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Editoriali

ELENA CESTE: LA VERITA' CHE NON PIACE AL POPOLO

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di Domenico Leccese

In una nuova intervista Ursula Franco, medico criminologo, consulente di Michele Buoninconti ci spiega che l’errore giudiziario e le odiose lungaggini del nostro sistema hanno cause comuni.


A cosa attribuisce le lungaggini del nostro sistema giudiziario?

Innanzitutto nel nostro paese manca la cultura della verità, il fatto che non interessi agli addetti ai lavori rallenta inesorabilmente il corso della giustizia. E’ molto triste che la cerchino solo i diretti interessati.

Ciò che stupisce la gente comune sono le risultanze delle cosiddette consulenze tecniche di parte, spesso contrastanti tra loro, perché?

I consulenti spesso non dicono il vero o dissimulano, purtroppo tutto nasce dall’idea errata di chi fa le indagini, che una consulenza possa essere la chiave di volta di un caso e gli permetta di chiuderlo rapidamente, mentre invece accade raramente che una consulenza sia probatoria. In quest’ottica i consulenti finiscono per manipolare i risultati delle proprie analisi in modo da avvallare il convincimento di chi gli ha commissionato la consulenza, ciò obbliga il giudice a chiedere ulteriori analisi da parte di periti da lui nominati e ritarda il raggiungimento della verità. Inoltre contro ogni protocollo di tutela di un indagato spesso ai consulenti non criminologi vengono forniti atti che non dovrebbero visionare, un errore madornale, in questo modo la loro consulenza perde il proprio valore scientifico, non è più super partes, l’aver letto documenti non inerenti il loro specifico quesito inficia completamente le loro risultanze e spesso conduce all’errore giudiziario. Un consulente non criminologo non è chiamato per esprimere un suo giudizio generico sui fatti ma ha semplicemente il dovere di redarre una perizia inerente le sue competenze specifiche. Per fare un esempio, se un medico legale fa un autopsia, è sul cadavere che deve lavorare non sulle testimonianze agli atti di un’indagine o sull’autopsia psichiatrica della vittima o sulla perizia psichiatrica di un sospettato, lo stesso vale per uno psichiatra che analizza un sospettato, non può avere un’idea preconcetta del soggetto in esame. Probabilmente ciò che le dico, nonostante sia logico, in Italia è ritenuto ancora fantascienza mentre in America vengono annullati processi per questa ragione.

Quali sono, a suo avviso, oltre a questi, gli errori più comuni fatti dagli inquirenti?

Diciamo che più che di errori credo che il problema di chi indaga sia molto spesso la mancanza di una formazione scientifica, oggi fondamentale, in quanto ormai il risultato di un’indagine è una sorta di diagnosi, i dati peritali ritenuti più rilevanti si analizzano con il metodo logico scientifico, sconosciuto a chi non ha una specifica preparazione. I processi sono ormai dei veri e propri dibattiti scientifici. I risultati delle perizie non sono assoluti, né spesso risolutivi, chi cerca di risolvere un caso deve essere in grado di processare, criticare e valutare i dati consegnateli dai consulenti, prendere per buona un’inferenza come nel caso di Elena Ceste sulla causa di morte può voler dire sbagliare, mentre considerarla semplicemente per quel che è ovvero una semplice ipotesi, ma non l’unica, permette di arrivare alla verità.

Che cosa direbbe ad un giovane avvocato che vuole intraprendere la carriera di pubblico ministero?

Il mio consiglio ai giovani avvocati è di aprire le proprie menti al metodo logico scientifico, di non cercare le vie più facili ma piuttosto quelle certe nella ricerca della verità. Li consiglio di credere nella scienze criminologiche che sono scienze esatte, di non mettere in dubbio la psichiatria come sta succedendo nel caso di Elena Ceste, ciò che gli avvocati non conoscono o non vedono a causa della loro formazione, esiste comunque. La criminologia non è una scienza da salotti, ha invece una indubbia funzione pragmatica e spesso preventiva. Credo che purtroppo la figura del criminologo sia vissuta dalla maggior parte degli avvocati ‘old style’ come competitiva invece che come complementare.

Come si risolve un caso?

L’unico modo in cui si affronta un caso è raccogliendo la maggior quantità di dati possibili con le indagini tradizionali, analizzandoli, affiancando a questi dati consulenze mirate e traendo solo dopo uno studio approfondito di tutte le risultanze le conclusioni. Un caso, lo ripeto non si risolve magicamente con una o più consulenze di parte, si risolve applicandosi, studiando ogni possibile ipotesi alternativa, analizzando senza pregiudizio le dichiarazioni di un indagato, quelle dei familiari, quelle dei testimoni, valutando nel giudizio finale a quanti mesi di distanza dai fatti sono state raccolte ed in che clima mediatico. Come sappiamo la testimonianza è un processo delicato e nel caso Buoninconti Ceste, di cui mi sto occupando, molti testimoni sono stati sentiti tardivamente, le loro testimonianze pur non essendo assolutamente incriminanti, quanto piuttosto il contrario, sono cariche di emotività, un’emotività frutto di mesi e mesi di calunnie da parte dei media nei confronti di Buoninconti. Insomma il mio suggerimento è di cercare tutti i pezzi del puzzle ed aspettare a cantar vittoria se non prima di averli messi tutti, ma proprio tutti, insieme, a volte un cantar vittoria prematuro può trasformarsi in un boomerang.

Ci dice chi è in realtà Buoninconti?

Non è certo l’uomo dipinto dai media, è un buon padre di famiglia, religioso, non affatto rozzo, è un uomo che legge Etty Hillesum che credo sia sconosciuta alla massa dei ‘giornalai’ che lo infanga quotidianamente, ma soprattutto è una vittima del sistema, una vittima di un colossale errore giudiziario.

Mancano poche settimane alla sentenza che cosa può dirci?

Lo ripeto per l’ennesima volta, non esistono prove contro Michele Buoninconti in quanto non ha ucciso sua moglie, il castello accusatorio è un castello di carta velina. Buoniconti è stato indagato semplicemente perché gli inquirenti non sono stati in grado di spiegarsi la morte di Elena ed il ritrovamento dei suoi resti in quel rio se non con un omicidio, tale conclusione è il frutto di una ‘tunnel vision’ che ha colpito in primis i carabinieri della stazione di Costigliole d’Asti che si sono occupati della scomparsa della Ceste e che poi ha inesorabilmente infettato come un virus le conclusioni di tutti, degli inquirenti, dei giudici del riesame e del gup. Pierre Boulle, già nel 1953, nel suo straordinario libro ‘La faccia o Il procuratore di Bergerane’ sosteneva che: “L’inchiesta preliminare è generalmente la fonte di tutti gli errori giudiziari perché è il momento in cui l’emozione è al culmine e i pregiudizi sono fortissimi. Basta che l’accusato faccia prova di un’attitudine percepita come equivoca o sospetta, ed ecco che la macchina s’imballa". Nulla potrebbe essere più esplicativo.
 

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1 Comment

1 Comments

  1. Bruna Parendella

    9 Aprile 2021 at 22:47

    Mi sembra che il pensiero della criminologa Ursula Franco sia molto lucido e basato su un profondo studio della materia.

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Editoriali

“Fuori dal Coro”, Mario Giordano: accuse e disinformazione, tra “ladri di salute” e realtà distorta

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La trasmissione di Rete4 punta il dito sulle liste d’attesa con tagli e montaggi che distorcono la realtà dando poco spazio alle spiegazioni sulle cause strutturali e storiche di questo problema

Le liste d’attesa sanitarie nella regione Lazio rappresentano da anni una delle maggiori sfide per i cittadini e le istituzioni. Problemi come i lunghi tempi di attesa per visite specialistiche e interventi chirurgici affliggono il sistema sanitario da decenni, ereditati da diverse amministrazioni regionali. Negli ultimi mesi, tuttavia, la trasmissione Fuori dal Coro, condotta da Mario Giordano su Rete4, ha acceso i riflettori sul tema, con servizi che spesso sembrano puntare il dito contro l’attuale governatore Francesco Rocca e i dirigenti delle ASL.

La narrazione mediatica proposta dal programma sembra suggerire che la responsabilità delle inefficienze sia interamente da attribuire alla giunta Rocca, ignorando la complessità storica e sistemica del problema.

La campagna mediatica di Fuori dal Coro

La trasmissione di Giordano, Fuori dal Coro, è nota per il suo stile provocatorio e per servizi che mirano a denunciare inefficienze e disservizi in vari settori della vita pubblica italiana. Negli ultimi tempi, il programma ha rivolto un’attenzione particolare alla sanità del Lazio, accusando il sistema di essere gestito da “ladri di salute”. Giordano, con i suoi servizi taglienti, ha puntato il dito contro la gestione delle liste d’attesa e il ruolo delle ASL, alimentando polemiche sulla responsabilità del governatore Rocca e delle amministrazioni locali nel garantire un servizio sanitario efficiente utilizzando filmati montati ad arte per evidenziare episodi di presunta incompetenza o scarsa trasparenza da parte dei dirigenti delle ASL. Questi servizi, sebbene utili per accendere il dibattito pubblico, rischiano di presentare un quadro distorto della realtà, facendo sembrare che il problema delle liste d’attesa sia frutto esclusivo dell’attuale amministrazione. Gli spezzoni video presentati, tagliati e cuciti ad arte, non offrono sempre un quadro completo delle azioni e delle iniziative messe in campo per risolvere un problema così complesso. Rocca e le ASL regionali vengono spesso messi in ridicolo, attraverso un montaggio selettivo che dà poco spazio alle spiegazioni sulle cause strutturali e storiche di questo problema.

Un problema di lungo corso: le cause storiche delle liste d’attesa

La questione delle liste d’attesa nel Lazio ha radici profonde, e risale a molto prima della gestione di Rocca. Secondo i dati forniti dall’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), la Regione Lazio si è trovata negli ultimi 10 anni a fronteggiare un aumento costante delle richieste di prestazioni sanitarie. Questo è avvenuto in un contesto di scarsità di risorse, con un personale sanitario insufficiente rispetto al fabbisogno, strutture ospedaliere spesso sovraccariche e difficoltà nel gestire in modo efficiente il sistema delle prenotazioni.

Le precedenti amministrazioni regionali hanno tentato varie riforme per affrontare il problema, ma con risultati alterni. Nel 2019, sotto la giunta Zingaretti, il Lazio era già tra le regioni con le più lunghe liste d’attesa in Italia, con pazienti costretti ad attendere mesi, se non anni, per accedere a esami diagnostici e visite specialistiche .

Gli sforzi della giunta Rocca per ridurre i tempi

Dal suo insediamento, Francesco Rocca ha reso le liste d’attesa una priorità per la sua amministrazione. Il governatore, insieme agli assessori competenti, ha avviato un piano di riorganizzazione del sistema sanitario regionale che mira a ridurre significativamente i tempi di attesa. Uno dei punti chiave è l’incremento delle risorse destinate all’assunzione di nuovo personale sanitario e all’implementazione di sistemi digitali più efficaci per la gestione delle prenotazioni.

Un passo importante è stato l’avvio della piattaforma Recup, il sistema unico regionale per le prenotazioni di visite ed esami, che dovrebbe rendere più trasparente e immediata la gestione delle richieste. Inoltre, la giunta Rocca ha stanziato fondi per migliorare l’infrastruttura tecnologica degli ospedali, con l’obiettivo di abbattere le inefficienze burocratiche che spesso causano ritardi nelle prestazioni sanitarie.

Nonostante questi sforzi, il sistema sanitario del Lazio si trova ancora in una fase di transizione, e ci vorrà del tempo prima che le riforme possano produrre risultati tangibili. Le criticità attuali, infatti, sono l’eredità di anni di mancati investimenti e tagli alla sanità, e non possono essere risolte nell’arco di pochi mesi.

Il ruolo delle ASL e il problema della comunicazione

Un altro punto sollevato da Fuori dal Coro riguarda i dirigenti delle ASL, spesso accusati di essere poco trasparenti o addirittura di boicottare le riforme. Tuttavia, è importante ricordare che le ASL sono strutture complesse, e molte delle inefficienze segnalate dipendono da vincoli amministrativi e da una scarsità di risorse che si protrae da anni.

La campagna di discredito portata avanti da alcuni programmi televisivi rischia di delegittimare il lavoro di migliaia di professionisti della sanità, che ogni giorno si impegnano per garantire il miglior servizio possibile ai cittadini, nonostante le difficoltà.

La necessità di una corretta informazione

In un contesto così delicato, è fondamentale che il dibattito pubblico venga alimentato da informazioni accurate e contestualizzate. La disinformazione, come quella veicolata da montaggi video parziali, non fa altro che creare sfiducia nei confronti delle istituzioni e alimentare tensioni sociali. Al contrario, è necessario riconoscere gli sforzi che la Regione Lazio sta compiendo per risolvere un problema che affligge non solo questa regione, ma molte altre parti d’Italia.

Le riforme sanitarie richiedono tempo, risorse e la collaborazione di tutti gli attori coinvolti, dai politici ai dirigenti sanitari, fino ai cittadini stessi. Solo attraverso un approccio condiviso e una comunicazione trasparente si potranno raggiungere risultati concreti e duraturi nella riduzione delle liste d’attesa e nel miglioramento della sanità pubblica.

E così, mentre la trasmissione Fuori dal Coro punta il dito contro Rocca e le ASL del Lazio, sarebbe invece importante non perdere di vista la complessità della questione e il lavoro che si sta facendo per migliorare una situazione ereditata da anni di difficoltà strutturali.

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Un anno di articoli con L’Osservatore d’Italia

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Un anno di esperienza con questa testata giornalistica! Beh che dire, lo staff è davvero impegnato su diversi fronti e la collaborazione con loro aiuta sicuramente uno scrittore esordiente ad imparare a scrivere in termini giornalistici.

La testata giornalistica di www.osservatoreitalia.it è sempre molto accattivante e ricca di notizie, dalla cronaca nera a quella rosa. Fare esperienza con un’equipe ben organizzata è il giusto trampolino di lancio per modellare e migliorare l’arte dello scrivere.

La possibilità di vedere i propri articoli pubblicati e seguiti da molti followers investe positivamente sia sul pubblicista che sul giornale. La direttrice, Chiara Rai e il marito Ivan Galea sono impegnati su tanti fronti (dalla politica, alla finanza, alla salute, alla cronaca etc ..) e si occupano in modo chiaro di dare qualità al loro lavoro.

Un “mestiere” quello del giornalista molto scrupoloso e curioso che deve accendere nei lettori la necessità di leggere una determinata notizia. Il giornale si occupa di organizzare momenti di rassegna stampa su diverse tematiche interessanti.

Scrivere articoli per www.osservatoreitalia.it è stata e sarà un’esperienza che ha colmato lacune e incoraggiato l’uso della lingua italiana. Ha arricchito l’esperienza culturale di ciascun collaboratore che ne fa parte.

www.osservatoreitalia.it è una realtà in espansione e mi auguro di vederla sempre di più crescere nell’ambito giornalistico e di espressione. È un’opportunità che va calibrata e pensata, nessuna notizia può essere un caso, ma deve rispecchiare gli avvenimenti reali della nostra quotidianità. Deve incuriosire per espandersi sempre oltre.

La collaborazione con Chiara Rai è efficace sotto ogni punto di vista, poiché il suo modo diretto di spiegare e render noto gli avvenimenti è molto oggettivo e schietto. Non esistono ma e se …, ma la consapevolezza di chi si è e di chi si vuol essere.
Il giornalismo è un’attitudine alla scoperta e alla capacità, non solo di vincere l’attenzione del lettore, ma di formulare articoli chiari e concisi.
La grande “famiglia” di www.osservatoreitalia.it sta lavorando sempre più per ampliare le sue conoscenze e competenze pertanto far parte di questo team è davvero eccezionale.
Nel dedicare questo articolo al mio primo anno di collaborazione, ringrazio Chiara e Ivan in modo speciale. Continuate e continuiamo così, l’informazione c’è e noi ci saremo sempre cari lettori!

