LIDIA MACCHI: RIESUMATO IL CADAVERE

di Angelo Barraco
 
Milano – Dopo 29 anni, il corpo di Lidia Macchi potrebbe dare le risposte ad una delle vicende più inquietanti e misteriose d’Italia. Gli esperti stanno riesumando il corpo della giovane studentessa uccisa brutalmente nel gennaio del 1987 e sepolta da 29 anni nel cimitero di Casbeno. Il cadavere verrà sottoposto alle accurate analisi dell’antropologa Cristina Cattaneo, perito nominato dal gip Anna Giorgetti. L’obiettivo è quello di cercare eventuali tracce di materiale biologico che verranno comparati con il Dna di Stefano Binda e/o di altre persone. Sono stati rinvenuti nei giorni scorsi dei coltelli, sepolti sotto terra, nel parco Mantegazza a Varese. Gli esperti stanno analizzando il materiale rinvenuto. Si ipotizza inoltre che Binda possa aver nascosto l’arma del delitto nella periferia di Varese, successivamente al delitto. 
 
La giovane studentessa di Varese, ricordiamo, fu uccisa con 29 coltellate il 5 gennaio del 1987. La decisione è stata presa dal gip di Varese Giorgetti, che ha accolto la richiesta del sostituto pg Manfredda. L’inchiesta, ricordiamo, ha avuto una svolta il 15 gennaio scorso, poiché dopo 30 anni dal terribile delitto è stato arrestato un ex compagno di liceo di Lidia Macchi, Stefano Binda. Nei giorni che seguiranno, con l’incidente probatorio, sarà conferito l’incarico ad alcuni perito come l’anatomopatologa Cristina Cattaneo. Intanto Binda nega ogni coinvolgimento nel delitto e si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al sostituto pg di Milano e continua a gridare la sua innocenza. Binda è imputato di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa. Il 48enne avrebbe violentato Lidia e poi l’avrebbe uccisa. E’ descritto come un uomo colto, laureato in Filosofia e all’epoca dei fatti era ben rispettato per le sue doti intellettive. L’uomo non ha un lavoro fisso e negli anni 90 ebbe problemi di droga. Ricordiamo che nel pomeriggio del 5 gennaio 1987, Lidia Macchi andò a trovare un’amica in ospedale, si fece prestare dal padre anche 10.000 lire per la benzina. Raggiunge dopo 20 minuti l’ospedale di Cittiglio e incontra l’amica, rimanendo con lei fino alle 8.15, poi la saluta dicendo che doveva andare a  casa a cenare. Da quel momento Lidia scompare. La sua auto viene trovata il 7 gennaio in Via Filzi, il suo corpo è coperto da cartone, come se il killer avesse voluto occultarla. Uccisa con 29 coltellate e violentata. In quei giorni di dolore, giunge  casa Macchi una lettera anonima intitolata “In morte di un’amica”, dove vi sono versi come: “la morte urla contro il suo destino. Grida di orrore per essere morte: orrenda cesura strazio di carni. Perché io. Perché tu. Perché in questa notte di gelo, che le stelle son così belle, il corpo offeso, velo di tempio strappato, giace”. Lidia sarebbe morta per le ferite, ma anche per l’agonia e il freddo. Il pg di Milano attribuisce questa lettera a Binda, lettera riconosciuta da un’ex amica di Binda grazie alla trasmissione tv “Quarto Grado” che ha mandato in onda alcune lettere giunte alla famiglia Macchi. In fondo alla lettera c’era un disegno che somigliava ad un’ostia, un elemento che ha fatto entrare nell’inchiesta Don Antonio Costabile, responsabile del gruppo scout che frequentava Lidia. Su di lui si era creato il sospetto in un primo momento, ma la sua posizione è stata archiviata. In questa torbida vicenda è subentrato anche Giuseppe Piccolomo, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Carla Molinari. Le figlie riferivano che l’uomo, quando erano piccole, si vantava dell’omicidio di Lidia Macchi. 
 
Spunta un’altra lettera anonima che è stata firmata “Una mamma che soffre” e che fu inviata 29 anni fa ai genitori di Lidia Macchi. La lettera è stata mandata in onda in alcune trasmissioni tv con lo scopo di aiutare gli inquirenti e di fare in modo che qualcuno, riconoscendo la calligrafia, si faccia avanti. Tale letter fu imbucata il 21 gennaio 1987 a Vercelli giunse in casa Macchi. La lettera riporta frasi relative alla registrazione di un nastro magnetico di origine paranormale che avrebbe pronunciato Lidia dopo la morte “So chi è stato ad uccidermi, è stato un mio amico di Comunione e Liberazione” prosegue “C’era anche lui quando mi hanno trovato è stato proprio lui a trovarmi ed è stato costretto a fingere un grande sgomento e dolore”. Sulla busta è stato rilevato dna femminile, che però non corrisponde a tutti i campioni ad oggi sotto analisi.



LADRO UCCISO NEL CASERTANO: IDENTIFICATO CADAVERE. SALVINI "MI SPIACE PER IL MORTO, MA FINO AD UN CERTO PUNTO"

di Angelo Barraco

 Caserta – E’ stato identificato il cadavere del rapinatore ucciso nel corso della rapina a Villa Literno il 21 marzo, nel Casertano, mentre tentava di rubare una macchina insieme a due complici. Si tratta di un albanese di 40 anni circa ed è stato identificato grazie alle impronte digitali. I suoi complici avevano lasciato il corpo senza vita davanti all’ospedale di Aversa. E’ terminato intanto il sopralluogo all’interno della villetta in cui si è consumato il tentativo di rapina. Non sono stati emessi provvedimenti nei confronti dell’uomo che ha sparato. La moglie dell’uomo ha descritto così quanto accaduto “E' stata una nottata terribile. Non è bello sparare a una persona  ma è l'ottava volta che vengono a rubare. Siamo davvero stanchi. Se questi banditi ci avessero detto che avevano bisogno di soldi li avremmo aiutati senza problemi come abbiamo fatto altre volte. Ma non puoi introdurti in casa mettendo in pericolo l'incolumità nostra e dei nostri figli”. Ha continuato dicendo “Quando mio marito ha fatto fuoco dal balcone, il ladro colpito, che era già dentro la nostra macchina, una Audi, è uscito dall'abitacolo e ha chiesto, rivolgendosi a mio marito, 'perché mi spari?'. Io avrei voluto chiedergli: e tu perché vieni a casa nostra mentre dormiamo a prendere la nostra roba?”. Anche la politica si è espressa in merito all’episodio sopracitato, in particolar modo il leader della Lega Matteo Salvini, che ha scritto il seguente post sulla sua pagina facebook “Sorprende i ladri in casa stanotte, spara e ne uccide uno. È successo a Villa Literno, nel casertano. Mi spiace per il morto, ma fino a un certo punto…Ora che non indaghino l'aggredito! La difesa è sempre legittima, anche se Renzi non è d'accordo. Mi date una mano a cambiare la legge?”. 
 
