Connect with us

Editoriali

ELENA CESTE: UN FILM DI MICHELE BUONINCONTI

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 6 minuti Assassino spietato e intelligentissimo, o vittima sacrificale di una Magistratura che non ha cercato a 360 gradi?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 6 minuti
image_pdfimage_print

di Roberto Ragone

Come nella migliore tradizione di Conan Doyle, o di Agatha Christie, il caso della scomparsa, e del successivo ritrovamento del corpo di Elena Ceste ha appassionato il pubblico italiano.

La TV ha scoperto che i casi di cronaca nera fanno una grande audience, e perciò dal mattino, fino alla sera in prima e seconda serata, ogni conduttore porta la sua pietruzza alla costruzione dell’edificio televisivo, così sostituendo e integrando l’oppio popolare costituito dal calcio, anch’esso propinato in tutte le salse, gli orari, e i giorni della settimana. Michele Buoninconti, marito della vittima, ritenuto colpevole, è stato condannato in prima istanza trent’anni di reclusione. Sappiamo che in Italia, a differenza di altri Stati, ogni anno corrisponde a nove mesi di reclusione; sappiamo che intervengono altri fattori per cui, dopo l’appello che doverosamente sottrarrà una parte della pena, fra semilibertà e leggi varie il Buoninconti potrà essere libero molto prima del 2045. Diversamente da quanto accade in USA, dove la pena te la sconti tutta, mentre il limite è a discrezione dei giudici, per cui può capitare di sentirsi appioppare una pena detentiva di novant’anni. Trent’anni sono il massimo della pena in uno Stato in cui il massimo dovrebbe essere il carcere a vita, ma in questo caso pena ridotta per la richiesta di rito abbreviato, quello che fa risparmiare tempo e fatica ai magistrati, già tanto oberati da cause e causette che si trascinano con rinvii biblici – a volte decisamente assurdi.

Nonostante tutto, Michele è il vincitore morale di questo processo, come di tutta la vicenda. Dico subito che sono stato colpevolista fin dall’inizio, per ciò che ho potuto seguire e conoscere attraverso i programmi di cui sopra: quando sparisce, o viene trovata cadavere una donna, nella quasi totalità dei casi il colpevole è il marito, e questo anche nei racconti gialli di fantasia – dove la fantasia prende a prestito dalla realtà, e non viceversa, rivelandosi – la fantasia – meno ‘fantasiosa’ degli assassini veri. Inventarsi – secondo il Tribunale – la storia della moglie che, dopo aver passato la notte in deliquio, rifugiata tremante e delirante in un angolo della camera da letto, è degno del miglior Poirot. Inventare poi il successivo comportamento, secondo il quale la sventurata, ancorchè insonne, e quindi meritevole di riposo, si sia spogliata completamente in giardino, (e non si capisce perché non uscire di casa già nuda) lasciando a casa anche gli occhiali – sul comò, e ritrovati in cima alla pila di abiti freschi di bucato lasciati dietro al cancello della villetta – e si sia avventurata, novella Lady Godiva senza cavallo, per la strada a quell’ora fitta di auto di gente che va al lavoro, senza che nessuno notasse la sua presenza, con la neve ancora dappertutto, e una temperatura di circa quattro gradi sopra – il mio frigo lavora a circa 6 gradi centigradi – è indice di una fantasia veramente rimarchevole. Dissi subito che secondo me il soggetto certamente aveva letto troppi gialli Mondadori, quelli settimanali, o che aveva visto troppi film.

Cercare in modo maldestro di coinvolgere il suo presunto – o reale – rivale in amore, è stata successivamente cosa doverosa. Purtroppo per lui, l’altro aveva un alibi a prova di bomba, e Michele è rimasto con il cerino in mano. Guardando in prospettiva tutta la faccenda, comunque, emerge limpido un fatto: Michele è un egocentrico, un ‘dominus’, una persona che si sente più furbo, più intelligente, più pronto, più spregiudicato degli altri, insomma, una sorta di super-brain. Pensare che la Polizia o i Carabinieri potessero bere come acqua fresca la panzana confezionata su  misura, vuol dire che l’uomo è talmente sicuro di sé e della stupidità degli altri, da farci conto, e da meravigliarsi quando invece si è reso conto che non era proprio come lui aveva previsto.