Cara Maria Rossella Randi,
grazie di cuore per il tuo bellissimo editoriale e per le parole di stima e apprezzamento verso L’Osservatore d’Italia.

È un piacere sapere che la tua esperienza con noi sia stata così positiva e formativa. Il tuo impegno e la tua dedizione nel contribuire alla nostra testata ci rendono orgogliosi. Il giornalismo è un lavoro di passione e attenzione, e siamo felici che tu abbia trovato in noi una squadra con cui crescere e sviluppare le tue abilità. Siamo certi che il tuo contributo continuerà a essere prezioso, e ti ringraziamo per la fiducia e la collaborazione! Un caro saluto e un grande augurio per il futuro!

La redazione de L’Osservatore d’Italia!

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Il Consiglio di Stato: “Non ci sono fondi per la disabilità” dobbiamo limitare l’inclusione scolastica

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Il titolo preannuncia una possibile “tragedia” che sta colpendo la dignità umana, questa è pura follia! L’inclusione della disabilità ha seguito un iter legislativo molto complesso che va consolidato ogni giorno con dei progetti validi a livello nazionale/europeo. Sentir parlare di limitare i fondi di bilancio che promuovono l’inclusione della disabilità è disfunzionale alla nostra etica morale.

La scuola italiana negli ultimi decenni si è impegnata sempre più in termini di inclusione, pertanto i “cantieri che si sono aperti” devono essere lavorati e non serrati. Sull’inclusione scolastica sono stati fatti numerosi studi, convegni e seminari; ad esempio l’Università Alma Mater di Bologna riconosce un grande merito al professore Andrea Canevaro, nonché il pioniere della prima cattedra di pedagogia speciale in Italia. Purtroppo, venuto a mancare da qualche anno, il professore Canevaro ha scritto i cardini su cui poggia la pedagogia speciale, ha studiato e fatto ricerca su molti punti chiave della disabilità: in particolare proprio sul concetto di inclusione.

È intervenuto con tecniche e strategie innovative tali da diffondere tre concetti chiave: il disabile non è diverso, ma tutti siamo uomini diversi, la consapevolezza dell’assenza di giudizio, il sostegno alla disabilità e le famiglie come fulcro del suo pensiero pedagogico.
Ostacolare oggi questi studi è come buttare una “mina” su tutto quello che è stato fatto da numerosi professionisti, insegnanti di sostegno e docenti. Inoltre, tutto quello che il Consiglio di Stato Italiano ha detto non ha fatto altro che creare malcontenti, delusioni e rabbia, nonché profonde ferite che colpiscono gli animi dei ragazzi/e, gli studiosi, le istituzioni e le famiglie stesse.
Il taglio dei fondi riguarderebbe non solo la disabilità certificata, ma anche le fragilità di alcuni ragazzi/e (i DSA e i BES). In tal caso, crollerebbe l’istituzione scuola, il ruolo degli insegnanti di sostegno e le progettazioni che si organizzano (es. i Piani Educativi Individualizzati).

Le famiglie sono molto preoccupate dopo la sentenza n° 1798/2024, poiché quest’ultima non riguarderebbe solo la violazione del diritto all’istruzione degli studenti disabili, ma anche di tanti altri servizi importanti come il trasposto, la riabilitazione e le cure. Le amministrazioni certificano, così, che il diritto allo studio per i disabili vale meno degli altri, riportando-ci ad un concetto terrificate: la discriminazione. Concetto, quest’ultimo, che non deve “esistere” in una repubblica democratica come l’Italia.


Se i fondi per l’assistenza scolastica stanno finendo, non bisogna certo infierire contro le situazioni più deboli. In tal caso si vanno ad infrangere i principi della nostra Costituzione Italiana quali, la dignità, l’uguaglianza, l’inclusione e le pari opportunità.

Pertanto, diciamo NO a questi possibili “tagli” ne va della nostra reputazione personale e collettiva.

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