La rapina. Il 21 marzo, alle ore 3.30 del mattino, in Via Vecchia Aversa, precisamente negli appartamenti di Villa Literno a Caserta, tre ladri hanno tentato di compiere un furto d’auto. L’obiettivo che si erano prefissati i ladri non è però andato a buon fine, poiché il proprietario di un appartamento si è accorto che i ladri gli stavano rubando l’automobile, ha imbracciato un’arma regolarmente detenuta e ha sparato uccidendone uno. I tre ladri si sono dati alla fuga verso Casal Di Principe, a bordo della loro Bmw Bianca. Hanno lasciato il corpo senza vita del loro “compagno” davanti l’Ospedale Civile di Aversa che precedentemente era stato raggiunto dai colpi di arma da fuoco. Successivamente gli inquirenti hanno rinvenuto la Bmw bianca bruciata e gli accertamenti hanno appurato che l’automobile era stata rubata qualche giorno prima. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i ladri sono arrivati con l’autovettura nel cortine di Via Vecchia Aversa, sorpresi dal proprietario si sono dati alla fuga e successivamente hanno lasciato il loro complice davanti l’Ospedale.



SERENA MOLLICONE: LA SALMA SARÀ TRASFERITA A MILANO PER NUOVE INDAGINI

di Angelo Barraco
 
Frosinone – Il Procuratore Capo di Cassino ha stabilito che la salma di Serena Mollicone sarà trasferita a Milano, presso l’istituto di medicina legale, dove verrà svolto un esame tanatologico. Gli indagati per la morte di Serena Mollicone sono: l’ex maresciallo dei Carabinieri Franco Mottola, la moglie Annamaria e il figlio Marco. Devono rispondere di omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà. In merito alla riesumazione del cadavere, il giudice delle indagini preliminari aveva detto “Forse non sarebbe del tutto pellegrina l'ipotesi di procedere alla riesumazione della salma”, per quanto riguarda invece la non archiviazione del caso, nell’ordinanza si legge “all'interno di uno degli alloggi di servizio della caserma fosse pacificamente presente una porta danneggiata da un violento urto”. Il GIP Lanna ha deciso di non archiviare il caso lo scorso gennaio e ha dato l’incarico ai seguenti consulenti nominati dalla Procura: Capitano Cesare Rapone dei RIS di Roma, Cristina Cattaneo, anatomopatologa e direttrice del laboratorio del LABANOF di Milano. Il conferimento è stato dato dal sostituto procuratore Beatrice Siravo. In tale circostanza presenziava anche il legale della famiglia Mottola, non erano presenti invece i tre indagati. Era presente invece Guglielmo Mollicone. Il 16 febbraio  sono stati eseguiti  accertamenti nella caserma dei Carabinieri di Arce in via Magni.Sono stati nominati dalla Procura di Cassino due nuovi consulenti tecnici: il Capitano dei RIS di Roma Rapone e l’anatomopatologa Cattaneo di Milano. Gli accertamenti tecnici sono iniziati alle ore 13 e sono terminati alle 18.30 circa e si sono svolti nel piano soprastante la caserma, precisamente in un appartamento inutilizzato e posto sotto sequestro. Gli accertamenti non si sono concentrati nei locali della caserma e nemmeno nei locali che all’epoca dei fatti era abitato dalla famiglia Mottola. L’appartamento in questione è un alloggio a servizio della caserma. Le analisi eseguite sul posto sono state effettuate con le più sofisticate tecniche investigative e ciò lo dimostra anche il tempo che gli esperti hanno impiegato all’interno della struttura. Analisi accurate e attente, si attendono adesso i referti di laboratorio che daranno risposta in merito a quanto analizzato all’interno dell’alloggio e passeranno circa due-tre mesi. Il pool investigativo che si è costituito per la ricerca della verità sulla morte di Serena Mollicone avanzerà la richiesta di sottoporre Arce ad una mappatura genetica, l’intento è di sottoporre molte persone di Arce all’esame del DNA, ma la richiesta che verrà avanzata non riguarderà tutta la popolazione ma categorie specifiche di soggetti. 
 
La scomparsa, le indagini. Serena Mollicone, la giovane studentessa di Arce  è morta a 18 anni nel giugno del 2001 e il suo cadavere fu rinvenuto nel bosco dell’Anitrella. Ma come si sono svolte le indagini in questi anni? Le indagini sul caso hanno avuto alti e bassi. Il 24 settembre 2002, la Procura di Cassino iscrisse nel registro degli indagati il carrozziere di Rocca D’Arce, Carmine Belli. Un indizio che inizialmente destò sospetti sull’uomo fu il rinvenimento del nastro adesivo. Il Belli aveva un nastro adesivo simile a quello che teneva mani e piedi di Serena legati, ma la comparazione delle impronte digitali ha portato esito negativo,  nell’ottobre del 2006, la Cassazione ribadì che il carrozziere era estraneo ai fatti. La svolta arriva però nell’aprile 2008, con la morte di Santino Tuzi, brigadiere dei carabinieri che in precedenza era stato ascoltato come persona informata sui fatti e aveva riferito che il giorno della scomparsa di Serena, aveva visto quest’ultima in caserma dai Mottola. Santino Tuzi successivamente però si suicida e tale morte è tutt’ora avvolta da una fitta cortina di mistero, perché Tuzi si uccide? Il 27 giugno 2011 vengono iscritte nel registro degli indagati cinque persone e sono: l’ex Maresciallo dei Carabinieri di Arce Franco Mottola, suo figlio Marco, un altro Carabiniere, Francesco Suprano, il fidanzato di allora di Serena Michele Fioretti e la madre del giovane, Rosina Partigianoni. Poco tempo fa il Procuratore Mario Mercone e gli investigatori del Reparto Operativo Provinciale dei Carabinieri hanno interrogato un uomo, l’uomo in questione non è stato iscritto nel registro degli indagati ma è stato ascoltato come persona informata sui fatti, vi erano inoltre accertamenti sulla busta e si parlava dell’isolamento di un DNA che presto avrebbe portato al nome dell’assassino, poi cos’è successo? Un caso che sembra avere la risposta dietro l’angolo ma ad ogni passo qualcosa non torna e tutto riparte da capo, si azzera e si annulla. Allo stato attuale le cose sono cambiate, gli ingranaggi investigativi si sono mossi seguendo una dinamica da sempre scritta e delineata da chi ha urlato a gran voce giustizia e verità per Serena. 



