PERCHÈ LEONARDO GALLITELLI È ANCORA AL COMANDO DELL'ARMA DEI CARABINIERI?

di Luca Marco Comellini 

“Secondo quanto stabilito dal decreto legge n. 90 sulla riforma della Pubblica Amministrazione i militari che alla data del 31 ottobre 2014 si trovano in servizio pur avendo superato i limiti di età per il collocamento a riposo devono essere posti in congedo assoluto.

Tuttavia nella Difesa continuano a fare finta di nulla e tacciono nella speranza che la questione passi inosservata.

Non passa inosservato il generale Leonardo Gallitelli che ha abbondantemente superato il sessantacinquesimo anno di età e secondo la norma non dovrebbe essere più il Comandante Generale dell'Arma dei carabinieri. Eppure il generale resta incollato al suo posto di comando, come le sue foto che sono ancora in bella vista in ogni caserma e stazione d'Italia accanto a quelle del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.

Perché mentre mentre nei confronti del vice capo della Polizia di Stato Francesco Cirillo la legge è stata puntualmente e rigorosamente applicata ed è stato collocato in pensione definitivamente nei confronti dei militari si fa finta di nulla?

È Possibile che nel Paese che vuole Renzi ci debbano essere delle sacche di privilegiati e intoccabili?"




NEMI: CIMITERO A SECCO PER OGNISSANTI – CINZIA COCCHI DENUNCIA IL DISSERVIZIO

Redazione

Nemi – Primo novembre 2014 ore 12 non c'è acqua a sufficienza nel cimitero di Nemi il giorno della commemorazione di Ognissanti. A registrare personalmente questo disservizio è il consigliere comunale di Insieme per Nemi Cinzia Cocchi, "purtroppo devo rilevare che oggi si è verificato un grave disservizio – dice Cocchi – a causa della carenza d'acqua al cimetero: i recipienti riempiti alla buona di fatto contengono acqua stagnante e le lamentele sono state molte". Infatti Cinzia Cocchi fa sapere che i diversi visitatori che alle 12 si trovavano al camposanto di Nemi, soprattutto persone venute da fuori il paese, hanno avuto a che lamentarsi di questo disservizio che in un occasione come quella di Ognissanti che precede alla giornata dei defunti andrebbe sicuramente evitato, "dispiace constatare – conclude Cocchi – che sia stata da parte dell'amministrazione comunale poca attenzione a questa ricorrenza che sicuramente merita monitoraggio e servizi tanto quanto altre feste di piazza che vengono organizzate nel corso dell'anno. Parliamo di carenza d'acqua in un cimitero con tutti i fiori freschi che i visitatori portano ai loro cari defunti soprattutto in queste due giornate a loro dedicate. Purtroppo spiace evidenziare che si tratta di una problematica non affatto occasionale bensì di una criticità che ormai si ripete già da due anni". La mancanza d'acqua è inoltre un problema più volte segnalato dagli stessi cittadini all'amministrazione e di fatto ancora non risolto. 




UDINE: PARTITO COLPO DI PISTOLA, COLLEZIONISTA 39ENNE IN FIN DI VITA

Redazione

Udine – Un operaio udinese, L.M. di 39 anni, e' stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine per una ferita alla testa causata da una pistola semiautomatica calibro 9. Il fatto e' accaduto all'alba e la dinamica e' ancora al vaglio dei carabinieri della Compagnia di Udine. Il colpo pare sia partito in maniera accidentale da una delle armi da collezione che l'uomo ha in casa mentre le mostrava a un'amica.
  E' stata la stessa donna a chiamare i soccorsi. L'uomo e' in gravissime condizioni. Il fatto e' stato subito segnalato alla Procura




