Roma, si stacca intonaco da un muro di una scuola. Sfiorata una ragazza

ROMA – Uscire di casa ed avere la certezza che si ritorna sani e salvi rimane un punto interrogativo. Troppo spesso la mancanza di una adeguata manutenzione di strutture pubbliche e non solo, rimane un lontano miraggio per i cittadini. Proprio ieri veri e propri momenti di paura nel liceo romano “Lucio Anneo Seneca”, nella zona di Boccea, dove durante le lezioni, si è staccato parte dell’intonaco dal muro esterno della scuola (adiacente al campetto sportivo) che ha sfiorato una alunna che si trovava lì assieme ad altri compagni di classe. Oggi i ragazzi hanno deciso di non fare lezione e si sono riuniti in assemblea per discutere delle condizioni della struttura scolastica e denunciarne la fatiscenza e il degrado.

“La preside – racconta uno degli studenti – dopo il crollo dell’intonaco ha chiamato i vigili del fuoco che hanno svolto un sopralluogo e hanno posto nastri di sicurezza in corrispondenza di altro intonaco pericolante. Appena possibile, la preside trasmetterà alla Provincia la relazione dei vigili con allegata la richiesta di intervento e ristrutturazione urgente della scuola”.

Nelle scorse settimane una parte di intonaco era caduta al liceo Russell mentre al Virgilio in autunno ha ceduto una parte di tetto

Cosa si aspetta ad intervenire? Per far capire meglio la situazione è doveroso ricordare i dati di Legambiente per quanto riguardo il dossier di Ecoscuola dello scorso anno. Oltre il 60% degli edifici, infatti, è stato costruito prima del 1976 e spesso necessita di interventi di manutenzione se non di importanti riqualificazioni. Entrando nel dettaglio delle strutture, il 58% delle scuole è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica del 1974. Il 32,5% necessita di interventi urgenti di manutenzione. Il 9,8% degli edifici si trova in aree rischio idrogeologico, il 41,2% in aree a rischio sismico e l’8,4% a rischio vulcanico. Calano al 30,9% gli edifici dotati dei certificati essenziali come quello della prevenzione incendi, mentre solo 22,2% sono le scuole dove è stata effettuata la verifica di vulnerabilità sismica. In particolare, in tema di sicurezza, su 6.648 edifici, solo il 3,3% è stato costruito tra il 2001 e il 2013. E scendono al 53,1% le scuole che hanno il certificato di agibilità (contro il 61,2% del 2012); al 30,9% quelle dotate del certificato di prevenzione incendi (nel 2012 erano il 35,9%); al 58,1% quelle con il certificato di agibilità igienico-sanitaria (nel 2012 erano il 73,8%). In lieve crescita, invece, i dati sui requisiti in materia di accessibilità con l’84% degli edifici che ha i requisiti di legge; in calo quelli dove sono stati previsti interventi per l’eliminazione delle barriere architettoniche si passa dal 16,4% del 2012 all’8,7% del 2013 a fronte di circa un 20% degli edifici che non possiede requisiti di accessibilità.

Marco Staffiero




Allarme smog: l’Italia rischia di finire davanti alla Corte Ue

A poche ore dal drammatico dossier di Legambiente illustrato proprio lo scorso lunedì nel rapporto sull’inquinamento atmosferico nelle città italiane, la Commissione europea ha lanciato un ultimatum a nove Stati membri, tra cui l’Italia, affinché presentino “al più tardi entro lunedì” nuove misure per affrontare il problema della qualità dell’aria e dell’inquinamento atmosferico, altrimenti saranno deferiti alla Corte di Giustizia dell’Ue.

“Ancora oggi, nel 2018, 400 mila persone stanno ancora morendo prematuramente ogni anno a causa dell’incapacità diffusa di affrontare il problema”, ha spiegato il commissario europeo per l’Ambiente, Karmenu Vella, dopo un mini-vertice con i ministri dell’Ambiente dei 9 paesi, incluso il nostro Gian Luca Galletti. “Il senso d’urgenza non è evidente in alcuni Stati membri”, sostiene la Commissione, che ha “chiesto ai ministri di presentare nuove misure al più tardi entro lunedì”, ha spiegato Vella. “L’unica cosa che ci può fermare dall’andare avanti con la Corte di Giustizia è la presentazione di piani che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi in modo efficace senza ritardo”, ha aggiunto il commissario. I nove paesi coinvolti sono Italia, Francia, Germania, Spagna, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Slovacchia e Regno Unito.

Tornando sul rapporto di Legambiente, emerge che, nel 2017, in ben 39 capoluoghi di provincia italiani è stato superato, almeno in una stazione ufficiale di monitoraggio di tipo urbano, il limite annuale di 35 giorni per le polveri sottili con una media giornaliera superiore a 50 microgrammi/metro cubo.

Le prime posizioni della classifica sono tutte appannaggio delle città del Nord (Frosinone è la prima del Centro-sud, al nono posto), a causa delle condizioni climatiche che hanno riacutizzato l’emergenza nelle città dell’area del bacino padano. Su 39 capoluoghi, ben cinque hanno addirittura oltrepassato la soglia di 100 giorni di smog oltre i limiti: Torino (stazione Grassi) guida la classifica con il record negativo di 112 giorni di livelli di inquinamento atmosferico oltre i limiti; Cremona (Fatebenefratelli) con 105; Alessandria (D’Annunzio) con 103; Padova (Mandria) con 102 e Pavia (Minerva) con 101 giorni. Ci sono andate molto vicina anche Asti (Baussano) con 98 giorni e Milano (Senato) con le sue 97 giornate oltre il limite. Seguono Venezia (Tagliamento) 94; Frosinone (Scalo) 93; Lodi (Vignati) e Vicenza (Italia) con 90. Situazione critica specialmente nelle zone della Pianura Padana: in 31 dei 36 capoluoghi di provincia delle quattro Regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) è stato sforato il limite annuo giornaliero; in questi stessi Comuni l’85% delle centraline urbane ha rilevato concentrazioni oltre il consentito, a dimostrazione di un problema diffuso in tutta la città e non solo in determinate zone. Non va certamente meglio nelle altre Regioni: in Campania le situazioni più critiche sono state registrate nelle stazioni delle città di Caserta (De Amicis), Avellino (Alighieri) e Napoli (Ferrovia) che hanno superato il limite giornaliero di 50 microgrammi/metrocubo rispettivamente per 53, 49 e 43 volte. In Umbria situazione critica a Terni con 48 giorni di aria irrespirabile. In Friuli-Venezia Giulia la classifica di Mal’aria vede ai primi posti Pordenone (Centro) con 39 superamenti e Trieste (Mezzo mobile) con 37. Nelle Marche, invece, è Pesaro con 38 giorni oltre i limiti a posizionarsi tra le città peggiori. La salute dei cittadini diventi una priorità.

