Scienza e Tecnologia
Elden Ring, l’ultimo capolavoro di From Software
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Elden Ring è senz’ombra di dubbio il capolavoro definitivo di Hidetaka Miyazaki, un titolo estremamente difficile, come da tradizione, ma che se preso con il giusto spirito è in grado di regalare grandi soddisfazioni, una serie di ambientazioni a dir poco straordinarie e una trama assolutamente incredibile. Per fugare qualsiasi dubbio sin dall’inizio è necessario sottolineare che Elden Ring non è Dark Souls IV: il nuovo lavoro di FromSoftware (disponibile su Pc e sulle console della famiglia Xbox e PlayStation) infatti, vive di un nuovo incredibile rapporto tra il mondo circostante e il giocatore, di un senso d’avventura assente nei Souls e di un mondo aperto da esplorare in libertà. Questa è l’aggiunta che cambia tutto, non a caso Elden Ring non è frutto solamente del genio di Hidetaka Miyazaki, ma si avvale della collaborazione con George R.R. Martin, l’autore della saga letteraria che ha dato vita a Il Trono di Spade. Indubbiamente la trama ha un respiro molto più ampio rispetto ai Souls: l’Anello Ancestrale del titolo è una runa che un tempo permetteva alla regina Marika di mantenere la pace su tutto l’Interregno. L’Anello fu poi frantumato, e dei semidei entrarono in possesso delle Rune che ne derivarono dando vita alla Disgregazione e con questa a guerre, morte e carestia. L’unica speranza dell’Interregno sono i Senzaluce, una stirpe reietta che come unica possibilità di redenzione ha il recupero delle Rune e la ricostruzione dell’Anello Ancestrale. Detto questo, passiamo ad esaminare più da vicino l’ultima fatica di From Software. Nonostante l’introduzione della meccanica open world, nulla è dato per scontato in Elden Ring . Proprio come in ogni altro Souls, non ci sono missioni secondarie segnate chiaramente sulla mappa, ma ogni frammento della trama è legato all’esplorazione attiva del giocatore. I dialoghi con gli NPC non svelano frammenti di storia significativi se non dopo molti sforzi, che includono anche leggere ogni documento che si trova e perdersi in ogni meandro dell’immensa mappa, che si dispiega al controller un po’ per volta ma, virtualmente, permette di recarsi ovunque sin dall’inizio. L’esplorazione è più libera ma meno guidata, quindi, tanto che Miyazaki sembra non aver perso la voglia di far prendere appunti al giocatore, che altrimenti si perderà tra le mille cose da fare e, ovviamente, la difficoltà costantemente medio alta del gioco. Elden Ring mantiene la caratteristica principale del genere cui appartiene: il livello di sfida estremo. In un certo senso, però, questo ultimo esponente dei Souls è comunque più accessibile: considerato che il livellamento delle abilità e delle armi del personaggio avviene con l’esperienza e la raccolta di pietre evolutive, qui è più semplice scorrazzare in lungo e in largo in cerca di nemici da abbattere fino ad affinare maggiori capacità. Questo, beninteso, è l’unico “sconto” che viene fatto da Elden Ring al giocatore: per il resto, la schermata con su scritto “Sei morto” è come di consueto ciò che si vedrà più spesso durante le sessioni di gioco. Tuttavia, non mancano un paio di novità che bilanciano la presenza di alcuni dei nemici più difficili mai affrontati nella serie: le Evocazioni, che permettono di chiamare in soccorso dei guerrieri potentissimi di supporto, e le Ceneri della Guerra, oggetti che consentono di modificare le armi e assegnare loro abilità speciali. I livelli di personalizzazione sono così tanti da permettere una quantità di combinazioni impressionante, da abbinare alle dieci classi tra le quali si può scegliere. Sconfiggendo i nemici principali e ottenendo le Rune, si acquisiscono ulteriori abilità. Infine, un’altra novità è il salto: il Senzaluce può saltare e questo rivoluziona la modalità di combattimento e l’esplorazione. Un’azione davvero utile nel primo caso per schivare un attacco o infliggere un colpo, nel secondo per ricercare appigli, sporgenze o scoprire stanze nascoste.
A livello di giocabilità il sistema di combattimento è quello tipico dei soulslike: il protagonista, rigorosamente in terza persona e scelto tra una serie di classi iniziali che modificano setup e dono con il quale avviare la partita, ha a disposizione un inventario infinito per equipaggiare fino a tre slot sulla mano sinistra, tre sulla mano destra, due tipi di frecce, due tipi di dardi e una serie di talismani. A questi si aggiungono gli oggetti che vengono equipaggiati in tasca, che si dividono in un enorme insieme di tipi differenti: oggetti che applicano danni elementali alle armi, bombe, pugnali da lancio, oggetti per il multiplayer e una serie di altre chicche che si impara a conoscere giocando e che Elden Ring ha prevalentemente mutuato da altri giochi di FromSoftware. Quattro tasti rapidi molto comodi fanno poi capolino per permettere al giocatore di raggiungere subito alcuni oggetti, ma l’intera impostazione di gioco farà subito sentire a proprio agio i giocatori navigati: si sentono subito la raffinatezza dei controlli e la semplicità con cui le nostre azioni si convertono a schermo, e la mobilità offerta al personaggio aiuta ad allontanare ogni sensazione di legnosità. Il modo in cui le combo di attacchi si legano, le animazioni, delle rotolate, dei colpi e delle schivate, la presenza del salto finalmente con un suo tasto dedicato, favoriscono l’immersione, e pad alla mano l’esperienza è semplicemente ottima. Armati di tutto punto, con la combinazione che si desidera – da scudo a sinistra e spada a destra a due spade a catalizzatori per incantesimi, passando per frecce, balestre, mazze, martelli, katane, stregonerie e persino pugni, quello di Elden Ring è il dual wielding più sviluppato che FromSoftware abbia mai realizzato. Serviranno decine di partite e respec vari per testare le varie combinazioni e trovare le armi migliori. Complici anche le varie mosse a disposizione (compresi i soliti backstab e “parry & riposte”) che possono godere di moveset ampliati grazie all’inserimento di attacchi in salto più sviluppati e coesi con il resto delle mosse. È in questo contesto che si inseriscono tutte le meccaniche complementari: poise e super armor da un lato e schivate e rotolate dall’altro. La poise ci è sembrata essere una via di mezzo tra quella di Dark Souls e quella di Dark Souls III, e ha lo stesso ruolo: impedire lo sbilanciamento del giocatore una volta subito un colpo, consentendogli di rispondere senza perdere il controllo delle azioni. Un elemento essenziale per tutte le armi più pesanti e per chi decide di giocare con armature pesanti puntando più sulla capacità di assorbire i colpi che su quella di riuscire a schivarli. L’attributo poise viene ulteriormente potenziato per brevi istanti durante l’animazione dei colpi più pesanti di alcune armi con la super armor, offrendo ulteriore resistenza allo sbilanciamento e impedendo che un attacco nemico possa interrompere il colpo che stiamo dando. A dare invece spazi di manovra e frame di invincibilità pesano schivate e rotolate, con i cap di peso al 30% e al 70% (che influiscono sul numero di frame di invincibilità e sulla distanza percorsa con i roll) e, in un certo senso, i salti. Poter saltare da fermi consente di superare bassi ostacoli anche in combattimento, e seppure non offra nessun frame di invincibilità, può essere una manovra evasiva importantissima nei momenti più critici. Meccaniche, queste, che sono ben note a chi gioca ai Souls da tanti anni, ma che ogni volta vengono rimaneggiate e modificate leggermente tra un gioco e l’altro, e che anche qui richiederanno un po’ di ore di abitudine per prenderci la mano e riuscire a sentirsi sicuri dei valori ottenuti, dei timing per far partire un colpo e così via: è spesso questione di pochissimi frame, esattamente come avviene con parry e backstab, che hanno finestre più o meno larghe a seconda delle armi e degli scudi che stiamo utilizzando e dei nemici che stiamo attaccando, ma funzionano benissimo e una volta imparati bene i tempi mi sono parsi i più precisi mai fatti da FromSoftware in tutti i suoi giochi. Il bilanciamento in Elden Ring è semplicemente pensato per strutture geografiche per riuscire ad assecondare la fame del giocatore in qualunque momento: c’è sempre l’area in cui il livello di sfida è adeguato, l’area particolarmente facile e l’area pressoché impossibile, anche una volta raggiunte le aree finali del gioco. Per questo è impossibile analizzare il modo in cui si struttura l’avanzamento della partita senza soffermarsi su come è pensato l’Interregno. Elden Ring si sviluppa attraverso una serie di dungeon “principali” che non hanno nulla da invidiare alle aree più grandi dei Souls, e ne traggono ispirazione: il Castello Grantempesta, il primo di essi, ha tantissimo in comune con gli Archivi Centrali di Dark Souls III. Questi dungeon si estendono in orizzontale e in verticale in modi straordinari, e sono costruiti con una varietà di situazioni, modelli e ambienti davvero impressionante, che diventa ancora più incredibile se pensata all’interno del vasto mondo di cui si compone Elden Ring. Lo stesso vasto mondo che, dopo aver fatto il primo parry a un boss e aver preso confidenza con i comandi, si apre in tutto il suo splendore con l’apertura della prima porta che dà sull’esterno. L’avventura per l’Interregno comincia, mentre Sepolcride, che si estende a perdita d’occhio, ne è soltanto un piccolo inizio.
Quello che rende l’Interregno di Elden Ring qualcosa di molto diverso da un normale open world è la natura stessa dell’avventura, che declina l’esperienza di gioco in un modo innovativo partendo da tutti quei punti di forza che avevano Lordran in Dark Souls e il Giappone di Sekiro: luoghi interconnessi che permettono al giocatore di crearsi una buona mappa mentale, di sentirsi lì dentro e contemporaneamente di trovare ambienti in cui nulla è lasciato al caso. Passaggi segreti, oggetti, nemici, pezzi di storia: ogni elemento di gioco è stato inserito con cura, racconta qualcosa o offre una sfida specifica, passando per le quest, per i dialoghi e per i pochi – pochissimi – indizi che il gioco offre per avanzare. La sfida degli sviluppatori di FromSoftware con Elden Ring era riuscire a ricreare questa filosofia di game design all’interno di un mondo aperto senza perdere cura, dettaglio e ricchezza in ogni centimetro. E ci sono riusciti in modo sbalorditivo. L’open world offerto da Elden Ring non è un riempitivo, non è opzionale e non serve soltanto a connettere le aree in cui si svolge l’azione di gioco: al contrario, è esattamente il luogo dell’azione di gioco. Coerente, maestoso, plausibile e ricco, l’Interregno è un luogo da vivere e seppure sia ovviamente più curato nelle aree più legate alla storia principale, esplorare è un piacere e gli spazi sono densissimi di contenuti. Elden Ring non sviluppa l’open world attraverso routine dei personaggi, non ha città né collezionabili: è il modo che FromSoftware ha trovato di strutturare un tipo di mappa aperta in cui gli eventi statici si sviluppano come accadeva nei Souls, in base ai trigger che il giocatore riesce ad attivare, ai dialoghi e all’avanzamento delle quest. Una mappa aperta, ricchissima di contenuti e studiata in ogni dettaglio, più simile a un Gothic che a un open world moderno: Elden Ring ha esattamente la struttura di un Souls inserita in una mappa aperta, ed è un concept così semplice e geniale da funzionare alla perfezione e da rendere praticamente obsoleti tutti i Souls precedenti sotto l’aspetto del world design. Non è un tipo nuovo di gioco, né un modo di cancellare lo stile che ha avuto FromSoftware finora: è soltanto un modo più grande, più bello e più ricco di declinarne la filosofia. Il giocatore non sa dove deve andare per proseguire con la storia, al di là di qualche piccolo indizio: deve avanzare, esplorare, sbagliare e ritentare. E intanto godersi il mondo di gioco, che gli serve esplorare per essere più competitivo e per ottenere oggetti, armi e tutti gli strumenti per arrivare alla fine della partita. Uno scontro appare troppo difficile? Anziché dedicarsi alla brutta pratica del farming si può esplorare altrove dove non si era già stati, potenziare il personaggio e poi tornarci più tardi, più forti oppure meglio equipaggiati. Non abbiamo indizi su come proseguire? Esplorare è sempre una buona soluzione: magari in un forte sperduto troviamo un pezzo di un medaglione che servirà più avanti, oppure un Luogo di Grazia in cui riposare, fare qualche level-up e ottenere un input sulla strada da fare per proseguire. Muoversi ed esplorare non consuma più la barra della resistenza se non si è in combattimento, garantendo al giocatore una totale libertà di movimento lungo l’Interregno. La cura nella costruzione del mondo di gioco è la stessa che permea ogni area della storia principale, oltre a tutti i luoghi più grandi, che possono richiedere ore e ore di esplorazione. Elden Ring è un piacere da giocare, e persino mettendo da parte la storia principale, resta a nostra disposizione un’avventura che si regge su se stessa per il gameplay che ha, per il modo in cui gestisce l’esplorazione, per le decine di build diverse che si possono costruire e per l’online più persistente che mai. Vivere l’open world di Elden Ring significa vivere il gioco stesso, che non può esistere senza tutto ciò che lo circonda. Raggiungere una nuova area significa esplorare, trovarne la mappa, rendersi conto che magari i nemici sono troppo forti per l’equipaggiamento attuale, quindi andare a cercare miniere in cui reperire nuove pietre di forgiatura. Oppure intestardirsi e passare ore a perfezionare uno scontro in palese svantaggio. Oppure a un certo punto abbandonare una battaglia e poi tornare in una strada di notte e rendersi conto che in quel momento della giornata in quel punto si attiva una bossfight che non ci si aspettava. E intanto stupirsi di quanto davvero offra questa perla, in quantità e in qualità, dalla chicca di un dungeon particolare al moveset dell’ennesimo boss principale. Elden Ring è un’avventura estremamente complessa, bella da vivere ed estremamente impegnativa. Ma credete a noi, soffrire ma non mollare darà i suoi frutti e spingerà il giocatore ad andare avanti e dare sempre di più.
Per quanto riguarda il sistema ruolistico viene da se che l’intento di FromSoftware è quello di lasciare ai giocatori maggiore libertà nella costruzione del proprio personaggio. Ciò non significa che la profondità di questa componente sia stata smussata: il gioco eredita il sistema del peso e quello della stabilità, che regolano rispettivamente la velocità delle capriole evasive e l’efficacia della parata, e il danno delle armi viene calcolato con un sistema di proporzionalità che non sarà immediatamente chiaro a tutti i giocatori. Per avere piena consapevolezza di tutti i sistemi di Elden Ring, insomma, bisogna avere esperienza con i precedenti lavori del team, oppure accettare di studiare un po’. D’altro canto è vero che c’è molta più libertà nella costruzione del Senzaluce: alle armi possono essere associate mosse speciali e affinità particolari che le rendono sacre o incantate; il numero e le funzioni dei talismani sono così elevati che è possibile cambiare le caratteristiche di una build lavorando con cura sull’equipaggiamento. Mentre il crafting permette di usare con più frequenza oggetti da tiro o consumabili di varia natura, le Rune Maggiori strappate dalle fredde carni dei boss possono personalizzare ulteriormente il Senzaluce. Senza contare che le risorse necessarie per sviluppare armi ed evocazioni sono elargite in discreta quantità, così da incentivare la sperimentazione. Non esito a definire Elden Ring, anche sul fronte ludico, il titolo più vario e diversificato di From Software. C’è davvero di tutto da provare, tra vecchi eroi spettrali da richiamare sul campo di battaglia, Ceneri di Guerra in quantità, moveset specifici per chi impugna due armi identiche. Non fatevi frenare dal timore di perdere Rune ed esplorate il sistema, mettetelo alla prova, sondatene le