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Tutto cambia troppo in fretta, le relazioni tra persone
corrono sui social e vengono raccontate attraverso una valanga di selfie, “mi
piace” ed emoticon.
I rapporti interpersonali, i sorrisi, le strette di mano, le
passeggiate senza dispositivi elettronici fanno ormai parte di vecchi capitoli
di una società che si è trasformata da reale in virtuale e solo in alcuni casi
ne rappresenta una utile e costruttiva fusione.
Alle poste si vedono tanti anziani e pochi ragazzi. Nei
parchi, giocano i bambini più piccoli perché i “quasi adolescenti” sono
incollati a giocare alla PlayStation e divorare snack mentre i genitori sono
fuori per lavoro o alla ricerca di se stessi perché con la crisi dei valori è
sempre più frequente la crisi delle coppie.
C’è anche la categoria dei bambini dai mille impegni che si barcamenano tra infiniti solleciti che rischiano di generare ancora più confusione e poca capacità di perseguire obiettivi mirati, avere dei gusti precisi, esprimere delle opinioni. Ciò che preoccupa è che spesso sono convinti che il loro futuro economico e lavorativo dipenda dal successo di un proprio canale su Youtube.
In questo caotico quadro sono presenti anche le “mamme
multitasking” la cui stragrande maggioranza è da ammirare per tutto ciò che
riescono a fare nell’arco della giornata.
Sia ben inteso, le eccezioni si trovano ovunque. E allora ci
s’imbatte in donne che lavorano con lo sguardo compulsivo sullo smatphone, accudiscono
i figli con l’attenzione puntata ai tutorial di Youtube che spiegano come
applicare in poche semplici mosse il gel sulle unghie, fanno le rappresentanti
di classe con l’unica missione di bombardare i genitori di messaggi vocali,
emoticon e video. Vanno in palestra, fanno tango o zumba per svagarsi e poi
arrivano ad un certo punto con la consapevolezza di doversi fermare e rimettere
in ordine la propria vita.
A quel punto, probabilmente, ci si accorge che qualcosa è
sfuggito di mano ma non certo l’unico strumento da cui non ci si separa mai. Chi
non ha letto la notizia della rissa scoppiata tra due mamme che si contendevano
il posto migliore per girare il video della recita cui partecipavano i propri
figli?
Poi ci sono gli uomini e le donne in carriera che ingrassano
i “take away” di sushi, scaricano le app più per le consegne più rapide di cibo
a domicilio, camminano con il contapassi, prenotano i viaggi a seconda delle
offerte bombardate: “Vado a Praga”, “perché?”, “perché c’è un last minute per
questo week end”.
Gli anziani tornano ad essere genitori in un vortice di
impegni che annulla il proprio meritato periodo di pensione: “Niente viaggi,
devo seguire i miei nipoti ”.
Alcuni pubblicano tutte le foto dei nipotini dal momento del bagnetto fino a quando non vanno a dormire.
Nell’arco di una giornata si visualizzano migliaia di
immagini, si scattano palate di selfie persino quando si è di fronte a un
semplice caffè.
La smania di fare parte di una comunità virtuale può
arrivare ad azzerare il dovere di mantenere una certa privacy.
Ma gli scatti sono virali: un po’ per protagonismo e
compiacimento, un po’ per semplice piacere
o per ricerca di approvazione ma anche per lasciare una positiva testimonianza
di partecipazione a fatti o eventi che interessano la collettività.
E poi ci sono anche persone che affrontano il mondo virtuale
come un’occasione di rinascita: viaggiano, visitano mostre prenotando comodomente dal loro
tablet, prendono il thé con le amiche ritrovate su Facebook dopo una ventina
d’anni e si dedicano a tutto ciò che gli passa per la testa.
Siamo in un momento storico in cui contano i followers (chi
ti segue), i fashon blog e ci si lascia suggerire da non meglio improvvasati
“influencer”, coloro che dovrebbero dettare moda e tendenze del momento.
Per non parlare delle chat su WhatsApp: c’è quella di
lavoro, della palestra, dell’hobby, delle classi scolastiche, dei ristoranti,
del dietologo.
L’album delle fotografie è un cimelio che la nuova
generazione conosce a stento così come “telefonare” è un’azione sempre più rara.
Non parliamo poi
dell’azione di prendere un libro tra le mani e leggerlo o addirittura possedere
in casa una libreria o una collezione di videocassette e dvd. Tutto questo
imgombro ha messo le ali ed è volato sul web: un infinito spazio dove il
territorio geografico non conta ma c’è un linguaggio universale, un mondo che
sarà eternamente inesplorato, uno strumento talmente potente da rivoluzionare
usi, costumi, comportamenti. Un universo misterioso, pericoloso, affascinante
che o lo cogli come un’opportunità o ti fagocita.
L’immediatezza cavalca il palinsesto delle nostre ore,
giorni, settimane. A Ferragosto ci si affretta a programmare Capodanno e a
dicembre si acquista su Amazon la tuta da sci più conveniente.
Gli alberi di Natale vengono addobbati già a metà Novembre e
per una strana combinazione di algoritmi si trovano sempre le “offerte giuste”
a portata di mouse: piovono i banner luminosi che, guarda caso, hanno le
promozioni che interessano.
Il grosso problema è quando
ci si imbatte nella disinformazione. Ciò che si trova sui social network non
sempre rappresenta fedelmente la realtà. A volte si riportano notizie
totalmente prive di fondamento e spesso lo si fa non senza un secondo fine.
Certe “bufale” sono prive di “buona fede” da parte del
mittente. Ma chi le mette in circolo approfitta della distrazione, la fretta,
la mancanza di verifica e altre caratteristiche in seno al destinatario.
La nostra vita viaggia alla velocità di un click e così,
quello che si legge, anche se il più delle volte è palesemente falso, arriva lo
stesso, colpisce ugualmente e rimane impresso. Qualcuno, nonostante tutto,
ritiene sia vero ed è difficile poi smentire la “fake news” messa in
circolazione perché si rischia di amplificarne l’effetto.
Ma non c’è tempo e spesso quello che si assimila tocca la pancia delle persone e imbastisce una sorta di reazione che dilaga nel fenomeno devastante della condivisione. E chi è in rete può cavalcare l’onda o venirne travolto. Fermiamoci un attimo per riflettere e chiediamoci dove vogliamo andare.
Chiara Rai
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