Successiva, o contemporanea, è stata l’invenzione di un filmato che sarebbe stato girato ai danni di Elena in atteggiamenti intimi, e promosso sul web; inutile dire che di tutto ciò non s’è trovata traccia. Né se n’è trovata di questa fantomatica banda che la minacciava, che voleva toglierle i bambini. Michele è diventato, ancorchè sospettato numero uno, il protagonista di tutta la vicenda, e si è divertito a sfidare gli inquirenti (I Carabinieri mi fanno un baffo – intercettazione ambientale), ritenuti sempre non all’altezza di un genio del crimine come lui. Ma protagonista Michele ha sempre voluto essere, da quando la domenica in chiesa intonava la ‘prima lettura’ sul pulpito; quando imponeva alla moglie di rimanere a casa, sospendendo l’assicurazione dell’auto, mentre lui andava in vacanza con i bambini, lasciandola a badare alle galline; quando la mandava a far la spesa senza denaro perché poi sarebbe passato lui; quando le sequestrava il cellulare per leggere gli sms e ricevere le telefonate al posto suo, quando ancora la umiliava in tutti i modi. “Ho messo diciott’anni a raddrizzare vostra madre”, altra intercettazione. Oppure quando cerca di indottrinare i figli in previsione delle domande degli inquirenti; “Vi tolgono la casa, fate la fine di vostra madre”. Insomma, guardando controluce, Michele Buoninconti ha sempre voluto, e avuto, l’attenzione dovuta ad un protagonista, anche quando fingeva di essere disturbato dai numerosi giornalisti delle varie testate che lo cercavano per registrare qualcosa da trasmettere; e lui si negava, tirava sassi, li prendeva a parolacce; oppure telefonava spacciandosi per un fantomatico ‘Armando Diaz’, in segno di disprezzo per una televisione di indagine che non riusciva a trovare il bandolo della matassa, nonostante tutte le mollichelle che lui s’era lasciato dietro. Si legge spesso, nei libri gialli, dell’assassino che inconsciamente lascia delle tracce come Pollicino, per farsi prendere, quasi volesse mostrare all’investigatore poco provveduto quanto è stato bravo. Michele ha fatto anche questo. Quella ‘vergogna’ perché ‘non è bene che una donna vada in giro nuda’ la dice tutta: la punizione per ‘vergogna’ presunta o reale del tradimento della moglie, la ‘vergogna’ di una moglie che va a spasso nuda, come le prostitute messe alla berlina nel Cinquecento; il proclamare la ‘vergogna’ della moglie come per purgare una colpa che non gli appartiene: questo è il movente principale, quello che ha fatto scattare la molla, quando s’è reso conto che la moglie lo avrebbe lasciato, diventando a sua volta protagonista, e lui avrebbe perso la faccia in chiesa, in caserma e con tutti i parenti e gli amici; mentre la ‘colpa’, l’adulterio – reale o presunto – di Elena lo avrebbe insozzato dalla testa ai piedi.

Come protagonista, ed unico ‘informato sui fatti’, ha  riferito, e poi smentito, un dissidio coniugale dovuto alla mancanza di obbedienza della moglie, avendole al contrario tolto di fatto ogni fiducia, ogni autonomia, ogni spazio vitale: lei, donna intelligente e laureata; lui poco addottorato, pompiere, con tutto il rispetto per i pompieri che svolgono un’attività di grande sacrificio. Ma lui non era ‘un’ pompiere, lui era ‘il’ pompiere, quello che ‘non uccide le persone, ma le salva’, un eroe civile. Ora Michele, la cui espressione furbesca abbiamo ripetutamente potuto osservare nei filmati trasmessi ad libitum – sempre gli stessi – è finalmente ‘il’ protagonista, colui che non potrà più essere messo da parte. Anche nel disfarsi del corpo della moglie Michele ha voluto mantenere il controllo: infatti dal suo balcone si vede il piccolo rio dove ha gettato il corpo nudo di Elena, un corso d’acqua infoltito dalla mancanza di manutenzione, che da otto anni non riceveva manutenzione; e nulla faceva presagire che l’avrebbe ricevuta proprio in quel momento. Fino ad allora Michele era riuscito a tener lontane le ricerche; qualche mese ancora, forse due o tre, e del corpo di Elena non sarebbe rimasto nulla. La pietruzza nell’ingranaggio è stato proprio il tempo atmosferico con le sue piogge; il classico imprevisto che smaschera anche il più bravo dei Barbablù. Ma Michele non defette, lui è colui che comunque è entrato nella cronaca, e poi nella storia, l’eroe ‘nero’ della vicenda, e si sa che gli eroi neri appassionano più di quelli candidi come sir Galahad. Prova ne siano le numerose manifestazioni di simpatia – ed altro – che riceve quotidianamente. Proclamare la sua innocenza fa parte del suo carattere, o meglio, del carattere del personaggio che si è cucito addosso. Non confesserà mai, a meno che non voglia, passato del tempo e nell’oblio della sua avventura, riaccendere su di sé i riflettori, raccontando come effettivamente sono andate le cose. Probabilmente, sollecitato dai soliti noti, scriverà un libro, con la collaborazione del solito ‘ghost writer’, per raccontare la sua verità.

Che sia colpevole, secondo me, non c’è alcun dubbio. Ma che lui si proclami ancora innocente, vittima dell’errore giudiziario più grande del terzo millennio, è esattamente nel personaggio: non gli basta un semplice errore giudiziario, dev’essere un fatto epocale. Come sta Michele? E’ affranto, desolato, deluso, depresso, intimorito, disperato? No, state tranquilli, a modo suo se la sta godendo, e sa che non è ancora finita. Assassino spietato e intelligentissimo, o vittima sacrificale di una Magistratura che non ha cercato a 360 gradi? O ancora vittima di investigatori incapaci o disonesti, o di giudici influenzati dal mezzo mediatico? O piuttosto maldestro marito che ha scelto di liberarsi di sua moglie nella maniera più sbagliata? Deve ancora scegliere, l’importante è che, comunque vada, lui rimanga il protagonista.

Editoriali

Morte Franco Migliacci, la lettera di un amico

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Caro Franco! La notizia della tua scomparsa mi ha colto di sorpresa, pur sapendo che non stavi bene, non ci si rassegna mai alla dipartita di una persona cara. Ora, assorbita la triste notizia, sento il bisogno e desiderio di scriverti per inviare al vento i miei sentimenti di grande affetto nei tuoi confronti.

Il primo giorno, quando il mio amico fraterno e collega Renato Coppola, musicista che lavorava alle edizioni della RCA, ci presentò, fui molto emozionato, consapevole di aver conosciuto uno dei pilastri della musica italiana. Poter frequentarti quasi giornalmente per vari interessi musicali, mi riempiva d’orgoglio, tanto più, andando avanti nel tempo, mi facevi sentire il tuo affetto come un fratello maggiore, fino a farmi collaborare nell’ascolto dei giovani che arrivavano per le audizioni alla casa discografica.

Causa vari miei incidenti ero tornato in Italia, dopo aver girato il mondo con il complesso “I CARDINALI” quasi sette anni, il morale a terra per la delusione di dover ricominciare tutto d’accapo, tu hai contribuito in maniera determinante nel farmi riacquistare fiducia ed entusiasmo nella musica. Gli anni passati con te ed i tuoi amici di sempre, Jimmy Fontana e Lilly Greco, sono indimenticabili, grazie all’allegria che emanavate, nonostante la vostra severa professionalità e capacità lavorative. Un periodo pieno di aspettative ed ottimismo che ha segnato positivamente la mia vita per sempre. Un periodo in cui avevo bisogno di risorgere, avere nuovi interessanti propositi, guardare avanti con fiducia ed ottimismo, e, tutto questo è successo grazie a te, con i tuoi consigli ed i tuoi eterni sorrisi arricciando il naso, raccontandomi tanti aneddoti inediti della tua vita.

