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Editoriali

Fascismo buono e fascismo cattivo: tra realtà storica e campagna elettorale

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Le parole della presidente (presidenta?) della Camera dei Deputati Laura Boldrini, che asserisce che nulla di buono c’è stato nel ventennio fascista, prontamente rilanciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono durissime. Non si può pensare che siano credibili fino in fondo, dato che il regime di Mussolini, pur essendo stato una dittatura, ha realizzato -, senza l’intervento della mafia sugli appalti, senza l’ANAC e le indagini della Guardia di Finanza, e senza le mazzette – numerosissime opere pubbliche. A Roma, come in gran parte della nostra bella nazione, sono ancora presenti edifici stile ventennio, che sfidano il tempo e non collassano, come invece succede a stabili molto più giovani, costruiti con fondi statali. E’ forse molto noto l’episodio riferito al senatore Araldo Crollalanza, che fu incaricato di una delle più belle opere di quel periodo, e che dura ancora oggi intatta: il lungomare di Bari. Quando il Duce lo andò a visitare, ne apprezzò la struttura, ma si lamentò che fosse un’opera costosa. A quel punto, il responsabile dell’opera gli disse che era avanzato del denaro, che si affrettò a restituire. Tutt’altra cosa da ciò che accade oggi, quando abbiamo centinaia di opere incompiute finanziate con fondi dei cittadini, e che potrebbero essere completate soltanto con una somma molto superiore a quella prevista all’inizio per la loro realizzazione totale.

Tali mostri di cemento armato rimangono così senza tempo, in attesa di una soluzione, e la colpa si da’ alla burocrazia: ma i burocrati sono uomini

Chi conosce un po’ di storia – quella vera, non quella scritta dai vincitori – può arrivarci da solo. Le dichiarazioni delle due massime cariche dello Stato dimostrano la faziosità di chi propugna una politica di segno diverso, ed esulano dalla realtà storica. Per questo risultano, alla fine, meno credibili di quanto potrebbero essere, e meno efficaci: tranne per quei minori che sempre più si vogliono indottrinare con presunti ‘valori democratici’, in una nazione che tale regime – democratico – non conosce, ed è da indagare se l’abbia mai conosciuto. A poche ore di distanza dalla manifestazione antifascista organizzata dal PD, la presidente (presidenta?) della Camera Laura Boldrini, in un’intervista a La Repubblica, ha dichiarato: “Tutte le forze politiche democratiche dovrebbero fare fronte comune contro chi si richiama al regime fascista, che “fu di sopraffazione, di annientamento dei diversi, di discriminazione nei confronti delle donne”. Per cui, conoscendo il suo ben noto femminismo sopra le righe – anche e soprattutto esercitato da una posizione istituzionale privilegiata, il che dovrebbe consigliare una maggiore cautela nell’esprimere opinioni molto personali – non si capisce bene se il suo risentimento riguardi un regime ormai storico, o il fatto che le donne non erano emancipate come oggi, ma avevano un ruolo domestico ben definito. Si scaglia poi, la presidente (presidenta?) della Camera, – ma non dovrebbe esercitare una sorta di neutralità? – contro i “gruppi neofascisti” che “si moltiplicano, si allargano, diventano più arroganti e violenti.” E’ chiaro a tutti che i delinquenti vanno messi in galera, senza discriminazioni, ma non si può perseguitare politicamente e giudizialmente chi ha idee diverse dalle nostre. Qui sì, si scadrebbe in una sorta di regime che di democratico non ha nulla, e che sarebbe, a questo punto, fascismo, totalitarismo, discriminazione, cioè proprio quello che si vorrebbe stigmatizzare.
“In alcuni ambienti del nostro Paese”, ha detto ancora Laura Boldrini, “si è creato un clima assolutorio, si è raccontata la storia – falsa – di un fascismo buono finché non ha incontrato il nazismo cattivo. Ma il fascismo è stato da sempre violenza, aggressione, privazione della libertà. Chi invoca oggi quel regime non conosce la storia”. Bene, noi diciamo che la storia non la conosce chi fa tali asserzioni. La storia vera, non quella scritta dai vincitori. Le opere del ventennio sono sotto gli occhi di tutti, compreso quell’obelisco che la signora Laura voleva sfregiare, cancellandone il nome ‘Mussolini’ e creando un ipocrita falso storico. Alle parole della Boldrini hanno fatto eco con singolare tempismo quelle del presidente Mattarella, secondo il quale “Non esiste un fascismo buono e uno cattivo, il fascismo è tutto cattivo, e sbaglia chi dice che l’errore, oltre a quello della guerra, è nato con l’incontro con i nazisti.” Non possiamo che condannare le leggi razziali, vera ferita nella storia di un’Italia che stenta ancora a trovare il suo equilibrio, ancora oggi.

Tutto ciò, in seno alla commemorazione della Giornata della Memoria

Un massacro che non è stato soltanto degli Ebrei, perchè genocidi nel tempo ci sono stati anche altrove, nel mondo, come, ad esempio, quello degli Indiani d’America, da parte di un popolo bianco invasore che voleva appropriarsi delle loro terre. Quello che inorridisce, al contrario, sono le modalità indescrivibili che sono seguite alla deportazione. Adulti e bambini adibiti a cavie umane, oro raccolto dalle protesi dentarie dei deportati, intere famiglie strappate alla vita civile, costrette alla separazione e poi distrutte, donne giovani messe in case di piacere per i soldati tedeschi, camere a gas e forni crematori. Eccetera eccetera, fino a che può arrivare la nostra immaginazione più perversa, e anche oltre. Fatti reali e incontestabili, di cui esistono prove e testimonianze anche di prima mano, da parte di superstiti miracolosamente sopravvissuti nonostante tutto. Sbaglia chi non crede ai numeri e alla proporzione del genocidio che fu perpetrato, e che solo menti malate come quella di Hitler e dei suoi più stretti collaboratori potevano concepire.

In realtà, la persecuzione antisemita non era nei dogmi del regime fascista, e gli Ebrei non furono, all’inizio, perseguitati

Nel maggio del 1938 Hitler venne in visita a Roma. Le leggi razziali, sulla scia di quelle tedesche, furono promulgate dopo il luglio del 1938, e la consecutio è importante. Vien da pensare, checchè ne dicano altri, che Mussolini, pur non essendone stato sollecitato, abbia voluto seguire la linea tracciata dal suo alleato tedesco, trovando una facile via per sbarazzarsi anche di alcuni oppositori al regime. Papa Pio XI, che otto anni prima, forse sotto l’effetto dei Patti Lateranensi, aveva definito Mussolini come “L’uomo della Provvidenza”, nel 1937 aveva scritto un’enciclica contro l’antisemitismo dei Tedeschi, la “Mit brennender Sorge”, in cui si riferiva all’antisemitismo del Reich, perchè in Italia non c’era ancora stato alcun accenno ad una condotta antisemita. Ciò fa supporre che la questione antisemita sia nata in Germania, e che il Duce ne abbia voluto seguire le orme. L’emanazione delle leggi antisemite in Italia avvenne nell’autunno del 1938. Non era quindi una condizione essenziale per il regime fascista, nato nel 1922. Le deportazioni sono datate 1943, e sono state operate dai nazisti. Loro i rastrellamenti, loro in treni per i campi di sterminio, loro tutte le nefandezze di cui non hanno, in tempi più recenti, voluto rispondere. Sempre di Pio XI una dichiarazione, pronunziata con le lacrime agli occhi, che ci sentiamo di condividere in toto. “Non è lecito per i cristiani prendere parte all’antisemitismo. L’antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente semiti.”

Vogliamo invece smentire le parole della Presidenta della Camera dei Deputati Laura Boldrini, quando dice che “Anche in Italia c’erano quaranta campi”, facendo passare il messaggio che in Italia il fascismo avesse instaurato ben quaranta compi di sterminio

In realtà, in Italia non ci sono mai stati campi di sterminio, ma soltanto luoghi – isole o altro – di confino, in cui il regime inviava gli oppositori più pericolosi, oltre agli omosessuali, cristiani evangelici, testimoni di Geova – queste ultime due categorie forse in ossequio al Vaticano – comunisti, antifascisti ed Ebrei. Luoghi sorvegliati da Carabinieri, che non sono per nulla da paragonare ai campi di concentramento tedeschi. Il messaggio che si vuol far passare è chiaro, e non corretto. In realtà la malvagità nazista appartiene solo a loro, e non al regime italiano.
Non è intenzione di queste righe costituire una difesa d’ufficio del regime fascista: ognuno semina ciò che raccoglie. Ma tuttavia dichiarazioni come quelle che abbiamo udito dalle massime autorità dello Stato non si possono accettare, in nome della verità storica. Il regime fascista, osteggiato da molti, rimpianto da altri, è stato un regime di dittatura, con tutte le sue pecche e anche quei meriti, che oggi fa comodo non ricordare. Chi avrebbe potuto, e dovuto fare qualcosa, non la fece. Ricordiamo che Giorgio Napolitano rimase fascista fino alla caduta del regime, convertendosi prontamente al comunismo nel 1945, come si può leggere sul veicolo di notizie più facile, Wikipedia.

Roberto Ragone

Editoriali

Il Consiglio di Stato: “Non ci sono fondi per la disabilità” dobbiamo limitare l’inclusione scolastica

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Il titolo preannuncia una possibile “tragedia” che sta colpendo la dignità umana, questa è pura follia! L’inclusione della disabilità ha seguito un iter legislativo molto complesso che va consolidato ogni giorno con dei progetti validi a livello nazionale/europeo. Sentir parlare di limitare i fondi di bilancio che promuovono l’inclusione della disabilità è disfunzionale alla nostra etica morale.

La scuola italiana negli ultimi decenni si è impegnata sempre più in termini di inclusione, pertanto i “cantieri che si sono aperti” devono essere lavorati e non serrati. Sull’inclusione scolastica sono stati fatti numerosi studi, convegni e seminari; ad esempio l’Università Alma Mater di Bologna riconosce un grande merito al professore Andrea Canevaro, nonché il pioniere della prima cattedra di pedagogia speciale in Italia. Purtroppo, venuto a mancare da qualche anno, il professore Canevaro ha scritto i cardini su cui poggia la pedagogia speciale, ha studiato e fatto ricerca su molti punti chiave della disabilità: in particolare proprio sul concetto di inclusione.

È intervenuto con tecniche e strategie innovative tali da diffondere tre concetti chiave: il disabile non è diverso, ma tutti siamo uomini diversi, la consapevolezza dell’assenza di giudizio, il sostegno alla disabilità e le famiglie come fulcro del suo pensiero pedagogico.
Ostacolare oggi questi studi è come buttare una “mina” su tutto quello che è stato fatto da numerosi professionisti, insegnanti di sostegno e docenti. Inoltre, tutto quello che il Consiglio di Stato Italiano ha detto non ha fatto altro che creare malcontenti, delusioni e rabbia, nonché profonde ferite che colpiscono gli animi dei ragazzi/e, gli studiosi, le istituzioni e le famiglie stesse.
Il taglio dei fondi riguarderebbe non solo la disabilità certificata, ma anche le fragilità di alcuni ragazzi/e (i DSA e i BES). In tal caso, crollerebbe l’istituzione scuola, il ruolo degli insegnanti di sostegno e le progettazioni che si organizzano (es. i Piani Educativi Individualizzati).

Le famiglie sono molto preoccupate dopo la sentenza n° 1798/2024, poiché quest’ultima non riguarderebbe solo la violazione del diritto all’istruzione degli studenti disabili, ma anche di tanti altri servizi importanti come il trasposto, la riabilitazione e le cure. Le amministrazioni certificano, così, che il diritto allo studio per i disabili vale meno degli altri, riportando-ci ad un concetto terrificate: la discriminazione. Concetto, quest’ultimo, che non deve “esistere” in una repubblica democratica come l’Italia.


Se i fondi per l’assistenza scolastica stanno finendo, non bisogna certo infierire contro le situazioni più deboli. In tal caso si vanno ad infrangere i principi della nostra Costituzione Italiana quali, la dignità, l’uguaglianza, l’inclusione e le pari opportunità.

Pertanto, diciamo NO a questi possibili “tagli” ne va della nostra reputazione personale e collettiva.

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Giovani e lavoro: sfide e opportunità nell’era post-studi

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Tra aspettative, realtà del mercato e nuove competenze: come i neolaureati affrontano l’ingresso nel mondo professionale

Il passaggio dal mondo accademico a quello lavorativo rappresenta un momento cruciale nella vita di ogni giovane. Oggi, più che mai, questo transito è caratterizzato da sfide complesse e opportunità in rapida evoluzione. L’era digitale, la globalizzazione e i cambiamenti socio-economici hanno ridisegnato il panorama professionale, creando nuove aspettative e richiedendo competenze sempre più specifiche.

Secondo recenti studi dell’ISTAT, in Italia il tasso di disoccupazione giovanile si attesta intorno al 30%, un dato allarmante che sottolinea le difficoltà incontrate dai neolaureati nel trovare un’occupazione coerente con il proprio percorso di studi. La dott.ssa Maria Rossi, sociologa del lavoro presso l’Università di Milano, commenta: “I giovani di oggi si trovano di fronte a un paradosso: sono la generazione più istruita di sempre, ma faticano a trovare la loro collocazione nel mercato del lavoro.”

Uno dei principali ostacoli è il disallineamento tra le competenze acquisite durante il percorso di studi e quelle richieste dalle aziende. Il dott. Luca Bianchi, responsabile delle risorse umane di una multinazionale, spiega: “Spesso i neolaureati hanno una solida base teorica, ma mancano di competenze pratiche e soft skills essenziali nel mondo del lavoro, come la capacità di lavorare in team, la flessibilità e la gestione dello stress.”

Per colmare questo gap, molte università stanno implementando programmi di alternanza scuola-lavoro e stage curriculari. La prof.ssa Giulia Verdi, docente di Economia all’Università di Roma, afferma: “È fondamentale creare un ponte tra il mondo accademico e quello professionale. Gli stage e i tirocini offrono agli studenti l’opportunità di mettere in pratica le loro conoscenze e di familiarizzare con le dinamiche aziendali.”

Un altro aspetto cruciale è l’orientamento professionale. Molti giovani si sentono disorientati di fronte alla molteplicità di opzioni e alla rapida evoluzione del mercato del lavoro. Il dott. Marco Neri, psicologo del lavoro, sottolinea l’importanza di un approccio proattivo: “È essenziale che i giovani inizino a riflettere sul loro futuro professionale già durante gli studi, esplorando diverse opportunità e costruendo un network di contatti.”

L’era digitale ha anche aperto nuove strade per l’autoimprenditorialità. Sempre più giovani scelgono di avviare startup o di intraprendere carriere da freelance. Andrea Russo, 28 anni, fondatore di una startup nel settore tech, racconta: “Ho deciso di creare la mia azienda perché volevo mettere in pratica le mie idee e avere un impatto diretto. È una sfida enorme, ma anche un’opportunità di crescita incredibile.”

Tuttavia, non mancano le criticità. La precarietà lavorativa e i contratti a tempo determinato sono spesso la norma per i neoassunti. La dott.ssa Laura Bianchi, esperta di politiche del lavoro, evidenzia: “C’è il rischio di creare una generazione di lavoratori perennemente precari. È necessario un intervento legislativo per tutelare i giovani e incentivare le assunzioni a tempo indeterminato.”

Le aziende, dal canto loro, stanno cercando di adattarsi alle nuove esigenze dei giovani lavoratori. Flessibilità oraria, smart working e programmi di formazione continua sono alcune delle strategie adottate per attrarre e trattenere i talenti. Il dott. Paolo Verdi, CEO di una media impresa, spiega: “Investiamo molto nella formazione e nel benessere dei nostri dipendenti. I giovani oggi cercano non solo uno stipendio, ma un ambiente di lavoro stimolante e in linea con i loro valori.”

In conclusione, l’approccio dei giovani al mondo del lavoro è caratterizzato da una miscela di entusiasmo e preoccupazione. Se da un lato ci sono sfide significative da affrontare, dall’altro le nuove generazioni hanno a disposizione strumenti e opportunità senza precedenti. La chiave per il successo sembra risiedere nella capacità di adattarsi, di apprendere continuamente e di coltivare una mentalità aperta e flessibile.

Come sottolinea la prof.ssa Verdi: “Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente. I giovani che riusciranno a navigare queste acque turbolente, combinando competenze tecniche, soft skills e una buona dose di resilienza, saranno quelli che tracceranno il futuro del mondo professionale.”

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Cronaca

Diocesi di Roma e gestione patrimoniale: scelte controverse, cambiamenti interni e accuse di “furto” [INCHIESTA #3]

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Dalla gestione ecclesiastica a quella commerciale: i timori per il futuro del patrimonio diocesano

Negli ultimi mesi, la Diocesi di Roma è stata al centro di una serie di eventi che hanno suscitato preoccupazioni riguardo alla gestione del suo vasto patrimonio immobiliare. Diverse decisioni amministrative e nomine interne hanno alimentato il dibattito tra chi teme che la struttura stia subendo cambiamenti significativi, con ripercussioni sia sul patrimonio che sui rapporti interni.

Il Caso dell’immobile sul Lungotevere

Un esempio emblematico riguarda la stipula del contratto di locazione per un immobile situato in lungotevere dei Vallati, concesso alla società “Wellington Polo Fashion s.r.l.”.

Purtroppo c’è di mezzo una presunta falsificazione degli atti

L’operazione ha sollevato numerose domande e, tra l’altro, nonostante la firma del contratto, la società non ha ancora versato il primo e il secondo canone di locazione. La situazione ha destato perplessità, considerando che è stato accordato anche uno stralcio del debito preesistente e una dilazione del pagamento in cinque anni. Ci si chiede se le condizioni stabilite siano state realmente vantaggiose per la Diocesi o se vi siano state delle leggerezze nella stipula dell’accordo.

Riunioni a porte chiuse e preoccupazioni

La mancanza di comunicazioni ufficiali ha generato un clima di incertezza. Diverse riunioni si sono susseguite, con l’intento di affrontare la questione, e sembrerebbe che alcune figure chiave stiano cercando di individuare eventuali responsabilità.

Tra i nomi coinvolti, si parla del Vicegerente Mons. Baldassare Reina, della Cancelliera Maria Teresa Romano figure di rilievo nell’amministrazione della Diocesi e anche del Notaio Carlo Cavicchioni.

Le dimissioni e le nomine

In questo contesto, un altro evento significativo è stato quello delle recenti dimissioni del dott. Davide Adiutori, unico addetto dell’Ufficio Patrimonio della Diocesi. Adiutori lascerà il suo incarico il prossimo 30 settembre, un fatto che ha alimentato ulteriori dubbi su possibili difficoltà interne nella gestione del patrimonio. Le sue dimissioni sono viste da molti come un segnale preoccupante, poiché potrebbero lasciare spazio a cambiamenti significativi nella gestione delle risorse immobiliari.
Parallelamente, è stata resa pubblica la nomina di Don Renato Tarantelli Baccari a Vicario episcopale giuridico-amministrativo, con poteri straordinari nella gestione degli enti della Diocesi. La nomina, firmata dal Santo Padre in data 24 giugno 2024, conferisce a Don Tarantelli un ruolo di grande responsabilità, oltre a diversi altri conferiti in precedenza, con l’autorità di coordinare gli ambiti giuridici e amministrativi della Diocesi di Roma.

La Diocesi di Roma potrebbe presto trasferire tutto il suo patrimonio immobiliare nelle mani dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), l’ente che gestisce i beni e le risorse economiche della Città del Vaticano. C’è anche il timore che, oltre agli immobili, il Santo Padre possa acquisire presto anche il controllo del patrimonio mobiliare (cioè i beni non immobili come titoli finanziari o denaro) della Diocesi.
Inoltre, con una logica che sembra più vicina a quella di un’impresa commerciale che a una struttura ecclesiastica, è stato deciso di smembrare il settore centro della Diocesi di Roma. Questo settore sarà suddiviso tra gli altri settori presenti a Roma, senza tener conto delle specificità e delle necessità di questa particolare e speciale realtà della Diocesi. Questo cambiamento potrebbe dare al Vicario Episcopale un maggiore controllo sugli enti che si trovano nel centro di Roma, come le rettorie e altre strutture religiose. L’obiettivo sembrerebbe essere quello di consolidare il potere e appropriarsi del patrimonio accumulato nel corso di tanti anni grazie ai contributi dei fedeli. In futuro, anche questi beni potrebbero essere trasferiti sotto la gestione diretta del Santo Padre.

Cambiamenti al vertice e riorganizzazione Interna

L’inchiesta giornalistica che sta portando avanti questo quotidiano mette in luce anche altre dinamiche interne, come la nomina di Don Alessandro Caserio a direttore dell’Ufficio Amministrativo.

Caserio, amico di lunga data di Don Tarantelli, ha assunto il ruolo dopo la partenza della dott.ssa Cristiana Odoardi, che si era precedentemente dimessa e anche lui come la Odoardi non ha competenze economiche avendo forse una laurea in architettura.

Questi spostamenti interni sollevano domande sull’effettiva indipendenza delle nomine e sui possibili conflitti di interesse.
In aggiunta, vi sono segnali di una riorganizzazione del personale all’interno del Vicariato. Alcuni dipendenti e sacerdoti che non si sono allineati con la nuova linea amministrativa sarebbero stati gradualmente allontanati, alimentando un clima di tensione tra chi teme un progressivo accentramento del potere.
Mentre la Diocesi di Roma attraversa questo periodo di cambiamenti, molti fedeli e osservatori restano in attesa di capire quali saranno le implicazioni a lungo termine delle recenti decisioni. Le domande sulla gestione del patrimonio e le dinamiche interne sollevano interrogativi che potrebbero influenzare la fiducia nella trasparenza e nell’amministrazione della Chiesa a livello locale.
Resta da vedere come si evolveranno gli eventi nei prossimi mesi e se le scelte attuate porteranno ad ulteriori divisioni all’interno della Diocesi. La gestione del patrimonio, un tema delicato e cruciale, continua a essere un argomento di grande interesse per chi segue da vicino le vicende della Chiesa romana.

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