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Editoriali

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D’ALEMA-QUAGLIARIELLO, ALTERNATIVA ALLA RIFORMA

DI ROBERTO RAGONE

Uno dei cavalli di battaglia di Matteo Renzi è stato sempre quello di una Italia del NO tout court,del NO e basta,  senza proposte, contrapposta alle sue ‘riforme’. Il NO di Massimo D’Alema è arrivato come un macigno nello stagno, sconvolgendo le acque già sufficientemente agitate del PD renziano. Ma tutti coloro che si erano visti costretti, anche turandosi il naso, a votare SI’, tirino un sospiro di sollievo. Il duo D’Alema-Quagliariello ha partorito una proposta originale e, pare, risolutiva di tanti nodi che parevano insuperabili. Uno dei gangli vitali della riforma renziana è senz’altro quello del superamento di un bicameralismo che da ‘perfetto’, è diventato ‘paritario’, forse perché qualcuno s’è reso conto che se fosse stato ‘perfetto’ non si sarebbe potuto cambiare: la perfezione è un limite. L’alternativa all ‘schiforma’, come ormai viene chiamata da tutti la Boschi-Verdini-Napolitano-Renzi, è un ddl proposto da un rottamando che invece esce allo scoperto e propone, insieme a Quagliariello, un’alternativa. In pratica, se dovesse passare il NO, e dovesse essere adottata la proposta di D’Alema, la Camera sarebbe ridotta a 400 parlamentari, il Senato a 200, e verrebbe istituita una ‘camera di conciliazione’ per eliminare le lungaggini fra i due organismi – evitando quello che don Matteo chiama ping-pong.. Inoltre sarebbe inserito in Costituzione il principio secondo il quale i parlamentari sono eletti dai cittadini, per chiudere definitivamente la stagione dei nominati. Sede della presentazione, la Residenza di Ripetta, a Roma. Mentre Renzi, come suo solito, minaccia dagli scranni di Montecitorio, dichiarando che il NO insulta l’Italia come democrazia. Poi si rifà a Mussolini e al fascismo, quando parla di “90 anni fa, quando qualcuno mise fine alla democrazia” con la nota tragica,  – lui non era ancora neanche in mente Dei: “Altri hanno pagato con la vita.” E poi, in chiusura: “Abbiate rispetto delle parole, della libertà e della democrazia del paese che si chiama Italia, nonostante voi.” Come se lui ne avesse. Non si fa attendere la risposta di D’Alema, nel pomeriggio, che parla di “Schieramento vasto e minaccioso, che lancia insulti che non dovrebbero appartenere al confronto cui siamo chiamati, alimentando un clima di paura e intimidazione tale, da far sentire in colpa chi è per il NO, come se portasse il Paese verso il baratro.” dice nel corso del suo intervento alla Fondazione Magna Charta. "Con l'approvazione della riforma costituzionale a maggioranza il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha contraddetto il Manifesto dei valori del partito, che impegnava il Pd ad approvare solo riforme condivise. Il disprezzo verso la Costituzione si vede anche da questo". Qualcuno scrive sui giornali che questa sarebbe la vendetta di D’Alema nei confronti di un giovincello che già da sindaco di Firenze – assenteista – tuonava dai pulpiti di mezza Italia di voler rottamare lui e quelli come lui. Pare che il buon gallipolino non abbia ricevuto la poltrona di Commissario degli Affari Esteri dell’UE, affidata alla Mogherini. Vasto il parterre dei partecipanti alla conferenza di D’Alema,  quanto di più politicamente composito si possa immaginare: erano presenti Gianfranco Fini, Stefano Rodotà,  Davide Zoggia, Danilo Leva, Massimo Fedriga, Giancarlo Giorgetti. E, ancora: Pippo Civati, Renato Brunetta e Paolo Romani, Lamberto Dini, Paolo Cirino Pomicino, Cesare Salvi, Lorenzo Cesa, Maurizio Gasparri, Antonio Ingroia, Bobo Craxi. Per ciò che riguarda una eventuale modifica all’Italicum, D'Alema annuncia che "ci sarà un appello ai parlamentari per cominciare a raccogliere le firme e dare corpo a una proposta che potrebbe essere incardinata già dall'indomani del referendum". Fra i rottamandi troviamo anche in attività ‘eversiva’ un altro big del PD caduto in disgrazia, Pierluigi Bersani, che ha dichiarato di essere disposto perfino alla scissione del PD. La proposta di D’Alema arriva dopo che il 1^ febbraio del 1998 assistemmo alla morte della Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali, – di cui D’Alema era presidente – , ad opera di Silvio Berlusconi, che con le sue richieste rovesciò il tavolo delle trattative. La revisione della Costituzione non è una novità. Vi hanno lavorato un po’ tutte le forze politiche, senza risultati. Oggi abbiamo di fronte una modifica che è viziata da una tendenza ad attribuire tutto il potere alla Camera dei Deputati, dove il premier ha la maggioranza. “Solo la camera darà la fiducia al governo.” ebbe a dire Matteo Renzi, intervistato a Porta a Porta da Bruno Vespa la sera del 6 settembre del 2016. Questo esclude ogni filtro da parte del Senato, creato dai padri costituenti per un maggior controllo, e non per creare inutili lungaggini. Volersene sbarazzare, trasformandolo in un coacervo di amministratori di altro, per di più nominati e non eletti, e che godono di una incomprensibile e  anacronistica immunità parlamentare – andava bene nel dopoguerra, quando venivamo da situazioni eccezionali – è una manovra che dimostra chiaramente ciò che Renzi ha più volte smentito, cioè il voler ‘snellire’ l’iter delle decisioni legislative assumendole in carico in prima persona. Quella che qualcuno chiama ‘svolta autoritaria’. Rimane, in ogni caso, da sciogliere il nodo dei vitalizi dedicati agli ex-presidenti delle Repubblica – leggi Napolitano – che per Costituzione ammonterebbero a quasi 50.000 euro al mese; oltre che della riforma del Titolo Quinto della Costituzione, la cui modifica porterebbe in capo al governo la gestione delle ‘utilities’ – acqua, luce, gas ecc. – togliendola ai Comuni. Terra di conquista già dichiarata da parte di chi sta acquistando con il placet del governo in carica pezzi d’Italia a colpi di miliardi di euro, e da cui scaturirebbero altri miliardi di ricavi, con la conseguenza che le tariffe aumenterebbero in maniera incontrollata e incontrollabile. L’acqua, ad esempio, è un bene primario, che deve rimanere pubblico, a disposizione dei cittadini. Lo stato non ha mai rispettato l’esito del referendum tenuto qualche anno fa, dandone la gestione a privati, con la conseguenza che le società concessionarie hanno accumulato montagne di debiti, le tariffe sono insostenibili e gli acquedotti disperdono comunque ancora circa il 70%. Ci auguriamo che il progetto di D’Alema abbia preso in considerazione anche i cittadini, oltre la parte politica; questo per una politica sociale della quale si sente oggi più che mai la necessità.