GLORIA ROSBOCH: INTERROGATO NUOVAMENTE GABRIELE DEFILIPPI

di Angelo Barraco
 
Torino – L’inchiesta sulla morte della professoressa Gloria Rosboch potrebbe essere avere presto un’importante svolta. Nella mattinata di oggi è stato ascoltato Gabriele Defilippi, accusato del terribile omicidio insieme all’amante-complice Roberto Obert. Defilippi è stato ascoltato dal procuratore Ferrando, coordinatore delle indagini. Il giovane è stato interrogato a seguito di una sua esplicita richiesta che ha fatto da coda ad una promessa “Vi farò recuperare armi e quanto resta dei risparmi di Gloria”. L’arma è stata cercata dagli inquirenti, in lungo e in largo, con e senza Obert ma nulla è emerso. In merito ai soldi della professoressa non vi è traccia, non si sa nulla dei 187 mila euro. E’ il momento della verità oppure si tratta dell’ennesimo depistaggio? Il difensore di Gabriele precisa “Può essere un momento decisivo dell’inchiesta, per definire nei dettaglio le modalità del delitto e la divisione delle responsabilità”. A metà settembre sarà interrogata Caterina Abbattista, che continua a proclamare la sua innocenza, malgrado vi siano elemento che dimostrano il contrario. 
 
Il 14 marzo è stato eseguito un altro sopralluogo dei carabinieri, nel bosco di Rocca Canavese. Il fine ultimo di tale sopralluogo era quello di trovare la pistola di Gabriele Defilippi, arma che il giovane in carcere per l’omicidio della professoressa Gloria Rosboch, ha consegnato al suo amante Roberto Obert. Gli inquirenti hanno cercato in quei luoghi perché Obert ha sostenuto di averla nascosta proprio li e sono stati utilizzati i cani antiesplosivo. La ricerca però non ha portato all’esito tanto sperato ed è stato negativo. Anche le precedenti operazioni di ricerca, svolte tra Rocca Canavese, Barbania e Rivara, hanno dato esito negativo. Obert dal canto suo ha dichiarato: “Posso ancora trovare la pistola, posso riuscirci”. Intanto è stato respinto il ricorso per Caterina Abbattista, deve restare in carcere. Nelle motivazioni si legge: “dimostra di aver avuto consapevolezza e partecipazione in tutta la fase che costituisce il movente dell'omicidio di Gloria Rosboch”. Il suo è definito un “concorso morale”.
 
L’arma era stata consegnata da Defilippi ad Obert con la richiesta ultima di nasconderla e farla sparire. L’arma non è stata utilizzata nel delitto della professoressa, ma il ritrovamento di essa potrebbe aprire nuovi scenari. Quali sono questi nuovi scenari su cui, attualmente, si sta puntando l’attenzione? Il 18 gennaio scorso, è stato ucciso un pregiudicato nelle campagne di Rivarolo, tale Pierpaolo Pomatto, di Feletto. Per il delitto è stato condannato M.P. ritenuto l’autore materiale del delitto poiché trovato in possesso del cellulare della vittima, ma l’uomo si è proclamato innocente. Ma cosa lega il caso Rosboch e il caso Pomatto? La risposta è un dato oggettivo che emerge come la nebbia che avvolge quei luoghi, le banconote false. Accanto al cadavere di Pierpaolo Pomatto sono state tovate delle banconote fac-simile di vario taglio. In un primo momento, tale elemento simbolico fu associato alle vicende giudiziarie passate di Pomatto, poichè era stato implicato in una vicenda che riguardava le Brigate Rosse e per questo processato, inoltre era stato processato nel 2009 per estorsione. L’arma del delitto non è mai stata trovata. Ma cosa c’entra Defilippi e Obert e la vicenda delle banconote false? Gabriele avrebbe consegnato a Roberto delle banconote false. Ritrovare l’arma è importante per chiarire alcuni punti importanti e per stabilire se i due episodi sono collegati oppure no.
 
Ultimi avvenimenti. E’ stata ascoltata in procura a Ivrea la fidanzata di Gabriele DiFilippi, una 20enne marocchina che dopo il delitto era tornata in patria. La giovane si è presentata spontaneamente in procura, è stata interrogata dal procuratore di Ivrea e dal capo del nucleo investigativo dei Carabinieri di Torino, ma senza un avvocato. Viene interrogata come persona informata sui fatti. Le indagini che stanno svolgendo gli inquirenti hanno lo scopo di appurare se vi siano altre persone coinvolte nella truffa ai danni dell’insegnante, l’inchiesta per truffa era stata aperta dalla procura di Torino ed è passata alla procura di Ivrea e quindi unificata all’inchiesta sull’omicidio. 
 
Gabriele Defilippi  è detenuto in  isolamento nel reparto psichiatrico del carcere di Torino e sorvegliato costantemente da telecamere. Il giovane non può inoltre leggere giornali né guardare la televisione. Ha visto il suo legale venerdì scorso. La madre, Caterina Abbattista, può invece accedere ai mezzi d’informazione. 
 
Il 27 febbraio sono stati effettuati degli accertamenti di natura tecnica, nell’area in cui è stato rinvenuto il cadavere dell’insegnante di 49 anni che, al momento del rinvenimento, si trovava in una vasca. Gli inquirenti si sono avvalsi dell’aiuto di un drone per riprendere l’intera area e ricostruire i movimenti di Gabriele Defilippi, Roberto Obert e Caterina Abbattista, tutti e tre detenuti per omicidio. Proprio sulla figura di Gabriele è puntata l’attenzione di inquirenti e avvocati. Emerge che il giovane reo confesso del delitto sarebbe stato in cura da uno psicologo nel 2011. Lui, ragazzo eccentrico, dai tanti profili facebook, che si sbizzarriva a mutare il suo aspetto per sembrare un’altra persona, è ricordato in paese proprio per questo. La difesa di Gabriele giocherà le sue carte sulla semi infermità mentale? Emerge che è stato nominato come consulente un primario di psichiatria. L’accusa, ricordiamo,  sostiene che Gabriele, insieme all’amante, avrebbe organizzato l’omicidio effettuando prima un sopralluogo nelle cisterne, precisamente due giorni prima e usando sim esclusivamente per il delitto. 
 
