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di Angelo Barraco
Pordenone – Si parla tanto del delitto di Pordenone e della strana morte di Trifone e Teresa avvenuta in quel parcheggio, ma se invece la pista investigativa seguita dagli inquirenti fosse sbagliata e dietro ci fosse la mano di un serial killer che avrebbe ucciso anche a Roma e Messina? Ma andiamoci per gradi, analizziamo prima il delitto di Pordenone e le ultime novità. Dopo un lungo periodo di totale silenzio, sul caso è ripiombata l’attenzione e adesso il presunto killer ha un nome e un volto, si chiama Giosuè Ruotolo, ha 26 anni, ed è di Pordenone. Ma è veramente lui il killer? Come mai gli inquirenti puntano lo hanno iscritto nel registro degli indagati? E perché soprattutto avrebbe dovuto commettere questo atroce delitto? Giosuè era un collega di Trifone ed entrambi erano caporalmaggiori, prossimi ad entrare nella Guardia di Finanza, avevano anche vissuto insieme per un periodo, poi Trifone ha lasciato l’abitazione con il collega per andare a vivere con Teresa. L’uomo era stato sentito nei mesi scorsi e secondo le ipotesi avvalorate al momento, avrebbe agito da solo. Di recente avrebbe dichiarato ad un giornale che conosceva Teresa soltanto di vista e che non era geloso di lei. La gelosia, è proprio uno dei moventi su cui gli inquirenti stanno ricamando la tela di questa intricata matassa.
SVILUPPI PORDENONE: L’iscrizione dell’uomo nel registro degli indagati arriva dopo mesi di assoluto silenzio insieme ad un’altra notizia importante, qualche giorno fa invece sono cominciate le ricerche presso il laghetto del parco di San Valentino di Pordenone. Le ricerche nel laghetto hanno dato esito positivo poiché i sommozzatori dei Carabinieri, dopo giorni di ricerche, hanno rinvenuto un oggetto riferibile al caricatore della pistola 7,65 usata per uccidere la coppia. Sulla scoperta c’è l’assoluto riserbo e l’unica conferma che è stata data riguarda il ritrovamento ma non è stato detto altro. Il parco in cui si trova il laghetto è distante meno di duecento metri dal luogo del delitto e l’ipotesi avvalorata è che il killer abbia gettato l’arma per evitare posti di blocco e sia passato proprio da li. Ma come si collega la beretta 7,65 a Giosuè Ruotolo? L’arma è stata rinvenuta smontata, gli inquirenti l’hanno rimontata tutta, hanno caricato un colpo e, malgrado l’arma sia molto vecchia, hanno potuto accertare la sua perfetta funzionalità. Allo stato attuale c’è una fitta cortina di mistero su chi o come gli inquirenti siano arrivati alla scoperta dell’arma. Ma c’è una novità, la beretta è dotata di matricola e proprio tramite di essa, a quanto pare, si è risaliti a Ruotolo poiché apparterrebbe alla collezione d’armi d’epoca della famiglia.
STORIA: Il 17 marzo scorso nel parcheggio del palasport di Pordenone si è consumato l’atroce delitto di Trifone Ragone e Teresa Costanza. Un omicidio efferato compiuto in un luogo che avrebbe potuto portare ben presto alla risoluzione del caso ed invece non è stato così. I due fidanzati sono stati rinvenuti cadaveri all’interno di un automobile parcheggiata nel piazzale antistante il palazzotto dello sport di Pordenone. Ricordiamo che Trifone Ragone era un Sottoufficiale dell’Esercito e prestava servizio al 132/o Reggimento Carri di Cordenons. L’allarme è stato lanciato da un istruttore di judo che ha notato la macabra scena dopo essere uscito dal palazzetto dello sport dopo aver fatto allenamento. I fidanzati presentavano colpi di arma da fuoco alla testa. Poco prima che vi fosse il ritrovamento da parte dell’istruttore di Judo, un uomo aveva sentito delle urla. Inizialmente si ipotizzava l’omicidio-suicido, poi lo scenario è cambiato, e il Procuratore della Repubblica di Pordenone Marco Martani afferma che non si tratta di omicidio-suicidio bensì di duplice omicidio. I dubbi sull’accaduto sono stati chiariti dopo aver analizzato bene la scena. All’interno dell’automobile della coppia non è stata trovata l’arma, ciò dimostra che non si sia trattato di un gesto estremo dei ragazzi. La donna è stata raggiunta da tre proiettili alla testa, l’uomo invece da un proiettile. Tutti i colpi sono stati sparati dalla stessa arma, una calibro 7,65. L’autopsia ha confermato quanto emerso dalla tac cranica eseguita all’indomani dell’omicidio; sei colpi sparati di cui tre hanno colpito lui; uno alla tempia e due alla mandibola. Si ipotizza che Trifone sia stato colpito mentre passava dal lato guida al lato passeggero e non si sia accorto di essere stato colpito, la ragazza invece, si ipotizza, che abbia visto il killer e abbia cercato di mettere in moto la macchina ma invano; ciò sarebbe dimostrato dal fatto che un colpo che è stato schivato, ma gli altri due, non hanno dato scampo alla vittima. L’autopsia ha escluso che la donna fosse incinta.
Dopo l’esame autoptico si è passati ad una scoperta importante, gli uomini del Reparto di Investigazioni Scientifiche dell’Arma effettuarono sopralluoghi presso la casa della coppia pochi giorni dopo l’omicidio ed effettuarono anche esami scientifici all’interno dell’auto della coppia uccisa, i Carabinieri del Ris di Parma hanno trovato delle tracce biologiche diverse rispetto a quelle delle due vittime, si tratta di capelli che potrebbero appartenere al killer. Gli investigatori non sottovalutano il ritrovamento avvalorando la tesi che l’assassino, per sparare, sia stato costretto ad introdursi all’interno dell’auto della coppia. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza del ritrovamento dei proiettili; soltanto uno è stato rinvenuto all’esterno dell’auto. Ma la prima delusione investigativa arriva proprio dallo strumento che poteva e doveva dare risposta in merito al tragico delitto, le telecamere. Il sistema di videosorveglianza non funzionava. i contenitori per le videocamere erano vuoti e non vi è stata alcuna ripresa, gli obiettivi non ci sono e i cavi sono scollegati. Le quattro telecamere indispensabili davano sul parcheggio, ma non riprendevano nulla, non ha mai funzionato.
Le novità sul caso. Ma pian piano saltano delle novità, quarto nuovo testimone che, secondo indiscrezioni, era a pochi metri dal luogo del duplice delitto perché stava posando il suo borsone in auto poiché anch’esso frequenta la palestra di arti marziali. Il testimone avrebbe sentito lo sparo ma in quel momento sarebbe rimasto sorpreso ed incredulo all’idea che nella tranquilla Pordenone potesse avvenire un omicidio e qualcuno potesse impugnare un’arma e sparare tant’è che gli spari gli sono sembrati petardi. L’uomo è stato ascoltato dagli inquirenti e la sua versione coincide con le dichiarazione rilasciate dall’amico della coppia che si trovava nel parcheggio e che li ha visti per ultimo, coincide con la testimonianza del runner che anch’esso ha dichiarato di aver scambiato gli spari per petardi e coincide con la dichiarazione del pesista che ritiene di aver sentito la stessa cosa. Vi era un buco di due ore di Teresa che, quando è uscita dall’ufficio e ha finito di lavorare ha disdetto il pranzo di lavoro. Questo gap è stato accertato dalle telecamere del Comune di Pordenone che, dopo essere state analizzate dalla Polizia, hanno fatto emergere, senza ombra di dubbio, che Teresa, nel momento in cui è uscita dall’ufficio al termine della mattinata lavorativa e nel momento in cui ha disdetto il pranzo è andata a casa. Dalle telecamere infatti la sua Suzuky Alto Bianca viene vista alle 14.43 ferma all’incrocio tra Via Grigoletti e Via Montereale, quindi minuti dopo la sua macchina viene inquadrata in Via Cavallotti. Quest’ultima strada viene percorsa dalla donna anche la mattina per recarsi in ufficio e tale circostanza è confermata dall’immagine che immortala la presenza dell’auto della donna alle 9.15 che percorre la strada.
Altra novità sul caso è la diffusione dell’identikit sul presunto killer della coppia. L’identikit è stato fatto grazie alla segnalazione dei cittadini che hanno visto persone sospette aggirarsi nei pressi della palestra nel periodo successivo all’omicidio. Il procuratore Marco Martani aveva lanciato il seguente appello ai cittadini di Pordenone: “Se avete visto qualcosa di strano parlate” e il risultato è stato l’identikit venuto fuori, sono emersi anche dettagli sui tratti somatici dell’uomo; l’uomo avrebbe un neo sulla guancia. Gli inquirenti hanno ricostruito anche l’abbigliamento e la fisionomia, il giovane avrebbe occhi chiari e – come visibile nell’identikit – aveva un cappello di lana fino alla fronte.
