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Costume e Società

Campi Flegrei: tra magia, ricchezze e vini da degustare. Intervista a Rita Martino

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Campi Flegrei sono famosi in tutto il mondo per gli innumerevoli siti archeologici lasciati dagli antichi, dagli splendidi scenari paesaggistici che fanno da scenografia a tutto il territorio, ma anche perché è una zona ricca di storia enogastronomica ed è anch’essa la “memoria storica” che caratterizza tutta l’area. Il mare ed i monti che circondano quasi tutta l’area insieme all’attività tellurica hanno reso possibile produrre vino autoctono ed identicativo, le vigne sono coltivate a “piede franco” grazie alle terre, che sono anche ricche dal punto di vista nutritivo.
L’etimologia dei Campi Flegrei rispecchia appieno il suo significato, infatti dal greco Flègo, che significa “brucio”, ”ardo”.

I Campi flegrei si trovano ad Ovest del golfo della città di Napoli, ne fanno parte i comuni di Giugliano in Campania, Quarto, alcune zone del comune di Napoli, Monte di Procida, Bacoli e Pozzuoli. Tutta l’area è stata abitata da diverse popolazioni, ed è stata anche meta degli antichi per soggiornarvi durante l’estate, è stata fra i siti preferiti dei “Viaggiatori del Passato” durante il Grand Tour del sette ed ottocento, infatti ci sono tantissime testimonianze pervenute a noi dal punto di vista artistico e letterario.

Tutta l’eredità di reperti, di bellezze architettoniche e anche di scritti non mi è possibile elencare in un solo articolo, tuttavia ho fatto un piccolo itinerario che mette insieme storia enogastronomica, bellezze architettoniche e dipinti che sono patrimonio non solo dei Flegrei.
Tutta l’eredità lasciata dagli artisti agisce da documento storico a tutta l’area Flegrea, perché danno al fruitore una chiara visione di com’era la zona in passato. Fra i pittori che scelsero la zona Flegrea durante i loro viaggi culturali nel settecento ed ottocento, ossia durante il Gran Tour in visita nei Campi Flegrei sono Pietro Fabris, Saverio Della Gatta e Salvatore Luigi Gentile, ma anche molte gouaches che ritraevano i Campi Flegrei sono pervenute a noi in forma anonima, anch’esse danno una chiara visione della vita di qualche secolo fa, attualmente sono custodite nei musei, oppure molte fanno parte di collezioni private sparse in tutta l’Italia.
Chi viene da fuori e sceglie di visitare la “Penisola Flegrea” che ne fanno parte Monte di Procida, Bacoli e Pozzuoli fra le prime opere architettoniche che incontra è “L’Arco Felice Vecchio” che si trova alle porte di Cuma, la costruzione venne ricavata dal taglio del Monte Grillo, era l’arteria di comunicazione più rapida per Roma, ed è fra i primi “tesori Flegrei”, nei pressi si trovano gli Scavi Archeologici di Cuma che secondo gli studiosi è risalente all’età del bronzo. Nella terra “ricca di miti e di storia” si nota l’importanza che i Flegrei danno al cibo e al buon vino, famoso è il vino dal nome “Falanghina” e il “Piedirosso” chiamato anche “Pèr e Palummo” , generalmente i piatti preferiti sono a base di mare, infatti questa terra è famosa anche per la coltivazione di cozze. Il rapporto tra i Campi Flegrei e il mare e i “suoi frutti” è millenaria, infatti le cozze erano tra i piatti preferiti dagli antichi Romani, gli studiosi concordano che già vi era la coltivazione nei primi insediamenti, fra gli esempi da citare è “ll Lago di Lucrino”, infatti venivano coltivate le cozze nel bacino lacustre nel II sec.d.C. dai Romani.

Attualmente “La zuppa di cozze” e fra le più tipiche pietanze della tradizione pasquale di tutta l’area che generalmente viene preparata il “Giovedì Santo”.
Da non mancare di visitare “Il Real Casino” chiamata anche “La Casina Vanvitelliana” che si trova sul Lago Fusaro, costruita dall’Architetto Reale Carlo Vanvitelli. I lavori di questo “gioiello architettonico” finirono nel 1782, nel lago in quell’epoca venivano coltivate le ostriche, ma si hanno notizie della coltivazione di questo frutto nel lago sin dal 1764. Attualmente vengono coltivate le cozze, la pesca nei secoli scorsi generalmente avveniva prima di Natale, alcune testimonianze le troviamo in alcuni scritti di Hackert, le ostriche venivano coltivate in un modo speciale, ben spiegato dall’Enciclopedia Traccani –“Venivano raccolte per mezzo di facine”. la Casina Vanvitelliana è stata soggetto preferito di molti artisti che venivano in visita per realizzare le gouaches.