Ma non è tutto,  In un’intervista al programma Mattino 5 ha parlato ha parlato un compagno di gioco di Gabriele e ha riferito: “Gabriele ha attirato la mia attenzione perché giocava esattamente quattro volte la mia puntata ogni giro di pallina. Per essere un ragazzo così giovane era una cifra molto importante, giocava ogni giro dai 1.500 ai 2.500 euro. A fine serata erano migliaia di euro", ha detto anche “Era un giocatore molto importante, altrimenti non mi avrebbe mai affascinato questo tipo di personaggio. Una sera d’agosto vinse 15.000 euro ma, non sono in grado di dire se li rigiocò tutti. Aveva un gioco molto compulsivo, si spostava di volta in volta da tavolo a tavolo. Era sempre elegantissimo nel modo di vestire e aveva una raffinatezza linguistica incredibile. Si capiva che non aveva voglia d’interagire con me, probabilmente pensava che io lo monitorassi ma in realtà ero solo affascinato dalla sua mole di gioco. Era molto riservato e attento a non raccontarmi niente del suo lavoro tanto che, quando una sera cercai di invitarlo a cena, lui mi disse che faceva l’imprenditore ma notai che non era assolutamente interessato ad affrontare l’argomento. Era molto freddo, molto lucido e poco comunicativo”.  Tutto continua a girare attorno ai soldi quindi.
 
Gloria Rosboch era ancora viva quando è stata gettata nella cisterna, è questo ciò che ha dichiarato Gabriele Defilippi, reo confesso del delitto della Professoressa. “Gloria era ancora viva e si lamentava quando io e Obert l'abbiamo gettata nell'acqua” sono le sue parole, Gabriele continua dicendo “Dopo averla uccisa  abbiamo raccolto in un sacco tutte le sue cose e siamo andati a gettarle in giro per Torino”, ha sottolineato inoltre che “il mio amante mi ha rovinato. Ha preso lui tutti i soldi, sono stato fregato”, riferendosi a Roberto Obert. Caterina Abbattista, madre di Gabriele, aveva raccontato agli inquirenti che il 13 gennaio, giorno della scomparsa di Gloria Rosboch, il figlio si trovava a casa con lei e il fratello di 13 anni. Ma emerge un particolare che smentisce questa prima testimonianza della donna, poiché proprio il 13 gennaio la donna risponde su Whatsapp ad un’amica che chiede informazioni su Gabriele e la donna risponde “Lui è via”. Il capo d’accusa che pende sui tre è di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione e concorso. La donna è infermiera all’ospedale di Ivrea e ha raccontato agli inquirenti che il 13 gennaio era in ospedale, ma dalle indagini è emerso che la donna in realtà si trovava altrove. La donna timbrava alle 14.47 e usciva dall’ospedale alle 22.55, ma le celle telefoniche della donna hanno determinato una sua collocazione nelle zone di Montalenghe, dove avrebbe fatto una telefonata alle ore 19.19. Le ricostruzioni fatte dalla donna sono ritenute dal gip “del tutto inveritiere” poiché ha sempre sostenuto di non essersi mai allontanata dall’ospedale di Ivrea. 
 
Gloria Rosboch, scomparsa il 13 gennaio e viene uccisa mediante strangolamento con un laccio, o una sciarpa o un foulard, sicuramente un tessuto leggero vista l’assenza di segni di escoriazione sul collo. Per il suo omicidio sono stati fermati Gabriele Defilippi, Caterina Abbatista e Roberto Obert. Defilippi e Obert sono accusati di omicidio premeditato e occultamento di cadavere, Abbattista invece è accusata di concorso in omicidio. L’avvocato di Gabriele Defilippi ha riferito: “Sarà inoltre da valutare l'aspetto psichiatrico, visti i numerosi profili che il mio assistito aveva su Facebook” e ha aggiunto “E' consigliabile che il mio assistito non risponda alle domande che gli verranno poste”. Il legale puntualizza che ci sono ancora aspetti da chiarire sul caso e afferma che Defilippi e la madre hanno risposto alle domande del gip: “Gabriele inizia a rendersi conto ora di quello che è accaduto.  Valuteremo la possibilità di chiedere una perizia psichiatrica. Sembra evidente, come confermano i numerosi profili Facebook, che la sua è una personalità disturbata”.
 
Gabriele Defilippi ha ammesso le sue responsabilità in merito all’omicidio della professoressa Gloria Rosboch nel corso degli interrogatori che si sono svolti in precedenza. Ha confessato di aver ucciso la professoressa insieme a Roberto Obert. Caterina Abbattista, madre di Gabriele Defilippi, nega invece ogni sua responsabilità.    “L'abbiamo strangolata in auto e poi gettata via. Io non volevo, è stato lui” così è stato confessato l’omicidio di Gloria Rosboch, professoressa di 49 anni scomparsa da Castellamonte il 13 gennaio scorso e rinvenuta cadavere a pochi chilometri da casa, in un bosco di Rivara, all’interno di una vasca di decantazione dell’acqua nei pressi di una cascina. Il corpo della professoressa era ben conservato, grazie all’acqua gelida in cui giaceva che ha rallentato il processo di decomposizione. 
 
Il Procuratore di Ivrea ha riferito nel corso di una conferenza stampa presso il Comando Provinciale dei Carabinieri: “Abbiamo due confessioni con ruoli ribaltati. Roberto Obert ha detto che a strangolare la professoressa Rosboch è stato Gabriele Defilippi, ma quest'ultimo ha rilasciato delle dichiarazioni di verso opposto. Entrambi, però, sono collocati con certezza sulla scena dell'omicidio”, ha precisato inoltre “Abbiamo elementi che provano che entrambi qualche giorno prima del delitto hanno visionato la cisterna dove è stata gettata la donna”. Colui che ha strangolato la Professoressa era seduto nel sedile posteriore dell’autovettura Renault Twingo di Obert, che è stata individuata dalle telecamere. Dietro al macchina vi è un’altra autovettura, una Mini Cooper Gialla, anch’essa appartenente ad Obert. In merito al ruolo di Caterina Abbattista gli inquirenti hanno spiegato: “Nega tutto, ma la sua versione dei fatti contrasta con gli accertamenti tecnici in nostro possesso”, la donna avrebbe riferito di essere stata a lavoro quel giorno, ma tale versione sarebbe stata smentita dalle celle telefoniche.
 