 

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Castelli Romani

Frascati: 8 settembre 1943, il giorno del dolore e della rinascita

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Esistono giorni che non solo diventano parte della Storia ma portano dentro di sé ricordi, emozioni e purtroppo anche lutti ed antiche paure.
L’ 8 settembre per noi che siamo nati a Frascati e per tutti quelli che vivono la bellezza di questa città questo giorno è nel contempo triste ma la riprova della forza piena che vive dentro Frascati.
Fu una ferita insanabile quell’8 settembre del 1943 quando alle 12,08 una pioggia di bombe dilaniò la città provocando la morte di centinaia di persone.

piazza San Pietro dilaniata dalle bombe

Ma la voglia di rinascere, la voglia di ricominciare, la voglia di spazzare via i dolori di una guerra rinacque proprio in quel giorno.
Credo che Frascati debba onorare di più questo ricorrenza affinché non diventi e resti la solita passerella di commiato.
Deve divenire vera “giornata della memoria della Città”.
Bisogna far si che l’8 settembre rappresenti per tutti il giorno si del dolore ma anche il giorno in cui Frascati ed i frascatani ritrovarono la forza di risorgere dalle sue ceneri come “araba fenice”.
Ho voluto riportare nella copertina di questo mio pensiero il quadro di un grande frascatano, Guglielmo Corazza, memoria vivente di quel giorno.
Quei colori e quelle immagini debbono divenire il monito a tutti noi degli orrori della guerra, della stupidità della guerra.
Perché Frascati pagò con il sangue dei suoi figli e delle sue figlie e questo non deve più accadere in nessuna altra parte del mondo.

