TOMMASO ONOFRI: PERMESSI PREMIO PER MARIO ALESSI

di Angelo Barraco

Parma – Il 2 marzo 2006 tutta l’Italia ha pianto per la tragica morte del piccolo Tommaso Onofri, bimbo di soli 18 mesi che fu rapito e ucciso senza pietà da Mario Alessi. Sono passati 10 anni da quel terribile delitto e adesso  l’ex muratore che lavorava in casa Onofri potrebbe uscire dal carcere ed usufruire di permessi premio per lavorare, probabilmente lo stesso lavoro che faceva quando ha deciso di porre fine alla vita di un bimbo di soli 18 mesi. La notizia scuote il mondo dell’opinione pubblica, della politica e ovviamente la famiglia Onofri. Paola Pellinghelli, mamma del piccolo Tommy, ha dichiarato: “Se dovesse succedere, urlerei così tanto che qualcuno, prima o poi, mi ascolterebbe. Vorrei ricordare che fra me e lui sono io che sto scontando l'ergastolo: la mia condanna è non avere più Tommy. Spero che davanti a un'eventuale richiesta per il permesso-premio il giudice valuti con responsabilità tutta la storia di questo mostro, tutte le sue bugie”. Ha aggiunto inoltre che nel 2006 “me lo sono ritrovato in casa come muratore perché qualche giudice aveva deciso che potesse stare in libertà dopo la condanna per stupro e rapina. Di quelle condanne io non sapevo assolutamente nulla. Non vorrei che qualche altro giudice gli desse nuovamente credito”. In merito alla questione Alessi, si è espresso anche Matteo Salvini: “Pazzesco. Sono passati 10 anni e chi ha ucciso il piccolo Tommy uscirà per dei permessi-premio. La bestia che ha massacrato un bimbo di 18 mesi, condannata all'ergastolo, potrà lavorare fuori dal carcere. Io sono contro la pena di morte ma il mio impegno quando sarò al governo è che l'ergastolo sia ergastolo, meglio se ai lavori forzati!”. 
 
Il rapimento, l’omicidio. La sera del 2 marzo del 2006 due sconosciuti, intorno alle 21.00m entrano a casa Onofri ed immobilizzano con il nastro isolante i coniugi Onofri e il figlio maggiore della coppia. Il figlio più piccolo, Tommaso, lo prendono dal seggiolone e lo portano via. Il piccolo era febbricitante e soffriva di epilessia, l’Italia si commuove e le ricerche partono da ogni regione e con qualsiasi mezzo, ma non viene trovata traccia. Successivamente vengono ascoltati alcuni operai che avevano lavorato nella casa della famiglia Onofri. Il 10 marzo, in seguito ad una perquisizione da parte delle forze dell’ordine viene scoperto del materiale pedopornografico nel computer del papà di Tommy e viene iscritto nel registro degli indagati per il possesso di tale materiale. Il 26 marzo comparve vicino la casa degli Onofri la scritta “ne hai abbastanza?” interpretata come messaggio dei malviventi rivolto alla famiglia. Il 28 marzo le indagini si concentrano su una traccia lasciata dai rapitori nel nastro adesivo. Accertamenti portano ad un muratore, Mario Alessi, un pluripregiudicato che ha ristrutturato la casa degli Onofri. L’uomo era stato ascoltato in procura ma aveva un alibi che però era stato smentito. Il 1 aprile viene effettuata una vastissima operazione che coninvolge Polizia e Carabinieri che porta alla perquisizione di casolari e campagne alla ricerca del piccolo Tommy. Vengono ascoltate circa 40 persone e posti a fermo Mario Alessi, Antonella Conserva (la compagna) e Salvatore Raimondi, l’uomo a cui apparteneva l’impronta digitale sul nastro adesivo. Alessi dopo l’interrogatorio confessa il tragico delitto e confessa di averlo ucciso poco dopo il rapimento. Il 2 aprile gli inquirenti vengono condotti nel luogo in cui si trova occultato il corpo del piccolo Tommy.
 
La città di Parma è vicina alla famiglia Onofri e per ricordare il piccolo Tommy è stato inaugurato, il 3 maggio 2015, un parco intitolato al piccolo. All’inaugurazione c’era il  Sindaco di Parma Federico Pizzarotti e i rappresentanti di diverse associazioni, c’era anche la mamma del piccolo Tommy, Paola Pellinghelli. La mamma del piccolo Tommy ha raccontato così l’iniziativa: “Un'iniziativa che mi fa piacere. A Tommy sono dedicati asili e parchi in tutt'Italia. Mancava Parma ma da oggi possiamo dire che anche Parma lo ha ricordato”.



REGGIO CALABRIA: SCOPERTA CASA DI APPUNTAMENTI, 12 ARRESTI

di Angelo Barraco
Reggio Calabria – Lotta contro lo sfruttamento della prostituzione. Nella mattinata di oggi sono state eseguite  misure cautelari nei confronti di 12 persone, sette sono state arrestate, di cui due con l’interdizione carceraria e cinque con i domiciliari e altre cinque hanno l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria. A dare il via all’operazione è stata la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, procedendo alle misure cautelari emesse dal GIP. Sugli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più delitti in materia di sfruttamento della prostituzione, esercizio di una casa di prostituzione e reati connessi alla prostituzione, in un arco di tempo che va dal settembre 2014 ad oggi, inoltre è stata posta sotto sequestro la struttura in località Reggio Campi. Si apprende che l’indagine è scaturita in seguito ad un’ispezione amministrativa che i Carabinieri effettuarono all’interno del “Club Reggioland”, che è pubblicizzato anche sul web. La perquisizione avrebbe portato gli inquirenti a riscontrare diverse irregolarità, successivamente è stata disposta la cessazione dell’attività. Le indagini successive hanno fatto emergere una vera e propria associazione a delinquere che reclutava giovani donne che venivano avviate alla prostituzione.
E’ emerso che le serate si svolgevano due volte a settimana, dalle 22 in poi, i clienti prenotavano durante l’arco della settimana. E’ stato inoltre riscontrato che erano 11 le donne che esercitavano l’attività di prostituzione, tutte di età compresa tra i 20 e i 50 anni.



PALERMO: OPERAZIONE BRASCA ,62 ARRESTI

Redazione
 
I Carabinieri stanno dando esecuzione alle ordinanze di custodia cautelare, emesse dal G.I.P. di Palermo su richiesta della locale Procura Distrettuale, nei confronti di 62 soggetti, accusati a vario titolo di associazione mafiosa nonché dei delitti di estorsione, danneggiamento, ricettazione, favoreggiamento e reati in materia di armi aggravati dal metodo mafioso. Contestualmente si stanno ponendo sotto sequestro preventivo attività commerciali, imprese e beni immobili frutto di illecito arricchimento.
L’operazione è frutto di due distinte manovre investigative sviluppate dal R.O.S. e dal Gruppo Carabinieri di Monreale in direzione dei “mandamenti” di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato che hanno avuto significative tangenze in occasione delle dinamiche inerenti la riorganizzazione di quest’ultima struttura e della dipendente famiglia di Altofonte.
Le attività hanno consentito di avere cognizione degli assetti di vertice delle menzionate articolazioni di Cosa Nostra nonché delle interessanti interlocuzioni con gli esponenti apicali dei mandamenti limitrofi. Sono stati, inoltre, documentati numerosi reati fine espressione della capacità di intimidazione e controllo del territorio delle compagini mafiose oggetto di indagine.



NO TAV: ARRESTATI ATTIVISTI

Redazione

Torino – I Carabinieri hanno arrestato due attivisti No Tav, con la misura cautelare degli arresti domiciliari, altri quattro attivisti hanno l’obbligo di firma. Tali misure riguardano un episodio accaduto lo scorso 17 settembre a Bussoleno, quando furono assediate due auto dell’Arma. Un’iniziativa a cui avevano partecipato circa 30 parsone e che aveva portato al blocco del traffico sulla statale 25. Quella sera, i 30 attivisti No Tav giungevano da una manifestazione, successivamente circondarono una macchina appartenente alla pattuglia della Compagnia di Susa e un’autovettura appartenente alla Stazione di Condove. Gli attivisti a cui è stata destinata la misura cautelare hanno minacciato i militari e si sono rifiutati di fornire i loro documenti. I reati contestati sono: concorso in minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale, rifiuto di fornire le proprie generalità. 



VICENZA, ORRORE IN CLASSE: MAESTRA PICCHIA ALUNNI. SOSPESA PER 5 MESI

di Angelo Barraco
 
Vicenza
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Vicenza – “I bambini sono come il cemento umido, tutto quello che li colpisce lascia un’impronta” scriveva Haim G. Ginott. Le parole e le azioni che un adulto esercita nei confronti di un bambino, possono diventare fonte di insegnamento, come possono arrecare danni alla sua fragilissima personalità e sensibilità qualora un adulto esercita coercizione nei confronti di un bambino. In Italia sono tanti, purtroppo, i casi documentati in cui alcuni insegnanti maltrattano dei bambini. E’ successo a Vicenza, dove una maestra di 60 anni è stata accusata di aver maltrattato i suoi bambini. Per i maltrattamenti contestati in un arco di tempo che va dall’ottobre del 2014 a febbraio di quest’anno, la donna è stata sospesa dall’insegnamento per cinque mesi. Alla donna è stata notificata inoltre una misura cautelare interdittiva. La donna, secondo l’accusa, avrebbe abusato delle sue qualità e avrebbe tenuto un atteggiamento violento nei confronti dei bambini di un’età compresa tra i 3 e i 5 anni. La maestra li insultava, li minacciava, esercitava su di loro violenza ed esercitava pressioni coercitiva minacciandoli di gravi conseguenze qualora si fossero comportati in modo non adeguato. E’ stato inoltre appurato che l’insegnante, in un’occasione, ha sputato in faccia ad un alunno come “metodo di insegnamento”, poiché il piccolo aveva precedentemente sputato ad un suo coetaneo. Gli inquirenti riferiscono: “Un atteggiamento autoritario e violento verso bambini in età compresa tra i tre ed i cinque anni, insultandoli ed usando violenza, minacciandoli di gravi conseguenze in caso di comportamenti non adeguati“.

 

La frase di Haim G. Ginot, citata poc’anzi, riteniamo che sia fondamentale per descrivere la complessità e il delicato equilibrio psicologico di un bambino. Abbiamo chiesto alla Dottoressa Rossana Putignano, Psicologa clinica-Psicoterapeuta psicoanalitica, di analizzarla in relazione alla psicologia dei bambini e a ciò che ne consegue, qualora un bambino subisce una violenza.
Ecco cosa ci ha risposto la Dottoressa Putignano in merito alla frase “I bambini sono come il cemento umido, tutto quello che li colpisce lascia un’impronta”.

Pregnante metafora di quello che sono davvero i bambini, essi assorbono come delle spugne dal mondo intorno. Anche quando non parlano, memorizzano parole senza che genitori ne siano consapevoli fino alla cosiddetta ‘esplosione del linguaggio’ lasciando tutti stupefatti. Stessa cosa accade per gli atti, gesti e comportamenti che si adottano nei loro confronti, che lasciano sicuramente un’impronta indelebile. Gli insegnanti sono coloro che devono proseguire il lavoro iniziato dai genitori, all’interno di un preciso percorso scolastico. Per “lavoro” intendo un’opera educativa e protettiva allo stesso tempo. Nel momento in cui un insegnante usa violenza su un bambino, si crea un profondo conflitto in quest’ultimo, dipeso dal fatto che egli si aspetta dall’insegnante lo stesso tipo di accudimento dato dal genitore. Quando si dice che ‘ i bambini assorbono come spugne’ è perché la loro percezione del mondo è diversa rispetto a quella dell’adulto, onde per cui un gesto che per un adulto può essere banale, come per esempio tirare le trecce o dare un buffettino, diventa per il bambino un gesto che lo cala in un profondo disagio, facendolo sentire inadeguato. In casi estremi, si può parlare di un vero trauma complesso per via della violenza e umiliazione cronica e ripetuta, fino a portare il minore all’evitamento della stessa scuola e allo sviluppo di una sintomatologia che varia secondo i casi. Inoltre, è importante che il comportamento manifesto dell’adulto sia coerente con il comportamento non verbale: non a caso si dice che ai bambini non si nasconde niente; infatti, a loro non sfugge proprio nulla: se la mamma soffre il mal di testa e non è ben disposta ad assecondare il bambino, è giusto che egli sappia che la mamma non sta bene, in modo da evitare un conflitto nel minore tra quello che è stato detto e quello che è stato percepito. Abituare un bambino a ricevere menzogne, anche a fin di bene, non lo aiuta a riconoscere gli stati mentali altrui e i propri, con conseguenze importanti nello sviluppo della personalità. Gli insegnanti dovrebbero fare questo: continuare l’opera di accuimento dei genitori e favorire l’apprendimento. Se il bambino riceve violenze, umiliazioni e ammonimenti continui dall’insegnante, tutto ciò non favorirà l’apprendimento e diventa 'un cane che si morde la coda’, un circolo improduttivo che porta il bambino a sentirsi inadeguato; di conseguenza, egli meno s'impegnerà e maggiori saranno i rimproveri. Concludendo, è necessario che il personale scolastico sia formato per un adeguato approccio al bambino o supervisionato dagli stessi colleghi. Non ritengo necessario l’inserimento delle telecamere nelle aule ma potrebbe essere utile una maggiore attenzione alle caratteristiche personologiche degli insegnanti e mi riferisco al loro eventuale sviluppo affettivo deficitario (oltre a quello cognitivo scontato per un insegnante) che può ripercuotersi sui minori. Lancio una provocazione: visita psichiatrica obbligatoria per gli insegnanti?

 

Abbiamo intervistato la Dottoressa Mary Petrillo, Psicologa criminologa docente presso master criminologia univ. Niccolò Cusano. Ecco le riflessioni della Dottoressa Petrillo in merito al caso della maestra di Vicenza.

“Il caso della maestra di Vicenza va ad inserirsi in una casistica di gravi fatti avvenuti in altri ambienti scolastici da parte di insegnanti nei confronti di bambini anche molto piccoli. Molti bambini per svariate motivazioni che possono essere di natura psicologica e di natura comportamentale manifestando il loro disagio in modalità ritenute da certi adulti "ingestibili" possono, loro malgrado, scatenare la rabbia e l'aggressività repressa di soggetti adulti  che vivono o hanno vissuto, a loro volta, un grave disagio se non addirittura un vero e proprio disturbo della personalità. Molti adulti, infatti, si infastidiscono per certi comportamenti e reagiscono inadeguatamente di fronte a questa comunicazione di disagio del bambino. Un insegnante che reagisce in modo fortemente è gravemente inadeguato nei confronti di bambini "difficili", generalmente lo fa perché o non preparato ad affrontare bambini problematici, quindi a causa di una carenza formativa, e di questo spesso deve farsene carico anche la istituzione scolastica che a sua volta purtroppo è sempre meno supportata nel far crescere e aggiornare professionalmente il corpo docente. In effetti se un docente fosse più stimolato a stare sempre al passo coi tempi e quindi ad avere una formazione adeguata oltre che un supporto anche psicologico all'interno della istituzione scuola, è molto probabile che vada meno incontro a situazioni di Burn-out, ossia una condizione di particolare stress vissuta da un lavoratore.

Altra motivazione che, però, dobbiamo comunque considerare è quella relativa ad una problematica di natura psicologica che affligge l'insegnante maltrattante, problematica derivante o da situazioni di disagio che la persona sta vivendo in quel determinato momento della sua vita o perché, invece, abbiamo a che fare con soggetti che proiettano sui bambini quanto sia stato a loro fatto fin da piccoli, quindi conoscono come unica modalità educativa quella di mostrarsi autoritari ed aggressivi al,fine di ottenere ascolto e rispetto da parte dei bambini. Altra tipologia di soggetti sono quelli che ritenendo inaccettabili alcuni comportamenti messi in atto dai bimbi reagiscono impulsivamente in modo aggressivo, arrabbiato e conflittuale e solo attraverso tale modalità comportamentale questi soggetti sentono di poter scaricare le loro tensioni e il loro disagio. Credo che ormai debba prendersi in considerazione l'idea che una educazione autoritaria, obsoleta ha gravi conseguenze sui più piccoli che possono trasformare queste mancanze dell'adulto in ansia o nevrosi che se non prese in tempo possono arrecare gravi danni sulla loro personalità. L'educatore deve avere il diritto/dovere di aggiornarsi con le nuove forme di pedagogia, deve essere consapevole che la sua professione è molto importante per la vita di un bambino e quindi è necessario essere autorevoli e non autoritari. l'insegnante, ma anche il genitore, deve essere una figura di riferimento e non un "amico".


 

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NDRANGHETA: MAXIOPERAZIONE, 19 ARRESTI TRA CUI IL BOSS DE STEFANO

di Angelo Barraco

Reggio Calabria – Un’operazione della Polizia di Stato ha fatto scattare 19 misure cautelari nei confronti di affiliati alla ‘ndrangheta e precisamente alle cosche di De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino, Araniti. Per 11 di loro è scattata la misura cautelativa del carcere, 6 di loro invece sono agli arresti domiciliari e 2 con obbligo di dimora. I reati contestati sono: associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, detenzione e porto di materiale esplosivo, estorsione, intestazione fittizia di beni, rivelazione del segreto d’ufficio. Sono state eseguite inoltre numerose perquisizioni che hanno portato al sequestro di beni e di società. Numerosi i sequestri agli esercizi commerciali che erano in mano alla ‘ndrangheta, come per esempio dei bar della città, una stazione per l’erogazione del carburante, attività commerciali che concentravano il loro business sulla vendita di surgelati, concessionarie di auto. Il valore dei beni e delle aziende sequestrate è di circa 10 milioni di euro. La ‘ndrangheta affidavano a terze persone la gestione delle attività, in modo tale da eludere i controlli. L’indagine denominata “Sistema Reggio” è partita nel 2014, a seguito di due attentati ai danni del “Bar Malavenda” di Reggio Calabria. Gli inquirenti ritengono che “"a Reggio, chiunque voglia intraprendere un'attività economica o commerciale, non deve rivolgersi soltanto allo Stato o agli enti locali per le relative autorizzazioni amministrative, ma deve ottenere il nulla osta da parte delle cosche che controllano il territorio e che formano il cosiddetto 'sistema Reggio”. Coinvolta nell’inchiesta anche un’impiegata del Tribunale di Reggio Calabria, che è stata arrestata, poiché avrebbe riferito agli indagati che vi erano inchieste a loro carico. Anche il marito della donna è finito in manette e anche lui è considerato la “Talpa” poiché avrebbe rivelato informazioni coperte da segreto. Il fratello dell’uomo e un’altra persona, entrambi arrestati, avrebbero fornito le informazioni alle cosche Santa Caterina per assicurarsi protezione per l’apertura del bar “Ritrovo Libertà” (ex Bar Malavenda). Ma tra gli arrestati spunta un nome di spicco, il boss Giorgio De Stefano. Chi è Giorgio De Stefano? E’ un avvocato di 68 anni in pensione, e reggente dell’omonima cosca. E’ cugino di Paolo De Stefano, capo cosca ucciso nel 1985 nel corso di una faida. L’avvocato scontò una condanna a tre anni e mezzo di reclusione nel 2001 per concorso esterno in associazione mafiosa. 



GLORIA ROSBOCH: SI CERCA LA PISTOLA

di Angelo Barraco
 
Torino – Ancora un altro sopralluogo dei carabinieri, nel bosco di Rocca Canavese. Il fine ultimo di tale sopralluogo era quello di trovare la pistola di Gabriele Defilippi, arma che il giovane in carcere per l’omicidio della professoressa Gloria Rosboch, ha consegnato al suo amante Roberto Obert. Gli inquirenti hanno cercato in quei luoghi perché Obert ha sostenuto di averla nascosta proprio li e sono stati utilizzati i cani antiesplosivo. La ricerca però non ha portato all’esito tanto sperato ed è stato negativo. Anche le precedenti operazioni di ricerca, svolte tra Rocca Canavese, Barbania e Rivara, hanno dato esito negativo. Obert dal canto suo ha dichiarato: “Posso ancora trovare la pistola, posso riuscirci”. Intanto è stato respinto il ricorso per Caterina Abbattista, deve restare in carcere. Nelle motivazioni si legge: “dimostra di aver avuto consapevolezza e partecipazione in tutta la fase che costituisce il movente dell'omicidio di Gloria Rosboch”. Il suo è definito un “concorso morale”.
 
Non si esclude che nei prossimi giorni, Obert, possa essere nuovamente ascoltato dal procuratore di Ivrea. L’arma era stata consegnata da Defilippi ad Obert con la richiesta ultima di nasconderla e farla sparire. L’arma non è stata utilizzata nel delitto della professoressa, ma il ritrovamento di essa potrebbe aprire nuovi scenari. Quali sono questi nuovi scenari su cui, attualmente, si sta puntando l’attenzione? Il 18 gennaio scorso, è stato ucciso un pregiudicato nelle campagne di Rivarolo, tale Pierpaolo Pomatto, di Feletto. Per il delitto è stato condannato M.P. ritenuto l’autore materiale del delitto poiché trovato in possesso del cellulare della vittima, ma l’uomo si è proclamato innocente. Ma cosa lega il caso Rosboch e il caso Pomatto? La risposta è un dato oggettivo che emerge come la nebbia che avvolge quei luoghi, le banconote false. Accanto al cadavere di Pierpaolo Pomatto sono state tovate delle banconote fac-simile di vario taglio. In un primo momento, tale elemento simbolico fu associato alle vicende giudiziarie passate di Pomatto, poichè era stato implicato in una vicenda che riguardava le Brigate Rosse e per questo processato, inoltre era stato processato nel 2009 per estorsione. L’arma del delitto non è mai stata trovata. Ma cosa c’entra Defilippi e Obert e la vicenda delle banconote false? Gabriele avrebbe consegnato a Roberto delle banconote false. Ritrovare l’arma è importante per chiarire alcuni punti importanti e per stabilire se i due episodi sono collegati oppure no.
 
Ultimi avvenimenti. E’ stata ascoltata in procura a Ivrea la fidanzata di Gabriele DiFilippi, una 20enne marocchina che dopo il delitto era tornata in patria. La giovane si è presentata spontaneamente in procura, è stata interrogata dal procuratore di Ivrea e dal capo del nucleo investigativo dei Carabinieri di Torino, ma senza un avvocato. Viene interrogata come persona informata sui fatti. Le indagini che stanno svolgendo gli inquirenti hanno lo scopo di appurare se vi siano altre persone coinvolte nella truffa ai danni dell’insegnante, l’inchiesta per truffa era stata aperta dalla procura di Torino ed è passata alla procura di Ivrea e quindi unificata all’inchiesta sull’omicidio. 
 
Gabriele Defilippi  è detenuto in  isolamento nel reparto psichiatrico del carcere di Torino e sorvegliato costantemente da telecamere. Il giovane non può inoltre leggere giornali né guardare la televisione. Ha visto il suo legale venerdì scorso. La madre, Caterina Abbattista, può invece accedere ai mezzi d’informazione. 
 
Il 27 febbraio sono stati effettuati degli accertamenti di natura tecnica, nell’area in cui è stato rinvenuto il cadavere dell’insegnante di 49 anni che, al momento del rinvenimento, si trovava in una vasca. Gli inquirenti si sono avvalsi dell’aiuto di un drone per riprendere l’intera area e ricostruire i movimenti di Gabriele Defilippi, Roberto Obert e Caterina Abbattista, tutti e tre detenuti per omicidio. Proprio sulla figura di Gabriele è puntata l’attenzione di inquirenti e avvocati. Emerge che il giovane reo confesso del delitto sarebbe stato in cura da uno psicologo nel 2011. Lui, ragazzo eccentrico, dai tanti profili facebook, che si sbizzarriva a mutare il suo aspetto per sembrare un’altra persona, è ricordato in paese proprio per questo. La difesa di Gabriele giocherà le sue carte sulla semi infermità mentale? Emerge che è stato nominato come consulente un primario di psichiatria. L’accusa, ricordiamo,  sostiene che Gabriele, insieme all’amante, avrebbe organizzato l’omicidio effettuando prima un sopralluogo nelle cisterne, precisamente due giorni prima e usando sim esclusivamente per il delitto. 
 
Ma non è tutto,  In un’intervista al programma Mattino 5 ha parlato ha parlato un compagno di gioco di Gabriele e ha riferito: “Gabriele ha attirato la mia attenzione perché giocava esattamente quattro volte la mia puntata ogni giro di pallina. Per essere un ragazzo così giovane era una cifra molto importante, giocava ogni giro dai 1.500 ai 2.500 euro. A fine serata erano migliaia di euro", ha detto anche “Era un giocatore molto importante, altrimenti non mi avrebbe mai affascinato questo tipo di personaggio. Una sera d’agosto vinse 15.000 euro ma, non sono in grado di dire se li rigiocò tutti. Aveva un gioco molto compulsivo, si spostava di volta in volta da tavolo a tavolo. Era sempre elegantissimo nel modo di vestire e aveva una raffinatezza linguistica incredibile. Si capiva che non aveva voglia d’interagire con me, probabilmente pensava che io lo monitorassi ma in realtà ero solo affascinato dalla sua mole di gioco. Era molto riservato e attento a non raccontarmi niente del suo lavoro tanto che, quando una sera cercai di invitarlo a cena, lui mi disse che faceva l’imprenditore ma notai che non era assolutamente interessato ad affrontare l’argomento. Era molto freddo, molto lucido e poco comunicativo”.  Tutto continua a girare attorno ai soldi quindi.
 
Gloria Rosboch era ancora viva quando è stata gettata nella cisterna, è questo ciò che ha dichiarato Gabriele Defilippi, reo confesso del delitto della Professoressa. “Gloria era ancora viva e si lamentava quando io e Obert l'abbiamo gettata nell'acqua” sono le sue parole, Gabriele continua dicendo “Dopo averla uccisa  abbiamo raccolto in un sacco tutte le sue cose e siamo andati a gettarle in giro per Torino”, ha sottolineato inoltre che “il mio amante mi ha rovinato. Ha preso lui tutti i soldi, sono stato fregato”, riferendosi a Roberto Obert. Caterina Abbattista, madre di Gabriele, aveva raccontato agli inquirenti che il 13 gennaio, giorno della scomparsa di Gloria Rosboch, il figlio si trovava a casa con lei e il fratello di 13 anni. Ma emerge un particolare che smentisce questa prima testimonianza della donna, poiché proprio il 13 gennaio la donna risponde su Whatsapp ad un’amica che chiede informazioni su Gabriele e la donna risponde “Lui è via”. Il capo d’accusa che pende sui tre è di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione e concorso. La donna è infermiera all’ospedale di Ivrea e ha raccontato agli inquirenti che il 13 gennaio era in ospedale, ma dalle indagini è emerso che la donna in realtà si trovava altrove. La donna timbrava alle 14.47 e usciva dall’ospedale alle 22.55, ma le celle telefoniche della donna hanno determinato una sua collocazione nelle zone di Montalenghe, dove avrebbe fatto una telefonata alle ore 19.19. Le ricostruzioni fatte dalla donna sono ritenute dal gip “del tutto inveritiere” poiché ha sempre sostenuto di non essersi mai allontanata dall’ospedale di Ivrea. 
 
Gloria Rosboch, scomparsa il 13 gennaio e viene uccisa mediante strangolamento con un laccio, o una sciarpa o un foulard, sicuramente un tessuto leggero vista l’assenza di segni di escoriazione sul collo. Per il suo omicidio sono stati fermati Gabriele Defilippi, Caterina Abbatista e Roberto Obert. Defilippi e Obert sono accusati di omicidio premeditato e occultamento di cadavere, Abbattista invece è accusata di concorso in omicidio. L’avvocato di Gabriele Defilippi ha riferito: “Sarà inoltre da valutare l'aspetto psichiatrico, visti i numerosi profili che il mio assistito aveva su Facebook” e ha aggiunto “E' consigliabile che il mio assistito non risponda alle domande che gli verranno poste”. Il legale puntualizza che ci sono ancora aspetti da chiarire sul caso e afferma che Defilippi e la madre hanno risposto alle domande del gip: “Gabriele inizia a rendersi conto ora di quello che è accaduto.  Valuteremo la possibilità di chiedere una perizia psichiatrica. Sembra evidente, come confermano i numerosi profili Facebook, che la sua è una personalità disturbata”.
 
Gabriele Defilippi ha ammesso le sue responsabilità in merito all’omicidio della professoressa Gloria Rosboch nel corso degli interrogatori che si sono svolti in precedenza. Ha confessato di aver ucciso la professoressa insieme a Roberto Obert. Caterina Abbattista, madre di Gabriele Defilippi, nega invece ogni sua responsabilità.    “L'abbiamo strangolata in auto e poi gettata via. Io non volevo, è stato lui” così è stato confessato l’omicidio di Gloria Rosboch, professoressa di 49 anni scomparsa da Castellamonte il 13 gennaio scorso e rinvenuta cadavere a pochi chilometri da casa, in un bosco di Rivara, all’interno di una vasca di decantazione dell’acqua nei pressi di una cascina. Il corpo della professoressa era ben conservato, grazie all’acqua gelida in cui giaceva che ha rallentato il processo di decomposizione. 
 
Il Procuratore di Ivrea ha riferito nel corso di una conferenza stampa presso il Comando Provinciale dei Carabinieri: “Abbiamo due confessioni con ruoli ribaltati. Roberto Obert ha detto che a strangolare la professoressa Rosboch è stato Gabriele Defilippi, ma quest'ultimo ha rilasciato delle dichiarazioni di verso opposto. Entrambi, però, sono collocati con certezza sulla scena dell'omicidio”, ha precisato inoltre “Abbiamo elementi che provano che entrambi qualche giorno prima del delitto hanno visionato la cisterna dove è stata gettata la donna”. Colui che ha strangolato la Professoressa era seduto nel sedile posteriore dell’autovettura Renault Twingo di Obert, che è stata individuata dalle telecamere. Dietro al macchina vi è un’altra autovettura, una Mini Cooper Gialla, anch’essa appartenente ad Obert. In merito al ruolo di Caterina Abbattista gli inquirenti hanno spiegato: “Nega tutto, ma la sua versione dei fatti contrasta con gli accertamenti tecnici in nostro possesso”, la donna avrebbe riferito di essere stata a lavoro quel giorno, ma tale versione sarebbe stata smentita dalle celle telefoniche.
 
Gabriele Defilippi era stato querelato dalla professoressa per una truffa di 187mila euro, il giovane aveva promesso alla Rosboch una vita insieme e una sicurezza economica determinata dall’investimento della cospicua somma di denaro che, a detta del giovane, sarebbe servita come investimento per una società finanziaria presso cui, a detta del giovane, lavorava anche lui. Ma il giovane, dopo aver preso i soldi, ha interrotto i contatto con l’insegnante che successivamente ha intrapreso le vie legali. Ma i contatti del giovane con la società non esistono, la società che ha tirato in ballo il giovane ha annunciato querele contro Gabriele Defilippi. La professoressa ha presentato una querela per truffa, successivamente riesce a rintracciare il giovane con uno pseudonimo attraverso facebook e le viene riferito dal giovane che un “capo” l’avrebbe picchiato e gli avrebbe sottratto il denaro. Nel mese di Dicembre la professoressa di incontra con la madre del giovane che ribadisce la versione sopracitata e della sottrazione del denaro. Il 13 gennaio, dopo aver pranzato, la professoressa esce a piedi intorno alle 14.45 e riferisce di dover fare rientro a scuola per una riunione. Ma quel giorno non c’era nessuna riunione a scuola, Gloria scompare. Si fa sera e la professoressa non rientra a casa, numerose le chiamate fatte dalla famiglia ma il cellulare è sempre spento. Il 18 febbraio gli inquirenti hanno sentito un’altra insegnante, anche lei potrebbe essere stata truffata da Gabriele. 
 
Martedì 16 febbraio è stato interrogato Gabriele Defilippi presso il comando provinciale dei Carabinieri di Torino come persona informata dei fatti. Un interrogatorio durato circa 4 ore, in quella stessa circostanza è stata sentita anche la madre del giovane, per circa un’ora. Hanno successivamente lasciato la caserma senza rilasciare alcuna dichiarazione, il loro legale ha riferito: “Hanno risposto alle domande e ripercorso il verbale già redatto in precedenza. Sono entrati da persone informate dei fatti e sono usciti nella stessa veste di testimoni”. Il giovane avrebbe riferito di non aver visto la professoressa dal novembre 2014 e ha raccontato cosa ha fatto il giorno della scomparsa della donna. Il giovane ha dichiarato agli inquirenti di essere rimasto nella casa di Gassino dove risiede con la madre, con il compagno della donna e il fratello.



NAPOLI: LA BANDA DEL BUCO FA PAURA, TENTA ENNESIMO COLPO IN UNA BANCA

A.B.
 
Napoli – La Banda del Buco ancora in azione, questa volta lo fa alla sede centrale del Banco di Napoli, in Via Toledo. Per tutto il weekend i rapinatori hanno tentato di rapinare il Banco, mobilitando i vigilantes nelle notti tra sabato, domenica. Numerosi sono stati i giri d’ispezione svolti dalle guardie che hanno poi avvertito la Polizia. All’arrivo delle forze dell’ordine l’incredibile scoperta, la banda del buco aveva provveduto a scavare due cunicoli che giungevano fino al salone in cui si trovavano le casse, li sono stati scoperti due fori per l’accesso al locale. Sono in corso indagini in merito a quanto rinvenuto. Ma non è il primo tentativo di rapina ai danni di una banca. Infatti gli ultimi giorni di febbraio hanno visto la banda protagonista di un tentativo di rapina ai danni della filiale Monte dei Paschi di Siena al Vomero. La rapina non è andata a buon fine perché i ladri avrebbero sbagliato di due metri circa, i calcoli in merito al buco da effettuare nel sottosuolo. Sono stati rinvenuti attrezzi e posti sotto sequestro. Le guardie giurate si sono accorti della buca e hanno chiamato immediatamente il 113. 



NAPOLI: AGGREDISCE CONVIVENTE CON UN COLTELLO

Redazione

Napoli – Era stato arrestato 45 giorni fa, perché riconosciuto responsabile di violenza in famiglia e, nella serata di ieri, gli agenti della sezione «Volanti» dell'ufficio prevenzione generale, lo hanno arrestato, nuovamente, per lo stesso reato. I poliziotti, infatti, su disposizione della sala operativa della Questura, sono intervenuti al Vico Salita all'Olivella, dove erano state segnalate delle urla di donna. Giunti sul posto i poliziotti si sono trovati di fronte a una donna che denunciava d'esser vittima di maltrattamenti da parte del coniuge convivente. L'intero appartamento era stato messo a soqquadro e, le sorelle della vittima erano intervenute in suo soccorso nel tentativo di far ragionare l'uomo, nonostante fosse in evidente stato d'ebbrezza. Sequestrato dagli agenti un coltello di 10 cm, brandito dal 46enne per minacciare la convivente. Dopo il precedente arresto all'uomo era stata inflitta la misura dell'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, beneficiando della sospensione della pena di un anno reclusione. Il 46enne è stato quindi nuovamente arrestato perché responsabile del reato di maltrattamenti in famiglia e denunciato, in stato di libertà, per lesioni personali dolose. La vittima è stata medicata in ospedale per lesioni guaribili in pochi giorni. Dopo una notte trascorsa nelle camere di sicurezza della Questura, stamane, l'uomo sarà processato con rito per direttissima.




VARCATURO: CASA A LUCI ROSSE IN UN HOTEL NEL NAPOLETANO

Redazione

Napoli – Un giro di sfruttamento della prostituzione e una vera e propria casa a luci rosse in una struttura ricettiva a Varcaturo di Giugliano in Campania (Napoli). E' quanto hanno scoperto i carabinieri della tenenza di Quarto, nell’ambito di indagini coordinate dalla procura della Repubblica di Napoli Nord.

I militari hanno dato esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del tribunale di Napoli Nord, nei confronti di tre persone, indagate, in concorso con altre cinque persone, di associazione per delinquere dedita al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione di donne italiane.

L'associazione criminale, che operava in particolare a Varcaturo, aveva però ramificazioni sull’intero territorio nazionale. Sono stati sequestrati quattro immobili per valore di 1,5 milioni di euro. Le indagini sono partite dopo la denuncia di una prostituta, che era stata brutalmente aggredita perché intenzionata a uscire dal giro di prostituzione. La casa a luci rosse era stata organizzata all'interno di una struttura ricettiva, già sequestrata nel 2008 dalla guardia di finanza per violazione di norme sull’edilizia e nel 2010 per reati legati allo sfruttamento della prostituzione.

Dalle indagini è emerso che all'interno dell'organizzazione ognuno aveva il suo 'ruolo': c'erano anche i “reclutatori” delle donne da avviare all’attività di prostituzione e gli “inserzionisti” che realizzavano servizi fotografici per pubblicare gli annunci su un sito web tramite il quale trovare i clienti.




NAPOLI: 63 ENNE TROVATO MORTO IN MACCHINA PER TAGLIO ALLA GOLA

di A.B.

Napoli – La notte scorsa è stata fatta una macabra scoperta nel napoletano, un uomo di 63 anni, tale Salvatore Piscopo, è stato rinvenuto all’interno di un’autovettura, morto con un profondissimo taglio alla gola. L’autovettura, una Fiat 500, si trovava in viale Giochi del Mediterraneo, nella periferia occidentale ed è stata segnalata da alcuni passanti che l’hanno notata ferma sul marciapiedi. Erano le 2.30 e immediatamente sono intervenute le forze dell’ordine e i soccorritori, che hanno cercato di salvare Piscopo, ma non c’è stato nulla da fare. Gli inquirenti hanno subito avviato indagini e dopo gli accertamenti, un giovane italiano è stato fermato dagli investigatori e portato in questura poiché sospettato di essere l’autore del delitto.