DIRIGENTI PUBBLICI: QUALI TAGLI ALLE RETRIBUZIONI?

Redazione
Il variegato mondo della dirigenza è formato da tanti “manager” che, indistintamente, vengono definiti dirigenti pubblici. E così la “confusione” alimentata dall’ignoranza o dalla malafede (basta vedere i sondaggi televisivi) “confonde” le retribuzioni e i trattamenti di fine rapporto di dirigenti o amministratori delegati di ENI, Poste, Ferrovie e via dicendo con quelle dei dirigenti statali retribuzioni che, spesso, sono 5 volte inferiori a quelle dei primi. Ciò avviene anche per le indennità di fine rapporto. Ciò posto, premesso che la dirigenza dello Stato ha i contratti bloccati da oltre sei anni, è chiaro che qualsiasi, ulteriore taglio alle retribuzioni dei dirigenti stessi sarà in “odore” di incostituzionalità, incostituzionalità già dichiarata dopo il taglio del Governo Monti.

La DIRSTAT, che dal 1948 difende la funzione pubblica dei dirigenti statali e dei funzionari ribadisce ancora una volta alla classe politica, soprattutto a “certa” classe politica, che non tollererà alcuna operazione al ribasso sulla struttura stipendiale dei dirigenti.

Siamo alle solite considerazioni: in un Paese ove le leggi o le norme che hanno tale valore sono centinaia di migliaia, non si può pretendere dai dirigenti statali il miracolo, che pur quotidianamente cercano di fare, nonostante le scandalose nomine di “parenti”, portaborse o similari, già troppe volte evidenziate.
I dirigenti statali non possono tollerare, oltre, comportamenti ambigui e contraddittori della classe politica, che non riesce a legiferare chiaramente per “compromessi interni”, creando “pasticci” come quello degli esodati o la mancata soluzione del problema del precariato, che non avrebbe ragione di esistere perché il precario è retribuito, paga  contributi e imposte e, quindi, non ha bisogno di coperture finanziarie per divenire stabile, il che contribuirebbe anche all’aumento del PIL.