Parlare di te come artista è superfluo, visto tutto quello che hai creato. Hai lasciato un segno indelebile non solo nell’ambito nazionale, ma ci hai inorgogliti agli occhi di tutto il mondo con il tuo volare, insieme al grande Mimmo Modugno. Un’opera rivoluzionaria per quei tempi, che solo un grande talento, come sei stato tu, poteva inventare, dimostrando successivamente, che non era soltanto una meteora, diventando un pilastro e pezzo importante della storia della musica italiana. Tutti gli italiani ti sono grati per il tuo contributo alla nostra cultura, ma, personalmente voglio ringraziarti per avermi concesso la tua amicizia, i tuoi consigli e tutte quelle ore spensierate che ben coniugavano lavoro ed allegria.

Sono sicuro che ora sarai di nuovo con molti dei tuoi amici, creando e divertendovi in contesto idilliaco, sperando di poterti incontrare di nuovo. Grazie Franco…tuo Marietto…

Continua a leggere

Editoriali

L’avventura di vivere a Roma tra maleodori, mezzi pubblici stracolmi, borseggiatori e chi più ne ha più ne metta

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

Non passerà molto tempo che, nella nostra eterna città, saremo costretti a girare con le maschere antigas, per non essere storditi dalle putride esalazioni dei cassonetti, che, nel periodo estivo si acuiscono in maniera esponenziale

Quando si parla di avventura romana, non ci si riferisce al turista o, al pendolare che entra nella città, bensì, al cittadino residente, che suo malgrado diventa l’eroe dei nostri tempi, cercando di sopravvivere alle avversità giornaliere, superando i continui ostacoli che vediamo normalmente nei video games.

A fine giornata, ci sentiamo tutti degli Indiana Jones, felici di essere ancora vivi, pensando, che dopo il meritato riposo del guerriero, si riprenderà la battaglia del giorno dopo. Nella vita avventurosa da affrontare però, non ci saranno soltanto le difficoltà delle forze del male, ma per rendere più eccitante la disputa, si dovrà combattere anche contro le istituzioni, quelle stesse che dovrebbero garantire una vita civile e giusta.

Non passerà molto tempo che nella nostra eterna città, saremo costretti a girare con le maschere antigas, per non essere storditi dalle putride esalazioni dei cassonetti, che, nel periodo estivo si acuiscono in maniera esponenziale.

A questa disdicevole situazione, si aggiunge il grado di civiltà raggiunto dalla società moderna, che, per menefreghismo, cattiveria e spirito di rivalsa, ignara del danno che procura a se stessa, aggrava il tutto, non soltanto nel non fare la differenziata, ma portando di tutto vicino ai cassonetti, compresi rifiuti speciali pericolosi, come possono essere olii da scarto, che puntualmente, altri delinquenti, soltanto per il loro macabro piacere, spargono per terra, inquinando in maniera irreversibile.

Da notare, che per le persone perbene e civili, è difficile arrivare vicino ai contenitori per poter fare la differenziata.

Partendo al mattino da questo primo inconveniente, il cittadino cristiano, si fa il segno della croce e si prepara mentalmente ad andare in prima linea al fronte. Purtroppo le persone con meno possibilità finanziare, di solito hanno auto non proprio nuove, e per questo devono essere punite perché inquinano, costrette di conseguenza a prendere i mezzi pubblici. Finalmente inizia la vera avventura. I nervi si irrigidiscono, la pressione si alza (peggio per chi ne soffre), il volto si incattivisce e cambia continuamente colore, a secondo del prolungarsi dell’attesa del bus o della metro, che rappresenta una vera incognita, indecifrabile soprattutto per i turisti stranieri, che, pur essendo stati catechizzati nei loro paesi, si scontrano stupiti, con la reale incertezza, flessibilità e superficialità italiana.

Fa male sentire criticare il proprio paese, malgrado la ragione sacrosanta di chi viene a visitare la nostra bistrattata città, quindi, bisogna ingoiare il rospo amaro.