Non si può morire per l’inquinamento. Secondo una recente indagine del CCM VIIAS (Valutazione Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute) finanziato dal Centro Controllo Malattie (CCM) del Ministero della Salute con la collaborazione di varie Università e centri, oltre 34.500 italiani ogni anno muoiono ‘avvelenati’ dall’inquinamento atmosferico: è come se ‘scomparisse’ improvvisamente un’intera città delle dimensioni di Aosta. ‘Veleni’ dell’aria che uccidono soprattutto al Nord, dove si registrano 22.500 decessi annuali, ma che riducono in media di 10 mesi la vita di ogni cittadino.

Marco  Staffiero




Ue, emergenza smog: Torino, Milano e Napoli le città più critiche d’Europa

Continuano a destare preoccupazione i livelli di smog nelle città italiane. E nel meccanismo frenetico delle grandi metropoli si fa fatica a trovare una soluzione, che spesso tarda ad arrivare a causa di una inesistente politica ambientale. Che piaccia o no di smog si muore.

Proprio l’Italia, con Torino, Milano e Napoli è in testa alla classifica delle città europee più critiche per lo smog: i valori peggiori per concentrazione media annuale di polveri sottili (Pm10) si registrano a Torino (39 microgrammi per metro cubo), Milano (37) e Napoli (35), che primeggiano su Siviglia, Marsiglia e Nizza dove la concentrazione media annuale di Pm10 è di 29. Roma si piazza con Parigi al settimo posto con 28 microgrammi per metro cubo.

È quanto emerge da un’elaborazione fatta da Legambiente sulla base dell’ultimo report del 2016 diffuso dall’Oms

Tutte le città italiane incluse nel rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità “superano ampiamente il valore limite di 20 microgrammi/mc come media annua di Pm10 indicato dall’Oms per la salvaguardia della salute umana”, afferma Legambiente nell’elaborazione dal titolo “Che aria tira in città: il confronto con l’Europa”. Nella classifica europea basata su dati del 2013 (per le sole città francesi i dati si riferiscono al 2014) seguono Stoccarda, Barcellona, Dortmund e Berlino (24 microgrammi/mc), Glasgow (23), Bordeaux, Londra e Leeds (22), Monaco (21), Madrid (19), Valencia (17) e Liverpool (14).

Negli anni successivi al 2013, la situazione delle quattro città italiane non è migliorata, a conferma di una “cronicità delle lacune per l’inquinamento atmosferico”, spiega il coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente Andrea Minutolo, indicando che la media annuale di PM10 a Torino è stata di 35 microgrammi/mc nel 2014, 39 nel 2015 e 36 nel 2016; a Milano è stata nei tre anni 35-41-36; a Napoli è stata 29 nel 2014 e nel 2015 e 28 nel 2016.

A Roma, dai 29 microgrammi per metro cubo del 2014 si è passati a 31 nel 2015 e di nuovo a 29 nel 2016

“Un andamento che fa presupporre nuove procedure di infrazione”, osserva Minutolo spiegando che le attuali procedure per l’Italia si riferiscono agli anni 2008-2012 e 2012-2014. La scheda sulle città europee, anticipata da Legambiente all’ANSA, è contenuta nel dossier “Mal’aria di città 2018”, con l’analisi dell’emergenza smog in Italia nel 2017 che sarà pubblicato alla vigilia della riunione di martedì prossimo, 30 gennaio, a Bruxelles convocata dal Commissario Ue per l’ambiente, Karmenu Vella con i ministri di nove Stati membri, tra cui Gianluca Galletti per l’Italia, sotto procedura di infrazione. Obiettivo è trovare soluzioni per affrontare il problema smog nell’Unione europea. Repubblica ceca, Germania, Spagna, Francia, Ungheria, Romania, Slovacchia, Regno Unito e Italia si trovano infatti ad affrontare procedure di infrazione per aver superato i limiti concordati. Il vertice ministeriale è “l’ultima chiamata” che punta a garantire l’attuazione di misure efficaci altrimenti la Commissione non avrà altra scelta che procedere con azioni legali e rinviare tali Stati membri alla Corte di giustizia. Secondo una recente indagine del CCM VIIAS (Valutazione Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute) finanziato dal Centro Controllo Malattie (CCM) del Ministero della Salute con la collaborazione di varie Università e centri, oltre 34.500 italiani ogni anno muoiono ‘avvelenati’ dall’inquinamento atmosferico: è come se ‘scomparisse’ improvvisamente un’intera città delle dimensioni di Aosta.

‘Veleni’ dell’aria che uccidono soprattutto al Nord, dove si registrano 22.500 decessi annuali, ma che riducono in media di 10 mesi la vita di ogni cittadino. Eppure, il solo rispetto dei limiti di legge salverebbe 11.000 vite l’anno. La nuova mappa dell’inquinamento è ottenuta applicando sofisticati modelli previsionali delle concentrazioni degli inquinanti su tutto il territorio nazionale. Emerge così che il 29% della popolazione italiana vive in luoghi dove la concentrazione degli inquinanti è costantemente sopra la soglia di legge, ma anche che vi sono considerevoli disuguaglianze degli effetti sanitari sul territorio.

