenta un vero
e proprio tripudio di divertimento. Siamo certi che le tante ore di gioco
passate assieme a Sora, Pippo e Paperino saranno spese davvero bene e una volta
portata a termine l’avventura avrete solo tanta voglia di continuare a
esplorare i mondi di gioco per trovare fino all’ultimo collezionabile.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Resident Evil 2, il remake di Capcom è un capolavoro

Il remake di
Resident Evil 2 è finalmente realtà. Capcom l’ha fatto davvero e ha superato di
gran lunga le aspettative dei fan lanciando, su pc, Xbox One e Ps4, un titolo
completamente rivisitato, ma che mantiene il pieno rispetto di tutto ciò che
c’era di buono nel gioco originale. Quindi non un prodotto con solo una veste
grafica del tutto nuova, ma un remake con una visuale di gioco più moderna,
enigmi migliorati, senza nessun tempo di caricamento ogni volta che si apre una
porta e con una trama più approfondita. Se a questo si aggiungono nuovi
filmati, nuove aree di gioco e un gameplay assolutamente sensazionale, viene da
sé che Resident Evil 2 in versione 2019 rende onore al prodotto originale,
regalando le stesse emozioni che si provavano 21 anni fa. Il più grande merito
dell’opera di Capcom risiede nel fatto che con la sua uscita, non solo chi ha
avuto la fortuna di giocare all’originale potrà rivivere le stesse emozioni di
un tempo, ma la nuova generazione di gamers potrà apprezzare quello che è stato
il trampolino di lancio a livello di trama per i capitoli successivi della
serie. E lo potrà fare giocando a un titolo moderno, fluido ed estremamente al
passo con i tempi. Dopo questa breve, ma doverosa introduzione passiamo
all’analisi di Resident Evil 2. Sono passati appena due mesi dall’incidente di
Villa Spencer, dal primissimo scontro col l’orrore biologico scatenato dalla
follia dell’Umbrella Corporation. Una volta avviato il gioco bastano appena 10
minuti, il tempo di assistere al primo incontro tra Leon S. Kennedy e Claire
Redfield, per cogliere i tratti della dichiarazione d’intenti di Capcom per
questo capitolo. Nella tetra penombra di una stazione di servizio appena fuori
i confini di Raccoon City, lo sviluppatore comincia sin da subito a calcare i
tratti della sua promessa: quella di dare una nuova vita a incubi vecchi di
vent’anni. Prima che un’autocisterna fuori controllo arrivi a separare Leon e
Claire, segnando l’inizio della loro discesa verso le profondità della città in
rovina, una sequenza introduttiva giocabile mette subito in chiaro quale sia
l’obiettivo di Capcom per il suo remake e, cosa apprezzabile solo da chi ha
giocato l’originale, mette in mostra le prime fantastiche differenze rispetto
al passato. Se gran parte degli eventi raccontati in Resident Evil 2 seguono la
sceneggiatura originale del gioco, le nuove esigenze narrative dell’utenza
hanno offerto alla software house una preziosa opportunità per reinterpretare,
con grande rispetto e cura, alcuni dei momenti chiave della trama. Una
revisione che si traduce in una messa in scena d’effetto, composta di cutscene
che strizzano l’occhio alla cinematografia di genere e traggono forza da una
fotografia a dir poco sensazionale volutamente cruda e avvolgente. La regia
virtuale ammalia i sensi del giocatore alternando momenti di grande dinamismo e
rimandi alle inquadrature fisse tipiche della serie, assecondando le necessità
di un copione che punta chiaramente a ridefinire i tratti dei suoi
protagonisti, con una caratterizzazione più approfondita e meno
macchiettistica. L’obiettivo, a nostro avviso centrato in pieno, è quello di
costruire un racconto più intenso e credibile. Muovere i primi passi dopo aver
varcato le soglie della stazione di polizia fa correre un brivido gelido lungo
la schiena, un brivido fatto di ricordi e sensazioni già conosciute, emozioni
che hanno fatto da sottofondo a un’avventura che ha segnato le vite dei
giocatori più attempati. La scelta di non riproporre pedissequamente i tragitti
già percorsi, senza però abbandonare i ritmi e le caratteristiche del DNA
ludico della serie, è a nostro avviso un espediente davvero ben realizzato.
Chiunque vorrà arrivare alla fine vivo e scoprire gli orrori che hanno portato
all’apocalisse di Raccoon City, proprio come accadeva 21 anni fa.

https://youtu.be/aYeYbqmaff4

Resident Evil 2 è
ancora un survival horror in terza persona “puro” che non sfocia mai
nell’action frenetico a discapito del ragionamento e della risoluzione degli
enigmi. Enigmi che trovano in questo remake una contestualizzazione ben più
verosimile di quella di un tempo, dimenticando statue da ricollocare e
lampadine da accendere secondo un ordine preciso. Tale approccio, nell’economia
generale di gioco, dà vita a due grandi vantaggi: da una parte impedisce che
gli esperti del capitolo originale subiscano il logoramento di un costante
“déjà vu”, e dall’altra rende più intuitiva la risoluzione dei
rompicapo, senza per questo banalizzarli. Quest’ultimo aspetto, tra l’altro,
influisce positivamente sul ritmo dell’avanzamento, limitando al minimo i tempi
morti generati dalla sensazione di smarrimento che si ha quando non si sa come
proseguire. Un’accelerazione a cui contribuisce anche, come già detto
all’inizio, la totale assenza di sequenze di caricamento tra una stanza e
l’altra con porte scricchiolanti che si aprono a interrompere il flusso
dell’azione. Nel complesso insomma, tutte le operazioni di “restauro”
del gameplay volute da Capcom sono state pensate per supportare al meglio la
“qualità della vita” dei giocatori e svecchiare le meccaniche che
avrebbero appesantito la giocabilità e annoiato i gamers odierni. Ottimo ad
esempio l’idea di inserire le zone della mappa che cambiano colore una volta
raccolti tutti gli oggetti nell’area (dinamica presente già nel Rebirth del
primo capitolo), o la spunta rossa che appare quando una chiave ha esaurito la
sua utilità e può essere tranquillamente scartata dall’inventario. Queste sono
modifiche che, all’atto pratico, non danneggiano in alcun modo le sfumature
hardcore dell’esperienza, ma si limitano a migliorarne la fruibilità generale
affiancandola agli standard dell’industria contemporanea. Così facendo l’anima
di Resident Evil 2 che mette gli utenti in bilico tra la necessità di
risparmiare risorse preziose e la snervante ostilità del mondo di gioco è
completamente intatta e la tensione resta viva proprio come 21 anni fa. In
questo nuovo remake del classico del 1998 grande attenzione è stata data al
comparto sonoro, la quasi totale assenza di accompagnamento musicale, eccezion
fatta per specifici momenti e sequenze, massimizza gli effetti ansiogeni di una
sinfonia di sinistri scricchiolii e versi gutturali, interrotta di tanto in
tanto per fare spazio al forsennato calpestio di un abominio in avvicinamento.
Non solo in Resident Evil 2 il suono è un’inesauribile fonte di sgomento, ma
gli sviluppatori sono riusciti a integrarlo con astuzia in ogni aspetto del
gameplay. Esempio culminante sono i Licker, i quali non attaccano il
protagonista se questo si muove tanto lentamente da non emettere alcun rumore
percepibile, aprendo la strada ad approcci più stealth. Ma la brillante
crudeltà del sound design fa sì che i loro versi disarticolati si facciano
improvvisamente più intensi quando il personaggio si trova nelle loro immediate
vicinanze, con l’intenzione di spingere il giocatore a calcare bruscamente il
pollice dando il via a uno scatto rivelatore. Tremendo è anche l’incedere del
possente Tyrant T-103, i cui passi si fanno ben presto una compagnia costante,
che anticipa l’arrivo di un pericolo dall’immonda crudeltà. In questo senso,
l’audio binaurale si conferma una delle armi più efficaci in mano agli uomini
di Capcom, che sono riusciti a modellare un vero e proprio inferno fatto di
atmosfere che, per la gran parte dell’avventura, lasciano con il fiato sospeso,
la bocca aperta e gli occhi sgranati. Squisito poi il doppiaggio tutto in
lingua italiana che rende l’avventura ancora più immersiva e di facile
comprensione anche per chi non conosce l’inglese.