L’attesa dei mezzi pubblici è quasi sempre logorante e causa un aumento notevole del numero dei viaggiatori. A questo punto, entra in gioco il grado di civiltà della società attuale. Ci si prepara come dei centometristi per riuscire ad entrare, pronti a colpi proibiti contro gli avversari che ti guardano con odio e disprezzo, incuranti del sesso e dell’età delle persone. Lo scontro frontale è cruento, perché i passeggeri all’interno, hanno la pretesa di voler uscire prima di chi deve entrare, ed è inevitabile udire qualche grido di dolore per le gomitate ricevute, il tutto condito da parolacce e maledizioni da entrambe le parti.

Conquistato eroicamente il posto all’interno, si riprende il fiato per proseguire il viaggio. Quasi tutti immersi nei propri telefonini, per questione di vita o di morte, ignari di tutto quello che accade intorno, e, poco importa se i borseggiatori, platealmente, circondano la malcapitata preda, derubandola a volte con la forza e, costringendola a gridare aiuto nell’indifferenza totale.

Vietato intromettersi e compromettersi, questo il motto che vige attualmente nel nostro paese, altrimenti si corre il rischio di prendere botte, qualche coltellata e, nella migliore delle ipotesi, essere denunciati per aver trattenuto il borseggiatore o borseggiatrice, contravvenendo all’interruzione del pubblico lavoro.

Chi è debole è giusto che subisca, chi ha problemi economici è abituato a stringere la cosiddetta cinghia, e quindi può benissimo mettersi sulle spalle nuovi debiti e comprare un’auto nuova per non inquinare. In futuro, avremo nel nostro paese, una minoranza della popolazione che sarà sempre più obesa, e la maggioranza che sfoggerà una linea perfetta, a volte di una magrezza eccessiva.

Però, si può optare per i mezzi pubblici, che rappresentano una vera lotteria, comprando preventivamente un Kit antisommossa. Dimenticavo di dire, che bisogna affidarsi   principalmente alla Fede.

Buona fortuna a tutti.

Continua a leggere

Editoriali

Banca Popolare del Lazio, Capitani: “Cari soci vi basti la parola del Presidente!!!”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Riceviamo e pubblichiamo la nota dell”imprenditore agricolo e socio della Banca Popolare del Lazio Domenico Capitani.

“Forse l’errore del Presidente di chiamarsi Banca Popolare del Lazio e non presidente del CDA, nel presentare la lista dei candidati unici al “nuovo” CDA, pur rimanendo un errore formale, sottace la vera natura dell’uomo di sentirsi “padrone” della banca.

Cosa che si rileva anche in altre occasioni, come per esempio nei comunicati stampa o pseudo interviste in cui parla di acquisizioni o scelte strategiche che avrebbero bisogno dell’approvazione della vera proprietà della banca ovvero “l’assemblea dei soci” in presenza, VERA SOVRANA , essa si, della banca, così come si sbandierano i successi, se successi fossero, come il “salvataggio” della Banca della Tuscia, banchetta con un unico sportello e non si cita il fallimento molto dispendioso della BPL dell’acquisizione più volte annunciata della Banca Val Camonica.

Così come non si parla della anch’essa annunciata, con comunicati e articoli stampa, ristrutturazione dell’Ottobre 2020 che prevedeva la collaborazione con Banca Cassinate e Popolare di Fondi (che smentiranno immediatamente).

Sembrerebbe per noi umani che andiamo a “tentoni”. Si parla dell’aumento delle filiali come fosse una conquista napoleonica. La BPL sono 30 anni che aumenta le sue filiali, loro evidentemente hanno solo il merito di averne regalate tante Banca Blu che non è di proprietà 100% BPL. Chi ci avrà guadagnato?! Per non parlare dei risultati di bilancio, si fanno percentuali sull’anno precedente che non esisteva e si ottiene un prestigioso + 80,26%.
In verità ci sarebbe molto da discutere sul risultato ottenuto, dieci filiali ottengono un utile di 7,8 milioni , 53 filiali Blu Banca ottengono un utile di 11,1 milioni. Forse era meglio tenersele.
Apprendiamo inoltre dal comunicato che la banca avrebbe acquisito una società di brokeraggio assicurativo finalità diventare banca-assicurazione.

Cari soci vi basti la parola del Presidente!!!”

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti