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Editoriali

Cgil e sindacati di base, scioperi ideologici e cittadini ostaggio

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Landini strumentalizza la Flotilla e accusa il governo, ma chi paga il prezzo sono operai e studenti che ogni giorno mandano avanti l’Italia

Ancora una volta, i sindacati confederali e quelli di base – in prima fila la Cgil – scelgono la via dello sciopero generale, stavolta legando la propria mobilitazione non a un problema concreto dei lavoratori italiani, ma alla questione di Gaza e all’abbordaggio della cosiddetta Global Sumud Flotilla. Una mossa che sa di strumentalizzazione politica e di forzatura ideologica, utile soltanto a mettere in difficoltà il governo Meloni e a trascinare in piazza bandiere e cortei che poco o nulla hanno a che fare con la vita reale dei cittadini.

Il segretario generale Maurizio Landini parla di “valori della democrazia” e cita addirittura gli scioperi del 1943 per legittimare la protesta. Ma il paragone appare surreale e fuori contesto: paragonare una mobilitazione contro un regime dittatoriale e una guerra mondiale con lo stop dei trasporti e dei servizi per protestare contro l’azione di Israele e le presunte responsabilità del governo italiano è un insulto all’intelligenza dei cittadini. Soprattutto di quelli che con grande fatica e dignità ogni mattina si alzano alle cinque per andare a lavorare, o degli studenti che percorrono chilometri per raggiungere scuole e università lontane dalle proprie case. Sono loro i veri lavoratori e i veri studenti che tengono in piedi il Paese, non chi cerca di bloccarlo con pretesti ideologici e slogan gridati in piazza.

Il governo Meloni ha risposto con una critica netta: “La rivoluzione e il weekend lungo non stanno insieme”, ha detto la premier Giorgia Meloni a Copenaghen. Un’osservazione sarcastica che ha colto nel segno, perché non si può ignorare il tempismo di uno sciopero indetto di venerdì, con il rischio evidente di trasformarsi nell’ennesima occasione per un ponte festivo camuffato da mobilitazione di piazza. La replica indignata di Landini, che parla di offesa, non convince: chi decide di rinunciare a una giornata di stipendio per scendere in piazza lo fa certo per convinzione, ma il nodo resta l’uso improprio dello strumento dello sciopero per fini che non hanno nulla a che fare con il lavoro.

La Cgil arriva a sostenere che il governo italiano avrebbe “abbandonato lavoratrici e lavoratori italiani in acque libere internazionali, violando i nostri principi costituzionali”. Una dichiarazione grave, che ribalta completamente la realtà: non si tratta di operai lasciati soli in fabbrica o di impiegati costretti a condizioni di lavoro inaccettabili, ma di attivisti partiti volontariamente a bordo di navi dirette in un’area di conflitto. Chiamarli “lavoratrici e lavoratori italiani” è un abuso retorico che offende chi davvero lavora ogni giorno, paga le tasse e tiene in piedi un Paese che già fatica a respirare sotto il peso della crisi economica.

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È su questo punto che la critica deve essere chiara: non si può trasformare la bandiera di Gaza in una bandiera sindacale italiana. Non si può piegare il diritto allo sciopero, sacrosanto quando si tratta di difendere salari, sicurezza sul lavoro e contratti, a una battaglia politica e ideologica contro il governo in carica. La mobilitazione annunciata – oltre 100 cortei in tutta Italia – rischia soltanto di penalizzare i cittadini comuni, di rallentare trasporti, scuole e servizi, di complicare la vita di chi deve semplicemente raggiungere il posto di lavoro o l’aula universitaria.

Il sindacato che rivendica di essere dalla parte dei più deboli finisce così per colpire proprio i più deboli: gli operai che non possono permettersi di perdere una giornata di paga, le famiglie che devono portare i figli a scuola, gli studenti pendolari che subiscono i blocchi. Chi lavora davvero, chi studia davvero, non ha tempo di farsi strumentalizzare.

La verità è che dietro lo sciopero proclamato non c’è solo la questione Gaza, ma la volontà di usare un tema internazionale delicatissimo per alimentare lo scontro politico interno. In questo modo, la Cgil e i sindacati di base dimostrano ancora una volta di aver smarrito la propria missione originaria: tutelare i lavoratori italiani, quelli veri, che chiedono soltanto più sicurezza, salari dignitosi, stabilità.

Il rischio è che la gente, ormai stanca di piazze occupate e di proclami ideologici, si allontani sempre di più da chi pretende di rappresentarla, ma in realtà la penalizza. È tempo che qualcuno ricordi ai sindacati che la credibilità non si conquista con cortei e slogan, ma con la difesa concreta di chi lavora ogni giorno, lontano dalle bandiere rosse e dalle strumentalizzazioni geopolitiche.

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