Petrosino: nasce il Mercato del Biologico a Km zero
Coste italiane, Goletta Verde: "un punto inquinato ogni 54 chilometri"
di Angelo Barraco
Le coste italiane sono inquinate. Questo quanto emergerebbe secondo i dati del 2016 di Goletta Verde che riportano un inquinamento delle coste che riguarda un punto inquinato ogni 54 chilometri. Sono stati monitorati 265 punti, esattamente uno ogni 28 chilometri di costa e dal laboratorio mobile di Goletta Verde emerge un 52% di inquinamento. Le foci di fiumi, canali, scarichi, fossi, determinano un inquinamento pari all’88% e più della metà si trovano nei pressi delle spiagge frequentate da un numero copioso di bagnanti. Legambiente ha inoltre fatto sapere che il 25% della popolazione non ha un impianto di depurazione. “Nonostante siano passati 11 anni dalle scadenze previste dalla direttiva europea sulla depurazione responsabile – ha detto Giorgio Zampetti – l'Italia è ancora in fortissimo ritardo".
Il rapporto evidenzia come circa il 25% della popolazione non è coperta da un adeguato servizio di depurazione e un terzo degli agglomerati urbani a livello nazionale è coinvolto da provvedimenti della Commissione europea. Sul nostro Paese pesano già due condanne e una terza procedura d'infrazione. "Oltre i costi ambientali, – ha proseguito Zampetti – ci sono quelli economici a carico della collettività: a partire dal 2016, il nostro Paese dovrà pagare 480 milioni di euro l'anno, fino al completamento degli interventi di adeguamento”. Zampetti ha inoltre precisato che “Gli scarichi non depurati sono i peggiori nemici del turismo. Il nostro monitoraggio ha l'obiettivo di non fermarsi alla sola denuncia, ma soprattutto di avviare un approfondimento e confronto per fermare l'inquinamento da mancata depurazione che si riversa in mare. Per alcune situazioni critiche da diversi anni, grazie alla stretta collaborazione con le forze dell'ordine e le amministrazioni locali, si è arrivati a individuare le cause e risolvere il problema. Ora c'è la legge sugli ecoreati, – ha concluso Zampetti – che prevede anche il reato di inquinamento ambientale, valido strumento contro chi continua a scaricare illegalmente nei fiumi e nel mare”.
Emerge inoltre che molti fiumi o foci non vengono spesso monitorati dalle Autorità poiché si tratta di luoghi dove la balneazione non è consentita. Ma tali luoghi risultano spesso ugualmente frequentati anche a causa della mancanza di comunicazioni riguardo i divieti. La responsabile di Campagne di Legambiente, Serena Carpentieri, si è espressa in merito all’obbligo dei cartelli in spiaggia “Durante l'estate abbiamo ricevuto centinaia di segnalazioni di mare sporco da parte dei bagnanti grazie al servizio Sos Goletta. Le persone sono spesso disorientate, non sanno a chi rivolgersi per denunciare casi di inquinamento, dove consultare i dati ufficiali, come capire se stanno facendo il bagno in acque sicure e controllate. E' indispensabile che il Ministero della Salute istituisca un numero verde per raccogliere le segnalazioni di cittadini e turisti e avvii, in collaborazione con le Regioni e gli enti locali, una chiara campagna informativa. Infine, non e' piu' tollerabile l'assenza di cartelli di divieto di balneazione nelle aree dove non si puo' fare il bagno e i cartelli informativi sulla qualita' delle acque. L'accesso all'informazione e' un diritto di cittadini e turisti e un dovere per le autorita' competenti e per tutti i comuni costieri, cosi come previsto dalla normativa sulla balneazione”. Le regioni in cui è stata riscontrata maggiore criticità sono la Calabria, Abruzzo e Marche. In Calabria è stata riscontrata una situazione problematica.
Ma la situazione del mare poco pulito non ha fermato coloro che preferiscono trascorrere il ferragosto in spiaggia, infatti quest’anno è tutto sold out nelle spiagge italiane, un risultato migliore rispetto ai dati relativi all’anno 2015. Un’indagine della Cna riporta che una famiglia su quattro spenderà in media 444 euro. Questo è l’anno in cui ritorna il binomio ferragosto-spiaggia, un classico intramontabile di questo caldo periodo. Sono stati campionati 423 stabilimenti balneari di 49 località italiane che aderiscono a Cna Balneatori. Dai dati emerge che quest’anno il 98% di posti prenotati in Liguria e Sardegna, il 95% in Basilicata, Emilia Romagna, Puglia, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Si tocca il +8% in Basilicata, Puglia Liguria e Sardegna; il +5% il Emilia Romagna, Campania, Sicilia e Toscana e in fine il +3% in Lazio. La spesa media di ogni famiglia è in media 40 euro nelle regioni: Basilicata, Molise, Calabria. Il Campania e nelle Marche si calcola una spesa di 45 euro. In Sicilia, Puglia, Abruzzo e Lazio si calcola una spesa media di 50 euro fino ad arrivare a 55 euro circa in Emilia Romagna, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Toscana, Veneto.
Sono state avviate delle rigide procedure di controllo nelle spiaggia e la Guardia Costiera monitora parsimoniosamente tutto. Maggiori controlli a passeggeri e veicoli in transito. Tali controlli non sarebbero in atto a seguito di avvisaglie ma semplicemente alla luce della situazione che vi è in altre parti d’Europa. Su una scala di 3, il livello di sicurezza passa da 1 a 2. I varchi portuali saranno controllati con monitoraggi accurati di tutti gli scali. Gabrielli ha riferito “L'aumento del livello di sicurezza fatto dalla Guardia costiera non ha nulla a che fare con i discorsi Libia sì, Libia no. Il provvedimento è scaturito da una recente riunione del Comitato interministeriale nella sua forma ristretta per la sicurezza marittima e dei porti, nei quali i vari soggetti hanno preso la decisione, per il contesto complessivo che stiamo vivendo, di innalzare i livelli dei controlli. Il che significa che aumentano le percentuali dei controlli che avvengono nei porti e nel momento degli sbarchi. E' una presa d'atto di una situazione complessiva, credo che questo vada nel senso degli sforzi che stiamo compiendo in tutti gli ambiti per aumentare il più possibile il livello di sicurezza”.
Referendum costituzionale: l'ultima "bufala" alla fiorentina
di Roberto Ragone
Basta fare due conti: se i dati dell’Istat sono reali, e non possiamo dubitarne, se non quando fanno i conti dei nuovi posti di lavoro in confronto all’economia reale e alla deflazione italiana, in Italia ci sono sei milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Cinquecento milioni diviso sei milioni fa, più o meno, ottantatre euro a cranio, cioè il bonus che don Matteo ha già elargito a coloro che poi, per il loro reddito, lo hanno dovuto prontamente restituire sotto forma di imposizione fiscale.
Siamo al voto di scambio, al ricatto morale, ciò che aveva già tentato Berlusconi promettendo mille euro a tutte le pensioni minime se avesse avuto la maggioranza assoluta, il suo miraggio del 51%, inseguito fin dal 1994, ma mai realizzato. Solo che il Berlusca sapeva benissimo che la sua era solo propaganda, e che portare tutte le pensioni ad un minimo di mille euro sarebbe stato troppo costoso. Anche se, per essere sinceri, questa classe politica che dichiara ad ogni piè sospinto che ‘non ci sono i soldi’, poi li trova quando si tratta di aumentarsi le entrate, mascherate sotto qualsiasi forma. Che siano stipendi, rimborsi spese, gettoni di presenza, rimborsi elettorali, portaborse, uffici, e via così, in questo dimostrando una creatività che bene impiegata potrebbe risolvere ben altri problemi della nazione. La nostra ‘Casta’ dimostra risorse a noi completamente ignote; anche perché quando si tratta di opere pubbliche, la maggior parte delle quali rimangono a metà strada per i soliti inghippi, si parla per lo più di ‘stanziamenti’. Al contrario, il ‘reperimento di fondi’ prelude a qualcosa di più concreto.