Fra le tappe da visitare è Monte di Procida, è chiamata anche la “Terrazza dei Campi Flegrei”, affaccia sulle isole di Capri, Procida e Ischia, in tutto l’anno è meta di turisti che si recano su questa area per ammirare i suoi “Punti Panoramici” mozzafiato, e per poter gustare cibi generalmente a base di mare e il vino, in estate organizzano “La Sagra del Mare” che attira turisti anche fuori regione. Ad arricchire la visione per chi è in visita in questa località sono anche gli splendidi tramonti che colorano la località a calar del sole, e in determinate giornate è possibile vedere anche l’isola di Ventotene. Il paesaggio di Monte di Procida è arricchito anche dai vigneti di aziende agricole e di privati che fanno da cornice al paesaggio, tutta l’area è legata alla tradizione della produzione del vino e danno una nota di sapore antico.

Tra le località che i visitatori della Penisola Flegrea non può mancare di visitare è il porto di “BAIA”, questa frazione appartiene al comune di Bacoli. Il porto affaccia di fronte al Golfo di Pozzuoli e la città di Napoli, era nell’antichità tra le più rinomate località preferite dell’antico Impero Romano, ed era la stazione balneare più ricca di quell’epoca, veniva chiamata dai romani “Sitius et litium Bajanum”, che italianizzato è “In seno di Baia”.

La loro presenza è testimoniata da Cicerone, Ortensio e da Orazio che quest’ultimo la descrive la piccola frazione ricca di vitalità “Nessun golfo al mondo risplende più dell’amena Baia…”divenne
il centro termale dell’antica Italia, del fasto e dei banchetti.
Nella città di Pozzuoli vi sono numerosi edifici monumentali di interesse storico ed archeologico di epoca Romana, fra questi è l’antico mercato (Macellum) chiamato “Tempio di Serapide”. Il Tempio fino al 1983 era parzialmente sommerso dal mare, tra le colonne marmoree più alte sono caratterizzate dalla presenza di “fori di datteri di mare”. Il Tempio permette agli studiosi di rilevare dati in merito al fenomeno del bradisismo.

Quale sono le peculiarità dei vini che possiamo consigliare ai visitatori che soggiornano nei Campi Flegrei? A rispondere è un’esperta del settore la Dottoressa Rita Martino di Bacoli, Laurea in Viticoltura ed Enologia, conseguita presso L’Università Federico II di Napoli.

Vi parlerò dei vitigni autoctoni di queste terre, mi riferisco alla “Falanghina” ed al “Piedirosso”. La Falanghina è un vitigno a bacca bianca dai profumi neutri, proprio per questo motivo, fino a qualche decennio fa il vino ottenuto da uve falanghine, veniva erroneamente considerate un vino di scarsa qualità.
Fortunatamente la conoscenza ci è venuta in contro facendo la qualità dei vini, poiché grazie a questa si sono messe in atto pratiche colturali e protocolli di vinificazione in modo da incrementare i precursori aromatici nelle varietà neutre, come la Falanghina e non perderli durante le operazioni di ammostatura e fermentazione. In effetti, a seconda del progetto enologico perseguibile dal produttore, è possibile adottare diverse strategie per arricchire il “boquet” del vino ottenuto da queste uve.

Per tanto il produttore potrebbe scegliere di spingere sugli esteri fermentativi, niente altro che molecole odorose prodotte dai lieviti selezionati ed usati per la fermentazione alcolica, oppure favorire una leggera surmaturazione su una parte delle uve da vinificare per ottenere quei profumi che ci ricordano la frutta secca e sciroppata derivanti dalla degradazione dei carotenoidi. Infine è possibile attuare dei protocolli di vinificazione che hanno come obbiettivo quello di valorizzare il serbatoio aromatico proveniente dall’insieme delle condizioni naturali del luogo di coltivazione, che definiamo con la parola “terroir” in cui si racchiude il concetto di suolo, clima, ambiente, esposizione e pratiche colturali.
Il “Piedirosso” è un vitigno a bacca nera ed anche questo è stato demonizzato per molto tempo considerando i vini derivati da queste uve come poco corposi, banali e di scarso carattere. Oggi invece i vini rossi leggeri, poco tannici ed eleganti sembrano essere molto più apprezzati. Il Piedirosso, quando allevato e vinificato con maestria, sprigiona note odorose che ricordano il geranio ed i frutti rossi, lo si abbina facilmente anche ai piatti di mare proprio per le caratteristiche organolettiche delicate.

Giuseppina Ercole

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