Fornero

Angelo Barraco
 
La riforma Fornero-Monti –art.24 Decreto Legge 2011 del 2001 e successive modificazioni- dal 2012 imponeva un sistema fondato su due pilastri. Il primo pilastro era la “nuova” pensione di vecchiaia e pensione anticipata, mentre la pensione di anzianità e quote non esistono più. Dal 1 gennaio 2012 le anzianità contributive maturate si calcolavano con il sistema di calcolo contributivo che si basava sui contributi versati durante l’arco della vita lavorativa. Tale sistema di calcolo si distingue da quello retributivo che invece si basa sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di vita lavorativa. Tutti i lavoratori che usufruivano di una pensione calcolata mediante calcolo retributivo usufruivano di una pensione con entrambi i sistemi di calcolo. Il retributivo era fino al 31 dicembre 2011 e il contributivo dal 1 gennaio 2012. Chi invece aveva ottenuto la pensione entro il 31 dicembre 2011 invece ha mantenuto la pensione secondo le vecchie disposizioni di legge. Prima della Fornero vi è stata la Legge n. 148 del 14 settembre 2011 detta anche riforma Sacconi dove l’aspettativa di vita era di 65 anni e occorrevano 20 anni di contributi versati. Per le donne vi è stato un aumento nel settore privato a 65 anni. Nel 2011 i requisiti validi per la pensione per “vecchiaia” erano: 60 anni di età per le donne con innalzamento fino a 65 anni e per gli uomini invece 65 anni di età con almeno 5 anni di contributi dal 1 gennaio 1996. In alternativa a tutto ciò erano richiesti: 35 anni di anzianità contributiva e l’età anagrafica per la pensione o 40 anni di anzianità contributiva a prescindere all’età anagrafica. Il sistema riguardava chi aveva iniziato a lavorare dopo il 95 e chi aveva optato per il sistema contributivo. Il sistema di anzianità con il “sistema delle quote” era il seguente: “ dal 2011 al 2012; 60 anni di età + 36 di contributi per i dipendenti, 61 anni di età + 36 di contributi per gli autonomi, 40 anni di contributi. Cambiamenti invece dal 2013 al 2015 dove; 61 anni di età e 3 mesi + 36 di contributi per i dipendenti, 62 anni di età e 3 mesi + 36 di contributi per gli autonomi, 40 anni di contributi. Ulteriori ed eventuali cambiamenti dal 2016 al 2018; 61 anni di età e 7 mesi + 36 anni di contributi per i dipendenti, 62 anni di età e 7 mesi + 36 anni di contributi per gli autonomi, 40 di contributi e dal 2019 al 2021; 61 anni di età e 11 mesi + 36 anni di contributi per i dipendenti, 62 anni di età e 11 mesi + 36 anni di contributi per gli autonomi, 40 di contributi. Le donne poteva scegliere di ritirarsi da lavoro con i seguenti requisiti validi fino al 31 dicembre 2010: 57 anni di età e 35 di contributi per le dipendenti, 58 anni di età e 35 di contributi per le autonome. La Corte Costituzionale ha bocciato la legge in merito alla perequazione delle pensioni, la cosiddetta norma Fornero che si trova nel “Salva Italia”. La norma che ha stabilito che le pensioni di importo superiore tre volte superiore al minimo inps scattava il blocco della perequazione, ossia l’adeguamento della stessa al costo della vista è stata ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale. “Proporzionalità e adeguatezza delle pensioni che non devono sussistere soltanto al sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta», e stabiliscono che la pensione debba costantemente essere adeguata alle retribuzioni del servizio attivo”. Nella sentenza si legge: “Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato. La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico  induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà" (art. 2) e al contempo attuazione del principio di eguaglianza  (art. 3)”.