In questo caso Renzi vuol farci credere che votando SI’ al famigerato referendum si risparmierebbero 500 milioni di euro, mentre è chiaro a tutti che il Senato continuerà ad avere gli stessi costi, e il risparmio sugli emolumenti ai 95 nominati sarà vanificato dai rimborsi spese per gli spostamenti dalle sedi regionali e cittadine a Roma. I 5 senatori a vita continueranno bellamente ad essere pagati soltanto per pesar sui voti in maniera cruciale, sempre a favore del governo Renzi. Ormai potrebbero anche dirci che il SI’ al referendum farà volare gli asini e cadere la pioggia da sotto in su, tanto nessuno è in grado di contestarlo, tranne gli inascoltati e oscurati dalla Rai comitati per il NO, costituiti da eminenti costituzionalisti, – non da personaggi più o meno noti pescati nello spettacolo e nel palcoscenico della società, come Benigni, che dalla prima ora hanno analizzato nel merito la modifica della Costituzione, bocciandola in toto, e dimostrando, cifre alla mano, che non si risparmierebbe un accidente. Ma le manovre di Renzi e del suo Giglio d’Oro, di cui fa parte anche Campo Dall’Orto, nominato opportunamente direttore generale della Rai, sono riuscite ad oscurare tutti i tanti e autorevoli personaggi, che obiettivamente sono dalla parte del NO. Non ultima la campagna propagandistica sui vari Tiggì, di cui sono stati prontamente sostituiti i direttori di testata, a favore del SI’, con uno spacchettamento mascherato; una spiegazione per il colto e l’inclita che dovrebbe soddisfare tutti, ripetendo le stesse cose che sia Renzi che la Boschi portano in giro per l’Italia. Abbiamo conosciuto Matteo Renzi come rottamatore, e ci faceva anche simpatia, con quel suo piglio guascone mentre proclamava dai palchi di tutta Italia, lui, giovane sindaco di Firenze, che avrebbe rottamato i vecchi politici e la vecchia politica, cosa di cui tutti noi eravamo stufi. In realtà i vecchi politici sono ancora al loro posto, solo un po’ incazzati, e la vecchia politica è ancora in pista, mascherata da nuova politica. Chissà perché, tutti quelli che vanno al potere vogliono ‘cambiare la nazione’: così è stato per Berlusconi, che non c’è riuscito, così è stato per Obama; così è per la Clinton; così è per Trump. E così è per ogni leader, o aspirante tale, che voglia essere eletto. Fatto sta che gli elettori credono sempre che si tratti di qualcosa di ‘nuovo', sono tutti alla ricerca del ‘nuovo’ purchessia, perché porta voti e invece, dato che poi i personaggi sono sempre quelli, di nuovo non c’è nulla, se non l’ennesima fregatura. Anche la modifica alla Costituzione vorrebbe passare per qualcosa di ‘nuovo’, e c’è qualcuno che ingenuamente, bisogna dire così, dichiara che purchè si cambi, va bene anche quella. In realtà non va bene per niente.
La dittatura nascosta "dietro l'angolo" La ‘nuova’ Costituzione assegna poteri illimitati al presidente del Consiglio, non escluso il potere di influire sulle nomine della Corte Costituzionale, quindi avendo in mano il potere reale. Quello che si nega, e che chi teme non vuole vedere, è la svolta autoritaria che ci aspetta dietro l’angolo. Ha ragione Renzi quando dice che i tempi della politica si accorcerebbero: in realtà non ci sarebbe più né Parlamento né opposizione, e quindi ogni decisone sarebbe presa e messa in atto secondo i suoi desideri, con un Senato di nominati, grati per il dono dell’immunità parlamentare e ben lungi dal voler contrastare le decisioni del ‘capo’. La Costituzione non è una leggina qualsiasi, che si può abrogare con un referendum popolare: una volta che l’abbiamo approvata, ce la dobbiamo tenere e la dobbiamo subire. Perciò pensiamoci bene, prima di votare SI’: forse è il caso di rivedere alcuni tabella e rimandare ad una maggiore riflessione. Dopo tutto la ‘vecchia’ Costituzione, con tutti i suoi difetti, ci ha serviti bene fino ad ora, non buttiamola nel secchio dell’immondizia. E queste promesse ‘populiste’ e demagogiche di elargizioni medioevali, come i 500 milioni ai poveri, analizziamole bene, e non caschiamo per l’ennesima volta nella trappola di chi ha dimostrato solo di saper proclamare, ma non di fare gli interessi della nazione. Dopo e-bay, – qualcuno ricorderà le sette auto blu vendute su Internet, subito sostituite da altre più nuove e costose – le auto blu sono aumentate in tutta Italia, come riporta il quotidiano ‘Il Tempo’ in edicola lo scorso 10 agosto. Vorremmo meno proclami e più fatti, ma soprattutto che i nostri salariati – i politici – svolgessero una politica a favore del popolo che hanno scelto di governare, e non che rincorressero il potere fine a sé stesso, come invece dimostrano. Renzi ha la maggioranza, ma solo in Parlamento, e questa vuole mantenere, con accordi che non ci riguardano e a noi non portano alcun vantaggio. Ricordiamocelo quando promette di donare ai poveri i 500 milioni di risparmio originati dalla nuova Costituzione: intanto bisogna vedere chi sono i poveri, e perchè non li avete soccorsi fino ad oggi, visto che sapete che esistono e ve ne ricordate solo quando vi fa comodo. Poi bisogna dimostrare come si risparmiano 500 milioni, perché e dove. Ottantatre euro a testa non trasformano un povero in persona benestante, ma questa Costituzione può trasformare un uomo libero in un’altra cosa.
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LETTERA DI SICARI A LORENZIN
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Conservatori di Musica a rischio integrità: un'altra 'buona scuola' all'ombra del 'Giglio d'oro'?
di Roberto Ragone
È in corso un'iniziativa del ministro Giannini, che tenderebbe ad apportare modifiche strutturali ai Conservatori di Musica, dopo anni in cui essi sono apparsi come figure invisibili alle Istituzioni. In questo frattempo essi hanno assunto, in ogni caso, una loro fisionomia ed una logica di funzionamento. Volerli oggi modificare vuol dire distruggere una struttura che si è autocostruita nel tempo, nonostante tutto, trovando comunque un proprio equilibrio che la rende operativa.
La statizzazione degli istituti pareggiati favorirebbe in particolari quelli in Toscana, bacino di voti all'ombra del 'Giglio d'Oro'. A tale proposito abbiamo intervistato il maestro prof. Carlo Pari, che si sta occupando della questione in prima persona, sacrificando il proprio tempo libero e non solo. L'impressione è che, come purtroppo accade quasi sempre nella nostra nazione, iniziative così importanti vengano gestite da chi poco o nulla ne capisce, senza coinvolgere chi invece in tali mari naviga e ha navigato da tempo, e guardando soltanto a volte a tagli trasversali che tolgono risorse e snaturano ogni situazione, vedi, ad esempio, la 'Buona Scuola', che, a detta di chi ci vive in mezzo, di buono non ha granchè. Vedi anche i recenti trasferimenti di docenti da sud a nord e viceversa, decretati senza alcun senso comune. Se l'iniziativa del ministro Giannini andasse in porto così com'è, senza tenere conto delle obiezioni di chi di queste cose ha fatto la propria vita, l'insegnamento musicale ad alto livello, una delle eccellenze della nostra nazione, andrebbe praticamente distrutto e ridotto a pochi capisaldi preda facile di chi ha santi in paradiso.
Giurisprudenza, politica, sindacato, mi dica un po’ Prof. Pari, qual è il suo ruolo in questa faccenda. Io so che esiste un progetto di revisione dei Conservatori di Musica, istituti dove anche lei insegna, da precario, del quale non ho capito granché. Comunque mi spieghi lei, qual è la sua veste ufficiale.
No, non è corretto parlare di veste ufficiale. Vede, ad un certo punto è stato purtroppo necessario prendere coscienza del fatto che il nostro lavoro non poteva più essere caratterizzato unicamente dall’attività didattica e artistica, come dovrebbe, ma proprio per poter continuare a svolgere quel lavoro che ci è peculiare, era necessario volgere verso un impegno più istituzionale. Così ci siamo dovuti rimboccare le maniche, e, con un gruppo di colleghi, ci siamo organizzati, divisi i compiti per aree di competenza, e ci siamo adoperati e lo stiamo facendo tuttora, per risolvere alcune criticità del sistema AFAM, Alta Formazione Artistica e Musicale, primo su tutte il precariato ultradecennale che affligge il settore.
Di precariato si parla tanto in questi mesi, soprattutto per la scuola, ma quale è la situazione nei Conservatori di Musica e Accademie delle Belle Arti?
La situazione dei Conservatori e Accademie delle Belle Arti, è, purtroppo, ancora più complessa e grave di quella della scuola. Sebbene i numeri siano nettamente inferiori, la percentuale di personale precario che oggi interessa il settore, circa il 30%, è destinata ad aumentare esponenzialmente in un periodo a breve termine, visto che il Ministero stima, dati alla mano, che nei prossimi tre o quattro anni andrà in pensione il 40% dell’attuale corpo docente. La cosa più grave è che Conservatori ed Accademie non sono capillarmente diffusi come le scuole secondarie, e il precariato non è equamente distribuito sul territorio nazionale. Esistono infatti istituti in cui sono i docenti precari a prevalere sul personale di ruolo per disciplina, o discipline, in cui il personale di ruolo non esiste più all’interno dell’istituto, il che, come lei comprende, rende difficoltoso lo svolgimento delle attività didattiche ed istituzionali. Non dimentichi che il docente precario, in quanto precario, è comunque discriminato nel suo ruolo istituzionale. Non può ricoprire il ruolo di Direttore a meno che lo statuto dell’istituto lo consenta (il che è raro), non può sedere nel Consiglio Accademico, e dipende dal collocamento in graduatorie nazionali o di istituto, quindi non può garantire la continuità didattica.
Come si è arrivati a questo punto? Ci sono analogie con il mondo della scuola?
Il precariato formatosi nel settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale è stato generato da una assenza di procedure concorsuali “aperte” per ben 25 anni (L.417/90 ultimo concorso per titoli ed esami), e “riservate” per ben 16 (OM 247/99 ultimo concorso riservato a 360 giorni di servizio), nonché da una sovrapposizione normativa senza precedenti nella storia dell’istruzione. Ma cominciamo da un lontano inizio. I conservatori erano disciplinati dai regi decreti del 1918, 1930 e 1933. Tali decreti disciplinavano l’offerta formativa, governance e reclutamento, sottolineando già da allora la peculiarità, specificità e quindi atipicità del settore. Quasi ottant’anni dopo che queste norme diedero natali a musicisti illustri, il disposto normativo contenuto nel Decreto Luogotenenziale del 1918 fu assorbito nel D.Lgs n. 297 del 1994 il Testo Unico delle scuole di ogni ordine e grado. L’AFAM subisce un “downgrade” rispetto alla tutto sommato “superiorità̀” e “autonomia” che già gli istituti possedevano verso una gestione più centralizzata a livello ministeriale. Il Ministero avrebbe dovuto bandire i concorsi ogni quinquennio in presenza di posti liberi e vacanti, ma, ne vengono organizzati solo uno nel 1990 e uno nel 2000. Poco cambiò con le modifiche apportate nel maggio del 1999 con la Legge 124. Legge che è stata oggi censurata dalla consulta nei suoi tabella 4 e 11 a seguito della pronuncia della corte di giustizia europea C-418/14 (Mascolo). Qualche mese dopo le modifiche apportate al Testo Unico dalla Legge 124, (siamo a maggio del 1999), a distanza di qualche mese, la politica ci ripensa e, con il Governo D'Alema, vara la Legge di Riforma di Sistema n. 508 con l’ambizioso compito di traghettare il comparto verso l’università. In Europa le arti sono disciplina universitaria. L’Italia è un paese membro. Un sistema legato alla scuola non è più al passo con i tempi. Siamo nel dicembre dello stesso anno. In base alla nuova legge si dovrebbe provvedere ad uno specifico decreto attuativo che disciplini le norme per le assunzioni e nella fase transitoria, provvedere laddove non si possa far fronte con il personale in organico con contratti quinquennali rinnovabili, ma il Ministero, non emana i decreti attuativi, preferisce reclutare i supplenti secondo le regole pregresse , non stipula i contratti quinquennali, e da' vita a due graduatorie nazionali di merito che prendono il nome dalle Leggi da cui hanno tratto origine, 143 e 128
Quindi in sostanza lei sta dicendo che il problema è che non sono stati indetti concorsi.
No. Non è esatto. Di concorsi finalizzati alle supplenze ce ne sono stati tantissimi. Ricordo che si poteva arrivare ad una ventina di partecipazioni l’anno, ed erano procedure concorsuali altamente selettive. Ogni Istituto, in presenza di posti liberi e vacanti, ha bandito negli anni autonomamente il proprio concorso seguendo delle griglie valutative nazionali contenute nelle note ministeriali 1672 del 2002 e 3154 del 2011, le quali privilegiavano la valutazione artistica e fissavano severi criteri in cui il lavoratore non poteva in alcun modo preservare il proprio posto di lavoro grazie all’automatismo derivante dall’accumularsi dell’anzianità di servizio. Infatti non è raro vedere lo stesso concorrente essere valutato differentemente nei vari istituti e molto spesso anche nello stesso istituto. Non a caso nel disposto di legge della 128 è scritto che la graduatoria racchiude i possessori di tre anni accademici, ovvero 36 mesi, e i vincitori di concorso selettivo.
Questa graduatoria nazionale 128 è stata tuttavia da più parti criticata, lei cosa ne pensa?
Guardi, la verità è che la 128 è stata per un certo periodo un capro espiatorio nazionale. Si lamentava chi era stato escluso perché temeva di non lavorare, si lamentava chi riteneva di essere stato mal valutato perché temeva di perdere la sede, si lamentavano i direttori perché “oddio chissà ora che docente mi arriva”, ma già dopo un anno si è capito che era una delle graduatorie che racchiude il miglior personale docente, relativamente al settore AFAM, che il MIUR abbia mai prodotto e tutte le paure si sono mostrate totalmente infondate, così come le critiche fatte. Infatti i posti vacanti sono talmente tanti più degli inclusi in graduatoria che nessun docente è rimasto senza lavoro, neppure quelli esclusi, e i direttori si sono dovuti ricredere sulla qualità soggettiva dei docenti, tanto che in larga maggioranza hanno recentemente sostenuto delle mozioni in favore della graduatoria nazionale.
Molti accusano la mancanza della valutazione nella 128
Chi la contesta in questo senso non conosce la storia. Lei deve sapere che da un punto di vista giuridico la 128 è nata, per mano del governo Letta e l’allora ministro Carrozza, al fine di censire e tutelare il personale idoneo alla docenza, già pluriselezionato e valutato negli anni in ripetuti concorsi selettivi, con trentasei mesi di servizio. L’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Maciej Szpunar aveva infatti poco prima censurato la prassi italiana di ricoprire i posti liberi e vacanti con il personale a tempo determinato, e preconizzato la futura sentenza Mascolo sul precariato scolastico. L’intento del legislatore era quindi quello di dare una risposta al precariato storico, anche nel settore AFAM, predisponendo un piano pluriennale di assunzioni anche per Conservatori ed Accademie. Infatti nel corpo della Legge 128 all’art. 19 si evidenzia che l’accesso in graduatoria è consentito ai possessori di tre anni accademici di insegnamento, (quindi 36 mesi) e l’aver superato un concorso selettivo. Non bastasse questo, il MIUR ha predisposto una ulteriore valutazione di titoli per graduare i candidati, con un specifico decreto ministeriale. Che si sia scelto di valutare i titoli culturali, diplomi e certificazioni varie, piuttosto che i titoli artistico-professionali, è una scelta che seppur opinabile, non può essere imputata al personale incluso. Se questo non era l’intento del Legislatore, mi dica lei, cosa sarebbe servito costituire un'altra graduatoria nazionale?
Lei pare avere una buona conoscenza della normativa di settore. È notizia recente che la Corte Costituzionale, si sia pronunciata sul precariato scolastico, salvando la legge della "buona scuola" del governo Renzi, condannando le pregresse norme che consentivano il rinnovo infinito dei contratti a termine per consentire l’erogazione del servizio scolastico. Lei cosa ne pensa? In che misura questa pronuncia vi riguarda?
Il discorso è lungo e complesso. Nelle linee guida di cui alla direttiva europea 1990/70/CE, meglio conosciuta come “accordo quadro”, si dispone che gli Stati membri debbano prevedere nel proprio ordinamento interno almeno una su tre delle misure ostative contro l’abuso del contratto a termine: la ragione che giustifica il termine, o che spieghi perché i contratti vengono fatti a tempo determinato, oppure il numero dei rinnovi possibili e quando i medesimi contratti si trasformano a tempo indeterminato, o ancora la sanzione, che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore in caso di abuso. In Italia si è scelta la seconda, cioè il numero dei rinnovi possibili, e si è stabilito che, se due contratti non si interrompono, come quelli dei conservatori ed accademie ad esempio, si intendono a tempo indeterminato dal primo. A prescindere da interruzioni proroghe o rinnovi dopo 36 mesi si intendono in ogni caso a tempo indeterminato. Raggiunta una situazione critica e non più tollerabile relativamente al precariato nel pubblico impiego con particolare riferimento alla scuola, sono partite diverse azioni giudiziarie su tutto il territorio nazionale, che hanno dato vita ad un contenzioso che ha interessato tutti i gradi di giudizio e avuto epilogo nella oramai nota sentenza della Corte di Giustizia Europea Mascolo del 26 novembre 2014. Sentenza che ha censurato la normativa italiana sul reclutamento scolastico e sul contratto a termine nel pubblico impiego per assenza di misure dissuasive e sanzionatorie. A sua volta, la sentenza Mascolo è stata tradotta nell’ordinamento italiano dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite e dalla Corte Costituzionale, e anch’esse hanno censurato la normativa italiana in materia di contratto a termine.
Come mai il contenzioso non è però ancora giunto al termine, nonostante le Supreme Corti si siano pronunciate in favore dei precari?
Ciò che è mancato è stato il coraggio. L’illecito era sotto agli occhi di tutti. Sarebbe stato molto difficile per le corti non censurare il comportamento illegittimo dello Stato Italiano. Però la risposta si è limitata ad accertare l’abuso, senza definire con chiarezza cosa si dovesse fare una volta accertato l’abuso, demandando costantemente la decisione di merito al giudice di ultima istanza, rimpallando così la responsabilità nel fare chiarezza su una questione che evidentemente si scontra con interessi molto più grandi anche del precariato scolastico. In sostanza, si potrebbe dire che, aperto il vaso di Pandora, si è cercato di limitare i danni per lo Stato, dando ai precari ragione sul problema, ma senza la soluzione. La SSUU della Corte di Cassazione, ha tentato di quantificare un risarcimento, stabilendo un indennizzo, dalle 2,5 alle 12 mensilità a seconda degli anni di servizio, ma è ovvio che questa misura risarcitoria è di portata irrisoria rispetto alla richiesta della CGUE – Corte di Giustizia dell'Unione Europea – di una norma che sanzionasse efficacemente il datore di lavoro e lo dissuadesse a commettere nuovamente l’abuso. Non ultimo le SSUU per ricavare la sanzione, non quantificata nell’ordinamento italiano, hanno riesumato una norma abrogata, privandola della sua efficacia originale. Infatti la Legge 183 del 2010 da cui si ricava la misura della sanzione, prevede che il datore di lavoro che commette abuso venga sanzionato con un indennizzo economico che va dalle 2,5 alle 12 mensilità, dopo la conversione del contratto a tempo indeterminato. Vi è inoltre una violazione del principio di equivalenza, stante che secondo la CGUE, si può prevedere una sanzione differente fra pubblico e privato, ma la sanzione deve essere proporzionata a ragioni analoghe di natura interna. Se nel privato si prevede la conversione del contratto e un risarcimento dalle 2,5 e 12 mensilità, va da sè che nel pubblico non possa esserci solo il risarcimento dalle 2,5 alle 12 mensilità.
Dal canto suo la Corte Costituzionale, ha detto, precari avete ragione, ma è intervenuta la legge sulla scuola che ha sanato parzialmente il problema. E laddove il problema non è stato sanato come nei conservatori? La risposta? Ci pensi il giudice di ultima istanza. Si, ma come? Tuttavia gli Istituti Musicali Pareggiati hanno immesso in ruolo docenti secondo il principio dei 36 mesi. Non sono istituti equipollenti?
Quello che sta accadendo negli istituti musicali pareggiati, dimostra solo che l’Italia non è un paese democratico e la giustizia non opera in egual misura per tutti, creando così una evidente discriminazione fra lavoratori dello stesso settore. La cosa è apprezzabile in sè. Gli istituti fanno bene a stabilizzare il proprio personale. Ciò che è assolutamente censurabile è che questo comportamento, nell’individuare la soluzione del problema, sia isolato solo all’istituto pareggiato e non estesa a tutti i dipendenti del comparto, inclusi i dipendenti di Conservatori ed Accademie. Ancora più censurabile è che il Ministero, nonostante abbia già avuto varie segnalazioni in merito, non prenda provvedimenti, in un senso o nell’altro, lasciando nello stesso tempo intendere che il resto dell’AFAM, quindi i docenti con i medesimi diritti e anzianità, non in servizio nei pareggiati, dovranno assoggettarsi all’art. 97 e quindi sottoporsi ad un ulteriore concorso pubblico, quando nello stesso tempo però, si è permessa nei pareggiati la stabilizzazione di personale con trentasei mesi, sempre incluso in graduatoria nazionale, senza ulteriori procedure valutative. La domanda in buona sostanza è, se nei pareggiati si entra con i 36 mesi, perché nel Conservatorio, che è la stessa cosa, sarebbe necessario un ulteriore passaggio concorsuale? Del resto una discriminazione simile si è consumata nel 2013 quando proprio la stessa legge ha permesso al personale, incluso nella 143 con soli 365 giorni di servizio, di avere accesso ai ruoli dello Stato senza ulteriori passaggi concorsuali, e ha destinato personale con 36 mesi di servizio e vincitore di concorso selettivo al solo tempo determinato, in violazione degli artt. 3 e 117 della costituzione.
Che rapporto avete avuto con la politica e con i sindacati?
La politica è stata molto gentile e disponibile. Ci hanno incontrato, ci hanno ascoltato, hanno preso nota dei problemi, chiesto documenti, ma l’impressione è quella che gli incontri avvengano più per cortesia che per merito. Il sindacato invece, devo dire con rammarico, ha perso molto del suo valore originale, ed assomiglia più ad un cacciatore di facili risultati nel fitto bosco del ministero, che ad un organismo che lotta per i diritti dei dipendenti e del sistema. Hanno dimostrato più unione, determinazione e ottenuto più risultati i precari, che le sigle sindacali riunite. Questo mi sembra un segnale da non sottovalutare.
Quali sono gli obiettivi a medio e lungo termine?
In tutti gli incontri politici ci siamo messi in gioco e ci siamo dimostrati disponibili ad una soluzione condivisa del problema. Ci auguriamo che anche per i conservatori la piaga del precariato possa presto cessare e noi si possa ritornare, sia fisicamente, visto che molti di noi lavorano a migliaia di chilometri da casa, che psicologicamente, alle nostre famiglie e al nostro vero lavoro. Del resto sarebbe ora, la media della nostra graduatoria nazionale è di 51 anni e già una collega è andata in pensione da precaria. Vede, la nostra professione ci porta giro per il mondo e le posso assicurare che il mondo ride di questa situazione. Sfortunatamente è un riso amaro. In Italia tutti avvertono che c’è qualcosa che non va, ma per una qualche ragione la politica identifica il problema sempre nella norma, considerata obsoleta o sbagliata, sentendosi in dovere di cambiarla. Mentre invece, a mio avviso, il problema non risiede nella norma, ma nel rispetto della norma e quindi nell’educazione civica al rispetto delle norme e all’efficacia e sanzione volta a garantire il rispetto della norma. Parliamoci chiaro, all’estero un professore che non va a lavorare, o si comporta male, viene licenziato e basta. Non si cambia la normativa per l’intera categoria in caso di comportamenti illeciti.
Un' ultima domanda, professor Pari: che appello si sente di fare al Ministero?
Direi che l’AFAM è un settore strategico. Lo studio delle arti è parte determinante nella nostra tradizione. Gli istituti AFAM hanno caratterizzato quasi un secolo di storia dando i natali ad artisti illustri. Mi sento quindi di suggerire al Ministero di prendere coscienza della storia di questi istituti, ed operare un confronto vero con tutti gli operatori del settore a partire dai precari, che oggi mandano avanti questi istituti, prima di modificare con leggerezza il nostro sistema ispirandosi a modelli stranieri. Del resto, un pianista italiano in finale ad un concorso internazionale importante c’è sempre, possiamo dire lo stesso di un tedesco, un inglese, o un francese? E dove si è formato questo italiano? Forse bisognerebbe partire da qui, chissà, magari si arriverebbe alla conclusione che ciò che realmente non funziona, è principalmente la mancanza di risorse e non il governo degli istituti, l’offerta formativa, o il personale impiegato.