https://youtu.be/aYeYbqmaff4

A livello di
gameplay, poi, l’ottimo sistema di shooting messo in piedi per questo remake di
Resident Evil 2 non ammette errori. La precisione delle armi, modificabili
scovando kit nascosti, è fortemente influenzata sia dal tempo speso per
inquadrare il bersaglio, sia dalla lentezza dei movimenti della levetta, e
capita spesso che una pressione istintiva si traduca in un colpo a vuoto.
Essendoci una quantità limitata di munizioni, ed essendo necessario un buon
numero di proiettili per abbattere i non morti e gli altri abomini, lo spreco
di colpi risulta essere un “danno” grave. Inutile sottolineare che, in linea
con quanto accadeva nel lontano 1998, quasi tutti i nemici hanno poi la
spiacevole tendenza a rialzarsi nel caso in cui i colpi sparati non siano
precisi in testa. Tale comportamento porta quindi a dover approfittare dei
movimenti lenti degli zombi per poter fuggire senza dover utilizzare un numero
maggiore di munizioni. Inutile dire che trovarsi dinanzi a un boss sguarnito di
colpi si traduce in morte certa. Sempre parlando di boss fight possiamo dire
che queste si attestano generalmente su buoni livelli e rappresentano un netto
passo avanti rispetto alle controparti viste nel 1998. Un complimento che si
può estendere senza fatica anche a un level design ispirato e leggibile, che
rispecchia pienamente le ambizioni di Capcom per la produzione. Questo nuovo
Resident Evil 2 infatti non solo porta su schermo una rivisitazione
interessante della capitale dell’impero Umbrella, ma lo fa assemblando un
complesso di ambientazioni di grande impatto scenico, senza mostrare mai
tentennamenti sui fronti della navigabilità e della caratterizzazione. La nuova
avventura di Capcom garantisce poi al pubblico un corposo quantitativo di
dettagli inediti, allargando l’abbraccio della narrazione per dare maggiore
consistenza ad eventi e personaggi, come il capo della polizia Irons e la
straziante vicenda del proprietario del negozio di armi. Apprezzabile anche il
modo in cui il team di sviluppo ha sintetizzato e ridefinito le sequenze di Ada
e Sherry, ora dotate di un’identità più riconoscibile. Ognuna delle due
sezioni, infatti, si apre a interessanti variazioni sul tema della
sopravvivenza horror, focalizzandosi ora sulla risoluzione degli enigmi, ora
sullo stealth puro. Quella di Sherry porta poi nell’unica location totalmente
nuova del titolo: un inquietante orfanotrofio sulla cui storia non vogliamo
rivelare nulla. Questo spettrale ricettacolo di sogni infranti ci offre un
eccellente palcoscenico per svelare che, sì, esistono effettivamente due
scenari per ciascun protagonista. E’ bene sottolineare che a differenza
dell’originale, il remake di Resident Evil 2 non contempla nessuna interazione
dinamica tra le campagne di Leon e Claire (Claire 1 e Leon 1, Claire 2 e Leon
2). Optando per un prima run in compagnia dell’audace studentessa, ad esempio,
ci si troverà a seguire un percorso che, in particolar modo all’inizio e sulle
battute conclusive, mette in scena qualche piccola ma significativa differenza
rispetto alla medesima campagna giocata in seconda battuta. Va sottolineato
che, a prescindere da quale avventura si decida di giocare e dall’ordine
scelto, le sfide proposte dal gameplay nelle diverse location saranno sempre
fondamentalmente le stesse. Questo nodo chiave, unito alla necessità di
affrontare almeno uno “scenario 2”, sbloccato dopo il primo
completamento, per accedere al vero finale, fa sì che il secondo playthrough
perda una fetta notevole della sua potenza. Come di consueto, l’arrivo dei
titoli di coda coincide con l’attribuzione di un rango, che va da E a S, alle
imprese degli utenti, che determina lo sblocco di ricompense speciali. E se
questo non bastasse a convincervi del fatto che il Resident Evil 2 ha tutto il
potenziale per essere un gioco che garantisce una longevità di alto livello,
sappiate che l’offerta ludica comprende anche diverse modalità extra, tra cui
l’iconica “The 4th Survivor”.

Si tratta, come
intuibile, di una modalità sopravvivenza che spinge i giocatori a ripercorrere
tutte le principali tappe della campagna nei panni di Hunk, un agente speciale
dell’Umbrella, con risorse limitatissime da centellinare con letale efficienza
contro una quantità semplicemente fenomenale di nemici. Ecco, se già il livello
di difficoltà standard della campagna riesce a offrire un buon grado di sfida,
e quello estremo lo raddoppia senza sforzo, sappiate che si tratta di solo di
un piccolo assaggio rispetto alle prove che si celano nel menù degli extra. E’
bene sottolineare poi che al contenuto preesistente del titolo si aggiungono
sfide extra e collezionabili da individuare e distruggere, che sbloccheranno
dei contenuti bonus nella galleria di bozzetti e modelli 3D, oltre ad alcuni
costumi per i protagonisti. Menzione d’onore, poi, va fatta per la stabilità
del software, che in tutta la durata del nostro testing non ha mai subito un
crash o manifestato glitch, il tutto senza ingombranti patch day-one e con meno
di 25 GB di spazio occupato su disco. Prima di descrivere l’aspetto estetico
del titolo è bene sottolineare la particolare importanza che hanno assunto le
armi secondarie. Bombe a mano, coltelli da battaglia o flashbang non solo
potranno essere utilizzate in qualsiasi momento, ma in caso d’incontro troppo
ravvicinato con un nemico, si potrà utilizzare l’arma in possesso per creare
un’immediata via di fuga, seguendo semplicemente l’indicazione a schermo. La
gestione del menù del giocatore, altro marchio di fabbrica della saga, è stato
poi leggermente rivisto e velocizzato. Gli oggetti curativi, per esempio, non
potranno essere raccolti e consumati quasi in contemporanea, ma dovranno prima
passare dal menu dove saranno prima depositati, quindi selezionati e usati. Un
buon compromesso tra passato e presente insomma. Sono cambiati, invece, i
puzzle ambientali, snelliti nella formula, ma non nella sostanza, tra
specifiche chiavi da trovare, scaffali da spostare e combinazioni da dedurre. Il
tutto nel rispetto di un rinnovato approccio che tende a voler dare maggiore
dinamicità all’azione di gioco. A livello grafico gli ambienti di gioco
proposti nel nuovo Resident Evil 2, sono stati ovviamente ripresi da quanto già
visto nell’episodio originale, anche se le tecniche moderne riescono a dare al
tutto l’aspetto di un inedito deja vu. In generale tutti gli ambienti sono
stati arricchiti in termini di dettagli e dovranno essere esplorati a fondo per
riuscire a scovare tutti quegli elementi disseminati, utili non solo per la
soluzione dei puzzle, ma anche per riuscire a rimanere vivi. Esteticamente il
gioco ha conosciuto anche un impressionante update poligonale, che lo rende
estremamente realistico in tutte le sue componenti, anche se non mancano alcune
texture non esattamente in linea con la generale pulizia dell’immagine, ma in
generale la grafica di questo remake rappresenta un sicuro step evolutivo per
l’intera saga. Ottimo anche il bilanciamento dei colori e l’utilizzo dei
contrasti di luci e ombre. Il frame rate poi, almeno su Xbox One X Ps4 Pro e
Pc, resta sempre inchiodato sui 60 fps, anche nei momenti più concitati, quindi
anche da questo punto di vista il titolo di Capcom rappresenta una vera gioia.
Tirando le somme, possiamo senza dubbio asserire che quello che la versione
2019 di Resident Evil 2 davvero non riesce a fare è deludere. Anche i
tradizionalisti più incrollabili non potranno che sostenere che il progetto si
fonda su un’impressionante cura e competenza da parte di Capcom. Il rispetto
verso l’opera originale si sposa degnamente con le novità inserite dando al
prodotto vitale una spinta incredibile. A nostro avviso il titolo rappresenta
al momento la migliore incarnazione di quello che un remake dovrebbe essere.
Lasciarsi scappare un titolo di questa portata sarebbe veramente un grosso
errore. Credeteci, sia che lo abbiate giocato nel lontano 1998, sia che non
abbiate idea di cosa sia, Resident Evil 2 merita a tutti gli effetti di essere
giocato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise




Nuova grana in casa Apple, FaceTime ascolta prima di rispondere

FaceTime ci spia, nuova grana in casa Apple. Il colosso di Cupertino ha disabilitato momentaneamente le chat di gruppo su FaceTime, a seguito di un problema di sicurezza emerso negli scorsi giorni.

È quanto ha confermato la stessa società americana nella pagina ufficiale dedicata allo status dei suoi servizi. Al momento, non è dato sapere quando la funzionalità verrà ripristinata su iOS e macOS. Così come riferisce anche The Verge, pochi giorni fa è stato scoperto un bug nelle chiamate di gruppo di FaceTime.

Il malfunzionamento sfrutta una falla nell’inserimento di nuove persone all’interno della conversazione: se qualcuno viene aggiunto prima che uno dei mittenti abbia risposto alla chiamata, in alcuni casi il sistema potrebbe comunque cominciare a trasmettere l’audio. Un problema soprattutto in termini di privacy, con la possibilità che conversazioni private vengano ascoltate da malintenzionati, senza che l’utente ne sia consapevole. Per provvedere alla risoluzione della problematica, ed evitare conseguenze spiacevoli, dalle 4 di questa mattina (29 gennaio ndr.) il gruppo di Cupertino ha disabilitato le chiamate di gruppo su FaceTime. il bug è emerso poco dopo il tweet dell’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, in cui veniva messo l’accento sulla necessità di agire e portare avanti riforme per tutelare la privacy. Il bug consente ad alcuni utilizzatori di iPhone di effettuare chiamate di gruppo con FaceTime e ascoltare la persona chiamata prima che questa risponda al telefono e a sua insaputa.

F.P.L.




Ace Combat 7 Skies Unknown, si torna a combattere fra le nuvole

Sono trascorsi ben 24 anni dall’uscita del primo Ace Combat. A partire dal 1995 la fortunata saga targata Bandai Namco ha fatto vivere ai suoi numerosissimi appassionati una quantità formidabile di adrenaliniche battaglie tra le nuvole. La serie è una saga a dir poco leggendaria nel panorama mondiale dei videogiochi. Un brand che ha visto, fino a oggi con questo Ace Combat 7: Skies Unknown, ben diciassette titoli prendere vita tra alti e bassi su ogni tipo di piattaforma di gioco conosciuta in questi anni. L’episodio che ci accingiamo a recensire era tra l’altro molto atteso dagli appassionati, perché fin dal suo annuncio nel 2015 prometteva alcune novità pensate dagli sviluppatori per migliorare il brand, senza però snaturarlo, dopo alcuni episodi poco esaltanti, a cominciare da una modalità storia più interessante e variegata. Per la cronaca, il titolo propone anche una modalità extra per il visore 3D di Sony, una “spettatore” chiamata Air Show e un’altra multigiocatore con Battle Royale (4 vs 4) e Deathmatch. Ace Combat 7, che vi ricordiamo essere disponibile su Pc, Xbox One e Ps4, fonda le proprie radici su una campagna per giocatore singolo fortemente caratterizzata dagli eventi che, in questo caso, fanno di nuovo da sfondo al mondo alternativo creato da Sunao Katabuchi. Sono passati circa 9 anni dai fatti descritti in Ace Combat 5 e la pace fra il regno indipendente di Erusea e quello di Osea sembrerebbe procedere senza particolari intoppi.

La crescente intraprendenza di Osea in ambito tecnologico militare e la continua invadenza sulle questioni di Erusea culminato con l’installazione di un ascensore spaziale sul loro territorio, segnerà tuttavia l’inizio di una nuova crisi, che avrà il proprio culmine nell’attacco a sorpresa “dei ribelli” e la conseguente conquista sia dell’ascensore spaziale che di diverse strutture belliche del nemico.

Nel frattempo anche il modo di combattere le guerre è cambiato, visto che in questo caso ad affiancare se non a sostituire la “solita carne da macello” ci sarà anche una nuova categoria di droni (UAV) sviluppati su un IA basata sulle routine di volo di un vecchio asso dell’aviazione.

La campagna single player si divide in 20 adrenaliniche missioni che spiccano per varietà e che danno ben presto filo da torcere ai giocatori. Le vicende narrate in questo settimo capitolo di Ace Combat ruotano attorno al continente Usea e in particolare al già citato International Space Elevator, costruito dalla Federazione Oseana e simbolo di pace. Fortemente voluto dal presidente Vincent Harling, lo scopo di tale struttura è raccogliere l’energia solare dall’atmosfera e trasmetterla sulla terra ferma per aiutare la ricostruzione del macrocontinente Usea, devastato nel 1999 dall’impatto dell’asteroide Ulysses 1994XF04. Forti dell’aiuto dei droni di combattimento, velivoli d’attacco dotati di intelligenza artificiale, le truppe Eruseane insorgono per conquistare lo Space Elevator e da qui tutto il continente di Usea. Trigger, taciturno protagonista di cui i giocatori vestiranno i panni durante il gioco, partecipa ad una serie di missioni per recuperare lo Space Elevator ma in una di queste è vittima di un incidente che lo porta a compiere un crimine gravissimo, o almeno così pensano tutti. Si ritrova dunque confinato suo malgrado nella base 444 e con altri criminali di guerra dovrà riscattarsi dopo l’incidente partecipando a pericolosissime missioni. Il segno distintivo dei reietti della base 444 sono dei graffi sulla coda dell’aero, e Trigger essendo accusato di un delitto gravissimo ne ha ben tre. Col passare del tempo e delle missioni il marchio del disonore che Trigger porta sulla coda diventerà un simbolo distintivo, che lo farà lentamente diventare l’asso più temuto dei cieli di Usea. Grazie a questa trama Ace Combat 7 Skies Unknown riuscirà a tenere incollati i fan più accaniti oltre 20 ore se si gioca alla difficoltà massima. Ma andiamo oltre, per quanto concerne il gamelay, Ace Combat 7 offre diversi tipi di missioni, alcune che traggono ispirazione dai titoli passati, altre del tutto nuove. Di base vi sono sempre due fazioni, quella del giocatore e quella nemica. In alcune missioni è necessario abbattere determinanti obiettivi, in altre distruggere il più possibile dei rifornimenti della fazione avversaria. Non mancano le missioni in cui è vitale proteggere un determinato alleato e quelle in cui bisogna infiltrarsi senza essere visti dai radar nemici.

L’elemento stealth è molto importante in battaglia. Il più grande aiuto in questo senso viene fornito dalle nuvole, in cui ci si può nascondere per pochi istanti, per poi fiondarsi di nuovo all’attacco. Rimanendo molto tempo nelle nubi si rischia di ghiacciare alcune parti del motore, aumentando dunque il pericolo di stallo. Le condizioni meteo delle missioni sono una delle cose più riuscite di Ace Combat 7, l’epicità e la tensione che si vengono a creare durante una battaglia aerea tra i fulmini è qualcosa che emoziona e lascia veramente senza fiato. La visibilità è chiaramente compromessa quando le condizioni meteorologiche sono avverse. Infilarsi in una tempesta di sabbia o in una nuvola temporalesca aumenta vertiginosamente il rischio di schianto improvviso su un ostacolo non visibile.

https://www.youtube.com/embed/wsH9tyeBbT4

Per quanto riguarda
il sistema di combattimento, Bandai Namco ha deciso di snellire quanto visto in
passato per rendere l’esperienza più intuitiva, più arcade e quindi di
conseguenza meno simulativa. L’intelligenza artificiale dei nemici è abbastanza
curata e soprattutto nelle situazioni più caotiche colpire l’aereo nemico non è
affatto cosa semplice. Accumulando ore di volo si iniziano ad intuire le varie
tattiche con cui approcciare il nemico e di conseguenza anche le manovre per
non essere colpiti dai nemici. Quando si viene agganciati dal sistema di
puntamento avversario si viene avvertiti del pericolo e una volta partito il
missile è necessario compiere delle evoluzioni per evitarlo. Ogni aereo ha la
possibilità di montare solitamente due tipi di armi, salvo rare eccezioni
dettate da particolari missioni. L’arma principale standard, dedita a colpire
sia i nemici in volo che quelli sul suolo e l’arma speciale, solitamente
perfezionata in un solo stile di attacco, aria-terra o aria-aria. A dare un ottimo
senso di progressione alla campagna c’è anche la possibilità di investire i
punti esperienza accumulati per sbloccare nuovi aerei e personalizzarli. Un
esteso albero della progressione dà infatti l’opportunità di ottenere caccia
rapidissimi, letali bombardieri, ma anche modifiche per migliorare l’efficacia
dei missili, la manovrabilità dei mezzi o la loro resistenza. Prima di uscire
dall’hangar per affrontare una missione sarà infatti possibile non solo
scegliere l’arma secondaria da utilizzare, ma anche installare diverse
modifiche sulla fusoliera o nell’elettronica del velivolo. In pratica si
compone una sorta di loadout, personalizzato per ogni singolo aereo. Per
sbloccare tutti i mezzi, inoltre, sarà necessario impegnarsi a dovere,
rigiocando le varie missioni oppure dedicandosi ai match online in maniera
seria. I velivoli più potenti costano diverse migliaia di crediti e per poterli
acquistare tutti ci vorranno molte ore di gioco.

https://www.youtube.com/embed/UtjO-rUIahM

Parlando del
comparto multigiocatore online possiamo dire che questo funziona davvero bene.
Esistono due tipi di modalità che si possono scegliere: la Battle Royale e il
Deathmatch a squadre. Nella prima fino a otto velivoli sono chiamati a
scontrarsi in un tutti contro tutti mortale, mentre nella seconda due squadre
di massimo quattro membri ciascuna sono chiamate a confrontarsi tra loro.
Giocando online si comprende davvero la profondità del gameplay, che con pochi
comandi consente di realizzare vere e proprie tattiche di guerra, soprattutto
nella modalità a squadre. Ad esempio facendosi inseguire da un veicolo nemico
si può mettere a segno un assist per un compagno che può approfittare
sull’abbassamento della guardia nemica. Probabilmente l’unica pecca dell’online
risiede proprio nella mancanza di altre modalità, visto che le due presenti,
anche se strutturate egregiamente, risultano essere un po’ pochine. Dal punto
di vista grafico Ace Combat 7 si fa forte dell’Unreal Engine 4, che garantisce
un livello di dettaglio come mai in passato si era visto nella serie, complici
texture in alta definizione ed effetti luminosi di un certo spessore, più un
meteo variabile che conferisce alla visione d’insieme un maggior realismo,
apprezzabili con qualsiasi delle visuali disponibili, sia essa la prima
persona, dall’abitacolo o in terza persona. Notevoli in generale i modelli
degli aerei e la regia di gioco. Ci sono attimi in cui i panorami sono talmente
belli da vedere che ci si può distrarre dall’azione di gioco e la presenza di
un intero replay della missione a fine partita risulta un bellissimo espediente
se si desidera ammirare tutta la maestosità offerta dai panorami e dagli eventi
climatici. Tirando le somme, Bandai Namco con Ace Combat 7 Skies Unknown ha
fatto davvero centro. Diciamo questo perché la casa nipponico è riuscita a
portare sugli schermi un titolo avvincente, bello da vedere, divertente e
adatto sia ai casual gamers che agli hardcore players. I tre livelli di
difficoltà disponibili e la scelta se pilotare i velivoli in maniera
semplificata o realistica rendono infatti l’esperienza di gioco profonda e
davvero appagante. Con questo settimo capitolo la saga di Ace Combat si
arricchisce di un gioiello preziosissimo e credeteci, lasciarselo sfuggire,
specialmente se siete appassionati di aerei da guerra, sarebbe un pessimo
errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Gameplay: 8,5

Sonoro: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Google aggiorna privacy e servizi dal 22 gennaio

Google, a partire da martedì prossimo, 22 gennaio, introdurrà alcune modifiche alla privacy.

Ovviamente queste sono in linea con il nuovo regolamento Ue sulla protezione dei dati personali (Gdpr) entrato in vigore nel maggio scorso. Sarà Google Irlanda, sede del quartier generale europeo del colosso del web, e non più la californiana Google Llc, ad essere titolare del trattamento dei dati, responsabile delle informazioni degli utenti e del rispetto delle leggi vigenti sulla privacy.

La sede irlandese di Big G sarà quindi responsabile dell’osservanza del Gdpr, e dovrà rispondere alle richieste sui dati degli utenti, comprese quelle avanzate dalle forze dell’ordine dell’Unione europea.

La modifica interesserà lo Spazio economico europeo formato da Ue più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. A cambiare saranno poi i termini di servizio. In base alle modifiche, che erano state già anticipate a metà del mese di dicembre, anche i servizi della compagnia di Mountain View saranno erogati da Google Irlanda, dove l’azienda ha il suo quartier generale europeo, e non più dalla Californiana Google Llc. Anche questa modifica riguarderà lo Spazio economico europeo più la Svizzera, e si estenderà a YouTube sia gratis che a pagamento, Drive e Play.

I cambiamenti non altereranno l’esperienza dei fruitori dei servizi di Google, precisa la compagnia. Resterà tutto invariato – si legge in una nota inviata nelle scorse settimane agli utenti – anche per quanto riguarda le impostazioni sulla privacy, la modalità di trattamento dei dati e le finalità del trattamento.

Nel suo post, a firma di Anne Rooney, public policy manager di Google, l’azienda aggiunge: “Stiamo modificando il modo di controllare i dati per facilitare l’impegno con le autorità di protezione dei dati dell’Unione Europea attraverso il One Stop Shop, un meccanismo del GDPR creato per assicurare la coerenza delle decisioni normative riguardanti le aziende e i cittadini europei. È importante sottolineare che queste modifiche non vanno ad alterare in alcun modo il funzionamento dei nostri prodotti o il modo in cui raccogliamo ed elaboriamo i dati degli utenti all’interno dei servizi Google”. In sostanza quindi, per noi utenti cambierà il modo in cui verranno gestiti i nostri dati personali, modifiche amministrative che forniranno una garanzia in più alla nostra sicurezza online ma che non andranno a minare in alcun modo la nostra “user experience”.

F.P.L.




Just Cause 4: azione e adrenalina su pc e console

Arrivata al suo
quarto capitolo dopo più di dieci anni di attività, la serie Just Cause si è
fatta un nome quasi esclusivamente grazie all’incredibile qualità dell’azione
che Avalanche è riuscita ogni volta a imprimere nei titoli del franchise, tra
esplosioni, sparatorie, pericolose acrobazie e scene degne dei migliori action
movie di Hollywood. Anche stavolta, con questo nuovo capitolo per Xbox One, Ps4
e Pc, la software house non si è smentita e ha dato alla sua ultima creazione
lo stesso tocco iperbolico di sempre con l’aggiunta di una marcia in più. Ma
veniamo alla trama, Just Cause 4 è piuttosto semplice per quanto riguarda
l’aspetto narrativo: dopo aver messo a ferro e fuoco diverse regioni del mondo,
rovesciato dittature e molto altro, Rico Rodríguez decide di cercare
informazioni sul proprio padre scomparso, coinvolto suo malgrado in un progetto
segreto capace di controllare gli eventi atmosferici in tutto il mondo. Tale
progetto viene guidato dal leader di una forza militare chiamata Mano Nera, che
controlla al tempo stesso l’intero territorio della regione fittizia chiamata
Solis sotto un regime militare inflessibile, in cui pochi o nessuno sembra
essere intenzionato ad alzare la testa per ribellarsi. Un primo intervento da
parte di Rico innesca un meccanismo di non ritorno pronto ad accendere una vera
e propria rivoluzione, sotto la bandiera del fronte di liberazione chiamato
Armata del Caos. Fantasie sui nomi a parte, da qui ha inizio una sequela di
situazioni strampalate degne di un kolossal di azione, dove gli elementi del
gameplay ormai noto agli appassionati del franchise si fonde abilmente a una
struttura di gioco piena zeppa di cose da fare. Andando a descrivere le
attività più semplici, il gameplay di Just Cause sfrutta gli elementi del
genere action in terza persona, personalizzando per l’occasione gran parte
delle azioni in gioco mediante l’utilizzo del rampino, che può diventare
all’occorrenza un mezzo di trasporto, un modo per avvicinarsi ai nemici e
colpirli con un attacco in mischia, attirare un elicottero e farlo schiantare
su un oggetto (o salirvi sopra) e così via, aggiungendo di nuovo per questo
quarto capitolo alcune feature extra. Una di queste è per esempio il
sollevatore, ovvero un pallone aerostatico che viene attaccato al target del
rampino per farlo sollevare appunto da terra, liberando alcune strade bloccate
oppure per far volare via i nemici che possono essere più fastidiosi. L’altra
funzione del rampino è il riavvolgitore, che può essere sfruttato per aprire
pannelli o porte grazie appunto alla potenzia del rewind del cavo.

L’aspetto divertente
però è che tutte le abilità sopra elencate possono essere combinate tra loro,
creando delle vere e proprie sequenze che sfociano in situazioni incredibili e
paradossali anche solo da pensare e che sono molto lontane dal realismo. Alcuni
dei gadget necessari per compiere le azioni più complesse verranno richiesti
durante lo svolgimento di alcune missioni, ma al di fuori di esse non se ne
sente il bisogno vero e proprio di servirsene, in quanto risulta decisamente
più facile seguire una routine standard e più immediata, che spesso si traduce
nell’utilizzo del rampino basilare, piuttosto che stare a elaborare approcci di
tipo assurdo. Come avrete capito, quindi, la star di questo capitolo è
indiscutibilmente il rampino, che subisce un imponente rework diventando un
vero e proprio strumento creativo in mano al giocatore. Non è più un semplice
gancio con cui muovere Rico, ma lancia ora tre diversi congegni che
interagiscono con il mondo di gioco producendo effetti spettacolari su di esso.
Ciascuno dei tre dispositivi del rampino può essere programmato attraverso una
manciata di opzioni, che ad esempio permettono di aggiustare la potenza del
riavvolgitore o l’altezza del pallone del sollevatore, o ancora la direzione
della spinta dei booster. Si possono applicare fino a 10 ganci simultaneamente,
configurando ognuno di essi perché produca il suo effetto automaticamente, alla
pressione di un tasto o quando questo rimane premuto. Inutile dire che le
combinazioni sono davvero tantissime e che questo sistema metterà alla prova la
creatività dei giocatori più incalliti tenendoli impegnati ore e ore a
sperimentare micidiali combinazioni con il rampino. In Just Cause 4, oltre al
conseguimento delle missioni principali, sarà possibile svolgere anche delle
attività alternative secondarie, che vanno di pari passo al gameplay di stampo
gestionale inserito per portare a termine la rivoluzione dell’armata del caos.
Ma come funziona questo aspetto del gioco? La fase strategica/gestionale è
rappresentata dalla presenza di una mappa generale di Solis che serve a capire
quali territori sono conquistati dal nemico e quali invece sono sotto assedio
per essere liberati. Ogni volta che si porterà a compimento una missione, o si
farà danno alla mano nera, l’esercito accumula dei preziosi punti che servono a
sbloccare un punteggio armata. Questo punteggio serve per conquistare le
regioni limitrofe a quelle già liberate, a patto che però Rico distrugga il
quartier generale della Mano Nera costruito in quella determinata area. Una
volta liberata la base, la zona si sblocca per l’acquisto, regalando anche al
protagonista dei potenziamenti extra da utilizzare nel corso dell’avventura.
Oltre a queste dinamiche più ovvie, il gioco regala anche qualche piccolo sfogo
extra alla ricerca di prove bonus un po’ meno in evidenza, come la distruzione
di alcuni dirigibili.

In Just Cause 4, gli
amanti delle armi saranno molto felici in quanto Rico può contare su un vasto
arsenale composto da circa una quindicina di bocche da fuoco diverse tra fucili
d’assalto, fucili a pompa, lanciarazzi e fucili di precisione e se alcune di
queste sono piuttosto ordinarie, molte sono assolutamente stravaganti e dal
potenziale distruttivo enorme. Insomma, come si evince da quanto scritto, la
carne al fuoco, dal mero punto di vista della quantità, è indubbiamente
parecchia. Soprattutto perché buona parte dell’esperienza è stata confezionata
per essere vissuta facendo semplicemente caos, baccano, seminando morte e
distruzione nelle province dell’isola. Questo aspetto è alimentato dalla
possibilità di richiedere attraverso i rifornimenti qualsiasi tipo di veicolo,
civile o militare, presente nel gioco. Dalle piccole utilitarie ai giganteschi
dirigibili da guerra, dalle fiammanti auto sportive ai caccia ultrasonici,
passando per carri armati, motovedette, risciò cittadini e addirittura aerei di
linea, ciascuno dei veicoli e dei velivoli presenti in Just Cause 4 è
pilotabile è può essere richiesto a piacimento in qualsiasi punto della mappa.
Il catalogo dei rifornimenti è vasto e comprende anche l’arsenale di Rico e
altri oggetti come le postazioni di artiglieria. Per poter utilizzare ogni
giocattolino basterà soltanto completare i requisiti di ciascun pezzo per
poterselo vedere recapitato dopo pochi secondi. Le consegne si sbloccano
liberando specifici territori e man mano che si avanza si ottengono un maggior
numero di piloti e tempi di cooldown sempre minori, il che significa che verso
la fine del gioco si potranno abbinare alle capacità del rampino anche la
potenza di fuoco di mezzi sempre più devastanti. Dal punto di vista tecnico, il
nuovo motore grafico di Avalanche ha un impatto considerevole sul comparto
grafico di Just Cause 4, il migliore dell’intera serie al netto di qualche
scivolone sul livello di dettaglio (troppe texture in bassa risoluzione).
Sorvolando Solís il colpo d’occhio è notevole grazie principalmente all’ottima
qualità dell’acqua e ai convincenti effetti di luce, ed è solo quando si tocca
il terreno che si notano alcuni problemi relativi alle texture, soprattutto
quelle del fogliame. A fare la parte del leone è invece la fisica degli
oggetti, esplicitamente al centro degli sforzi del team di sviluppo e mai così
realistica in un Just Cause. Tirando le somme, con questo quarto capitolo della
serie, Avalanche ha preferito scommettere ancora una volta sul puro gameplay
rispetto al realismo e a una trama dettagliata. Bisogna però ammettere che
nonostante ciò l’esperienza nel complesso porta con se notevoli miglioramenti
in direzione di una maggiore libertà del giocatore in quello che è a tutti gli
effetti un mondo sandbox ricco di spunti. Ciò che secondo noi è un elemento su
cui si poteva lavorare meglio è invece la scarsa varietà delle missioni e un
comparto grafico che non riesce a stupire, almeno nella qualità delle texture.
In ogni caso, Just Cause 4 è un titolo davvero molto divertente, quindi se si è
alla ricerca di un software che riesca a far staccare la spina per qualche
tempo senza doversi preoccupare di trame complesse da seguire o cose da fare
entro tempi limite, Just Cause 4 è il prodotto più indicato in questo periodo.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Nuovi Surface disponibili in prevendita in Italia

I nuovi Surface Pro
6 e Surface Laptop 2, annunciati a ottobre, sono ora in prevendita sul
Microsoft Store e presso i rivenditori selezionati. Inoltre, il nuovo Surface
Studio 2, il device della famiglia Surface più potente di sempre, è per la
prima volta disponibile sul mercato italiano. L’iconico Surface Pro, che ha
decretato il successo della categoria 2 in 1, spinge sull’acceleratore e lavora
il 67% più velocemente grazie ai processori Intel Quad Core di ottava
generazione. Disponibile nell’elegante versione nera, oltre che nel classico
color platino, Surface Pro 6 offre il meglio in termini di portabilità per la
vita digitale di oggi, una connettività sempre affidabile e mobilità senza
eguali, coronati da potenza e prestazioni eccezionali. Il gusto del design e
della realizzazione di Surface Laptop 2, disponibile nella colorazione platino,
è sottolineato dal sapiente accostamento tra il dettaglio raffinato dei
materiali e le linee pulite ed eleganti. Il dispositivo garantisce inoltre il
massimo della produttività, grazie al processore Intel Quad Core di ottava
generazione, alla batteria con autonomia fino a 14,5 ore e alla tastiera più
rapida e silenziosa.