Gabriele Defilippi era stato querelato dalla professoressa per una truffa di 187mila euro, il giovane aveva promesso alla Rosboch una vita insieme e una sicurezza economica determinata dall’investimento della cospicua somma di denaro che, a detta del giovane, sarebbe servita come investimento per una società finanziaria presso cui, a detta del giovane, lavorava anche lui. Ma il giovane, dopo aver preso i soldi, ha interrotto i contatto con l’insegnante che successivamente ha intrapreso le vie legali. Ma i contatti del giovane con la società non esistono, la società che ha tirato in ballo il giovane ha annunciato querele contro Gabriele Defilippi. La professoressa ha presentato una querela per truffa, successivamente riesce a rintracciare il giovane con uno pseudonimo attraverso facebook e le viene riferito dal giovane che un “capo” l’avrebbe picchiato e gli avrebbe sottratto il denaro. Nel mese di Dicembre la professoressa di incontra con la madre del giovane che ribadisce la versione sopracitata e della sottrazione del denaro. Il 13 gennaio, dopo aver pranzato, la professoressa esce a piedi intorno alle 14.45 e riferisce di dover fare rientro a scuola per una riunione. Ma quel giorno non c’era nessuna riunione a scuola, Gloria scompare. Si fa sera e la professoressa non rientra a casa, numerose le chiamate fatte dalla famiglia ma il cellulare è sempre spento. Il 18 febbraio gli inquirenti hanno sentito un’altra insegnante, anche lei potrebbe essere stata truffata da Gabriele. 
 
Martedì 16 febbraio è stato interrogato Gabriele Defilippi presso il comando provinciale dei Carabinieri di Torino come persona informata dei fatti. Un interrogatorio durato circa 4 ore, in quella stessa circostanza è stata sentita anche la madre del giovane, per circa un’ora. Hanno successivamente lasciato la caserma senza rilasciare alcuna dichiarazione, il loro legale ha riferito: “Hanno risposto alle domande e ripercorso il verbale già redatto in precedenza. Sono entrati da persone informate dei fatti e sono usciti nella stessa veste di testimoni”. Il giovane avrebbe riferito di non aver visto la professoressa dal novembre 2014 e ha raccontato cosa ha fatto il giorno della scomparsa della donna. Il giovane ha dichiarato agli inquirenti di essere rimasto nella casa di Gassino dove risiede con la madre, con il compagno della donna e il fratello.



NAPOLI: TRE LADRI TENTANO FURTO, PROPRIETARIO APPARTAMENTO NE UCCIDE UNO

di Angelo Barraco
 
Napoli – Alle ore 3,30 di stamattina, in Via Vecchia Aversa, precisamente negli appartamenti di Villa Literno a Caserta, tre ladri hanno tentato di compiere un furto d’auto. L’obiettivo che si erano prefissati i ladri non è però andato a buon fine, poiché il proprietario di un appartamento si è accorto che i ladri gli stavano rubando l’automobile, ha imbracciato un’arma regolarmente detenuta e ha sparato uccidendone uno. I tre ladri si sono dati alla fuga verso Casal Di Principe, a bordo della loro Bmw Bianca. Hanno lasciato il corpo senza vita del loro “compagno” davanti l’Ospedale Civile di Aversa che precedentemente era stato raggiunto dai colpi di arma da fuoco. Successivamente gli inquirenti hanno rinvenuto la Bmw bianca bruciata e gli accertamenti hanno appurato che l’automobile era stata rubata qualche giorno prima. Sono in corso le operazioni di identificazione del cadavere del labro e si ipotizza che la vittima fosse dell’Est Europa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i ladri sono arrivati con l’autovettura nel cortine di Via Vecchia Aversa, sorpresi dal proprietario si sono dati alla fuga e successivamente hanno lasciato il loro complice davanti l’Ospedale. Non è stato emesso nessun provvedimento contro il proprietario dell’abitazione. 



MARSALA: INFERMIERE ABUSA DEI PAZIENTI ANESTETIZZATI: ECCO TUTTI I DETTAGLI

di Angelo Barraco
 
Marsala (TP) – “Fidarsi è difficile. Sapere di chi fidarsi, ancora più difficile”, è una frase della famosa scrittrice statunitense Maria V. Snyder, ma è anche ciò che si ripetono continuamente i marsalesi al bar, per strada, in centro e nelle case a seguito dell’arresto di Maurizio Spanò, 52 anni, infermiere dell’Azienda  sanitaria provinciale di Trapani e in servizio presso l’Ospedale di Marsala “Paolo Borsellino”, arrestato con la terribile accusa di abusi sessuali ai danni dei pazienti, poichè approvittava di un loro stato di incoscienza determinato da farmaci anestetizzanti. L’uomo lavorava presso uno studio medico di Marsala e proprio nello studio privato sarebbero state commessi gli abusi sessuali contestati.
 
L’indagine è nata a fine febbraio, quando una donna ha visto che qualcosa non andava a seguito di una visita e ha sporto denuncia. Gli inquirenti stanno vagliando altri episodi e su questo fronte vi sono degli accertamenti in corso. Il soggetto era un infermiere e dava dei farmaci ai pazienti per affrontare degli esami diagnostici alquanto dolorosi.
 
I pazienti non erano completamente anestetizzati, anche perché un infermiere non può sottoporre ad anestesia un paziente. Ci sono delle forme di anestesia più leggere che lasciano il paziente parzialmente cosciente, anche se non si accorge di quello che gli succede. In questa circostanza, il paziente non si rendeva conto di quello che gli accadeva. Gli inquirenti hanno svolto degli accertamenti dalla data della denuncia alla data in cui il soggetto è stato tratto in arresto, allo stato attuale si sta indagando su altri episodi. Spanò si trova adesso ai domiciliari con braccialetto elettronico.
 
Il 19 marzo  si è svolto l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Amato, l’uomo però non ha proferito parola in merito ai fatti contestati, ha preferito proseguire lungo la strada del silenzio e non ha contestato le terribili accuse che pendono su di lui. Maurizio Spanò è stato intanto sospeso dal servizio. Il direttore generale dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani ha firmato la delibera che riguarda, sia tutta la durata delle misure cautelari, ma anche “considerata la gravità dei fatti emersi, lo stesso non potrà fare rientro in servizio senza la preventiva autorizzazione da parte dell’amministrazione, riservandosi l’Asp di mantenere in via cautelare la sospensione”.



