CARLO CALENDA. PUNTARE SULL'EXPORT

di Silvio Rossi

 

Investire verso l’estero. Non c’è crescita se ci si limita a progettare le nostre attività solo nello spazio nazionale, in un mondo globalizzato si deve avere il coraggio di affrontare i mercati. Ma per fare ciò bisogna avere strutture adeguate e la giusta preparazione.
L’incontro organizzato nella splendida cornice dell’Accademia Americana al Gianicolo il 13 luglio, dalla Regione Lazio, con la presenza del presidente Nicola Zingaretti ha visto numerosi rappresentati di molte ambasciate, che sono interessati a stringere rapporti economici con alcune piccole e medie imprese della nostra regione.
È stato anche presentato un progetto per formare venti giovani laureati, con un corso totalmente orientato al marketing internazionale, perché esportatori non ci si improvvisa, per mantenere la presenza sui mercati stranieri bisogna conoscere a fondo i meccanismi del commercio.
L’iniziativa regionale ha visto la collaborazione del Ministero per lo sviluppo economico, che era rappresentato dal viceministro Carlo Calenda, che ha la delega al commercio internazionale.


Abbiamo chiesto al vice ministro alcune impressioni sul lavoro svolto dalla Regione Lazio, e dalle altre regioni italiane:
La Regione Lazio, in particolare il presidente Zingaretti, sta sviluppando molti progetti per quanto riguarda le imprese. È un comportamento in linea con le atre regioni, oppure è “più avanti”?
Che l’internazionalizzazione sia importante, lo sentono tutte le regioni. Questo non sempre si traduce però in attività coerenti, e con soldi spesi bene, la Regione Lazio è una di quelle che meglio di tutte sta lavorando su questo tema, e lo fa in maniera estremamente sinergica sul piano nazionale, cioè le cose le vediamo insieme, e questo è fondamentale. Da questo punto di vista si può dire che è molto avanti.
C’è quindi un’Italia a due velocità? Il Lazio è una regione grande, con strutture adeguate, le regioni piccole sotto questo punto di vista hanno maggiori difficoltà?
Sì, le regioni piccole hanno delle difficoltà, non c’è dubbio, le regioni del sud hanno difficoltà. Molto spesso ci sono regioni grandi, con vocazione all’export, che hanno anche i fondi, ma spesso li spendono male, perché non vuol dire solo la dimensione, ma anche la capacità di lavorare.
Quali sono le ricette per diventare competitivi?
Il master che abbiamo presentato, è orientato al futuro, è qualcosa di innovativo che tende a formare gli esperti di domani, questo è il tema centrale su cui le regioni devono lavorare, sulla capacità di creare innovazione dentro le aziende, oggi noi abbiamo una carenza assoluta di export manager, che sappiano gestire le esportazioni.
Si sta puntando molto sull’export oggi. C’è stata negli anni passati una flessione?
No, il nostro export è sostanzialmente aumentato nel tempo, le aziende che esportano sono 210.000, in termini dimensionali il nostro export non è mai stato così forte. Il problema non è questo. Le aziende che esportano sono tante, quelle che lo fanno in maniera strutturale, che lo fanno con più del 50 % del fatturato, sono pochissime sono 15.000, per cui non dobbiamo aumentare il numero di quelle che esportano in generale, ma di quelle che lo fanno in maniera strutturale.
Come sono cambiati invece i mercati? Si parla molto della Cina, o di altri paesi emergenti.
I mercati cambiano in continuazione, noi possiamo dire che il focus maggiore l’abbiamo negli Stati Uniti, dove abbiamo ancora un potenziale inespresso enorme, di circa dieci miliardi di euro, un mercato stabile, in crescita, dove le nostre aziende hanno appena intaccato la superficie, perché nell’America profonda non sono mai andate, ed è un mercato stabile. Poi certo la Cina è molto importante, ma rimangono barriere all’ingresso, per esempio per un’azienda media.