Piste investigative. Numerose le piste investigative analizzate dagli inquirenti, in primis le trasferte della coppia in Svizzera, l’ipotesi è che i viaggi potessero essere legati al mondo degli anabolizzanti o ad interessi economici. Sul profilo facebook della donna è apparsa una minaccia scritta da un 20enne kosovaro che ha scritto: “Ti sta bene, così non vai più in discoteca”. Un aspetto che stavano vagliando però, è quello che il giovane possa aver visto o sentito qualcosa che ha compromesso definitivamente la sua vita e quella della sua compagna. Tale ipotesi potrebbe risultare attendibile poiché la ragazza poco prima si era recata in quel luogo e aveva parcheggiato lì. Ciò dimostra che se l’assassino aveva come obiettivo la donna, avrebbe potuto agire nel momento in cui lei era più vulnerabile. La pista passionale è stata analizzata ma senza riscontri, analizzando il passato delle vittime è emerso che Teresa faceva la cubista e/o ragazza immagine con lo pseudonimo di “Greta”. I due ragazzi erano frequentatori di locali notturni, da quanto emerso. Al setaccio vi sono state le email e gli sms dei ragazzi per constatare la presenza o meno di qualcosa di anomalo. La pista mafiosa è stata ipotizata perché lo zio di Teresa Costanza, Antonio Costanza (zio del padre), nel 1995 era sparito, vittima di lupara bianca. I pentiti, in merito alla scomparsa dell’uomo hanno detto che fu ucciso e sepolto in un terreno di Campofranco. La sua morte sarebbe stata decisa da Cosa Nostra perché il soggetto fu indicato come spia che indicava agli investigatori il nascondiglio del boss.
DELITTO MESSINA 7 maggio 2015: In questa data, due ragazzi sono stati ritrovati morti nelle loro auto in contrada Piana a Roccalumera, presso un parcheggio. I cadaveri erano di Stefania Ardì, di 20 anni, e di Andrea Tringali di 33 anni. I corpi si trovavano in due autovetture differenti, le loro rispettive auto. L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è quella dell’omicidio-suicidio. Secondo i primi accertamenti, il motivo di tale gesto sarebbe da ricondurre nella loro relazione che non veniva accettata dai genitori della ragazza. Il giovane avrebbe sparato alla testa della ragazza e poi si sarebbe ucciso con la medesima pistola. I Carabinieri hanno trovato la pistola tra il sedile e il freno a mano dell’auto del ragazzo. Una prima ricostruzione ha stabilito che il motivo dell’incontro tra i due era dovuto ad un riallacciamento poiché lui voleva riallacciare con lei ma lei non voleva. A dare l’allarme per quanto accaduto sono stati dei residenti del posto che hanno sentito gli spari e sono accorsi sul luogo e si sono ritrovati di fronte ad una macabra scena. I Carabinieri comunque stanno svolgendo indagini su quanto accaduto.
DELITTO ROMA 11 giugno 2015 ore 10:43: In un parcheggio di Vitinia, nel quadrante sud di Roma, sono stati trovati morti un uomo e una donna. Entrambi di nazionalità italiana di 40 e 50 anni. L’ipotesi accreditata sin da subito è stata quella dell’omicidio-suicidio, è stata rinvenuto anche un bossolo. A dare l’allarme è stato un passante che ha notato la Mercedes Classe A grigia parcheggiata e a terra c’erano i due corpi. La scena a cui hanno assistito gli inquirenti vedeva una donna a pancia in su e un uomo disteso su di un fianco e la testa piena di sangue.
IPOTESI COLLEGAMENTI DEI TRE CASI: I tre delitti sono avvenuti in aree geografiche differenti ma il primo elemento che balza all’occhio è la presenza di coppie decedute con relativo colpo alla testa. L’azione del killer a Pordenone è stata rapida e precisa, quasi clinica. Nel caso di Messina spunta invece la prima incongruenza poiché erano due soggetti in due macchine diverse, lei avrebbe potuto fuggire o meglio ancora ripararsi. L’elemento delle coppie morte in auto è un elemento che riporta alla mente i sanguinosi delitti del Mostro di Firenze dove a morire erano proprio delle coppie all’interno delle proprie auto, ignare e impossibilitate a difendersi, proprio come è successo a Pordenone. Altro elemento che accomuna i due casi è la scena del crimine; il parcheggio a vista d’uomo. A Pordenone le due vittime sono state uccise in un luogo pubblico con la presenza di altre persone nel parcheggio che non hanno notato nulla di strano malgrado lo sparo. A Messina i due giovani sono stati trovati in un parcheggio facilmente accessibile ed infine a Roma i due cadaveri sono stati trovati in un parcheggio in pieno giorno. Esiste un sottile filo che collega questi casi e che sta sfuggendo agli inquirenti? Forse le difficoltà investigative riscontrate nel caso di Pordenone e l’insistenza e perseveranza nel prendere a tutti i costi il killer sono dovuti alla mancanza di una base investigativa solida? Perché non approfondire le indagini di Messina e Roma, cercare le analogie, analizzare le armi, pistole, colpi esplosi e verificare se si tratta realmente di episodi di omicidio-suicidio?
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