Marco Staffiero




Italia, prevenzione terremoti: un quadro che resta ancora preoccupante

La terra trema sempre sulla penisola italiana. Una media di oltre 120 scosse al giorno, 5 ogni ora, cioè una ogni 12 minuti. Sono in tutto 44.459 i terremoti sul territorio italiano e nelle zone limitrofe registrati nel corso del 2017 dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Tra i 44.459 rilevati dalla RSN, circa 37.000 possono essere considerati repliche della sequenza in Italia centrale, iniziata il 24 agosto del 2016 e tuttora in corso. Il numero totale è sensibilmente inferiore a quello dell’anno precedente (circa 53.000), ma molto più alto del 2015 e del 2014 (rispettivamente 15.000 e 24.300 circa).

Quasi il 90% dei terremoti localizzati in Italia nel 2017 hanno magnitudo minore di 2.0, il che vuol dire che probabilmente non sono stati avvertiti dalla popolazione, salvo qualche eccezione (per esempio in caso di ipocentri molto superficiali). Non è una novità , che il bel paese è esposto a terremoti. Del resto i pensieri sono rivolti alle drammatiche immagini delle ultime catastrofi che hanno colpito l’Italia centrale negli ultimissimi anni. Ma di fronte ad una esposizione del genere è doveroso ricordare alcuni dati: il 35% delle abitazioni italiane è esposto a elevato rischio sismico, mentre il 55% è esposto a elevato rischio idrogeologico.

Secondo l’Ania l’Italia è il sesto Paese al mondo per danni subiti da catastrofi naturali e ogni anno il settore pubblico interviene per circa 3 miliardi di euro di danni. Altri dati confermano la criticità delle istituzioni di fronte ad un problema serio. Un’indagine di Legambiente parla da sola: quasi nove scuole italiane su 10 (l’87%) sono costruite senza criteri anti-sismici. Dall’analisi emerge che il 65,1% delle scuole è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica del 1974 e il 90,4% prima della legge in materia di efficienza energetica (1991). Un altro dato è che “Il 40% delle scuole si trova in aree a rischio sismico e il 3% in aree a rischio idrogeologico”.

Sul fronte della sicurezza antisismica, prosegue il report, “anche se cresce la percentuale media degli edifici che hanno effettuato verifiche di vulnerabilità sismica, che passa da circa il 25% dello scorso anno al 31%, rimane troppo bassa la media nazionale di quelli costruiti secondo criteri antisismici, meno del 13%. Ancora forti le differenze tra Nord e Sud: i capoluoghi di provincia del Sud dichiarano di avere 3 scuole su 4 in aree a rischio sismico e una necessità di interventi di manutenzioni urgenti che è del 58,4%”, quasi il 20% in più della media nazionale; “il nord, invece, mantiene una discreta capacità di investimenti, per esempio nella manutenzione straordinaria, con 62.807 euro ad edificio, cifre in media 5 volte maggiori delle altre aree del Paese”. Complessivamente – viene spiegato – “il 71% degli interventi avviati è stato di tipo non strutturale (19.724 interventi) e questo spiega perché non si vedono ancora grandi miglioramenti nella condizione strutturale delle nostre scuole”.

Ma, “su 5.861 edifici, il 39,4% necessita di interventi di manutenzione urgenti. Solo il 15,3% delle scuole ha effettuato indagini diagnostiche dei solai mentre il 5,3% ha effettuato interventi di messa in sicurezza. Certificazioni fondamentali come quello di agibilità, mancano al 40% delle scuole, nelle Isole all’80%, e di prevenzione incendi a circa il 58%, nelle Isole al 73%”. La sicurezza dei cittadini viene prima di tutto. L’Italia è un paese ad elevato rischio idrogeologico come spiegano gli esperti. Le scosse posso essere di lieve intensità, ma come abbiamo visto posso essere anche catastrofiche. Oggi abbiamo la capacità di studiare alcuni fenomeni. Bisogna costruire in maniera diversa, bisogna contrastare il pericolo terremoti con adeguate strutture se non si vuole piangere ancora.

Marco Staffiero




Prostitute e droga, gli italiani spendono 19 miliardi l’anno

L’illegalità non conosce crisi. Se milioni di italiani vivono in povertà assoluta, dall’altra parte c’è una dannata economia illegale che non conosce ostacoli.

Gli italiani spendono 19 miliardi di euro all’anno in attività illegali. Lo rileva l’Ufficio studi della Cgia, secondo la quale all’uso di sostanze stupefacenti vanno 14,3 miliardi, ai servizi di prostituzione 4 miliardi e per il contrabbando di sigarette 600 milioni di euro. L’ultimo dato disponibile ci segnala che il valore aggiunto di queste attività fuorilegge (17,1 miliardi di euro) è aumentato negli ultimi 4 anni di oltre 4 punti percentuali. L’elevata dimensione economica generata dalle attività controllate dalle organizzazioni criminali trova una conferma indiretta anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia.

Tra il 2009 e il 2016 (ultimo dato annuale disponibile), le segnalazioni sono aumentate di quasi il 380 per cento. Se nel 2009 erano poco più di 21 mila, nel 2016 hanno raggiunto la quota record di 101.065. La tipologia più segnalata è stata quella del riciclaggio di denaro che per l’anno 2016 ha inciso per il 78,5 per cento del totale delle segnalazioni. Sempre secondo la Uif, nel 2016 la totalità delle operazioni sospette ammontava a 88 miliardi di euro, a fronte dei 97 miliardi di euro circa registrati nel 2015. A livello regionale la Lombardia (253,5), la Liguria (185,3) e la Campania (167) sono le realtà che nel 2016 hanno fatto pervenire il più elevato numero di segnalazioni (ogni 100 mila abitanti).