Surface Pro 6 e
Surface Laptop 2 sono disponibili anche nelle configurazioni business, che
offrono feature aggiuntive e ulteriori vantaggi, come: Windows 10 Pro, per una
sicurezza avanzata, semplicità di gestione a livello aziendale e migliori
funzionalità per la produttività. Processore Intel Quad Core di ottava
generazione (8350U) nei modelli i5, che garantisce la migliore performance
possibile. Microsoft Advanced Exchange: un nuovo servizio di garanzia, che
prevede la rapida sostituzione del dispositivo senza costi aggiuntivi. 

Surface Studio,
considerato da molti sinonimo di innovazione e della nascita di una categoria
di prodotti senza precedenti, è progettato al servizio dell’inventiva e
trasforma la postazione di lavoro in una fucina creativa. Con prestazioni
grafiche aumentate del 50%, Surface Studio 2 batte tutti i record di velocità
di casa Surface, con potenza e prestazioni professionali. Il display regolabile
Brilliant PixelSense da 28 pollici trasforma lo schermo in una tela extra large
su cui trasferire le proprie idee. Inoltre, Surface Studio 2 integra sempre il
sistema operativo Windows 10 Pro, che offre il massimo della protezione,
efficaci tool di gestione e maggiore produttività grazie all’app Desktop remoto
e a Cortana.

Surface Pro 6 è disponibile nella versione consumer a partire da 1.069€ e nella configurazione business a partire da 1.169€. Inoltre, acquistando in prevendita sul Microsoft Store il dispositivo nella configurazione consumer, si riceverà in regalo la Surface Pen, per un’esperienza di scrittura naturale e di massima precisione (del valore di 114,99€). Surface Laptop 2 è disponibile a partire da 1.169€ per la versione consumer e 1.369 € per la configurazione business. Le configurazioni consumer con processore Intel Core i7 sono in prevendita in esclusiva sul Microsoft Store. È possibile acquistare in prevendita Surface Studio 2 sul Microsoft Store e presso i rivenditori autorizzati a partire da un prezzo di 4.199€.

F.P.L.




Darksiders 3, l’apocalisse continua con Furia

Dopo il lungo e travagliato percorso della software house che ha ideato la saga, ecco arrivare sulle console di attuale generazione e su Pc Darksiders 3, l’attesissimo nuovo capitolo della serie apocalittica più amata dal grande pubblico. Se in Darksiders il grande protagonista era Guerra, in Darksiders 2 si potevano vestire i panni di suo fratello Morte, stavolta invece i giocatori interpreteranno Furia, definita dai suoi stessi creatori come il più imprevedibile ed enigmatico dei cavalieri dell’apocalisse. A differenza dei fratelli, Furia è una maga e utilizza principalmente armi veloci ed eleganti, elemento questo che rende il gameplay di Darksiders III alquanto diverso da quello visto nei videogiochi precedenti.



Ma veniamo alla trama

Il titolo inizia lì dove la storia si era interrotta nel 2012, con Guerra al cospetto dell’Arso Consiglio che lo accusa di tradimento. Furia, che per sua natura è ambiziosa e desidera ardentemente essere al comando dei cavalieri e riabilitarne il nome, decide di servire ancora una volta il Consiglio e si mette alla ricerca dei Sette Peccati Capitali, entità che mettono a repentaglio il preziosissimo equilibrio tra le forze del Caos e quelle dell’Ordine. La protagonista si dirige quindi sulla Terra, ormai distrutta dalla guerra tra Paradiso e Inferno, alla ricerca di Invidia, Ira, Avarizia, Accidia, Lussuria, Gola e Superbia, nascosti ciascuno agli angoli di un mondo di gioco vasto, denso di pericoli e perfettamente interconnesso. Dopo le avventure di Guerra e Morte era da anni che gli appassionati aspettavano d’interpretare un nuovo cavaliere dell’apocalisse, e Furia, durante le nostre prove, ha saputo conquistarci a partire dalla prima cutscene.

La protagonista infatti è carismatica, tagliente e ironica, un carattere quasi all’opposto di quelli dei suoi fratelli che spesso impersonano il ruolo dell’eroe maledetto.

In Darksiders 3 non solo la protagonista è molto ben caratterizzata, ma una volta in suo controllo viene subito fuori come il team di Gunfire Games abbia voluto confezionare un’esperienza di gioco davvero diversa dalle precedenti senza però stravolgere le dinamiche e i lati positivi che hanno reso famoso il brand. Darksiders 3 si distacca dal secondo episodio tanto quanto questo si allontanava dal primo, e se l’epopea di Guerra era una fusione tra Zelda e un action hack ‘n’ slash, e quella di Morte un misto tra l’epopea di Link, GDR loot based, e i Prince of Persia 3D, il nuovo capitolo della serie decide di mischiare ulteriormente le carte unendo sposando un cammino che strizza l’occhio ai Souls-like, quindi alla moda e in linea coi tempi. Si tratta di una scelta quantomai sensata, visto che la storia di Furia è un altro prequel di sorta, che si svolge nel bel mezzo del primo capitolo (subito dopo la cattura di Guerra per l’esattezza) e si limita a chiarire alcuni fattori della narrativa di fondo, senza andare a stravolgere gli avvenimenti degli altri giochi.

Evitare una struttura eccessivamente dispersiva in favore di una mappa interconnessa è una scelta perfettamente adeguata per un simile pezzo del puzzle; la natura del gioco non significa però che manchi una trama di fondo discretamente interessante: Furia è forse la più “umana” dei cavalieri, e l’intera avventura è una sorta di “arco del personaggio” che la vede superare a suo modo un’iniziale tendenza alla megalomania e alla rabbia ingiustificata. Non si tratta certo di una campagna straordinaria dal punto di vista narrativo, ci teniamo a precisarlo, eppure è piacevole osservare lo sviluppo di una protagonista imperfetta al punto da risultare antipatica durante le prime battute, e tentare di carpire ogni segreto riguardante il complesso background su cui il titolo poggia.

Non è solo la caratterizzazione della protagonista a risultare davvero ben fatta, ma anche l’evoluzione e il ruolo che i vari protagonisti dei capitoli hanno ricoperto nel corso degli anni: se Guerra era il condottiero tutto armatura e forza fisica, dunque, e Morte l’agile assassino, Furia veste gli abiti della maga, e quindi è il personaggio inizialmente più svantaggiato che avanzando ottiene però le abilità più potenti e variegate all’interno della squadra di avventurieri.

In Darksiders 3 si ha in pratica per le mani una combattente inizialmente molto limitata, armata solo di frusta e combinazioni molto semplici, che acquisisce gradualmente poteri estremamente interessanti, capaci di variare notevolmente il gameplay.

Queste capacità si chiamano Hollow, poteri elementali che una volta acquisiti le permettono di utilizzare armi secondarie dedicate, magie che sfruttano una speciale Barra della Collera, ovviamente ricaricabile a forza di nemici uccisi, e abilità di navigazione ben realizzate senza le quali non è possibile gironzolare liberamente per l’estesa mappa del mondo.

La capacità di Furia di cambiare elemento e di sferrare colpi in base alle armi fornite da esso non è il fulcro del combattimento, perché se si va ad analizzare nel dettaglio la sua lista di abilità, si scopre un sistema complessivamente più limitato rispetto a quello più action dei predecessori. Ciò che rende le battaglie di Darksiders III sensibilmente superiori a quelle viste in passato è una netta impennata della curva di difficoltà. La varietà di avversari trovata nel gioco, poi, è impressionante, così come notevoli sono la loro agilità e il numero di attacchi con cui possono colpire Furia di sorpresa. La tendenza Souls-like inserita nel titolo ha perciò influenzato nel profondo lo sviluppo, ad esempio i danni inflitti dagli avversari sono abbastanza importanti da rendere le morti improvvise un’eventualità tutt’altro che sottovalutabile.

Diversamente da quanto visto in passato, poi, non è possibile poter semplicemente travolgere orde di avversari grazie alla potenza degli attacchi: schivare, contrattaccare e memorizzare attentamente i pattern è un obbligo per non diventare carne da macello. Nel corso dell’avventura si potranno incontrare gli esponenti di un vasto bestiario che comprende angeli, demoni, non morti e altre creature, tutti in grado di azzerare la salute di Furia con una manciata di fendenti.

L’intensa letalità dei nemici svela quindi la natura profondamente tecnica del gameplay dove è nettamente preferibile cercare di dividere i gruppi di creature avversarie, affrontandoli uno a uno grazie al blocco della visuale che permette a Furia di concentrarsi sui singoli avversari e di schivare i loro attacchi più efficacemente. Il fluido alternarsi di schivate e combo caratterizza l’intero combat system di Darksiders III, che una volta padroneggiato dona moltissime soddisfazioni tanto ai videogiocatori più tecnici quanto ai neofiti.

Come vi abbiamo accennato qualche riga più in alto, Furia possiede il potere d’imbrigliare gli elementi per scagliarli contro tutti i nemici che le si pareranno dinanzi, ma essi non saranno disponibili da subito. Nel corso dell’avventura un misterioso e criptico alleato della protagonista le dona la capacità di assumere quattro forme (del Fuoco, della Tempesta, della Forza e della Stasi), ognuna delle quali capace di modificare l’aspetto di Furia e di farla accedere a pagine e pagine di inedite combo che rimpolpano un sistema di combattimento che altrimenti, alla lunga, sarebbe potuto diventare monotono.

A disposizione del giocatore ci sono anche due attacchi speciali che man mano che si aumenterà di livello diventeranno sempre più potenti, stiamo parlando della Collera e della forma del Caos. Entrambi dipendono da indicatori posti nella parte superiore sinistra dell’interfaccia, caricati uccidendo i nemici o consumando specifici oggetti. Utilizzando la Collera, Furia sprigiona singoli attacchi influenzati dal tipo di forma che assume, mentre il Caos la trasforma in un demone che libera una mostruosa furia distruttrice in grado di sgombrare in qualche secondo il campo da qualsiasi creatura si trovi nei paraggi.

Le forme concedono inoltre nuove abilità con le quali accedere ad aree inizialmente non accessibili del mondo di gioco, espandendo ulteriormente le possibilità d’esplorazione di Furia. La Forma del Fuoco sblocca il doppio salto, mentre quella della Tempesta il potere di planare da una sporgenza. La forma della Forza permette di aderire a particolari superfici verticali, e infine la forma della Stasi fa camminare Furia sull’acqua. Le forme sono spesso coinvolte nella risoluzione dei numerosi rompicapo che spezzano al momento giusto la frenesia dei combattimenti. Trattasi perlopiù di puzzle ambientali mai troppo complicati, ma che comunque donano al titolo un’ottima varietà. Senza lo stratagemma delle forme e delle loro speciali abilità, i Sette Peccati Capitali sarebbero stati raggiungibili fin dall’inizio di Darksiders III rovinando il senso di progressione che invece si respira addentrandosi nelle numerose aree che compongono l’ambientazione.

Nella sua struttura il mondo assomiglia a quello di Dark Souls, con un’area centrale dalla quale si diramano i percorsi verso i boss. Come in passato, i checkpoint sono gestiti anche in questo capitolo da Vulgrim, il mercante di anime attraverso cui livellare gli attributi di Furia in cambio delle anime raccolte. L’albero delle abilità di Morte visto in Darksiders II lascia spazio qui a tre semplici caratteristiche, ossia Salute, Forza e Arcano. La prima, banalmente, influisce sul numero degli HP della protagonista, mentre Forza e Arcano regolano rispettivamente la quantità di danni che si infliggono con gli Uncini del Disprezzo (la frusta di Furia) e con le armi speciali delle forme elementali. Uccidendo i nemici si ottengono anime, che Vulgrim accetterà volentieri in cambio di punti attributo da spendere in una delle tre statistiche. Ma Vulgrim non è l’unica vecchia conoscenza per i veterani della saga. Si potrà infatti incontrare il Creatore Ulthane al centro del mondo di gioco, dove gestisce una piccola colonia di umani, il quale accetterà di migliorare l’equipaggiamento di Furia in cambio della promessa di soccorrere eventuali sopravvissuti incontrati nel suo cammino. Potenziare gli Uncini e le armi delle forme sarà cruciale per sopravvivere ad avversarsi sempre più pericolosi e agli scontri con i Peccati, quindi esplorare con cura l’ambientazione alla ricerca dei materiali per il crafting non è solo un’opzione, ma una vera necessità.

Graficamente parlando, Darksiders III non è certo il titolo più avanzato dell’anno, ma è la sua precisa identità a far passare in secondo piano certe limitazioni e qualche bug secondario che forse poteva essere risparmiato.

Nel complesso comunque le ambientazioni ricalcano, giustamente, quelle viste nei precedenti capitoli, sono ben curate e sono molto gradevoli nel complesso. A questo se si aggiunge che la fluidità d’azione è davvero squisita, possiamo dire che dal lato grafico/tecnico Darksiders 3 si difende bene. Buoni anche gli effetti sonori e le musiche che accompagneranno i giocatori lungo tutta l’avventura che, se giocata ai livelli di difficoltà più alti può aumentare la durata del titolo davvero di parecchie ore. Tirando le somme, questo terzo capitolo della saga rappresenta senza dubbio una vera gioia per i fan, ed essendo comunque un prequel dei precedenti capitoli può essere un buon punto d’inizio anche per chi non ha mai giocato alla saga. Crediamo che per gli amanti delle sfide e dei videogame in single player Darksiders 3, nonostante non sia il miglior titolo del mondo, può rappresentare un’ottima sfida per mettersi alla prova e per godere di ore ed ore di sano divertimento.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 8
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise