Primo piano
Ennesimo retro front di Matteo Renzi. Questa volta il ponte: "Non è una priorità"
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8 anni fail
di Paolino Canzoneri
Quando un presidente del Consiglio tira fuori il “jolly” del ponte, sembra proprio dare l'impressione di essere arrivato “alla frutta”. Sembra davvero che tutte le cartucce a disposizione per cercare disperatamente di recuperare consensi caduti a strapiombo siano proprio finite. La sensazione amara è che dietro a quei sorrisini, a quella camminata spavalda “alla Obama” e a quella sfrontata presunzione d'aver capito e saputo sempre fare la cosa giusta, si nasconda un politico insediatosi senza voto plebiscitario che finalmente ha compreso quanto gli italiani non siano più disposti a sopportare quelle che il grande maestro della comicità italiana Totò chiamava “fetecchie” e suo malgrado se ne accorge sempre di più per fischi e contestazioni che oramai lo accompagnano quasi in ogni luogo dove si rechi per impegni istituzionali che lo portano a contatti sempre più difficili con le categorie di lavoratori e cittadini come alla Versiliana dove il pubblico gli ha urlato del “Pinocchio” fino a Treviso dove il nostro Presidente ha rischiato grosso con insulti, cartelli offensivi e lanci di arance di fronte Palazzo Rinaldi durante un “tentativo spensierato” di una passeggiata serena ed innocua a seguito di un incontro con imprenditori locali. Questo percorso la dice lunga sulla caduta di consensi e a due mesi dal referendum l'aria è stanca, il suo volto ostenta meno sicurezza e il colore è quello di un uomo che sente spianata la strada verso una uscita poco dignitosa come è stata quella di Silvio Berlusconi, del governo dei “Tecnici” e del successivo debole e fragile Letta. Serve un espediente, serve qualcosa che possa ridare fiducia agli italiani..serve il Ponte! Questo avrà pensato Matteo Renzi che fra i suoi difetti rientra pure quello del non riflettere prima di parlare ma putroppo non fa i conti con tutta una serie di motivazioni plausibili per cui il ponte diventa un ridicolo espediente tirato fuori per scopi propagandistici e tremendamente lontani da possiblità oggettive di realizzazione. Per la sua realizzazione in quella specifica locazione geografica la struttura stessa non può avvalersi di un pilone centrale a sostegno del ponte che deve essere invece sorretto esclusivamente dai due piloni su terraferma cioè a Messina e a Villa San Giovanni in Calabria che per queste ragioni devono essere profondissimi ed enormi con un impatto ambientale non propriamente di basso conto. Gran parte della Sicilia orientale e parte della Calabria sono zone sismiche e costruire un ponte sospeso in quel corridoio di mare è palesemente un azzardo e la storia di questo paese dovrebbe averci insegnato quanto sia saggio ed importante evitare le cosiddette “tragedie annunciate” come quella del Vajont dell'ottobre del 1963 dove perdemmo il paese di Longarone e tutti i suoi abitanti per la persistente e malsana idea di costruire una diga fra due montagne fradici e umide a ridosso del paese. Un affare come quello del ponte rappresenterebbe un enorme pericolo fiscale e un affare colossale che richiamerebbe sugli attenti tutta la peggior schiera di mafie varie che si vedrebbero offrire una tentazione irresistibile a cui certamente non saprebbero rinunciare e a cui sarebbe impossibile effettuarne un controllo costante e sicuro. E la cosa che rabbrividisce di più i siciliani e i calabri è l'ipotesi sciagurata di tracce visibili di progetti interrotti abbandonati che lasciano alla pubblica gogna panorami incantevoli di mare rovinati dalla visione di pezzi di piloni nel mare a perenne ricordo e vergogna dell'incapacità italiana di sapere sempre portare a termine le grandi opere. Una impossibilità che siamo costretti a pagare ma che preserverà e manterrà tutta quella forza lavoro relativa ai traghetti e imbarcazioni di trasporto merci che giornalmente percorre quel lembo di mare da costa a costa. Altro che tratta di alta velocità Napoli -Palermo che il nostro premier in un impeto vigoroso di ottimismo credeva di piazzare come una tele vendita dei tempi delle prime TV private; per quel tipo di spot Berlusconi è sempre stato insuperabile e di un altro pianeta. Sarà che a qualcuno attorno a Renzi sarà scapatto un sorrisino o magari qualche fedele portaborse consigliere sia proprio scoppiato a ridere girandosi magari per non farsi vedere, ma sta di fatto che di li a poche ore dopo dai microfoni di Radio Popolare, Renzi, ancora una volta è tornato sui suoi passi dicendo: ”Il Ponte sullo Stretto non è una priorità. L'ho sempre detto. Dopo di che il dire di "no" perché l'ha detto Berlusconi mi fa scappare un sorriso. Per me prima vengono la banda larga, l'edilizia scolastica, la Salerno Reggio Calabria, le ferrovie in Sicilia, i viadotti in Sicilia, tutti gli interventi sul dissesto idrogeologico. Quando si è chiuso questo pacchetto mi dovete spiegare perché un collegamento che permette di avere l'alta velocità da Napoli a Palermo non si possa fare, un'opera che costa 3 miliardi di euro, e invece si possa fare il tunnel del Brennero, la Torino-Lione”. Ma qui a ridere sono gli italiani, ma è una risata sempre più amara e sempre più vicina a una smorfia di dolore per un disinteresse e una distanza dai cittadini che nessun ponte potrà riunire.
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Politica
Draghi a Palazzo Chigi: Incontro con Meloni sulla competitività dell’UE
Pubblicato
24 ore fail
18 Settembre 2024
L’ex premier e la presidente del Consiglio discutono le sfide europee: Innovazione, demografia e nuove strategie per il futuro economico dell’Unione
L’ex presidente del Consiglio Mario Draghi è stato accolto a Palazzo Chigi dalla premier Giorgia Meloni per un incontro di oltre un’ora. Il colloquio, annunciato in precedenza dalla stessa Meloni dopo la presentazione a Bruxelles del Rapporto sulla Competitività in UE curato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea, ha segnato un momento di riflessione sulle sfide future dell’Europa e sulla necessità di riforme profonde per restare competitivi a livello globale.
La nota ufficiale di Palazzo Chigi descrive l’incontro come un confronto “approfondito”, con al centro i temi chiave del rapporto presentato da Draghi. Tra i punti discussi, la spinta all’innovazione tecnologica, la questione demografica, e l’approvvigionamento delle materie prime critiche sono stati indicati come argomenti fondamentali per il futuro dell’Unione Europea.
Secondo il governo, il rapporto di Draghi propone “spunti di grande interesse”, tra cui la necessità di strumenti adeguati per implementare le ambiziose strategie europee. Questi includono il rafforzamento dell’industria della difesa e la gestione delle transizioni verde e digitale, suggerendo di non escludere aprioristicamente “la possibilità di un nuovo debito comune” per finanziare tali obiettivi.
L’incontro tra Draghi e Meloni ha evidenziato una sostanziale condivisione di visioni sulle priorità dell’Italia e dell’Unione Europea. La nota precisa come le priorità discusse rispecchino il lavoro che il governo Meloni sta portando avanti sia a livello nazionale che nelle istituzioni europee.
L’attenzione sulla competitività europea è stata accompagnata dal riconoscimento delle sfide che l’Europa deve affrontare nei prossimi anni, in un contesto globale sempre più complesso, con una crescente concorrenza proveniente da potenze come Stati Uniti e Cina.
Tra i temi più rilevanti emersi dall’incontro vi è la discussione sulla possibilità di un nuovo debito comune europeo. Un’opzione che, secondo Draghi, non dovrebbe essere esclusa, soprattutto se si vuole garantire un adeguato sostegno finanziario per le ambiziose transizioni industriali e strategiche dell’Europa. Un tema che potrebbe riaccendere il dibattito politico, soprattutto in quei Paesi più restii a nuovi meccanismi di mutualizzazione del debito.
L’incontro tra i due leader ha rappresentato non solo un momento di confronto politico, ma anche un segnale di continuità su questioni di rilevanza europea, con Draghi che continua a mantenere un ruolo centrale nel dibattito sulle politiche economiche e strategiche del continente.
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Editoriali
Codice Rosso: un’arma spuntata contro la violenza? [SECONDA PARTE]
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1 giorno fail
18 Settembre 2024
L’intervista a Rosy Andreacchio vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati
Ieri abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervista a Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati. https://www.osservatoreitalia.eu/codice-rosso-unarma-spuntata-contro-la-violenza/
Una analisi lucida sulle difficoltà che vengono incontrate dalle persone vittime di violenza, sia maschili che femminili.
Esiste una legge nazionale, il cosiddetto Codice Rosso, che stando alle prime risposte date dalla vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati andrebbe, sempre ricollegandoci alle parole di Rosy Andreacchio, rivalutata ed integrata da alcune correzioni figlie di una esperienza che i Centri Antiviolenza vivono ogni giorno
Passiamo, ora Rosy, ad un altro discorso. Perché stiamo assistendo a situazioni di violenza che sempre più riempiono le pagine di giornali, televisioni, web. Il più “cliccato” in questi giorni è il caso del ragazzo che ha sterminato la propria famiglia. Vado diretto che sta succedendo?
C’è di sicuro una realtà sociale e di immagine che di sicuro è “complice” passami il termine di questa situazione. E poi, brutto da dire, è crollata la rete famigliare. Quella che un tempo era l’ancora di salvezza della nostra generazione, pur sempre con i suoi limiti e difficoltà, oggi è smantellata da una quotidianità sempre più propensa ad isolare ed a isolarsi anche nelle problematiche.
Quindi quel nucleo fondante la società civile, la famiglia appunto, oggi è sempre più assente. Il business a tutti i costi porta i genitori ad allontanarsi dai figli. Giusto?
Un tempo, neanche così lontano, i genitori davano regole ai proprio figli. Oggi li vedi fare con loro i balletti su Tik Tok e sono diventati i figli a dettare regole e tempi ai propri genitori. Oggi un genitore non è più una “autorità” per il proprio figlio ma è divenuto un loro “complice”. Un tempo un genitore indicava la strada da seguire ai propri figli mettendogli di fronte i rischi qualora avessero “deviato” la rotta. Oggi invece, molti genitori, sono i primi a dire ai propri figli di fare quello che vogliono senza porsi minimamente il problema delle conseguenze che tali azioni potrebbero poi generargli.
A tuo avviso questa situazione di mancanza di regole, specie per le nuove generazioni, non corre il rischio di generare una “generazione ancora più violenta” e più abituata a compiere violenza?
Certo che si. In fondo la mancanza di regole, di rispetto reciproco è la prima causa di quelle violenze che purtroppo come Centro Antiviolenza ci troviamo a combattere ogni giorno. E la cosa che preoccupa, te lo ripeto, è la mancanza di una rete di supporto post denuncia che metta nelle condizione la vittima, le vittime, di trovarsi al sicuro ed in una situazione che non generi ulteriori malesseri e problematiche, specie sui minori coinvolti in questi fatti.
Sempre nella telefonata che ha anticipato questa intervista abbiamo parlato di un aumento dei casi di uomini vittime di violenza. Quale è la situazione che tu hai sottomano oggi?
Beh più negativa di quella che vuole apparire. Gli uomini vittime di violenza e spesso di stalking sono ancora più restii a denunciare in quanto già la voce popolare li porta ad essere disprezzati, passami il termine, in quanto è inimmaginabile che un uomo possa trovarsi in queste condizioni. Ed invece vedo spesso ed assai volentieri uomini vessati da donne senza scrupoli che poi arrivano a spogliare di qualsiasi bene, fisico ed economico, i loro ex mariti, compagni, fidanzati generando poi situazioni drammatiche e conflitti ancora più gravi.
Quindi i casi di molti uomini che vivono in auto perché la moglie, la compagna o la convivente l’ha buttato fuori di casa ed ora vive ai limiti delle possibilità è vera e tangibile?
Certo che si ed anche in questi casi non esiste nessun paracadute capace di attutire il colpo ed evitare a questi uomini di sprofondare in un vero e proprio incubo.
Quindi quello a cui assistiamo alle tante immagini che compaiono sui mezzi di informazione è solo una punta di un iceberg e copre sia il mondo maschile che quello femminile.
Ma non solo. Oggi la violenza è violenza senza alcuna distinzione di sesso. Le violenze di genere sono ormai all’ordine del giorno e si assiste sempre di più ad una incapacità di gestirle al meglio.
Vorrei ritornare su un discorso iniziale: tu dicevi che a tuo avviso la prima azione da fare è allontanare il più possibile l’autore della violenza e non sottoporre l’aggredito ad una ulteriore limitazione della propria vita.
SI! Perché se io ho la possibilità di allontanare l’autore delle violenze posso, magari, con più facilità sollecitare la rete famigliare delle vittime ad assisterle e quindi quello che un tempo era il “confino” per determinate situazioni di reato potrebbe essere una delle soluzioni. Un domicilio coatto per gli aggressori perché poi, lasciamelo dire, prova ad immaginare anche i minori che vivono questa situazione “sballottati” in ambiti diversi e lontani dalla loro normalità consolidata magari dell’amichetto o della amichetta di scuola. Si distrugge davvero la rete di supporto sociale ed il “colpevole” o “presunto colpevole” invece vive ed opera, il più delle volte, indisturbato.
Vedo che torni sempre a parlare di un discorso di “rete” di supporto. So di farti una domanda che può presupporre una risposta scontata: è la rete di supporto post denuncia l’arma in più per questo codice rosso?
Certo! Ma deve essere concreta ed immediata. Un supporto economico, fisico, psicologico. Perché la percezione di chi è vittima di violenza e di trovarsi di fronte ad un salto nel vuoto senza alcuna aspettativa di futuro. Prima, nel bene e, soprattutto nel male, le vittime hanno una aspettativa, spesso tragica, ma l’hanno. Qui dopo la denuncia è una battaglia per sentirsi sicuri ed fuori dal pericolo di ripercussioni che di sicuri saranno peggiori delle condizioni vissute prima della denuncia.
Voi nel Centro disponete di una rete?
Certo abbiamo un team di avvocati, psicologi, psicoterapeuti, medici, telefoni attiva h24 che di fronte a richieste di pericoli agiscono immediatamente. Abbiamo la possibilità, come ti dicevo prima, di strutture fuori dai Castelli Romani ma non è così che “proteggiamo” le vittime. Le allontaniamo ancora di più e le rendiamo ancora più vulnerabili e di sicuro meno propense a denunciare i loro aguzzini. E te lo ripeto: tutto questo servizio è gratuito.
Ma i Comuni vi danno una mano, vi aiutano in questa situazione?
Questo è un tasto dolente. Frascati come molti altri comuni ha uno sportello che poi veicola al centro antiviolenza. Basterebbe una maggiore sinergia e di certo questo potrebbe essere un valore aggiunto perché poi alla fine le vittime si sentono “sballottate” da una parte all’altra come un “problema” a cui in pochi vogliono dare soluzione. Nulla di personale contro le amministrazioni, basterebbe un maggiore gioco di squadra fuori da logiche politiche con il solo scopo di fare del bene e fornire una attenzione alle vittime di violenza.
Beh una posizione molto attenta quella che ci stai esponendo e che di sicuro mostra la validità del vostro progetto.
Mi dicevi che un grazie speciale lo dovete a don Franz Vicentini, parroco di Cocciano, che vi ha permesso di avere una stanza nei locali della Parrocchia?
Don Franz è stato subito attento a quando abbiamo proposto questa possibilità perché ha compreso la necessità di fare rete, di dare risposte, di impegnarsi, passami il termine “sporcarsi le mani” su una questione che provoca dolore e, purtroppo, anche morte.
Stai scoperchiando davvero un vaso di Pandora in questa nostra chiacchierata. Ma si legge spesso di “segnali” che precedono i casi di violenza, specie nelle coppie. Quali sono?
Tanti. Dal semplice “quella tua amica non mi piace non ci devi uscire più”, al “dove vai, se esci devi farlo solo con me”. Quello che troppe volte è il primo motivo che scatena le violenze è il senso che si ha di proprietà, o di pensiero di proprietà, delle proprie vittime. Spesso è figlio di problematiche narcisistiche e non solo, di emulazioni che sono generate da una soprastrutture culturale – non ti nascondo che i casi di violenza tra donne magari italiane e uomini non italiani sono tra le maggiori – ma questo non vuole essere, voglio chiarire, una regola, sono di sicuro i casi maggiori e più eclatanti.
Ed in questi casi cosa bisogna fare?
Ovvio denunciare sempre perché il rischio che si corre è quello che poi la situazione possa sfuggire di mano e … meglio neanche pensare alle conseguenze.
Voi al Centro evidenziate alle donne queste difficoltà che possono arrivare in seguito ad una denuncia?
Certo che si. È un obbligo non solo di legge ma anche morale perché comprendiamo bene che potrebbero trovarsi doppiamente isolate e quindi debbono essere ben coscienti che l’azione che vanno a compiere diventa una scelta che porta poi conseguenze in caso di dietrofront. Cosa triste da dire ma bisogna avere il coraggio di dirla.
Rosy, davvero, io non posso che ringraziarti della tua disponibilità e della lucidità con la quale hai messo a nudo, passami il termine, una realtà che sembra lontana dalle nostre vite e poi di fronte alle troppe immagini che ci appaiono sui mezzi di informazione genera in noi lacrime e rabbia. Restiamo sempre disponibili per una “ulteriore chiacchierata” e se me mi permetti possiamo lasciare i contatti del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati?
Si: la pagina web è https://centroantiviolenzamargherita.com/, numero di telefono attivo h24 è 3791015359, la nostra email centromargherita2023@gmail.com e ci trovate in via Giuseppe Romita, 1 a Frascati, località Cocciano.
Grazie davvero di cuore e non esitare a contattarci per qualsiasi situazione che vuoi farci conoscere in questo ambito.
È stata davvero un’ora piena di pathos e di groppo in gola. Il nostro “mestiere” ci porta ad affrontare tante situazioni e di certo questa non può e non deve passare inosservata.Il nostro impegno resta quello di essere voce a 360° per tutti coloro che hanno necessità di fare ascoltare la propria voce. Grazie ancora a Rosy Andreacchio ed al Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Cocciano ed un grazie a don Franz Vicentini ed alla parrocchia di Cocciano.
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Editoriali
Codice Rosso: un’arma spuntata contro la violenza? [PRIMA PARTE]
Pubblicato
2 giorni fail
17 Settembre 2024
L’intervista a Rosy Andreacchio vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati
La violenza occupa sempre di più le pagine di giornali, televisione, web.
La legge 69/2019, nota come Codice Rosso, ha introdotto una serie di strumenti di materie di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
A Frascati opera ormai dalla fine del 2023 un Centro Antiviolenza, il Centro Antiviolenza Margherita sezione Castelli Romani, ospitato, grazie al parroco di Cocciano don Franz Vicentini, nei locali della Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore.
Abbiamo incontrato Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita sezione Castelli Romani al quale abbiamo rivolto alcune domande.
Innanzitutto grazie per la tua disponibilità e grazie per il servizio che gratuitamente riuscite ad offrire a decine di vittime di violenza che spesso trovano porte chiuse di fronte alle loro problematiche.
Io ho l’abitudine di andare dritto alla questione: cosa succede quando una persona, una vittima di violenza viene da te. Quale è il tuo approccio?
Loro si presentano da me al Centro ma sono molto restie, purtroppo, perché sanno che vanno incontro a tutta una serie di situazione che rischiano di trasformarle da vittime in “carnefici” di sé stesse.
Cioè spiegami meglio
Purtroppo, questo tipo di legislazione di legge che abbiamo porta, diciamo, a questo finale in quanto sono tante le donne che subiscono violenza ma solo 1 su 10 che la subisce poi arriva alla denuncia … le altre no e questo perché hanno paura. Hanno paura in quanto restano sole senza alcun aiuto concreto. Non c’è nessuno, o meglio sono pochissimi gli apparati, diciamo sociali, amministrativi, comunali che riescono a stare al fianco delle donne. La loro paura, che poi diventa realtà, è che alla fine tutto gli si ritorca contro, incominciando dagli altri.
Quindi sole durante la violenza, sole dopo la violenza, quindi il rischio diventa questo.
Si!
Quindi, per capire: io mi rivolgo al centro di violenza antiviolenza perché sono sola, trovo sicuramente te operatrice che mi dai una mano, ma poi chi dovrebbe compiere l’azione di blindare la persona non c’è! Giusto?
Sì! Non c’è perché la legge ti blocca. La legge, la norma li si blocca si ferma, cioè nel senso che poi è il Procuratore che gestisce il cosiddetto Codice rosso. È lui che, in quel momento vede, valuta se la donna deve essere messa in sicurezza o deve essere lasciata lì, così, nella sua quotidianità.
Allora, premesso, io non conosco nel dettaglio la norma relativa al cosiddetto codice rosso a differenza di te che operi in tale ambito . Ma su che parametri dovrebbe decidere? Cioè, mi spiego meglio: io allora io vengo da te e ti dico guarda c’è una persona che mi picchia. A questo punto cosa succede? Quindi tu accerti il caso, allerti gli organi di polizia giudiziaria si arriva davanti al giudice e lui decide. Ma su parametri oggettivi o in base alla sua discrezionalità?
Allora al giudice arriva la denuncia che viene fatta presso gli organi di polizia giudiziaria, caserma dei carabinieri, commissariato di pubblica sicurezza. Deve essere improntata in una certa maniera, cioè bisogna mostrare che esiste un pericolo imminente e quando arriva questa denuncia al procuratore, è poi a sua discrezione decidere se “bloccare” l’aggressore con un braccialetto elettronico o far continuare a far vivere l’aggredito nella sua quotidianità. Il fatto è che purtroppo poi subentrano i servizi sociali nel senso che al momento in cui ad esempio una donna con un figlio, dei figli, si trova ad essere vittima di violenza e, come spesso succede, l’aggressore è il marito che è l’unico che porta reddito in casa, si corre anche il rischio di vedere i figli allontanati da una madre perché questa non è in grado, a loro avviso, di sostenerli economicamente e socialmente. E questo, te lo garantisco, genera davvero ancora più paura nelle donne che si vedono, ancora di più, allontanate dai propri affetti vicini. Ed allora di fronte a queste “concrete possibilità”, questi ostacoli decidono di non denunciare più.
Noi prima di incontrarci ci siamo sentiti al telefono e ci siamo detti una cosa: ho letto di casi di donne che si sono trovate nella situazione che tu mi dicevi – figlio tolto perché non era in grado di sostenerlo economicamente. Queste donne si lamentavano del fatto che nelle case famiglie per la gestione dei bambini lo Stato spende circa 50 euro al giorno. Se faccio i cosiddetti “conti della nonna”: 50 euro al giorno per 30 giorni vengono fuori 1500 euro. Tu sei donna, sei mamma, anche nonna mi hai detto … sappiamo bene che una madre con anche la metà, anche un terzo farebbe di suo figlio davvero un principe, o sbaglio?
Sì! Io vorrei cercare di far arrivare la mia voce, come quella degli altri operatori dei centri antiviolenza, sul tavolo di chi ci governa. È stato tolto il reddito di cittadinanza in quanto troppe lacune nella gestione dei controlli ma di fronte a questi fatti non avrebbe senso di provvedere “immediatamente” ad un reddito che possa tamponare le necessità impellenti di queste donne
Quindi tu saresti d’accordo a che il governo possa generare una sorta di “paracadute economico” per gestire queste situazioni proprio in virtù di quello che ci siamo detti cioè evitare l’isolamento in cui rischiano di finire poi le donne?
Certo che si sarebbe uno degli elementi che metterebbe in sicurezza le persone vittime di violenza, ti dico, tra le altre cose, che ci sono anche molti uomini che vivono la stessa situazione. Cioè permetterebbe loro di vivere in una situazione di maggiore tranquillità. E lo dico perché da prima linea vivo costantemente le paure di queste persone vittime di violenza che si trovano davvero alla mercè, oltre che fisica e psicologica, a dovere dipendere, per sopravvivere, dai loro aggressori dal punto di vista economico.
Quindi, se non ho capito male, quando parli di “prima linea” mi stai confermando il mio pensiero: vengono prima da te che dai carabinieri a denunciare le aggressioni?
Certo che si in quanto la difficoltà maggiore che incontrano queste vittime di violenza è strettamente collegata al fatto di sentirsi sole e di non avere alcun appoggio di fronte a queste situazioni e noi abbiamo il dovere di renderle coscienti anche dei rischi che si troverebbero di fronte ad una eventuale denuncia che rischia di isolarla ancora di più.
In che senso, scusami?
Per quello che ci siamo detti fin ora. Io denuncio resto da sola con mio figlio, il mio aggressore è l’unico che lavora … mi spieghi dove va questa donna a vivere e con quali soldi? E se ci aggiungiamo che in queste situazioni vengono allontanate dal contesto violento e messe in sicurezza senza, molte volte, neanche la possibilità di poter uscire mentre, troppe volte, assistiamo agli aggressori che se la spassano tranquillamente in giro. Quindi una protezione che diventa una sorta di “arresto domiciliare” che non fa altro che generare ulteriore disequilibrio per la persona vittima di aggressione che diventa così isolata, spesso anche senza la possibilità di telefonare a quei pochi amici o amiche. Faccio io una domanda a te: tu riusciresti a vivere cosi?
Di certo no, te lo posso assicurare. Quindi questa in apparenza “blindatura” diventa un vero e proprio isolamento mentre il “mostro”, l’aggressore, se la spassa in giro?
Certo ho assistito ed assisto a numerosi casi di questo genere dove la vittima è isolata e l’aggressore se la spassa in totale tranquillità e se ci sono bambini questi finiscono per la loro “sicurezza” in una casa famiglia spesso separati dal genitore vittima di aggressione.
Io faccio un salto indietro perché mi frulla una cosa in testa: tu all’inizio mi hai parlato di “pericolo imminente” all’interno della denuncia ma poi è il giudice che deve decidere se il “pericolo è imminente o meno”?
No, vuole tutte le fotografie, vuole tutte gli audio che devi mettere da parte a testimonianza delle aggressioni. Per cui se una donna, per esempio, non ce l’ha queste queste cose, o magari ha cambiato telefono bisogna predisporre un altro iter che ovviamente allunga ancora di più i tempi di intervento.
Allora, se ho ben capito, è sempre la soggettività di un giudice che decide.
Sì!
Quindi se lui ravvisa che non c’è rischio se ne assume pure la responsabilità?
Si, dovrebbe essere così
Ragionando per ipotesi: la donna o l’uomo vittima di aggressione vengono uccise dall’aggressore la responsabilità, teoricamente, andrebbe in capo al giudice?
In teoria si, ma non lo è! Ed è questo che non riesco a capire: questa norma che, nella visione, dovrebbe garantire non ha strumenti concreti ed immediati per aiutare le vittime di violenza.
Allora provo a girare la domanda. Se tu domani avessi la possibilità, conoscendo, perché le vivi, le necessità ed i bisogni delle vittime di violenza, quali correzioni porteresti al cosiddetto “Codice Rosso”?
Attuare immediatamente un programma di protezione alla vittima, ma lasciandola libera nella sua casa, magari con i suoi figli, aiutandola magari economicamente ed il carnefice deve essere allontanato. Ti dico che, ad esempio, perché a me piace parlare sul dato concreto, io ho donne che stiamo assistendo e l’unico modo è mandarle in delle strutture in Calabria allontanadole dal loro contesto sociale, famigliare che è invece da sempre qui ai Castelli Romani e la loro colpa è essere vittime di violenza. Quindi oltre il danno la beffa di essere allontanate dai loro spazi di vita.
Anche perché, correggimi se sbaglio, in questo modo gli eventuali figli e anche le condizioni psicologiche di queste persone subirebbero ulteriori danni davvero poi non più quantificabili.
Correttissimo perché, sempre per esperienza, si assiste davvero ad uno sfilacciamento anche del rapporto, ad esempio, tra la mamma, vittima di aggressione, con dei figli. Questi poi si sentono davvero isolati con è un padre violento, con tutte le ripercussioni che questo può generare loro, ed una madre lontana che spesso fatica pure nel mantenere con loro dei rapporti genitoriali completi.
Questa è la prima parte dell’intervista rilasciataci da Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati.
Domani pubblicheremo la seconda parte nella quale verranno evidenziati anche i problemi delle violenze effettuate da minori verso i loro famigliari.
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