COLPITA LA NDRANGHETA: SEQUESTRO BENI PER 500 MILIONI DI EURO AD AFFILIATI DELLA COSCA IANNAZZO

di Angelo Barraco
 
Catanzaro – Un’operazione del nucleo di Polizia Tributaria di Catanzaro della Guardia di Finanza ha portato al sequestro di beni per un valore di 500 milioni di euro. I beni sequestrati sono riconducibili agli affiliati della  cosca di Iannazzo di Lamezia Terme, cosca della Ndrangheta. Tanti i beni sequestrati, tra essi spicca il grande centro commerciale “Due Mari”, che si trova tra Catanzaro e Lamezia Terme ed è di proprietà dell’imprenditore Franco Perri. Nel mese di giugno del 2015, l’imprenditore Perri era stato coinvolto nell’operazione “Andromeda” e accusato di essere un appartenente della cosca di Iannazzo. L’attività investigativa ha fatto emergere che l’uomo non si sarebbe posto alcuno scrupolo nel chiedere la gambizzazione del fratello per motivi economici. L’operazione “Andromeda” citata poc’anzi ha avuto luogo nel maggio dello scorso anno e ha coinvolto 45 persone. Tornando alla recente operazione, il sequestro è stato disposto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro e su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. I beni sequestrati si trovano in zone sparse della Calabria e si tratta di beni mobili e immobili, titoli bancari e varie società, ma anche appartamenti, fabbricati, aziende, attività commerciali, che sono riconducibili a 65 persone fisiche e 44 soggetti giuridici. E’ stato sequestrato dalla Guardia di Finanza anche un ipermercato che è riconducibile a Perri. Gli inquirenti ritengono che avrebbe stretto legami con il capo cosca Iannazzo e che il suo fosse “un solido e proficuo rapporto di natura sinallagmatica al punto tale da essere definito colluso”.



SANGUE A GENOVA: UCCIDE LA MOGLIE ROSA LANDI MENTRE ERA AL TELEFONO CON IL FIGLIO

Redazione

Questa donna è morta in maniera brutale.Era al telefono con il figlio Andrea, di 37 anni, che ha sentito i rumori degli spari, Rosa Landi, 59 anni, uccisa dal marito ieri sera in casa a Genova per gelosia. La donna, originaria di Palmi (Reggio Calabria), è stata raggiunta da diversi colpi sparati dal marito, Ciro Vitiello, che ha poi chiamato la polizia ed è stato arrestato. "Mi voleva lasciare" ha detto alla polizia. L'uomo deteneva regolarmente 5 pistole e non aveva nessun precedente penale. Gli agenti dopo avere perquisito l'assassino hanno perlustrato l'abitazione: il cadavere della donna era nella sala, prono, con il viso a terra.
Sulla schiena un rivolo di sangue. Sul posto sono giunti i medici del 118 che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso della donna. É stato il medico legale, con il magistrato di turno Paola Calleri e gli investigatori della sezione omicidi della squadra mobile a effettuare la prima ispezione sul cadavere. Ciro Vitiello è stato arrestato con l'accusa di omicidio volontario.




ORRORE A MARSALA: ABUSI SESSUALI DI UN INFERMIERE SUI PAZIENTI ANESTETIZZATI

di Angelo Barraco

Marsala (TP) – Uno scandalo ha colpito la sanità e la città di Marsala nei giorni scorsi. Il 17 marzo è stato arrestato Maurizio Spanò, 52 anni, medico dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani e in servizio presso l’Ospedale di Marsala “Paolo Borsellino”, arrestato con la terribile accusa di abusi sessuali ai danni dei pazienti. L’uomo era impiegato in uno studio medico di Marsala e avrebbe approfittato dello stato di incoscienza di una paziente –stato di incoscienza determinato dagli anestetici- per abusarne sessualmente. L’incipit investigativo è partito a fine febbraio, quando la vittima ha presentato denuncia. Dalle indagini sembrerebbero emersi altri episodi, ma in merito a tali episodi vi sono indagini in corso. L’uomo si trova agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Nella giornata di ieri, 19 marzo, si è svolto l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Amato, l’uomo però non ha proferito parola in merito ai fatti contestati, ha preferito proseguire lungo la strada del silenzio e non ha contestato le terribili accuse che pendono su di lui. Maurizio Spanò è stato intanto sospeso dal servizio. Sempre nella giornata di ieri, 19 marzo, il direttore generale dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani ha firmato la delibera che riguarda, sia tutta la durata delle misure cautelari, ma anche “considerata la gravità dei fatti emersi, lo stesso non potrà fare rientro in servizio senza la preventiva autorizzazione da parte dell’amministrazione, riservandosi l’Asp di mantenere in via cautelare la sospensione”. 



CASO MADALINA PAVLOV, AVVOCATO PETRONGOLO: "QUALCUNO SI È BARRICATO DIETRO I NI…"

di Angelo Barraco
 
Reggio Calabria – Il 22 Marzo, a Reggio Calabria, si terrà una messa per Madalina Pavlov. La funzione avrà luogo nella chiesa di S. Agostino in Via S. Francesco di Paola alle ore 17.30 e sarà celebrata da Padre Franco Mazzone. La morte di Madalina Pavlov, 21enne di Reggio Calabria, è ancora avvolta da una fitta cortina di mistero. Tanti i dubbi e una sola certezza, una strana morte avvenuta in seguito ad una caduta da un terrazzo che risulta estraneo alla giovane. Ma chi era Madaliva Pavlov? Era una studentessa universitaria che aveva frequentato la facoltà di lingue all’Università di Messina, successivamente le sue ambizioni e le sue scelte professionali erano cambiate e aveva deciso di trasferirsi alla facoltà di Giurisprudenza della sua città. Era una ragazza dinamica e attiva nel sociale, faceva volontariato e lavorava in una pizzeria in Corso Vittorio Emanuele. Il 21 settembre 2012,  ha terminato il suo turno lavorativo alle ore 15.00, successivamente si è incontrata con il suo ex e  sono rimasti insieme fino alle 17:45 circa. Alle ore 19:00 dove recarsi a lavoro, ma quel giorno vi si recò, la sua morte avviene alle ore 21:00 di quello stesso giorno in Via Bruno Buozzi. La morte di Madalina è sopraggiunta in seguito alla caduta dal tetto che ha determinato lesioni in diverse parti del corpo. Perché è importante Via Bruno Buozzi? Perché è emerso, a seguito di attività investigative, che la giovane non conoscesse nessun inquilino del palazzo. Gli inquirenti hanno repertato inoltre un foglio con scritto “Via Bruno Buozzi” e la chiave che apre il terrazzo. In quel palazzo risiedono due funzionari di Stato e un Ginecologo, ma non risulterebbe che la ragazza abbia mai fatto visite ginecologiche in quello studio. Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo intervistato il legale della famiglia di Madalina, l’Avvocato Antonio Petrongolo, che gentilmente ci ha spiegato alcuni dettagli in merito alla vicenda e all’attività investigativa.  
 

