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Economia e Finanza

Dazi, paura globale: Wall Street crolla, Europa ancora in volo

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Dow Jones -2,5%, Nasdaq giù del 4,3%. Il Tesoro americano prova a rassicurare, ma la volatilità resta alta. L’Italia avverte: “Crescita fragile, scenario incerto”

L’euforia di Wall Street è durata meno di 24 ore. Dopo un rimbalzo storico alimentato dalla speranza di una tregua sui dazi, i mercati americani sono nuovamente sprofondati, risvegliando lo spettro di una guerra commerciale senza esclusione di colpi tra Stati Uniti e Cina. A pesare sono le nuove dichiarazioni della Casa Bianca, che confermano un inasprimento dei dazi su Pechino, mentre da parte cinese arrivano contromisure pesanti e segnali di chiusura.

I numeri parlano chiaro: il Dow Jones ha perso il 2,50% scivolando a 39.593,44 punti, il Nasdaq ha ceduto il 4,31% a quota 16.387,31 e l’S&P 500 ha lasciato sul terreno il 3,46% a 5.267,91. Ancora peggio era andata nelle ore precedenti, con perdite intraday che avevano sfiorato il 7% per il Nasdaq. Nel mirino degli investitori è finito anche il dollaro, ai minimi da ottobre 2024, e i Treasury, con i rendimenti dei trentennali schizzati al 4,85%.

Le rassicurazioni di Donald Trump – “Ci sono dei costi di transizione, ma alla fine andrà tutto bene” – non sono bastate a calmare i mercati. Anzi. L’annuncio che le tariffe complessive contro la Cina toccheranno il 145% – unendo i nuovi dazi del 125% a quelli già esistenti per il fentanyl – ha riacceso le tensioni. Pechino ha reagito immediatamente con dazi fino all’84% sui prodotti americani e una stretta sull’importazione di film USA, colpendo uno dei simboli dell’economia culturale statunitense: Hollywood.

A fronte del crollo oltreoceano, le borse europee hanno reagito positivamente alla temporanea “tregua” commerciale annunciata da Trump, con Parigi in rialzo del 3,83%, Francoforte del 4,53% e Milano, regina della giornata, che ha chiuso con un poderoso +4,73%. A favorire l’entusiasmo anche la decisione dell’Unione Europea di sospendere i controdazi e il via libera al dialogo “a blocco unico” con gli Stati Uniti, come richiesto dallo stesso presidente americano.

Ma la luna di miele potrebbe finire presto anche in Europa. In Italia, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha lanciato un allarme nella relazione annuale allegata al Documento di economia e finanza (Dfp): “Gli indicatori ad alta frequenza relativi al primo trimestre del 2025 prefigurano una ripresa della crescita del Pil e dell’occupazione. Tuttavia, a partire dal secondo trimestre, l’andamento dell’economia italiana potrebbe risentire degli annunci riguardanti i dazi imposti dagli Stati Uniti e dell’elevato grado di incertezza sulle politiche tariffarie globali”. Secondo le stime aggiornate di Bankitalia, il Pil italiano nel 2025 potrebbe crescere dell’1,2%, ma in uno scenario avverso – segnato da un’escalation nei conflitti commerciali – la crescita si fermerebbe allo 0,6%, con impatti negativi anche su export e occupazione. L’Istat ha già rilevato un rallentamento dell’export a febbraio (-1,8% su base mensile) con un calo marcato verso i Paesi extra-UE.

Sul fronte interno statunitense, l’unica nota positiva arriva dall’approvazione alla Camera della risoluzione di bilancio proposta da Trump, che apre la strada a un possibile taglio delle tasse nel secondo semestre dell’anno. A dare un segnale di discontinuità anche il passaggio della gestione dei negoziati commerciali al nuovo segretario al Tesoro Scott Bessent, figura moderata e ben vista dai mercati, che ha preso in mano le redini strappandole ai falchi Peter Navarro e Howard Lutnick.

Ma l’incertezza resta sovrana. La “pausa di 90 giorni” concessa nei dazi verso l’Europa, secondo gli analisti, non rappresenta una vera garanzia, ma solo un rinvio delle ostilità. A complicare tutto è la volubilità di Trump, che con un solo post su Truth Social può ribaltare in pochi minuti la linea economica e diplomatica degli Stati Uniti. Come già accaduto.

Il timore dei mercati è che la strategia del “negoziato Paese per Paese” adottata dalla Casa Bianca possa frammentare il commercio globale, allungare i tempi delle intese e alimentare ulteriore instabilità. Il rischio concreto, avvertono gli economisti di JP Morgan e Goldman Sachs, è che l’effetto combinato tra dazi, inflazione e stretta monetaria possa innescare una recessione negli USA entro la fine del 2025. Intanto, gli investitori restano in bilico tra speranza e paura. E i mercati, ancora una volta, ne pagano il prezzo.

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