ESQUILINO: PORTIERE DI UN ALBERGO RAPINATO E STUPRATO DA QUATTRO GIOVANI

Redazione

Un uomo, portiere in un albergo della Capitale, e' stato rapinato e costretto ad avere rapporti sessuali da quattro giovani che, individuati dalla polizia, sono stati denunciati per estorsione e violenza sessuale di gruppo. Il fatto risale al 20 ottobre scorso quando alle tre di notte, 4 giovani hanno suonato al portone di un hotel in zona Esquilino e sono entrati. Il portiere attraverso le telecamere, ha visto il gruppo avvicinarsi all'ingresso e li ha fatti entrare. I quattro hanno iniziato a minacciarlo e a spintonarlo fino al ripostiglio, dove tre di questi si sono abbassati i pantaloni ed il quarto ha iniziato a riprendere la scena con il telefono cellulare. La vittima e'stata costretta a compiere atti sessuali verso due degli aggressori. La situazione e' pero' degenerata fino a quando il gruppo dei giovani ha iniziato a picchiare il portiere. Successivamente i ragazzi, dopo essersi rivestiti hanno costretto la vittima a consegnarli venti euro e hanno rubato l'incasso di circa 400 euro. Prima di lasciare l'Hotel, il gruppo ha minacciato la vittima dicendo che avrebbe messo le immagini sui social network nel caso avesse avvisato la polizia. L'uomo pero', coraggiosamente, si e' presentato negli uffici del Commissariato Esquilino ed ha denunciato quanto accaduto. Grazie alla visione delle videocamere presente nell'hotel, gli investigatori del Commissariato sono riusciti a stabilire che due dei giovani erano dell'est Europa mentre gli altri due di nazionalita' italiana e con chiaro accento romano.
  Le indagini effettuate nei giorni seguenti hanno permesso di rintracciare tutti e quattro gli aggressori. Denunciati all'autorita' giudiziaria, dovranno rispondere di estorsione e violenza sessuale di gruppo




SARDEGNA: BIDELLE ROM, 40 GENITORI IN PROTESTA

Redazione

Cagliari – Nella scuola lavorano due bidelle rom e i genitori degli alunni si ribellano: "I nostri bambini non frequenteranno mai istituti dove lavorano due che provengono da un campo nomadi", hanno protestato indignate una quarantina di mamme. Succede a Monserrato, centro di 22mila abitanti limitrofo a Cagliari, dove decine di cittadini si sono rivolti al sindaco Gianni Argiolas per chiedere spiegazioni contestando la presenza delle due donne anche perche' "non era inserita nel Piano di offerta formativa…". Il caso, riportato dal quotidiano L'Unione Sarda, vede come protagoniste Vasvja Severovic – vedova con sei figli, fotografata sorridente affianco a una lavagna – e l'amica Sena Halilovic. Le due donne sono state inserite in un progetto di formazione professionale e integrazione finanziato con risorse europee ottenute dalla Fondazione Anna Ruggiu che le ha proposte al Comune per un percorso di lavorativo per l'inserimento sociale. "Essendo al corrente delle carenze di organico nelle scuole elementari e medie", ha spiegato all'Agi il primo cittadino di Monserrato, "ho chiesto al preside di far lavorare le due donne per un mese. Ma oltre che nelle scuole, verranno impiegate in altri settori dell'amministrazione per far conoscere loro il mondo del lavoro ai fini della loro integrazione". Contro questa scelta si sono schierate decine di mamme, solo una minoranza delle quali – ha voluto sottolineare il primo cittadino – hanno riproposto i peggiori stereotipi razzisti: "Non le vogliamo perche' sono sporche, puzzano, fanno paura ai bambini e si vestono in modo strano con quelle gonne lunghe…". Il sindaco assicura che si tratta di pochi casi che, pero', "vanno sicuramente condannati". Nel frattempo il progetto – che coinvolge anche il centro limitrofo di Selargius dove viene ospitato un altro campo rom – va avanti cosi' come le due donne nonostante lo sconcerto: "Rubare ovviamente non si puo', chiedere l'elemosina non sta bene e se lavoriamo e' ancora peggio", commenta sconsolata Vasvja Severovic rivolgendosi alla giornalista del quotidiano di Cagliari che l'ha intervistata.




FARA SABINA: MENTRE SI TROVA AI DOMICILIARI TENTA DI VIOLENTARE LA CUGINA

Redazione

Fara Sabina – fraz. Passo Corese (RI) – Le urla provenienti dalla casa, hanno allertato i vicini che hanno subito chiamato il 112.

I carabinieri della stazione di passo corese, si sono precipitati  in quell’appartamento ove dimora agli arresti domiciliari, un trentanovenne rumeno, C. S. le sue iniziali.

l’uomo era stato arrestato dagli stessi carabinieri, venti giorni fa per i reati di lesioni personali, sequestro di persona e tentata rapina, allorquando con una sua concittadina, aveva attirato in casa con l’inganno, un loro conoscente con il tentativo di estorcergli del denaro.

C. S. dopo aver trascorso una settimana in carcere, era stato ammesso al regime degli arresti domiciliari, ma la sua indole violenta, e’ tornata a galla.

Di fronte ai carabinieri giunti sul posto, l’uomo era in preda ad uno stato di agitazione psicofisica. in effetti, poco prima, dopo essere entrato nella camera da letto della cugina, ha tentato di violentarla. E ci sarebbe riuscito se lei non fosse riuscita a divincolarsi dalla presa dell’aggressore e non avesse iniziato a gridare attirando l’attenzione dei vicini.

L’uomo, con l’accusa di tentata violenza sessuale, e’ tornato nuovamente ad occupare una cella della casa circondarle di Rieti.

La donna invece e’ dovuta ricorrere alle cure della guardia medica di Passo Corese, cavandosela con cinque giorni di prognosi per delle ecchimosi ai polsi.




DOLCI DEI MORTI: QUANTI SONO GLI ITALIANI CHE LI PREPARANO?

Redazione

Dalle favette al pane fino alle "ossa dei morti" ma anche fanfullicche, stinchetti e zaleti sono solo alcuni dei dolci preparati lungo tutta la Penisola in occasione del giorno dedicato alla commemorazione dei defunti che quest'anno registra un inaspettato ritorno del fai da te casalingo sotto la spinta della crisi ma anche della riscoperta del gusto di passare piu' tempo in cucina nel tempo libero.. E' quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che ben 4 famiglie su 10 si preparano torte e biscotti casalinghi soprattutto in occasione di ricorrenze speciali. Lo dimostra – sottolinea la Coldiretti – il boom dei dolci dei morti preparati in famiglia da donare a parenti e amici, ma anche per allietare le nuove occasioni di festa legate a tradizioni importate di recente come quelle di Halloween, con il rito di bussare nelle case del quartiere per porre il classico quesito "dolcetto o scherzetto".
  Non siamo ancora di fronte alle popolari gare di dolci delle mamme americane ma non c'e' dubbio – precisa la Coldiretti – che l'abilita' ai fornelli e' tornata ad essere un valore aggiunto nella societa', anche sotto il pressing dei figli, come non avveniva da decenni. Una occasione per divertirsi risparmiando con i prezzi dei dolci dei morti che in pasticceria possono raggiungere anche i 45 euro al chilo. In Lombardia il "pane dei morti" si puo' acquistare ad un prezzo variabile tra i 18,50 e i 30 euro/kg mentre gli "ossicini dei morti" sono quotati attorno ai 25 euro/kg e le fave dei morti tra i 18 e i 20 euro/kg mentre in Veneto la pasticceria legata alle festivita' dei santi costa dai 10 ai 12 euro al chilo. in Umbria si possono acquistare fave dei morti al prezzo di 20-22 euro/kg come in Abruzzo mentre in Sicilia che e' la patria di questa tradizione si vendono biscotti dei morti in un "misto siciliano" che costa 10 euro kg ma sono tradizionali del periodo anche i dolci di martorana (frutta realizzata con pasta di mandorle) che si puo' acquistare attorno ai 20 euro/kg ma che arriva anche a 45 euro/kg nei bar e nelle pasticcerie piu' esclusive. I dolci dei morti – ricorda la Coldiretti – vengono preparati per tradizione per il giorno di commemorazione dei defunti, istituito dalla Chiesa Cattolica nel 610 d.C. e rappresentano simbolicamente l'offerta dei vivi ai morti che, secondo la tradizione cristiana e precristiana, ritornano sulla Terra nelle proprie case durante la notte tra il 1 e il 2 novembre. Anche se le differenze possono essere rilevanti gli ingredienti di base sono costituiti – precisa la Coldiretti – da farina, uova, zucchero che possono essere arricchiti anche con frutta secca o candita, marmellata e talvolta anche cioccolato. I dolci dei morti variano infatti da regione a regione ma mantengono tutte inalterato lo spirito di semplicita' dell'evento che si va a celebrare. I dolci piu' comuni e diffusi nel territorio italiano – segnala la Coldiretti – sono le fave dei morti, le ossa dei morti e il pane dei morti, ma esistono anche altre preparazioni meno diffuse o comunque piu' prettamente legate alle usanze regionali. In Sicilia, nel "cannistru", la tipica composizione tradizionale che si realizza durante la festa dei morti vengono messi – informa la Coldiretti – dei panini dolci a forma di mani intrecciate chiamati, appunto, le mani, si preparano le dita di apostolo, dolci di marzapane a forma di dita, i pupi di zucchero, statuette di zucchero, farina, albume e acqua di chiodi di garofano che rappresentano gli antenati della famiglia, e la frutta di martorana, fatta in marzapane.
  In Puglia si cucinano le fanfullicche, bastoncini di zucchero di forma attorcigliata e la colva (in dialetto la cicecuotte), dolce fatto con grano, uva sultanina, mandorle e zucchero. In Campania e' tradizione preparare il torrone dei morti, a base di cacao, nocciole e frutta candita. In Umbria, invece, si consumano gli stinchetti dei morti, dolcetti fatti con albume, mandorle, zucchero e cacao. Le "fave da morto", "fave dei morti" o "fave dolci", pasticcini alla mandorla, di forma ovoidale e schiacciata, cosparsi di zucchero a velo con l'aspetto di un amaretto, ma di consistenza maggiore le troviamo in Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche ed Umbria, mentre differenti, seppur sempre a base di mandorla, sono le "favette dei morti", presenti un po' in tutto il Nord-est, ma soprattutto in Veneto e in Friuli dove sono di tre colori (panna, marroni e rosa) e variano dal croccante al morbido (favette triestine). Per la ricorrenza dei morti in Veneto si usano le fave e il mandorlato ma anche i biscotti secchi a base di farina di mais come i "zaleti". Infine – conclude la Coldiretti – le "ossa di morto" si trovano in Piemonte e in Lombardia sotto forma di biscotti di consistenza dura, con mandorle ed albume d'uovo, in Emilia-Romagna, (tipici di Parma) fatte di pastafrolla, ricoperta di glassa di zucchero o cioccolato, in Veneto dalla forma oblunga e in Toscana (tipiche del Senese) di consistenza friabile e di forma rotonda, impastati con le mandorle tritate.




ISERNIA: SICUREZZA SUL LAVORO, 18 DENUNCE DEI CARABINIERI

Redazione

Isernia – Nel corso di una costante attivita' di monitoraggio predisposta per tutelare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro e contrastare il fenomeno dello sfruttamento di lavoratori in nero, una task force dei reparti territoriali del comando provinciale carabinieri di Isernia, del nucleo ispettorato del lavoro dell'arma e personale della direzione territoriale del lavoro, hanno passato al setaccio numerosi cantieri edili e altre attivita' imprenditoriali e commerciali tra Isernia, Venafro, Agnone e comuni limitrofi. Diciotto sono state le persone denunciate alla competente autorita' giudiziaria per inosservanza alle norme previste per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e sulla regolarita' occupazionale dei lavoratori.

  Si tratta di un 50enne di Gallo Matese in provincia di Caserta, un 45enne di Cassino in provincia di Frosinone, un 35enne di Frosolone, un 53enne di Agnone, un 60enne di Campobasso, un 54enne, un 28enne e un 35enne di Venafro, un 48enne di Marano di Napoli, un 49enne ed un 59enne di Villa Literno in provincia di Caserta, un 38enne di Pontecorvo in provincia di Frosinone, un 29enne e un 28enne di Isernia, un 48enne ed un 26enne di Brusciano in provincia di Napoli, un 55enne di Castelpetroso e un 38enne di Caserta. Nel corso dei controlli sono state riscontrate numerose violazioni quali la mancata presenza di adeguate impalcature o ponteggi, la mancata presenza di idonee protezioni atte ad evitare la caduta dei lavoratori, la presenza di materiali vari posizionati in maniera disordinata in modo da intralciare il passaggio con elevato pericolo per i lavoratori, gravi carenze relative ai livelli di sicurezza degli impianti elettrici, la mancata presenza di idonei dispositivi di protezione individuale e la non corretta o mancata redazione di tutta la documentazione prevista dal piano operativo di sicurezza del cantiere, nonche' assenza delle prescritte autorizzazioni della Direzione Territoriale del Lavoro. Durante le ispezioni, si e' proceduto anche alla identificazione di quattro lavoratori in nero, per i quali sono state contestate relative sanzioni amministrative a carico dei datori.




MORTE STEFANO CUCCHI: TUTTI ASSOLTI!

Redazione

Roma – Nessuno ha ucciso o provocato in qualche modo la morte di Stefano Cucchi, il trentunenne romano con problemi di droga e anoressia, arrestato la notte del 15 ottobre del 2009 e deceduto dopo una settimana nel reparto di medicina dell'ospedale 'Sandro Pertini'. Lo ha sentenziato oggi la prima Corte d'assise d'appello di Roma, presieduta da Mario Lucio D'Andria, che ha assolto tutti gli imputati. Non ci sono colpevoli perche' non ci sono prove a sufficienza per confermare la sentenza che invece in primo grado, il 5 giugno 2013, aveva visto condannati cinque medici, mentre gia' allora erano stati assolti tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria. La formula assolutoria generale di oggi recita "perche' il fatto non sussiste", ai sensi dell'articolo 530, secondo comma del codice di procedura penale, che richiama la vecchia formula dell'insufficienza di prove. E cosi' sono assolti dall'imputazione Aldo Fierro, il primario del reparto detenuti del 'Pertini', condannato invece a due anni in primo grado; i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Silvia Di Carlo e Luigi De Marchis Preite, che in primo grado erano stati condannati a un anno e quattro mesi ciascuno. Assolto anche il medico Rosita Caponnetti, che era stata condannata a 8 mesi.
  Confermata la sentenza assolutoria di primo grado per gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, come pure per i tre infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Le motivazioni della sentenza di oggi saranno depositate tra novanta giorni. "Non ci arrenderemo mai finche' non avremo giustizia", la prima dichiarazione di Giovanni e Rita Calore, i genitori di Stefano Cucchi, i quali sono scoppiati in lacrime dopo la lettura della sentenza di appello che ha assolto tutti gli imputati. "Allora per quale motivo e' morto Stefano? – ha detto il padre – Era sano, non e' possibile quello che e' successo". E Ilaria Cucchi ha commentato a sua volta "mio fratello Stefano e' morto di giustizia, una giustizia che e' malata. La giustizia ha ucciso Stefano, e' morto cinque anni fa in questo stesso tribunale dove in un'udienza direttissima dei magistrati non hanno visto le sue condizioni, quelle di un ragazzo che dopo sei giorni si e' spento tra dolori atroci solo come un cane. Aspetteremo le motivazioni – ha aggiunto Ilaria – andro' avanti non mi faro' fermare e continuero' a pretendere giustizia". La nuda cronaca della vicenda dice che pochi giorni dopo la morte di Stefano, i genitori diffusero le foto shock del suo cadavere, scattate in obitorio. Erano ben visibili, oltre alla magrezza scheletrica (Cucchi pesava 43 kg al momento della morte), delle lesioni diffuse la cui origine non e' mai stata del tutto chiarita. Il volto era tumefatto: una maschera violacea attorno agli occhi, uno dei quali schiacciato nell'orbita, un ematoma bluastro sulla palpebra e la mandibola spezzata. E poi la schiena, fratturata all'altezza del coccige.
  L'inchiesta avviata dalla Procura diede il via ad un lunghissimo processo, iniziato con il rinvio a giudizio dei dodici imputati (gennaio 2011). Da allora, 45 udienze, 120 testimoni sentiti, decine di consulenti tecnici nominati da accusa, parti civili, difesa, e anche una maxi-perizia disposta dalla stessa Corte. Fino alla sentenza di primo grado con condanne ed assoluzioni. In primo grado, per la III Corte d'assise Cucchi non fu picchiato nelle celle di sicurezza del tribunale, ma mori' in ospedale per malnutrizione e l'attivita' dei medici fu segnata da omissione e noncuranza. Le pene comminate furono pero' molto inferiori alle richieste dell'accusa: un anno e quattro mesi per i quattro medici accusati di abbandono di persona incapace, favoreggiamento e omissione di referto. Le richieste, per tutti e quattro, superavano i cinque anni di detenzione. Per il quinto condannto all'epoca – otto mesi per falso e abuso di ufficio – la richiesta iniziale era di due anni di reclusione. Dopo il primo grado, il procuratore generale Mario Remus chiese la revisione della sentenza, continuando a sostenere la tesi della morte per pestaggio e poi per abbandono in ospedale. Prima della riapertura del processo, fu anche disposto un maxi-risarcimento di un milione e 340mila euro alla famiglia Cucchi da parte dell'ospedale Pertini. La famiglia Cucchi annuncia ancora battaglia: la prossima tappa dovrebbe essere il ricorso in Cassazione




ELENA CESTE: I GENITORI DI ELENA CON LA FIDUCIA "SOSPESA" NEI CONFRONTI DEL GENERO

di Angelo Parca

Costigliole D'Asti – Adesso è comprensibile da quel famoso 18 ottobre tutto è cambiato, i genitori di Elena sono venuti a sapere che la loro figlia non è scomparsa nel nulla ma probabilmente è stata uccisa. Lei non ha abbandonato quattro figli perché stanca del suo matrimonio, ne l’hanno rapita e neppure ha perso la memoria ed è in giro chissà dove. Il cadavere della povera Elena Ceste era a circa 800 metri da casa sua.

Sino a pochi giorni fa avevano «totale fiducia» nel genero, padre dei quattro figli rimasti orfani della mamma, oggi il giudizio è come sospeso, in attesa degli esiti ufficiali e definitivi dell’inchiesta coordinata dal pm di Asti Laura Deodato e affidata ai carabinieri. Lo spiegano i legali di fiducia, Carlo Tabbia e Debora Abate Zaro che hanno convocato, per ragioni di spazio, una conferenza stampa nel cortile del condominio torinese dove hanno lo studio: «Non sappiamo nulla della direzione che hanno preso le indagini in queste ultime ore, i genitori e gli altri familiari si stanno confrontando con un lutto imprevisto; loro avevano sperato sino all’ultimo in un finale diverso, cioè in un ritorno di Elena a casa. Ora devono confrontarsi con un quadro profondamente diverso, con una morte avvenuta in circostanze ancora da chiarire». Con tutta probabilità, un omicidio.




IGNAZIO MARINO, ATAC: I CONTI NON TORNANO

Redazione

Roma – Questa mattina il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha consegnato al procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, una memoria che ricostruisce la vicenda del lodo arbitrale tra Atac S.p.A., l’azienda municipalizzata dei trasporti di Roma Capitale, e Tevere Tpl (ora Roma Tpl), azienda consortile vincitrice di un bando del 2005 per l’affidamento per tre anni della rete periferica di trasporto urbano su gomma. Marino, accompagnato dall’Assessore ai Trasporti e alla Mobilità Guido Improta, ha sottoposto a Pignatone alcuni quesiti. In particolare, l’attuale amministrazione non si spiega perché precedentemente non sia stata mai contestata la legittimità del ricorso al lodo. Né perché la giunta guidata da Gianni Alemanno non abbia operato per ridurre i rischi economici per Atac.

Il lodo arbitrale risale al 2009, al termine del triennio di contratto, per iniziativa della Tevere Tpl che, sulla scorta della clausola compromissoria nel capitolato tecnico, ma non nel contratto, rivendicava l’applicabilità del meccanismo della revisione dei prezzi e il pagamento di un maggiore corrispettivo. Il collegio arbitrale, costituito nel febbraio del 2009 con gli avvocati Stefano Vinti per Tevere Tpl, Federico Tedeschini per Atac S.p.A. e Vincenzo Nunziata come presidente ha deliberato il 23 novembre 2009, con l’accoglimento di tutte le richieste di Tevere Tpl e la conseguente determinazione delle somme da corrisponderle, per un totale di oltre 68 milioni, al netto della rivalutazione. Atac S.p.A. ha promosso l’impugnativa del lodo, senza tuttavia contestarne mai la legittimità, ma la Corte d’Appello l’ha rigettata lo scorso 31 gennaio 2014. Nel frattempo, per effetto delle voci accessorie e degli interessi, la somma è lievitata fino a 115 milioni di euro. Nonostante la bocciatura della Corte d’Appello, questa amministrazione ha impugnato la sentenza davanti alla Corte di Cassazione, che deve ancora fissare l’udienza, sul presupposto dell’inesistenza sin dall’inizio del compromesso arbitrale e del relativo lodo, richiamando il contratto stipulato tra le parti secondo cui a decidere delle controversie sarebbe dovuto essere il Foro di Roma.

“Ho deciso di consegnare al procuratore capo una memoria – commenta il sindaco di Roma – per metterlo al corrente dell’intera vicenda e manifestargli le nostre riflessioni. Riteniamo, infatti, che l’azione che stiamo conducendo noi ora a difesa delle risorse pubbliche dovesse essere intrapresa dall’amministrazione precedente, che invece per qualche motivo che noi non conosciamo non ha ritenuto opportuno avviarle. Noi – aggiunge Marino – riteniamo che le richieste della controparte non siano congrue. Ma soprattutto non capiamo perché non solo la precedente amministrazione non si sia opportunamente attivata per contestare il lodo, ma non si sia attivata neppure per scrivere nel bilancio comunale le risorse necessarie per il pagamento. Coerenza avrebbe voluto – prosegue – che a partire dal 2009 si fosse iniziato a programmare il pagamento di quanto stabilito dal collegio arbitrale. Così noi adesso – conclude il sindaco – ci troviamo, nel 2014, nella situazione in cui l’amministrazione non ha contestato le conseguenze del lodo ma non ha neppure posto in essere gli atti amministrativi per onorare debito”.