 
 
– Avvocato, come stanno proseguendo le indagini sulla morte di Madalina?
 
Durante questi mesi abbiamo fatto dei passi importanti. Tutta l'equipe si è dedicata seriamente a questa vicenda. Anche perché noi abbiamo cercato, anche sollecitando la Procura, per quanto concerneva l’istanza di riesumazione del corpo, perché noi possiamo affermare che un tampone vaginale, ad oggi, è ancora possibile farlo perché il tempo ce lo consente. Poi è chiaro, con il percorrere degli anni questa ipotesi di prova potrebbe anche andare a smarrirsi. La stranezza è che non venne fatta all’epoca, questo è un dubbio forte che ci prende. Poi abbiamo fatto un’istanza per quanto concerne un esame grafologico sul biglietto rinvenuto, non si sa bene, se sul corpo di Madalina, in borsa  o comunque nelle prossimità, nelle vicinanze. Questo ancora non è dato chiarire perché fa parte dell’attività istruttoria che è ancora in corso.
 
– In un primo momento si era detto che tale biglietto venne trovato in tasca, vennero trovate anche delle chiavi che aprivano la porta del terrazzo…
 
Di fatto c’è questo equivoco perché, tra i beni che sono stati rinvenuti nella disponibilità di Madalina si parla di questo biglietto ma sembrerebbe che ci si riferisca al biglietto che è allegato alla chiave di accesso di apertura del terrazzo. Quindi non si capisce bene, sembrerebbe formare un corpo unico, anche se poi sembrerebbero a loro volta stati staccati. Quindi ci potrebbero essere due elementi diversi e questo ci deve anche far riflettere sul perché e sul per come Madalina avesse la chiave del terrazzo. 
 
– Per quanto riguarda la collocazione di Madalina in Via Bruno Buozzi. Madalina in quel palazzo non conosceva nessuno, c’è uno studio ginecologico e due funzionari di Stato. Per quanto si è appreso, Madalina in quello studio non aveva mai fatto visite, è una circostanza che mi conferma?
 
Diciamo che allo stato dei fatti questo è. Noi a novembre siamo stati convocati, dico siamo stati perché la Signora Cutulenco è stata sentita come persona informata sui fatti direttamente dal Procuratore, dal Sostituto Procuratore, dal Pm titolare delle indagini, tutte e tre insieme. C’è stato un confronto, sono emerse diverse situazioni che purtroppo non posso dire perché sono secretate -perché così è stato disposto- che potrebbero dare un’idea o comunque indirizzare, come effettivamente lo è ad oggi, le autorità inquirenti verso una serie di piste, che non sono poi tante, sono molto circostanziate e noi stiamo lavorando ovviamente di comune accordo, tutte le nostre attività di natura investigativa sono fortemente legate a quegli input che ad oggi la stessa magistratura ci sta dando. In occasione di un’intervista abbiamo anche fatto presente che sullo stivale di Madalina  -noi non sappiamo se questo particolare sia nella piena disponibilità della Magistratura inquirente o se sia ancora da valutare- sono state rinvenute tracce di vernice che apparentemente sembrerebbero essere vernice di pertinenza dell’autovettura Fiat 126 sulla quale Madalina ebbe a precipitare. Però noi non siamo convinti di ciò, perché la natura di quella vernice, anche se non esaminata con un esame chimico adeguato, non sembrerebbe appartenere a quella 126 perché quella macchina, ha circa 35 anni e il tipo di verniciatura di quella autovettura  era la classica verniciatura a fuoco con substrato di stucco, quindi per poter fare attrito e  poter prelevare su quella che è la parte posteriore del tacco parte della vernice, ci deve essere una caduta e compressione particolare. Quindi noi pensiamo che invece –questa è un ulteriore richiesta istanza che faremo- quella possa essere una vernice usata nell’ambito nelle imbarcazioni da diporto e quindi è possibile che Madalina, lo stesso giorno in cui è deceduta, possa essere andata sulla spiaggia e quindi magari essersi seduta su qualcuna di queste imbarcazioni che è facile trovare sul lungo mare di Reggio Calabria e questo spiegherebbe anche la presenza, all’interno della tasca di Madalina e dei bordi del pantalone, di sabbia proveniente dal lido antistante dal luogo in cui è avvenuto il fatto.
 
 
– Volevo arrivare proprio a questo, se non sbaglio era stata trovata della sabbia…
 
Esattamente, perfettamente compatibile con la sabbia –questo è un riscontro dei Ris- presente nella spiaggia  che è quasi antistante all’evento. Saranno cento metri orientativamente, metro più metro meno. 
 
 
– Avvocato, allo stato attuale qual è la posizione dei soggetti che gravitavano attorno a Madalina nelle ore precedenti al decesso?

Noi stiamo facendo uno screening a 360° di tutte le figure che circondavano Madalina…
 
 
– Quindi state riesaminando la posizione di tutti i soggetti che hanno visto Madalina il giorno della morte…
 
Non solo quel giorno ma anche prima. Stiamo di fatto, tramite il diario di Madalina e grazie ai diversi profili facebook stiamo un pochino ricostruendo, a livello anche di passaggi e di orari. Stiamo cercando di ripercorrere a ritroso quelli che sono stati gli ultimi istanti, cioè dall’ultimo istante fino ad arrivare a qualche giorno addietro poiché qualche elemento scatenante ci deve essere e stiamo puntando soprattutto su questo, cioè quale potrebbe essere stato l’input che poi avrebbe determinato l’evento. 

– Ci sono stati degli errori, secondo lei, nella prima fase delle indagini?
 
Sono stati trascurati, secondo noi, dei particolari che andavano esaminati con maggiore accortezza. Forse perché si è chiuso, almeno all’inizio, si è cercato di chiudere il caso come fosse suicidio, da una valutazione esteriore degli elementi e dei fatti stessi. Si necessitava forse di un maggiore impegno a livello investigativo che di fatto si è intrapreso dopo circa un anno, con estremo ritardo. Sicuramente con quella che poteva essere una tabella di marcia diversa.
 