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Editoriali

Affaire Sangiuliano: dimissioni e polemiche, il governo Meloni nella bufera

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Giustino D’Uva (Movimento Sociale Fiamma Tricolore): “Evidente è il declino inevitabile di quest’Esecutivo, destinato a finire sempre peggio, tra siparietti tragicomici e rinnegamenti indebiti”

L’affaire Sangiuliano ha scosso il governo Meloni, provocando la prima defezione tra i suoi ministri. Gennaro Sangiuliano, alla guida del Ministero della Cultura, ha rassegnato le dimissioni a seguito delle polemiche sorte attorno a una presunta relazione extraconiugale con Maria Rosaria Boccia, che ha generato una serie di accuse riguardanti l’uso improprio di fondi pubblici e l’accesso a documenti riservati.

L’ex direttore del Tg2, dopo ore di polemiche e smentite, ha deciso di farsi da parte, spiegando in una lettera a Giorgia Meloni la sua scelta di lasciare per non “macchiare il lavoro svolto” e per proteggere la sua onorabilità. Nonostante le assicurazioni fornite a più riprese dallo stesso Sangiuliano, secondo cui nessun denaro pubblico sarebbe stato speso per la consulenza di Boccia, la pressione mediatica e politica è diventata insostenibile.

Le reazioni della maggioranza: una difesa d’ufficio

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso solidarietà nei confronti di Sangiuliano, definendolo un “uomo capace e onesto”, sottolineando i successi ottenuti in quasi due anni di mandato. In particolare, Meloni ha ricordato i risultati raggiunti nella promozione del patrimonio culturale italiano, come l’aumento dei visitatori nei musei e l’iscrizione della Via Appia Antica tra i patrimoni dell’UNESCO. Tuttavia, anche la premier non ha potuto evitare di accettare le “dimissioni irrevocabili” di Sangiuliano.

Alessandro Giuli, presidente della Fondazione MAXXI, è stato rapidamente nominato come nuovo ministro della Cultura, suggellando una transizione-lampo che, secondo alcune voci, era già in preparazione da tempo. Giuli, una figura vicina alla destra romana e storicamente legato a Meloni, rappresenta un tentativo di dare stabilità al ministero, ma la scelta non ha fermato le critiche, né ha dissipato le ombre sul governo.

L’opposizione attacca: “Il governo Meloni è allo sbando”

Le reazioni dell’opposizione non si sono fatte attendere. Il Partito Democratico ha definito l’affaire come un altro esempio di un esecutivo privo di coerenza e in preda a scandali interni. Elly Schlein, segretaria del PD, ha parlato di un “governo ossessionato dalla propria immagine” e ha criticato la gestione del caso: “Il problema non è solo il gossip, ma l’incapacità di affrontare le questioni in modo trasparente e senza proteggere chi si trova in difficoltà”.

Dal Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte ha affermato che “questo episodio mostra come la maggioranza sia più attenta alle proprie dinamiche interne che ai reali problemi del Paese”, accusando la premier di “non aver saputo tenere sotto controllo i suoi ministri” e di “anteporre le proprie relazioni personali agli interessi istituzionali”.

Il commento più severo è arrivato da Giustino D’Uva, esponente del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, che ha lanciato un duro attacco al governo: “Indipendentemente dalle eventuali implicazioni giudiziarie ed etiche, l’affaire di Sangiuliano e Boccia è indice del pressapochismo che connota pressoché tutta la compagine governativa. Il governo Meloni è un’accozzaglia di buontemponi e incompetenti, per i quali il gossip costituisce il massimo impegno politico. Ciò che è evidente è il declino inevitabile di quest’Esecutivo, destinato a finire sempre peggio, tra siparietti tragicomici e rinnegamenti indebiti”.

Il rischio di un effetto domino

L’affaire Sangiuliano mette a nudo fragilità interne e potrebbe avere ripercussioni più ampie di quanto non appaia a prima vista. I partiti di opposizione sono pronti a capitalizzare su questo caso per sottolineare le divisioni e la mancanza di trasparenza dell’esecutivo. Alcuni osservatori politici temono che questo possa essere solo il primo di una serie di scossoni che potrebbero minare la stabilità del governo.

Il futuro di Giorgia Meloni e della sua squadra dipenderà dalla capacità di gestire questo e altri potenziali scandali che potrebbero emergere. Ma l’episodio dimostra come il confine tra gossip e politica possa diventare estremamente sottile, e quanto questo possa essere dannoso per la credibilità di un governo, soprattutto se non si affrontano con chiarezza e decisione le situazioni critiche.

In definitiva, il caso Sangiuliano non è solo un episodio personale, ma il simbolo di un esecutivo che sembra sempre più vulnerabile alle proprie contraddizioni interne, in un contesto politico che richiede, invece, risposte concrete e unitarie.

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Editoriali

Come ristorarsi dopo le fatiche quotidiane

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La pedagogia del benessere si occupa delle persone in contesti si salute psico-fisica. Ognuno di noi dopo una giornata di lavoro, commissioni, studio necessita di uno o più momenti di ristoro.


n questi termini si può parlare di pedagogia del benessere sia fisico che mentale.
La pedagogia del benessere è un ramo della pedagogia tradizionale che si occupa, mediante alcune tecniche, di far star bene le persone.

In che senso la pedagogia del benessere parla di ristoro?

Ebbene sì, il pedagogista o lo psicologo non ricevono i clienti nello loro studio e non c’è un rapporto duale, ma il benessere lo si ritrova insieme ad altri soggetti, all’interno di un gruppo, facendo passeggiate, yoga o mindfulness.
Nell’ultimo decennio è nato un forte interesse per queste nuove pratiche fisiche, ma anche mentali.

Lo stare bene insieme ad altri, durante una passeggiata o in una seduta di mindfulness, giova non solo al gruppo, ma soprattutto all’individuo nella sua singolarità. Le strategie individuate dalla pedagogia del benessere sono, in Italia, molto utilizzate; basta pensare ai corsi di yoga o di mindfulness. Quest’ultimi vengono svolti sia nelle palestre, ma anche all’aperto (es. dopo che è piovuto) poiché l’ambiente esterno, l’aria o il venticello sono condizioni di rilassamento.
L’obiettivo della pedagogia del benessere è anche scaricare lo stress quotidiano ed evitare disturbi psicotici quali l’ansia o la depressione. A favore di questo obiettivo è utile sia la palestra per allenare il corpo, ma anche una palestra per esercitare la mente.

La salute mentale è fondamentale per affrontare la vita e le fatiche di tutti i giorni; pertanto “avere il vizio” di utilizzare tecniche di “tonificazione della mente” è sicuramente un’abitudine sana. La pedagogia del benessere professa anche obiettivi di tipo alimentare per promuovere, non tanto il fisico filiforme quanto la salute fisica intesa come consapevolezza di quanti grassi, proteine e zuccheri dobbiamo assumere in una giornata.

Il benessere del corpo è proporzionale a quello della mente e viceversa. Il prendersi cura di noi stessi aiuta a prevenire difficoltà future e soprattutto a vivere esperienze positive. Da sempre lo slogan “prevenire è meglio che curare” è uno degli scopi della pedagogia del benessere.
Non tutti seguono questi consigli, perciò sarebbe opportuno dare un’architettura decisiva alla figura del pedagogista del benessere senza confonderlo con un personal trainer o un nutrizionista. È opportuno parlare di più di questo tipo di pedagogia per promuovere la conoscenza.

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