funzionalità. Scoprirete che Elden Ring è un altro piccolo passo nella direzione di un gameplay più abbordabile, ma non per questo banalizzato. Per un appassionato di lungo corso dei prodotti FromSoftware, l’idea che un pubblico più ampio possa scoprire la grande profondità dei Souls, dovrebbe essere quantomeno esaltante. La nostra convinzione è che Elden Ring rappresenti il futuro della software house, quel punto di rottura col passato che funziona talmente bene da poter essere la giusta strada da intraprendere senza sacrificare quanto di buono è stato fatto in precedenza. FromSoftware non ha mai avuto come cavallo di battaglia la grafica nei suoi titoli, che sono sempre risultati leggermente arretrati rispetto alle produzioni contemporanee, Elden Ring è un titolo dichiaratamente cross-gen, che arriva sugli scaffali letteralmente “schiacciato” tra Horizon Forbidden West e Gran Tursimo 7, due produzioni che puntano parecchio sull’aspetto grafico, e gli stessi sviluppatori hanno ammesso di essere preoccupati dall’impietoso paragone in arrivo con il Demon’s Souls Remake realizzato da Bluepoint Games. Nonostante le premesse non esattamente positive, però, siamo rimasti assolutamente soddisfatti dalla nostra prova su Xbox Series X e siamo certi che l’aspetto estetico non deluderà nessuno. Dal punto di vista della colonna sonora poi si toccano vette altissime! In casa FromSoftware c’è sempre stata una particolare attenzione e cura nei confronti delle tracce che accompagnano l’incedere dell’avventura. Elden Ring presenta temi musicali epici fin dalla schermata iniziale, e per la prima volta la colonna sonora costituisce una parte fondamentale e onnipresente dell’avventura, andandosi a sostituire al costante silenzio delle fasi esplorative dei vecchi Souls. Nelle boss fight principali il comparto musicale esplode, letteralmente, in un tripudio di cori e archi che esaltano l’essenza stessa dello scontro. Quindi sia per quanto riguarda l’aspetto estetico che quello sonoro, il titolo ha molto da offrire. Tirando le somme, possiamo dire che Elden Ring è un vero e proprio capolavoro. L’esperienza è così vasta che per godersi proprio tutto quello che FromSoftware ha creato nel gioco servano più di 120 ore, senza considerare l’enorme varietà di build e percorsi possibili. Proprio per questo il tasso di rigiocabilità è altissimo e la soddisfazione nel procedere dopo aver battuto quel boss che prima ci sembrava così duro da abbattere è sempre molto elevata. Elden Ring è un modo completamente nuovo di intendere i soulslike. Cambia il sistema di progressione, cambia il bilanciamento dei nemici, cambiano i tempi e cambiano soprattutto gli spazi. L’Interregno è un mondo vastissimo, ricco di segreti e letale, ma sa accompagnare il giocatore nella sua scoperta. Richiede attenzione, voglia di sperimentare e di mettere insieme i puntini, senza segnalatori e indicatori, senza collezionabili e libro delle missioni. Restano un giocatore, un personaggio e più di un centinaio di boss che si danno il cambio morendo uno dopo l’altro nella storia più grande, ambiziosa e ricca che la software house abbia mai creato. Se volete una sfida e avete molto tempo tempo a disposizione, Elden Ring è qualcosa che vi lascerà il segno dentro per sempre. Ne siamo certi.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9,5
Francesco Pellegrino Lise
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Destiny 2 L’eclissi è l’ultima corposa nonché importantissima nuova espansione dedicata al popolarissimo MMO sci-fi targato Bungie per Pc, Xbox e PlayStation. Prima di parlare però dell’inizio della trama di questo nuovo capitolo della storia, è necessario fare una piccola ma importante premessa: Destiny 2 è un titolo che ha diversi anni sulle spalle, un titolo che ha fatto del mondo di gioco e della sua narrativa una parte importante della struttura stessa del titolo. L’Eclissi, come i fan più informati sanno, sarebbe dovuta essere l’espansione che avrebbe dovuto chiudere in bellezza una storia che viene raccontata da diversi anni e quello che tutti si aspettavano era un finale con cliffhanger totale che catapultasse i giocatori senza pietà nel terzo capitolo della saga. Bene, non è così, in quanto la “chiusura narrativa” del titolo non è questa, ma anzi il finale fa capire che ancora c’è dell’altro. Insomma, Destiny 2 L’Eclissi è da considerarsi come l’inizio della fine, il momento precedente all’epico finale dello scontro tra Luce e Oscurità narrato da ormai moltissimi anni nella lore di Destiny 2. Si parla di “precedente” perché Bungie ha già reso noto che ci sarà un’ultima espansione – probabilmente in arrivo a inizio 2024 – che metterà fine al conflitto tra il Viaggiatore e il Testimone, chiamata “The Final Shape”. Le premesse sembrano quindi far riferimento a un piano di pubblicazione che ricorda molto il rapporto di Infinity War ed Endgame perché, di fatto, L’Eclissi non è altro che la prima parte dell’atteso epilogo. La storia di questa nuova espansione ha inizio proprio da dove era finita l’ultima stagione: il Testimone è finalmente venuto allo scoperto, e con lui la sua flotta di piramidi nere. Di fronte al Viaggiatore, che si è trovato costretto a farsi avanti per combattere la sua nemesi universale, l’antagonista della storia appare decisamente più potente, quasi imbattibile. Comincia così lo scontro finale tra le forze della Luce e quelle dell’Oscurità, che porteranno il protagonista sulla superficie di Nettuno. Qui il Guardiano e Osiride scopriranno Neomuna, una spettacolare città formata da umani scappati al Crollo – un evento apocalittico che ha quasi sterminato l’umanità – che si ritrovano ora coinvolti nella guerra. Le fasi successive della storia ci porteranno a conoscere altri personaggi, dei Solcanuvole chiamati Rohan e Nimbus, che hanno il ruolo di proteggere la città e soprattutto la rete che connette tutti i suoi abitanti. Sin dai primi momenti su Neomuna si viene a conoscenza di due elementi fondamentali della trama: NuvolArk, una sorta di metaverso digitale dove risiedono tutti i cittadini e le loro menti; e il Velo, un’entità mistica che, secondo i protagonisti della storia, è di estrema importanza. Proprio quest’ultimo pare avere una valenza simile a quella del Viaggiatore, secondo quanto riferito dallo Spettro del Guardiano, motivo per cui è lecito pensare che sia una delle componenti più importanti della trama. Al contrario, purtroppo non viene mai specificato nulla di chiaro riguardo il Velo, che rimane ad oggi uno dei più grandi misteri irrisolti della storia de L’Eclissi ma che potrebbe avere un ruolo centrale nella prossima espansione.
A lasciare con il fiato sospeso c’è il fatto che, al completamento della campagna, si resta letteralmente appesi dato che dal momento che gli eventi che compongono il finale della storia sono troppo frettolosi si capisce davvero poco. In una manciata di minuti, tra scene pre-renderizzate e altre in-game, hanno luogo una serie di situazioni e disastri che hanno un impatto importantissimo sull’universo di Destiny 2 ma che, per colpa della rapidità degli eventi, non riescono ad avere il peso emotivo che avrebbero potuto trasmettere. A causa anche di una notevole brevità generale della campagna, non abbiamo potuto che notare come la storia risulti castrata, probabilmente per lasciare più spazio a The Final Shape per il 2024. A rendere il tutto meno emozionante, poi, c’è ancora una volta la presenza di Calus che, sebbene sia tra le figure che più ci si aspettava di poter combattere, purtroppo non regge il confronto con altri nemici affrontati in passato, come Eramis Kell o Savathun la Regina dei Sussurri. Calus si presenta sempre come un mero burattino del Testimone, sebbene continui a portare avanti la sua sfrenata voglia di ricchezze. L’ingordigia del personaggio viene così soddisfatta dai poteri dell’Oscurità, e così ottiene una forza a dir poco smisurata, impostandosi senza troppi problemi come uno dei nemici più temibili della storia di Destiny 2. È un peccato che resti un personaggio vuoto, stabile sui suoi ideali mostrandosi privo di una vera e propria caratterizzazione. Un discorso analogo potrebbe esser fatto per gli altri personaggi con rare eccezioni. Osiride si mostra inizialmente più pavido e scontroso del solito, e per tutta la durata della campagna tenterà di impostarsi come un mentore per il Guardiano, guidandolo nell’utilizzo della nuova sottoclasse, la telaoscura. Di Rohan non diciamo nulla, dato che purtroppo ha un ruolo estremamente marginale all’interno della storia e compare in rarissime situazioni. Nimbus è invece uno dei pochi casi dove notiamo sia un carattere scherzoso, quasi infantile, sia una vera e propria evoluzione: un evento lo porterà ad avviare un cambiamento interiore, dal momento che maggiori responsabilità cominceranno a gravare sulle sue spalle. Inoltre, sarà una figura importante per il protagonista sia perché è la figura chiave della destinazione di Neomuna, sia perché accompagnerà i giocatori in quasi ogni missione della nuova campagna. Uno dei più grandi pregi de L’Eclissi è che quasi ogni singola missione della storia trasuda unicità, con risultato una campagna variegata come poche altre. Certo, ci sono momenti di stallo in cui è necessario soltanto spostarsi per un’area e arrivare a combattere il boss, ma anche in quei casi il level design garantisce un’esperienza sempre inedita. Tra fasi in cui bisogna scappare tra centinaia di nemici con l’astore, vere e proprie guerre in cui si lotta con degli alleati cabal, addestramenti creati ad-hoc da Osiride per padroneggiare la sottoclasse, la campagna di Destiny 2 L’Eclissi si è rivelata essere divertente nel complesso e impegnativa (soprattutto nelle fasi finali delle ultime due missioni) se giocata al livello difficile in solitaria. Va detto anche che Bungie ha lavorato molto sul bilanciare il livello di sfida: adesso non si può più semplicemente correre verso il boss di fine missione bruciando tutte le tappe possibili. I livelli di potere richiesti per ogni singola fase della campagna sono sempre più elevati e bisogna impegnarsi per trovare armamento di punta nel caso in cui non si abbia giocato alle precedenti espansioni e non si abbiano armi chiave su cui infondere il potere per farle aumentare di livello. Combattere con armi di livello raro o leggendario “a caso” è sicuramente un bel problema rispetto a chi possiede già sul proprio personaggio armamento esotico o armi “rollate” con i perk giusti per massimizzare le performance sul campo.
Ma parliamo di novità: uno dei pregi di Destiny 2 L’Eclissi è quello di concentrarsi sullo snellire tutta una serie di meccaniche articolate che rendevano l’esperienza di gioco macchinosa e poco intuitiva. Il buildcrafting che si divide in due rami: creazione di preset e gestione delle mod è davvero ben fatto e velocizza di molto il flusso di gioco. Si possono, infatti, creare dei preset dedicati a varie attività che salvano ed equipaggiano con un clic i pezzi di equipaggiamento con le relative mod che avete dedicato a quella attività e/o build. Proprio la gestione delle mod ora è molto più intuitiva con diversi cambiamenti che si legano alla natura del danno (stasi, vuoto, telascura, arco e fuoco) e soprattutto all’artefatto stagionale che ora rende perennemente attive le mod sbloccate. Insomma profondità maggiore per chi vuole esplorare di più il lato ruolistico e più intuitività per chi si approccia in maniera più casuale. Discorso diverso vale invece per Neomuna e la Telascura. Dal punto di vista narrativo i due fattori sopracitati sembrano un corpo estraneo alla narrativa, non si capisce bene come e perché siano state buttate nel calderone senza un approfondimento. La città è vuota, spoglia, distrutta e poco offre a chi si aspettava finalmente una città viva con la disperazione degli abitanti invasi da una forza aliena misteriosa. A livello di art design, il carattere di Neomuna è molto piacevole sebbene stoni rispetto ai temi più cupi e misti al fantasy che Destiny e il suo sci-fi ha finora proposto. La Telascura invece è tanto divertente da utilizzare quanto poco contestualizzata. Per via dei suoi lunghi cooldown è sicuramente un passo indietro rispetto alla Stasi, ma resta il fatto che il coraggio di Bungie nel rivedere il sistema di movimento con l’introduzione del rampino va apprezzato. Le attività proposte in città purtroppo sono un grande calderone di cose già visto e di novità che alla fine dei conti risultano un mix piacevole di missioni. Assalti (che in alcuni casi hanno subito un restyle) e attività stagionali restano piacevoli da giocare e da affrontare, così come le missioni esotiche. Discorso identico per le nuove armi e le nuove armature. In generale L’Eclissi offre uno stile molto cyberpunk, vaporwave che tra qualche picco di creatività e qualche scivolone si attesta su un valore tutto sommato buono. Da elogiare i Tormentatori, guizzo davvero degno di nota tra le fila dei nemici che danno filo da torcere ai giocatori. Difficili da battere ricchi di novità in termini di movimenti e affascinanti.
Discorso simile per il Raid Radici dell’Incubo. L’attività principe dell’end-game è risultata bellissima a livello di ambientazione e stile artistico delle armi e delle armature, ma poco stimolante dal punto di vista della longevità e delle meccaniche. Il raid è risultato il più completato di sempre nelle prime 48ore da quanto esiste Destiny, con perfino attiva la modalità contesa. Peccato invece per quanto riguarda il design del boss finale che appare come un’evoluzione di un tormentatore. Sicuramente si poteva fare di più, ma nel complesso l’esperienza è positiva. Menzione d’onore va fatta alla colonna sonora, che ancora una volta dimostra l’incredibile bravura di Michael Salvatori, Skye Lewin. Tra il tema principale e altri importanti brani come “Battle Ready”, tutte le canzoni di Destiny 2 L’Eclissi trasudano la cura dell’impianto sonoro da parte dei compositori. La presenza di parti che si rifanno ad altre canzoni di espansioni passate all’interno dei brani de L’Eclissi non è altro che una frecciatina al passato del titolo, cosa che ci ha fatto davvero molto piacere e che siamo sicuri farà venire la pelle d’oca ai fan più affezionati del brand. Tirando le somme, Destiny 2 L’Eclissi è sicuramente una buona espansione, certo non è priva di difetti e alcune meccaniche nuove possono piacere come non piacere, ma è assolutamente innegabile che anche stavolta Bungie abbia proposto un universo ricco di attività da condividere con i propri membri del clan, ma anche con giocatori casuali. Purtroppo, vista la natura MMO della produzione resta ancora difficile divertirsi in solo, ma anche in quel caso, per quanto riguarda le attività affrontabili in single player la sfida resta di buon livello. Ovviamente chi ha giocato ogni espansione del gioco si troverà avvantaggiato rispetto a chi decide di partire da L’Eclissi, ma per fortuna la community generalmente è abbastanza ben disposta nell’aiutare i nuovi giocatori a trovare un clan attivo e a comprendere la storia e le dinamiche dell’universo di Destiny 2.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Gameplay: 9
Sonoro: 9,5
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9
Francesco Pellegrino Lise
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Microsoft in tempi brevi dovrebbe integrare ChatGpt-4, l’ultima versione del software diventato trend tecnologico del momento, sul suo motore di ricerca Bing. A dare l’anticipazione della notizia è stato Andreas Braun, CTO Microsoft Germany, nel corso del suo intervento ad “AI in Focus – Digital Kickoff” che si è tenuto in Germania venerdì scorso.” Introdurremo Gpt-4 la prossima settimana. E in questo modo avremo modelli multimodali che offriranno possibilità completamente diverse, ad esempio la comprensione dei video”: avrebbe affermato Braun, come riporta il sito tedesco Heise Online. Il 16 marzo, Microsoft terrà l’evento “The Future of work with AI”. Uno dei protagonisti della conferenza potrebbe essere proprio la nuova versione di ChatGpt. Il manager tedesco ha sottolineato come il software sarà in grado di tradurre in maniera più appropriata e sempre più precisa, testi in lingue differenti: “La tecnologia è arrivata molto lontano e praticamente funziona in tutte le lingue. Puoi fare una domanda in tedesco e ottenere una risposta in italiano. Con la nuova versione, Microsoft renderà i modelli di intelligenza artificiale ancora più completi”. Le opportunità di interazioni ‘multimodali’ anticipate da Braun si riferiscono alla capacità dell’AI di interagire con gli utenti con diverse tipologie di contenuti come testi, immagini, video e suoni. La generazione attuale di ChatGpt, identificata dal numero 3 (ChatGpt-3) può rispondere alle domande solo sotto forma di linguaggio scritto. Grazie all’integrazione della piattaforma sviluppata da OpenAI, su cui Microsoft ha investito circa 10 miliardi di dollari solo quest’anno, Bing ha raggiunto i 100 milioni di utenti giornalieri. E General Motors, secondo Reuters online, starebbe valutando la possibilità di usare ChatGpt nelle auto, per aumentare gli usi dei computer di bordo, proprio grazie ad una collaborazione con Microsoft.
F.P.L.
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13 Marzo 2023
Wo Long: Fallen Dynasty, la nuova avventura d’azione di Team Ninja, è un titolo veramente difficile da valutare. Gli sviluppatori dietro questo dramma fantasy cinese mescolano molti elementi interessanti che danno vita a un’avventura complessa, sicuramente non esente da difetti, ma che nel complesso riesce a nostro avviso nel suo intento, ossia garantire una sfida adeguata a tutti quei giocatori che vogliono mettersi alla prova con combattimenti complicati. Wo Long: Fallen Dynasty è ambientato nel 184 d.C., un periodo che vide la Cina impegnata con la rivolta dei Turbanti Gialli. Si tratta di un evento a livello storico molto importante, cruciale per la dinastia Han, che vide il proprio declino iniziare a terminare in quella rivolta che venne sì repressa, ma che permise all’epoca dei Tre Regni di iniziare e fiorire. A far scattare la scintilla fu la rivolta dei contadini che decisero di ribellarsi al potere: erano circa 300.000 di loro e pretendevano che venisse instaurato un regime egualitario, annullando quel mandato del cielo che aveva messo la famiglia Han al governo. La rivolta riuscì a estendersi in tutta la Cina, coinvolgendo l’intera nazione e cambiando per sempre la storia del popolo cinese negli anni a venire. L’evento vide come protagonisti numerosi soldati che fecero la storia della Cina e che Wo Long celebra riportandoli in vita, in una forma più epica e molto più videoludica, con l’intento di dare loro il giusto peso che meritano nella storia: parliamo di Cao Cao, nonché di Zhang Jiao, fino all’eremita Hong Jing, tutti pronti a fornire supporto in battaglia e fare in modo che l’intervento del protagonista possa essere finalizzato al debellare una piaga che Team Ninja ha deciso di proporre all’interno del costrutto narrativo: dei demoni nati dall’Elisir, una droga che è stata capace di dare dei poteri sovrumani a chi decide di assumerla. Va da sé che ci troviamo dinanzi a un pretesto narrativo che non fa dell’intreccio narrativo la parte più interessante: Wo Long infatti ha nel gameplay la propria forza, la propria prestanza, la propria unicità. Wo Long: Fallen Dynasty, come detto, basa la sua esperienza sul gameplay e sul combat system. Nelle circa venti ore impiegate per portare a termine la main quest, quindi senza prendere in considerazione tutte le missioni secondarie abbiamo imparato a padroneggiare le novità che Team Ninja ha inserito nel suo ultimo titolo. Partiamo col dire che la continuità con Nioh è visibile, sia in quelle che sono le armi proposte, tanto per il ritmo del combattimento, spesso aggressivo e quasi sempre non votato alla riflessività, se non all’inizio.
Il proprio alter ego virtuale, personalizzabile in tutto e per tutto grazie a un editor profondissimo e attento a ogni minimo dettaglio della corporatura, dopo ogni uccisione raccoglierà della Forza Vitale che gli permetterà di aumentare di livello: al posto dei consueti templi di Nioh e falò di Dark Souls, in Wo Long si hanno a disposizione delle bandiere presso le quali andare a gestire il proprio inventario, ricaricare le fiaschette della vita ma soprattutto sviluppare il proprio level-up. La build si costituisce di 5 elementi a seconda delle proprie esigenze e al modo in cui si vuole approcciare il combattimento: ognuno di essi è legato a uno specifico elemento naturale e richiameranno delle caratteristiche peculiari degli scontri. Il fuoco ad esempio incrementerà il danno, la roccia invece la difesa, l’acqua la capacità di essere furtivi, permettendovi di andare a personalizzare tutti gli aspetti e l’approccio alla sfida da parte vostra. Nella build che abbiamo creato, ci siamo resi conto di quanto l’acqua potesse essere messa in disparte. Le fasi stealth, infatti, ci sono sembrate davvero troppo approssimative, spogliate di qualsivoglia interazione con l’ambiente e banalizzate da un cono visivo degli avversari a dir poco incomprensibile. Ciò che abbiamo potuto apprezzare, invece, riguarda l’utilizzo delle magie, utile non solo per la varietà offerta, ma anche per essersi rivelate fondamentali negli scontri più ostici andando a ridurre la barra della crisi. Così come accadeva in Nioh ogni avversario oltre alla barra della vita possiede anche una seconda barra, lo Spirito, che una volta riempita lo porterà a concedere una breve finestra per un attacco letale, che infligge un ammontare di danni notevole: questo accade sia per i boss che per gli avversari standard. Per andare a ridurre l’ampiezza di questa seconda barra ci si può affidare alle magie elementali, così da andare a ridurre centimetri importanti al fine di infliggere, poi, il danno massimo possibile. Al di là di questo aspetto, sono molto utili molte magie non solo di attacco, ma anche pronte a garantirvi dei perk delle statistiche, oltre che delle evocazioni, per quanto queste siano molto confusionarie e non abbastanza godibili dal punto di vista estetico. Ciò Da sottolineare l’ottimo lavoro svolto per le armi da usare durante gli scontri. In Wo Long non ci sono bocche di fuoco a disposizione, ma soltanto lame o martelli da attacchi melee, oltre ovviamente a qualche soluzione dalla distanza come pugnali, archi e balestre. Con 13 tipi di armi a disposizione una volta che si è trovata quella più congeniale al proprio stile di gioco sarà difficile che separarsene, proprio come accadeva in Nioh, dove poi l’aumento delle statistiche presso un fabbro vi avrebbe portato ad affezionarvi troppo a quella scelta compiuta, non separandovene più. Sull’aspetto delle armi a disposizione, tra l’altro, Team Ninja ricade in quello che era un problema già affrontato con i precedenti loro titoli: ossia la quantità di loot generato veramente enorme, tutto pronto per essere cestinato a dovere nel momento più opportuno.
Altro aspetto chiave da tener presente in Wo Long è il poter deviare gli attacchi avversari. Davvero fondamentale nella prima boss battle, la cui difficoltà è stranamente più alta di tutto ciò che si potrà trovare subito dopo e nelle ore successive. In sostanza si tratta di indovinare il giusto timing per poter deflettere qualsiasi attacco avversario, anche quelli letali, e guadagnare una finestra di contrattacco tale da permettere al giocatore di infliggere una buona dose di danni, non solo agli HP ma anche allo Spirito. Questa appena descritta rappresenta la più affascinante delle feature da combattimento di Wo Long e quella che bisogna senz’ombra di dubbio imparare a padroneggiare così da diventare in poco tempo infallibili negli scontri e pronti a evitare qualsiasi attacco avversario. Inoltre, dal punto di vista registico sia il deviare che l’affondare con un colpo letale sono gradevoli da vedere e danno non poche soddisfazioni mentre si eseguono. Lungo il cammino del protagonista si avrà la possibilità di scontrarsi con ciò che rappresenta un altro elemento di focale importanza nelle produzioni di Team Ninja: i demoni. Se in Nioh era tutto stracolmo di entità sovrannaturali, in Wo Long nessuno ha deciso di trattenersi. Al di là dei soldati che si trovano all’inizio, poi si cede il passo a entità la cui creazione è talmente pittoresca da rendere difficile la descrizione: alcuni sembreranno dei troll provenienti dalla tradizione asiatica, altri invece delle viverne munite di zampe da ragno, pronti a scagliarsi contro il giocatore come se fosse carne da macello. La varietà stilistica è davvero alta, così come è di fino la costruzione dei vari ambienti, che offrono un level design sempre molto accorto e denso di strade secondarie da andare a sviscerare per il canonico farming, mai inutile in questi contesti.
La meccanica che sicuramente farà più piacere a chi incontra difficoltà nell’affrontare i nemici più ostici è quella legata ai Rinforzi. Tutti i guerrieri che si possono incontrare nel corso del viaggio riusciranno a dar man forte al protagonista, fino a un massimo di due unità, ogni volta se ne avrà bisogno. A loro si può impartire l’ordine di lanciarsi all’assalto, usandoli sia come arieti di sfondamento che come esche, o di seguire i movimenti del giocatore, fino a poterli resuscitare entro un determinato lasso di tempo, pena la loro sparizione dal campo di battaglia. A loro è legato anche un sistema di level-up, basato sul sistema del giuramento, in grado di aumentare a seconda del tempo trascorso insieme a combattere e ai danni inflitti agli avversari. Più sarà alto il livello di giuramento che intercorre tra giocatore e combattente controllato dall’ IA più saranno i benefici in battaglia ottenuti. Altra novità di Wo Long è quella legata al Morale, una unità di misura che viene azzerata all’inizio di ogni missione e che può raggiungere il valore di 25 come massimo. Più alto sarà il morale e più saranno possenti gli attacchi: per questo la chiave di ogni vittoria sarà quella di accumulare quanti più punti possibili evitando di perderne morendo. Cercare le bandiere dove riposare, nonché quelle secondarie che serviranno solo come checkpoint, permetterà di andare a rimpinguare questo valore che in battaglia riveste un ruolo chiave. Per quello che concerne l’aspetto tecnico, Wo Long permette di scegliere tra due diverse modalità di gioco: quella che favorisce la fluidità e quella che invece esalta la qualità visiva. Durante la nostra prova su Xbox Series X abbiamo preferito la prima, per poter godere dei 60fps in funzione di quel ritmo sempre molto forsennato che richiede Wo Long: ciò che possiamo dirvi è che per quanto l’estetica di gioco sia affascinante, tecnicamente il titolo non brilla, ma anzi, a tratti sembra un titolo di qualche anno fa. Nessun passo in avanti clamoroso, né nei dettagli, né dell’utilizzo del sistema di illuminazione, anzi abbiamo notato anche un pop-up degli asset sul lungo raggio che distrugge un po’ la magia dell’esplorazione. Tirando le somme, Se siete alla ricerca di un Soulslike dall’alto tasso di sfida, che possa offrirvi una sfida esaltante e che non possegga necessariamente uno stile grafico all’avanguardia allora Wo Long è senza ombra di dubbio quello che fa per voi. Disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, il titolo offre una grande rigiocabilità e una sfida assolutamente alta per coloro i quali amano mettersi alla prova.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 9
VOTO FINALE: 8,5
Francesco Pellegrino Lise
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