– Che appello volete lanciare oggi?
 
Noi siamo fermamente convinti, ma questo è un dato di fatto, è che qualcuno sa e che si faccia avanti. Per noi è impensabile, è impossibile che Madalina, che aveva una cerchia di amici non indifferente, una voglia di vivere e soprattutto una sua attività sociale, è impossibile che non ci sia nessuno che sappia qualcosa in più che magari sarebbe utile per le indagini. Secondo noi c’è qualcuno in giro che ha qualche informazione che sarebbe utile per l’attività investigativa e che potrebbe essere di maggiore ausilio anche per quanto concerne il raggiungimento della verità stessa. Molti suoi amici si sono dileguati, qualcuno si è rifiutato, qualcuno si è barricato dietro dei “ni”, insomma ci sono state troppe situazioni strane anche a livello di brutali volta faccia, che Madalina sinceramente non meritava. 




ROBERTA RAGUSA: ANNULLATO PROSCIOGLIMENTO PER LOGLI, NUOVO PROCESSO

di Angelo Barraco
 
Pisa – La scomparsa di Roberta Ragusa è ancora avvolta dal mistero, tanti i dubbi, tante le ricerche e le speranze ma a distanza di anni, nessuna traccia della donna è emersa. Un silenzio che dura dal gennaio del 2012, quando scomparve dalla sua casa di Gello, a San Giuliano Terme in provincia di Pisa. Ci sono delle importanti novità in merito al processo per la scomparsa di Roberta Ragusa, poiché la Corte di Cassazione ha annullato il proscioglimento di Antonio Logli, marito di Roberta e ha accolto i ricorsi presentati dalla procura e dalla parte civile. Ciò significa che la Suprema Corte ha rinviato gli atti al Tribunale di Pisa per un nuovo giudizio, nuovo processo quindi per Logli. 
 
Le ipotesi in merito all’omicidio. L’ipotesi è che l’omicidio sia avvenuto al culmine di una lite per motivi di gelosia e poi sia stato distrutto il cadavere. Per gli inquirenti, la notte del 14 gennaio 2012, Logli  costrinse “con violenza la moglie Roberta Ragusa a salire in auto e poi la uccise volontariamente per poi sopprimerne il corpo al fine di assicurarsi l’impunità e impedire in modo permanente il ritrovamento”. E Logli inizialmente cosa racconta? racconta che la mattina quando si è svegliato Roberta non era né a letto né in casa. Il marito, insieme al suocero di Roberta individuano come possibile ipotesi della scomparsa l’allontanamento volontario.
Antonio Logli inizialmente, intervistato dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”, dice che la moglie poco tempo prima aveva battuto la testa e tale trauma avrebbe potuto causarle una perdita di memoria ergo lo smarrimento psicofisico. Logli dice anche altre cose,  si mette sulla difensiva, dice che con la moglie i rapporti sono buoni e che se ci fossero stati dei problemi non avrebbe esitato a riferirlo ai fini dell’indagine. Ma i riscontri oggettivi sono ben diversi. Una prima testimonianza di Roberta si ha poco tempo dopo, viene riconosciuta dai titolari di una rosticceria e quella persona viene identificata come Roberta. Ma dopo attente verifiche tale testimonianza si rivelerà falsa e senza riscontri.
La prima testimonianza che ha una valenza sulle indagini è quella di Loris Gozi. Gozi riferisce di aver visto e sentito litigare Logli, intorno all’01.30 di notte, con qualcuno in Via Gigli e di aver visto caricare con forza una donna all’interno di una C3 azzurra, proprio come la macchina di Roberta. La sua testimonianza è confermata dalla moglie di Gozi poiché codesta si trovava prima in macchina con lui ed entrambi hanno incrociato Logli lungo quel tragitto di strada, poi Loris torna a casa, lascia a casa la moglie e porta fuori il cane e proprio in quel momento vede la scena sopracitata. Con il passare del tempo si arriva ad un numero di quattro testimoni che confermano ciò che ha riferito Gozi e un altro testimone riferisce di aver sentito anch’esso le urla di una donna. Oltre alle prove visive che inchioderebbero Logli, vi è la prova dei cani molecolari. I casi molecolari fiutarono la presenza di Roberta Ragusa tra la sua abitazione e un punto preciso di Via Gigli nei pressi della ferrovia. Ci sono degli elementi che hanno destato sospetto agli inquirenti e che hanno portato loro ad indagare sulla persona di Antonio Logli.
Un elemento importante è Gozi e la sua testimonianza. Gozi racconta che giorni dopo la scomparsa di Roberta, Antonio Logli si recò da lui chiedendogli se avesse visto Roberta e si è affacciato dalla loro finestra per verificare se da lì si potesse vedere qualcosa. Un altro elemento che ha insospettito gli inquirenti è stata la scarsa collaborazione di Logli alle indagini. Antonio Logli alle 07.30 del mattino seguente, chiama la sua giovane amante, Sara Calzolaio e comunica ad essa di gettare il cellulare. Lei stessa successivamente si recherà in caserma dicendo di essere l’amante di Logli e di aver gettato il telefono, apparecchio  verrà recuperato dagli inquirenti dove, tramite i tabulati, verranno trovati dei riscontri importanti che riguardano anche alcune chiamate intercorse tra i due la sera della scomparsa di Roberta.
Un altro elemento che ha fatto parlare molto è stato che Logli, non molto tempo dopo, porta ufficialmente a casa sua Sara e codesta convive con lui allo stato attuale. Per gli inquirenti anche questo atteggiamento dimostra che Logli è sicuro che Roberta non tornerà e ciò è dimostrato dal fatto che ha portato Sara con se e da come si comporta anche durante la prima fase delle indagini, freddo e distaccato. Durante questo iter si viene a conoscenza di lettere scritte da Roberta (tramite la trasmissione “Chi l’ha visto?”) in cui la donna manifesta il suo malessere nei confronti di un marito che la ignora come donna e si evidenzia una situazione tragica e al limite poiché la donna tenta di salvare un rapporto che il marito ignora. Una lettera anonima segnala che Logli, il giorno dopo la scomparsa si mobilità presso il cimitero di Orzignano. Logli dice che va lì per verificare se Roberta è andata in quel luogo per piangere sulla tomba della madre che è sepolta lì, ma questa versione non convince gli inquirenti, soprattutto per il fatto che nel cimitero vi sono sei botole vuote.