GENERALE MORI: PER LA MANCATA CATTURA DI BERNARDO PROVENZANO FAVORI' COSA NOSTRA

Redazione

Una accusa pesante ma sorretta da gravissimi elementi di colpevolezza. "Comportamenti opachi tra gli apparati investigativi del Ros e il generale Mario Mori, intrecciati con gli eventi eversivi che caratterizzarono il periodo delle stragi". Lo ha detto il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato nel motivare la richiesta di rinnovazione dibattimentale nel processo d'appello a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento a Cosa nostra in relazione alla mancata cattura di Bernando Provenzano. "Gia' all'indomani degli attentati del '93 autorevolissime fonti investigative – ha sottolineato – avevano evidenziato che tali fatti erano finalizzati per costringere lo Stato a trattare con Cosa nostra". Un quadro drammatico per la vita della Repubblica rispetto al quale, e' la tesi della procura generale, Mori non fece nulla nell'ambito di una "convergenza di interessi occulti". In questi documenti che l'accusa vuole inserire nel processo, infatti, "si fa spesso riferimento – spiega Scarpinato – alla convergenza di interessi criminali nella creazione di una strategia della tensione e a inquietanti strategie criminali tra Cosa nostra, massoneria, servizi segreti deviati ed esponenti di frange eversive". Per Scarpinato e' emblematico che il generale Mori "pur essendo venuto a conoscenza da fonti qualificate di taluni aspetti di tale complessa strategia della tensione, non solo non ha svolto alcuna attivita' investigativa ma neppure, tenuto conto della sua passata esperienza di uomo dei servizi, si e' attivato per allertare comunque le istituzioni come fecero la Dia e lo Sco". Il procuratore generale, durante il suo intervento, ha chiesto oltre alla presentazione di numerosi documenti, la citazione di numerosi testi, tra cui diversi collaboratori di giustizia come Gaspare Spatuzza, Sergio Flamia, Antonino Giuffre', Stefano Lo verso e Maurizio Avola.
Il dibattimento e' stato rinviato dal presidente Salvatore Di Vitale al 27 ottobre. Nelle venticinque pagine della 'memoria' dell'accusa sono indicati elementi che getterebbero una luce obliqua su Mori. "Con nota del 16 settembre del 2014 – si legge – la Procura ha trasmesso documenti e verbali di persone informate sui fatti, dai quali emergono vicende del passato dell'imputato, ignorate dal tribunale, che non solo evidenziano profili sconosciuti della sua personalita', ma offrono una diversa chiave di lettura della condotta complessiva nelle vicende in cui e' stato ininterrottamente implicato dal 1992 al 1996". Consentendo, dunque, di rileggere diversi episodi cruciali come la mancata perquisizione del covo di Riina, la fuga di Benedetto Santapaola nel marzo del 1993, la mancata valorizzazione in sede investigativa delle rivelazioni ricevute dall'infiltrato Paolo Bellini, dei suoi colloqui con Antonino Gioe', la mancata cattura di Bernando Provenzano nel 1995 e il mancato sviluppo delle notizie provenienti dall'informatore Ilardo. Una condotta complessiva contrassegnata da "una concatenazione seriale di omissioni e di violazioni dei doveri imposti alla polizia giudiziaria". In particolare, con "le nuove fonti di prova documentali e orali", si fa luce su numerose circostanze, dagli inizi della sua carriera nei servizi segreti: Mori e' stato di forza nel Sid dal '72 al '75, anni nei quali il Sid era diretto dal generale Vito Miceli iscritto alla loggia P2; mediante una testimonianza si vuole provare "che stilava esposti anonimi, eseguiva intercettazioni abusive sui suoi superiori, e che propose ad altri di aderire alla loggia P2". La mancata perquisizione del covo di Provenzano e la richiesta di un nuovo esame del teste colonnello Riccio che evidenzierebbe una serie di comportamenti "tendenti a depotenziare e a minimizzare l'attivita' investigativa condotta da Riccio", con "un intenzionale ritardo nello sviluppo investigativo dei dati forniti che avrebbe non solo permesso di catturare Provenzano ma di smantellare la rete di fiancheggiatori". E il fallito attentato a Falcone all'Addaura "getta ombra" su Mori "nel contesto delle false informazioni circolate dopo quell'episodio". Nell'ambito del processo di merito "adombro' ufficialmente delle perplessita' sull'accaduto dichiarando che un consistente numero di chili di esplosivo messo li' senza alcuna possibilita' di deflagrare era una minaccia relativa e che aveva pensato a un tentativo intimidatorio piu' che un attentato"