Su base provinciale, infine, le situazioni più a rischio (oltre 200 segnalazioni ogni 100.000 abitanti) si registrano nelle province di confine di Como, Varese, Imperia e Verbano-Cusio-Ossola. Altrettanto critica la situazione a Rimini, Milano, Napoli e Prato. Più sotto (range tra 170 e 199 segnalazioni ogni 100 mila abitanti) scorgiamo le province di Treviso, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia, Novara, Genova, Parma, Firenze, Macerata, Roma, Caserta e Crotone. “Lungi dall’esprimere alcun giudizio etico – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – è comunque deplorevole che gli italiani spendano per beni e servizi illegali più di un punto di Pil all’anno. L’ingente giro d’affari che questa economia produce, costringe tutta la comunità a farsi carico di un costo sociale altrettanto elevato. Senza contare che il degrado urbano, l’insicurezza, il disagio sociale e i problemi di ordine pubblico provocati da queste attività hanno effetti molto negativi sulla qualità della vita dei cittadini e degli operatori economici che vivono e operano nelle zone interessate dalla presenza di queste manifestazioni criminali”. “Tra le attività illegali – asserisce il segretario della Cgia Renato Mason – l’Istat include solo le transazioni illecite in cui c’è un accordo volontario tra le parti, come il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di sigarette e non, ad esempio, i proventi da furti, rapine, estorsioni, usura, etc.

Una metodologia, quest’ultima, molto discutibile che è stata suggerita dall’agenzia statistica della Comunità europea che, infatti, ha scatenato durissime contestazioni da parte di molti economisti che, giustamente, ritengono sia stato inopportuno aumentare il reddito nazionale attraverso l’inclusione del giro di affari delle organizzazioni criminali”. “I gruppi criminali – conclude Zabeo – hanno la necessità di reinvestire i proventi delle loro attività nell’economia legale, anche per consolidare il proprio consenso sociale. E il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2016 costituisce un segnale molto preoccupante. Tra l’altro, dal momento che negli ultimi 2 anni si registra una diminuzione delle segnalazioni archiviate, abbiamo il forte sospetto che l’aumento delle denunce registrato negli ultimi tempi evidenzi come questa parte dell’economia sia forse l’unica a non aver risentito della crisi”.

Marco Staffiero




Roma, catturato il “capo dei capi” della mafia cinese

ROMA – E’ stato catturato all’alba di ieri nel suo appartamento, all’interno di un condominio in viale Marconi a Roma il “capo dei capi” della mafia cinese in Italia, con base operativa a Prato e ramificazioni in diversi paesi europei, ovvero Francia, Spagna, Portogallo, Germania e Polonia: si chiama Zhang Naizhong, 58 anni, sposato e con un figlio, anche lui arrestato nell’ambito dell’operazione ‘China Truck’ dello Sco della Polizia e della Squadra Mobile di Prato, coordinata dalla Dda di Firenze.

Dopo l’arresto, Zhang è stato condotto nel carcere di Prato, città nella quale l’organizzazione mafiosa diretta dal ‘capo dei capi’ ha il suo ‘quartier generale’ da cui controlla tutte le cosche infiltrate all’interno delle comunità cinesi presenti in Italia e nei maggiori Paesi europei. La mafia cinese ha agito finora, perseguendo i suoi fini illeciti, dietro la copertura delle attività dell’azienda ‘Anda’, specializzata nel settore della logistica e dei trasporti e che di fatto controlla tutto il settore dell’autotrasporto cinese.

Il giro d’affari della mafia cinese sgominata dalla polizia è stimato in diverse centinaia di milioni l’anno. Nell’abitazione, apparentemente modesta, sono stati trovati numerosi gioielli e orologi di lusso e circa 30mila euro in contanti, mentre sotto casa erano parcheggiate diverse auto di grossa cilindrata nella disponibilità del boss cinese. Zhang era pedinato da tempo e nel suo ultimo giorno di libertà, ieri, quando si è recato da Roma a Prato per ‘visitare’ alcune delle sue aziende, per tentare di far perdere le sue tracce, come hanno raccontato gli investigatori, ha cambiato per ben otto volte la vettura. Secondo gli investigatori, in particolare grazie alle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Prato, diretta da Francesco Nannucci, lo stesso Zhang, accusato di decine di reati, avrebbe imposto dal 2010 una sorta di “pace mafiosa” nella comunità pratese.

Dagli inizi del 2000 al 2010 la guerra tra le diverse bande pratesi nella comunità cinese locale aveva fatto registrare, complessivamente, una sessantina di morti. “Chi comanda l’organizzazione criminale a Prato, controlla tutti i traffici illegali e illeciti delle varie comunità in Italia e anche in Europa”: è questa la convinzione degli investigatori che ipotizzano al termine delle indagini iniziate nella città toscana, dove risiede la più popolosa della comunità asiatica, nel 2011. Sono gli stessi affiliati alla mafia cinese, come emerge dall’inchiesta, a riconoscere a Zhang il ruolo di “capo” nell’organizzazione. Per non rivelare il suo nome agli estranei, spesso tra i mafiosi cinesi il ‘capo dei capi’ viene definito come “l’uomo nero”. La base operativa sicuramente è Prato, ma il fatto che viveva a Roma non va sottovalutato. Non dimentichiamo, che sulla capitale e sul tutto il territorio regionale ormai è presente di tutto: dalla camorra, passando per le famiglie legate alla ndragheta per finire con la mafia siciliana. Sulla Capitale e nel territorio della provincia di Roma, incidono circa 76 clan, 23 invece sono le organizzazioni dedite al narcotraffico, nei diversi quartieri che compongono il territorio capitolino. Come già ampiamente illustrato, a Roma sono significativamente presenti e con un ampio potenziale criminale, le mafie cosiddette “tradizionali” (‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra). Sul territorio non opera soltanto la criminalità di casa, nel corso degli ultimissimi anni si sono fatte strada organizzazioni criminali di matrice straniera in particolare di etnia nigeriana, albanese, cinese e georgiana. Le organizzazioni mafiose nigeriane hanno da decenni una dimensione transnazionale pur mantenendo i centri di comando in Nigeria, nella Capitale e nelle province di Roma e Viterbo. Lo scorso anno, secondo i dati della Regione Lazio, nel territorio delle cinque province sono stati confiscati alle mafie 1270 beni immobili. Dopo Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Lombardia, il Lazio è la sesta regione in Italia per numero di beni confiscati.

Marco Staffiero




Grosseto, scuole a rischio sismico: la Cassazione accoglie il ricorso della Procura contro il sindaco di Roccastrada

GROSSETO – Una notizia, che susciterà non poche discussioni, ma del resto la salvaguardia delle persone viene prima di qualsiasi cosa, sopratutto se si parla della vita dei più piccoli. I terremoti non sono soggetti a “prevedibilità” e dunque i sindaci non devono opporsi al sequestro delle scuole che, anche nelle zone a “basso rischio sismico”, sono a ipotetico rischio crollo seppure per un “minimo scostamento dai parametri” di edificazione emanati nel 2008.

Lo sottolinea la Cassazione accogliendo il ricorso della Procura di Grosseto contro un sindaco che ha ottenuto la riapertura di una scuola a ‘leggero’ rischio sismico, pari allo 0,985 su una scala che soddisfa a ‘1’ il parametro di sicurezza statica. Così la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura di Grosseto contro Francesco Limatola, sindaco di Roccastrada, indagato per omissione di atti di ufficio per non aver chiuso il plesso scolastico della frazione di Ribolla “nonostante dal certificato di idoneità statica dell’immobile, redatto il 28 giugno 2013, ne emergesse la non idoneità sismica”.

Contro il sequestro della scuola primaria e secondaria, frequentata da quasi trecento bambini, e disposta dalla magistratura grossetana, Limatola aveva fatto ricorso e il tribunale del riesame lo scorso 26 aprile lo aveva accolto togliendo i sigilli. Ad avviso del riesame, era insussistente “un pericolo concreto ed attuale di crollo ragionevolmente derivante dal protratto utilizzo del bene secondo destinazione d’uso, avuto riguardo all’attività scolastica svolta ininterrottamente dalla fine degli anni sessanta”.

L’ordinanza rilevava inoltre che “in applicazione del cosiddetto indicatore del rischio di collasso previsto dalle ‘Norme tecniche per le costruzioni’ emanate con decreto il 14 gennaio 2008”, dall’accertamento redatto nel certificato di idoneità statica “il rischio sismico era risultato pari a 0,985 registrando in tal modo una inadeguatezza minima rispetto ai vigenti parametri costruttivi antisismici soddisfatti al raggiungimento del valore ‘1’”.

Contro il sindaco di Roccastrada, la Procura di Grosseto ha protestato in Cassazione sostenendo che la scuola deve essere chiusa perchè il pericolo per la incolumità pubblica “nella non prevedibilità dei terremoti, doveva intendersi insito nella violazione della normativa di settore, indipendentemente dall’esistenza di un pericolo in concreto”. Secondo il pm, “nessun rilievo avrebbe pertanto potuto attribuirsi alla circostanza che l’edificio insistesse su un territorio classificato a bassa sismicità o che l’inadeguatezza dell’immobile rispetto ai parametri costruttivi antisismici fosse minima”. Dando ragione al pm toscano, la Suprema Corte – sentenza 190 depositata oggi – sottolinea che “nel carattere non prevedibile dei terremoti, la regola tecnica di edificazione è ispirata alla finalità di contenimento del rischio di verificazione dell’evento””. Pertanto, “la inosservanza della regola tecnica di edificazione proporzionata al rischio sismico di zona, anche ove quest’ultimo si attesti su percentuali basse di verificabilità, integra pur sempre la violazione di una norma di aggravamento del pericolo e come tale va indagata e rileva ai fini dell’applicabilità del sequestro preventivo”. Ora il tribunale del riesame deve rimeditare il via libera al dissequestro. Il nostro è un paese a elevato rischio sismico. Parlano da soli i dati di Legambiente: quasi nove scuole italiane su 10 (l’87%) sono costruite senza criteri anti-sismici. Dall’analisi emerge che il 65,1% delle scuole è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica del 1974 e il 90,4% prima della legge in materia di efficienza energetica (1991). Un altro dato è che “Il 40% delle scuole si trova in aree a rischio sismico e il 3% in aree a rischio idrogeologico”. Sul fronte della sicurezza antisismica, prosegue il report, “anche se cresce la percentuale media degli edifici che hanno effettuato verifiche di vulnerabilità sismica, che passa da circa il 25% dello scorso anno al 31%, rimane troppo bassa la media nazionale di quelli costruiti secondo criteri antisismici, meno del 13%.

Marco Staffiero




Frascati, Wi-fi e danni alla salute: a Villa Sciarra un “modem” ogni singola classe

FRASCATI (RM) – Scegliere una struttura scolastica per i propri figli non è semplice. Soprattutto se sono piccoli. La mensa adeguata con prodotti di qualità, il tempo pieno (i genitori lavorano) ecc. Problemi dei nostri tempi… Ma c’è un grosso dramma, che spesso la maggior parte dei genitori non conosce e che le strutture con i propri responsabili probabilmente ignorano.

 

Le onde elettromagnetiche, Wi-fi. Scuole fatiscenti, alcune senza carta igienica, però c’è la super-connessione.

Cose da ridere, ma di divertente non c’è nulla. In ballo c’è la vita dei nostri figli. Quello che ho visto con i miei occhi, da papà, da cittadino e da giornalista supera ogni limite. Nella scuola elementare di Villa Sciarra a Frascati in ogni singola aula un modem, o apparecchio simile per trasmettere il segnale, wi-fi altezza banchi con tanto di antennine alzate. Ormai tutte le strutture scolastiche e non solo hanno Wi-fi, ma spesso viene posizionato un solo modem nella segreteria o magari nella sala computer. Ma uno in ogni singola classe sembra davvero eccessivo e forse non capita tutti i giorni da vedere. E’ possibile che altri plessi scolastici abbiamo la stessa triste caratteristica, ma questo non risolve il problema. Bambini dai 6 ai 10 anni esposti a quelle onde per 8 ore al giorno. Ma cosa deve fare un bambino di 6 anni con la connessione Wi-fi?

 

Gli studi scientifici ci raccontano tutta un’altra storia.

Le onde elettromagnetiche della telefonia mobile e del Wi-Fi sono una struttura composta da microonde e da radiofrequenze. Sono stati misurati livelli allarmanti di radiazioni nelle vicinanze di router Wi-Fi, dei punti di accesso Wi-Fi e di computer portatili connessi al Wi-Fi: ad esempio a 2 metri di distanza sono stati riportati livelli fino a 3.000 µW/m², a 0,2 metri di distanza da un router Wi-Fi invece 8,8 V/m = 205,000 µW/m², mentre da un punto di accesso Wi-Fi sono stati misurati 7,5 V/m = 149,000 µW / m². Un accreditato studio internazionale ha poi misurato 27,000 µW/m² a 0,5 metri di distanza da un computer portatile. Secondo ‘Le Linee Guida della Building Biology Evaluation’, questi livelli (oltre 1.000 µW/m²) sono classificati come una “estrema preoccupazione. Perché? Ciascuna di queste frequenze comporta una tossicità perché stimola la produzione di radicali liberi, interferisce con i geni responsabili della vitalità cellulare e interferisce con il corretto funzionamento di diversi organi, come il sistema nervoso centrale e quello riproduttivo. L’interazione di queste frequenze con i sistemi viventi è grave quando avviene a basse dosi a causa della loro pulsazione, causa di un costante cambiamento di potenziale elettrico a livello cellulare. Sulla presenza ubiquitaria del segnale Wi-Fi va chiarito che, anche se non lo si utilizza, essendo un segnale sempre attivo, continua ad irradiare continuamente coloro che i quali, ignari o meno, si trovano sul suo raggio d’azione, indipendentemente da una connessione in Internet o di una trasmissioni dati attraverso telefonini cellulari, smartphone, computer collegati senza fili o tablet. Ecco perché siamo tutti soggetti a rischio! Quando poi il segnale Wi-Fi è in uso l’irraggiamento colpisce in modo più acuto chi lo sta usando in quando il suo dispositivo mobile diventa a sua volta un’antenna ed espone l’utente ad un campo vicino da radiofrequenza.

 

Gli attuali limiti di legge sui campi elettromagnetici (Wi-Fi compreso) sono basati esclusivamente sul riscaldamento termico che questi producono.

L’effetto termico è stato calcolato attraverso simulazioni condotte in laboratorio, usando dei manichini riempiti di gel. Ma l’organismo umano non è un manichino! Perciò la legge italiana non considera gli effetti biologici non-termici derivanti dall’irradiazione ai campi elettromagnetici. Ma nel 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato la radiofrequenza come ‘possibile cancerogeno per l’Uomo’, inserendola in Classe 2B. Dal 2013 nuove evidenze scientifiche sul rischio cancerogeno sono emerse da studi epidemiologici svedesi e francesi secondo i quali la radiofrequenza dovrebbe essere classificata come ‘cancerogeno probabile per l’Uomo’, ovvero inserita in Classe 2A. Migliaia di studi medico-scientifici internazionali attestano l’elettrosmog come causa di quattro effetti fisiologici primari: la perdita di tenuta della barriera ematoencefalica, l’interferenza con la produzione di melatonina, la destabilizzazione della regolazione delle membrane cellulari e danni genetici. Inoltre i campi elettromagnetici interferiscono con la funzione riproduttiva, compromettendo gravemente il sistema immunitario, endocrino, cardiovascolare e le funzioni neurologiche degli esseri umani come di tutti gli esseri viventi, con evidenti ripercussioni anche nell’ambiente. Ne conseguono sintomi di malessere e patologie che variano da un livello medio ad uno grave, come mal di testa, nausea, perdita di concentrazione e di memoria, disturbi cardiaci e dell’umore, arrivando sino ai tumori (cerebrali, tiroidei e delle ghiandole parotidee) e ai gravi danni apportati al DNA. Nel 2012 la Corte di Cassazione italiana ha riconosciuto il nesso causale ‘tumore-onde elettromagnetiche’ nel processo vinto da un cittadino colpito da grave tumore al trigemino per uso di telefonino cellulare. Nei paesi industrializzati è poi in forte crescita la popolazione colpita da malattie ambientali altamente invalidanti come l’Elettrosensibilità e la Sensibilità Chimica Multipla, e altre patologie correlate all’esposizione dei campi elettromagnetici.

Pochi giorni fa i dati resi noti dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e dall’Associazione italiana registri tumori, ci parlano di mille persone al giorno, che ricevono una nuova diagnosi. Forte di numerose avvertenze sulle radiazioni da Wi-Fi pronunciate negli ultimi anni da vari organismi pubblici e privati, nel 2014 una comunità medico-scientifica internazionale, composta da 238 scienziati provenienti da 38 nazioni nel mondo, ha presentato un appello alle Nazioni Unite e all’Organizzazione Mondiale della Sanità per ‘adottare norme di protezione a tutela della salute pubblica’ al fine di contenere l’esposizione dai campi elettromagnetici e della tecnologia wireless (WLAN e Wi-Fi). Nel 2015 in Italia è stato lanciato l’appello di una nutrita task force sui campi elettromagnetici (70 tra medici, scienziati e ricercatori, supportati da numerose associazioni e comitati legalmente costituiti) diffuso attraverso una lettera pubblica indirizzata al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ai Parlamentari della Repubblica e ai Presidenti della Regioni per invitarli a ‘non attuare il rilassamento dei livelli di protezione della popolazione dai campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde’ (Wi-Fi compreso).

Marco Staffiero




Fame nel mondo: per Natale Oxfam lancia la campagna “Quanto è grande la tua tavola?”

E’ la triste faccia del consumismo e del capitalismo sfrenato. Da una parte del pianeta si soffre per l’abbondanza di cibo e ci si preoccupata dell’ultimo modello del telefonino e dall’altra si muore di fame. E ‘ una realtà che non guarda in faccia a nessuno, e la tanto decantata solidarietà rimane sempre e solo uno slogan per le “democrazie” occidentali. Convinte sempre di più di avere in tutto e per tutto la ragione dalla loro parte. E’ questo il sistema perfetto. Guai a criticare. Ma, di esemplare non c’è nulla. Basti pensare, che nel mondo 815 milioni di persone soffrono la fame e di queste 200 milioni sono bambini e bambine sotto i 5 anni, vittime della carenza di cibo e nutrienti fondamentali per la crescita, nati in moltissimi casi da madri a loro volta denutrite.

A rivelarlo è il nuovo rapporto di Oxfam “Lo scempio della fame”, che fa il punto sulle più gravi crisi alimentari in corso oggi nel mondo, che riducono centinaia di migliaia di famiglie ad avere poco o niente di cui vivere. Un’emergenza senza precedenti, che sta colpendo soprattutto l’Africa orientale, lo Yemen e la Nigeria nord-orientale: solo in Yemen, a causa del conflitto in corso, oltre 17 milioni di persone (tra cui circa 400mila bambini) soffrono di malnutrizione. Stessa sorte tocca a metà della popolazione colpita dalla guerra in Sud Sudan e a circa 5 milioni di persone nella Nigeria, infestata dal conflitto con Boko Haram.

Oltre la guerra, tra le cause ci sono anche i cambiamenti climatici, che hanno provocato lunghe e durissime siccità in Paesi come l’Etiopia dove interi raccolti sono andati persi e molti allevamenti sono stati decimati e dove ora 12,5 milioni di persone stanno rimanendo senza cibo. Bisogna agire subito: secondo le Nazioni Unite, rimanere a guardare potrebbe costare la vita a centinaia di migliaia di bambini. “Oltre la metà delle persone che soffrono la fame, vive in zone colpite da conflitti e il 56% in zone rurali, dove i mezzi di sostentamento dipendono prevalentemente da agricoltura e allevamento – spiega il direttore generale di Oxfam Italia, Roberto Barbieri – In queste aree di crisi dove Oxfam è al lavoro ogni giorno, intervenire per garantire l’accesso al cibo e un riparo o i mezzi e la formazione necessari per resistere a eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili, può fare la differenza tra la vita e la morte per migliaia di famiglie.

A oggi abbiamo raggiunto oltre 5 milioni di persone in alcuni dei Paesi colpiti dalle più gravi crisi alimentari del pianeta, ma possiamo fare di più”. Proprio per garantire accesso al cibo e salvare vite a Natale Oxfam lancia la campagna “Quanto è grande la tua tavola?” e invita tutti a compiere un piccolo gesto, ma che può fare la differenza per milioni di persone nel mondo.

Attraverso il sito dedicato alla campagna oppure contattando il numero verde 800.991399, è possibile donare per garantire a tante famiglie in difficoltà i mezzi per sfamare e crescere i propri figli. Ad esempio 13 euro bastano per assicurare ad una famiglia la farina necessaria per la preparazione di pane per due mesi, mentre con 55 euro è possibile contribuire all’installazione di un impianto idrico necessario a coltivare un orto. Nella sezione del sito dedicata alle e-card solidali di Natale, si potranno acquistare cartoline virtuali, da regalare a persone speciali. Un gesto semplice, simbolico e al tempo stesso concreto, perché il ricavato sarà impiegato per aiutare chi ne ha più bisogno, trasformandosi in cibo, acqua, formazione e diritti.

Marco Staffiero




Roma, l’eterna emergenza del trasporto urbano ed extraurbano: ecco i dati Legambiente

ROMA – Rimane difficile per i romani e non solo poter individuare un settore che va bene, che non ha problemi. Roma e del resto ogni angolo della regione rimane in eterna emergenza.

Per quanto riguarda i trasporti la fotografia scattata da Legambiente è davvero preoccupante. La situazione della ferrovia della capitale non è isolata perché una simile qualità del servizio si riscontra anche sulla Roma Nord (Roma-Civita Castellana -Viterbo), ferrovia romana sempre gestita da Atac e sulla Termini-Centocelle dove viaggiano i treni più vecchi d’Italia con addirittura 61 anni di media.

Pessima è anche la situazione delle metropolitane romane, in particolare nella linea B, utilizzata ogni giorno da oltre 345.000 utenti, che soffre problemi tecnici incredibili. In teoria la linea B dovrebbe effettuare ogni giorno 428 corse, con una frequenza nelle ore di punta di un treno ogni 4 minuti per scendere ad un treno ogni 5 o 6 minuti nelle ore di morbida. La realtà dei fatti è molto diversa, con attese medie di 15 minuti con picchi di 20-25 nella linea B1 per la stazione Jonio, impensabili per una linea metropolitana di una capitale europea.

I dati del parco rotabili nel Lazio risultano estremamente diversificati per le 1.526 corse giornaliere, di queste 610 sono gestite da ATAC e 916 sono quelle Regionali di Trenitalia. Mentre la flotta ATAC va sempre peggio, quella regionale di Trenitalia si sta rinnovando e invece migliora con 13 nuovi treni già messi in circolazione negli ultimi 2 anni ed un’età media che passa a 13,7 anni (media nazionale di 16,8 anni).

La Roma Lido registra un crollo di afflusso giornaliero che ora si attesta sui 55.000 utenti contro i circa 100.000 stimati pochi anni fa, con un calo del 45%. L’età media dei 23 convogli (erano 24 nel 2015)  sfiora i 20 anni e le corse effettuate nell’anno 2016 sono state 55.332, con un -7,2% di corse effettuate rispetto a quelle programmate. Dovrebbero essere ufficialmente 30 i minuti necessari a percorrere i poco più di 28 km che separano la stazione di Porta San Paolo e Ostia ma la realtà è ben diversa.

Da un’ulteriore analisi risulta che le biglietterie sono presenti solo nel 21,4% dei casi, nel 78,6% non vi è la presenza di personale ferroviario (o è saltuaria), nell’85,7% dei casi i tabelloni elettronici degli orari sono guasti. Sul rinnovo delle stazioni, i lavori alla stazione di Acilia Sud sono fermi da tempo e Tor di Valle è nelle stesse tristi condizioni. Infine c’è la triste storia della stazione scomparsa, quella del Torrino-Mezzocammino, un quartiere nato nell’ultimo decennio, attraversato dai binari della Roma-Lido e dove sono stati versati alle casse comunali quasi 2 milioni di euro in oneri di urbanizzazione che avrebbero dovuto finanziare la realizzazione della fermata: oggi, con grave responsabilità del Comune di Roma i soldi sono spariti, al fianco dei binari è stato costruito un parcheggio da 100 posti nel nulla laddove doveva esserci la stazione, e intanto i 12.000 abitanti del quartiere sono costretti all’uso dell’auto privata per spostarsi verso il centro.

E’ difficile intravedere speranze di cambiamento, malgrado sia stato annunciato un accordo tra Regione Lazio e Governo che dovrebbe portare allo stanziamento di 180 milioni di Euro, ma nulla si sa di questo investimento, ne’ dell’acquisto di treni e la drammatica situazione debitoria di Atac fa temere che le risorse vadano perse. “La Roma Lido si conferma per l’ennesimo anno la peggior tratta pendolare d’Italia, con treni perennemente fuori servizio, attese infinite e stazioni indecenti – commenta Roberto Scacchi Presidente di Legambiente Lazio – una continua odissea per chi la utilizza, e le persone cominciano tristemente ad abbandonarla, tornando anche all’auto privata, a discapito dell’ambiente e della qualità della vita. Stessa situazione difficile si vive ogni giorno sulle altre due tratte ferroviarie di Roma gestite da ATAC, la Roma Nord e il suo assurdo servizio tra Piazzale Flaminio e Viterbo pieno di difficoltà, ritardi e cancellazioni e la Termini-Centocelle così come sulle metropolitane romane, a certificare l’evidente disastro gestionale romano del trasporto su ferro. Al contrario sta migliorando il trasporto regionale del Lazio di Trenitalia, con nuovi treni per un servizio sul quale si vede negli ultimi anni una positiva inversione di tendenza”.

 

Marco Staffiero




Immagini satellitari: la Pianura Padana è tra le zone più inquinate d’europa

Quando non avremo più cibo da mangiare e aria da respirare, sarà troppo tardi per trovare una soluzione. Spesso l’inquinamento di ogni genere viene sottovalutato con eccessiva superficialità. Dal cibo tossico all’aria inrrespirabile insieme ad altri fattori sono le cause di numerose forme di tumore.

Proprio ieri, sono arrivati a Terra i primi dati di Sentinel 5P, la sesta sentinella del pianeta del programma Copernicus, nato dalla collaborazione fra Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Commissione Europea. E’ il primo satellite progettato per ottenere la mappa di inquinanti dell’atmosfera, fornendo i dati relativi ai livelli  come ozono, formaldeide, monossido di carbonio, metano e anidride solforosa.

 

Li ‘fotografa’ con il suo unico strumento scientifico, chiamato Tropomi (Tropospheric Monitoring Instrument), progettato per studiare la regione dell’atmosfera che si estende fino a circa 15 chilometri dal suolo.Da quando il satellite è stato lanciato, il 13 ottobre 2017, lo strumento è stato sottoposto a un processo di decontaminazione pianificato. Adesso la porta che sigillava Tropomi è stata aperta, permettendo alla luce di entrare. Il satellite ha potuto così acquisire le prime immagini, che l’Esa definisce “superiori alle aspettative”.

 

Pianura Padana, Paesi Bassi, regione tedesca della Ruhr e alcune zone della Spagna: sono le aree più inquinante d’Europa, secondo le mappe in Hd dell’inquinamento atmosferico inviate dal satellite Sentinel 5P. Considerando solo gli effetti acuti dell’inquinamento, a Milano muoiono ogni anno 230 persone per via delle sostanze inquinanti presenti nell’aria, 300 in tutta la Lombardia.

 

La salute degli abitanti della Pianura Padana è messa a rischio anche dalla presenza di polveri ultrafini. Si tratta di migliaia di nanoparticelle come solfato e nitrato di ammonio e tracce di metalli che si trovano nella massa delle polveri e per via della loro ridotta dimensione (di cento volte inferiore a una particella di Pm10) nuociono al nostro organismo. Una delle prime mappe riguarda le concentrazioni di biossido di azoto emesso dal traffico automobilistico e dalle attività industriali. Per Josef Aschbacher, direttore dei programmi di osservazione della Terra dell’Esa, queste immagini ”sono una pietra miliare per l’Europa”.

 

Spetta alla Pianura Padana e in particolare a Milano la maglia nera per le concentrazioni elevate di monossido di carbonio. Dal satellite sono arrivate anche le prime immagini dell’Amazzonia ‘soffocata’ dal monossido di carbonio prodotto dagli incendi. Alte concentrazioni di questo gas, prodotto anche da attività industriali e scarichi delle automobili, sono state rilevate anche Africa centrale e India e Cina. La nube di gas generata dall’eruzione del vulcano Agung, in Indonesia, è stata fra i primi dati inviati dal satellite Sentinel 5P. Sono state misurate le concentrazioni dell’anidride solforosa emessa dal vulcano, dal quale si è sollevata una colonna di ceneri e gas che ha raggiunto 7.600 metri di altezza.

Marco Staffiero