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Cronaca

Genova, stermina la sua famiglia e si suicida. Quanto centra il gioco d'azzardo?

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Tempo di lettura 6 minuti Nella lettera d'addio: “Non vi voglio lasciare senza padre e senza marito. Per questo vi porto con me”. Ecco il parere delle esperte sull'ipotesi del gioco d'azzardo

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di Angelo Barraco

Genova – Mauro Agrosì, poliziotto di 50 anni, ha impugnato la pistola d’ordinanza uccidendo la moglie e le sue due bambine di 10 e 14 anni nel sonno e per non fare sentire il rumore dello sparo ha coperto la pistola con un cuscino ottenendo un effetto silenziatore, poi ha chiamato la polizia confessando il delitto “Venite a casa mia, vi lascio la porta aperta, ho ucciso tutti” e poi si è suicidato. Il delitto si è consumato poco prima delle ore 7 del mattino del 2 novembre all’interno di una casa di Conigliaro, in piazza Conti. L’uomo ha lasciato una lettera in cui ha spiegato le motivazioni che lo hanno spinto a compiere il gesto estremo, nella sua missiva scrive di avere problemi “insormontabili”. Gli inquirenti ritengono che l’uomo abbia accumulato debiti di gioco e dalle indagini è emerso infatti che Agrosì era un giocatore impulsivo di lotterie istantanee ma i debiti non sarebbero stati tali da poter giustificare un gesto simile. Gli inquirenti stanno interrogando amici, parenti e colleghi della coppia per cercare di capire cosa non funzionasse all’interno delle dinamiche familiari. L’uomo inoltre ha scritto nella lettera: “Non vi voglio lasciare senza padre e senza marito. Per questo vi porto con me”. L’uomo lavorava nel sesto reparto mobile di Bolzaneto come tecnico dei computer e da anni aveva scelto di non svolgere più ruoli operativi. I colleghi lo descrivono come una persona che non mostrava atteggiamenti che non lasciavano presagire nulla di simile. La pista dei debiti di gioco rimane comunque avvalorata dagli inquirenti e si apprende inoltre che l’uomo aveva chiesto un prestito bancario mediante la cessione del quinto stipendio, non è dato sapere se la cifra da lui chiesta servisse per ripagare debiti di gioco accumulati o per la gestione dell’economia familiare, a tal proposito il Procuratore Capo di Genova Francesco Cozzi ha precisato: “Quello che emerge è la concezione di indispensabilità di se stesso. L'idea che non sia concepibile che moglie e figlie potessero vivere senza di lui”. Agrosì era stato per un lungo periodo in riabilitazione e sarebbe dovuto rientrare in questi giorni in servizio. Il gioco d’azzardo sembra tornare come un boomerang in questa vicenda poiché alcuni colleghi riferiscono che l’uomo usciva spesso dalla caserma per recarsi in una tabaccheria vicina e acquistare biglietti di lotteria. La sua vita era apparentemente normale, un matrimonio felice con Rosanna Prete e due splendide bambine: Martina e Giada di 14 e 10 anni, tutto sembrava apparentemente tranquillo nella vita dell’uomo, la sua memoria storica riportava i barlumi di un incidente avvenuto alla fine degli anni 80 quando era stato travolto da un camion mentre si trovava sull’auto di servizio, quell’incidente lo portò a diversi giorni di coma ma dopo una ripresa fisica per lui arrivò un nuovo ulteriore scossone morale: il suicidio del fratello che si buttò dalla finestra di casa. 
 
Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo parlato del gioco d’azzardo con la Dott.ssa Mary Petrillo, Criminologa, docente e coordinatrice master "Analisi del crimine, Security e Safety"  Presso univ. Niccolò Cusano, Coordinatrice Del pool di consulenti denominati Crime Analysts Team (CAT).

“Il cosiddetto Gioco d'azzardo, Gambling o ludopatia qualsivoglia, è un disturbo ormai inserito anche nel DSM , ossia nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, attualmente siamo alla quinta edizione.
Il gioco d'azzardo è considerato una dipendenza proprio come avviene per tutte le sostanze che danno il cosiddetto fenomeno di addiction, quali droghe, psicofarmaci, alcol, ecc.
Il fenomeno del Gambling si ritiene essere una vera e propria dipendenza quando il soggetto coinvolto sente un desiderio irrefrenabile di giocare senza porre alcuna attenzione ad altro. Quindi il soggetto prova una vera e propria dipendenza dal gioco, ha difficoltà a controllarsi e mette in atto una serie di comportamenti problematici che compromettono i rapporti interpersonali a tutti i livelli ed in casa estremi l'individuo per soddisfare la sua "dipendenza" commette anche reati.
Il gioco d'azzardo patologico (GAP) è un disturbo compulsivo che comporta gravi disagi per la persona, in quanto è un comportamento incontrollabile e genera gravi problemi sociali e finanziari (indebitamento, usura). Come tutti i disturbi anche la ludopatia provoca gravi conseguenze fisiche, psichiche e sociali nel soggetto, ma a questo punto ci si chiede cosa si intende allora per gioco d'azzardo? Sono definiti giochi d'azzardo tutti i giochi il cui risultato è determinato dal caso. Il giocatore d'azzardo può essere curato, può guarire e si può anche prevenire che diventi un giocatore accanito. L'organizzazione mondiale della sanità ( OMS) riconosce il gioco d'azzardo patologico come una forma morbosa chiaramente identificata, che in assenza di misure idonee di informazione e prevenzione, può rappresentare, a causa della sua diffusione , un'autentica malattia sociale. Il giocatore d'azzardo d'azzardo patologico presenta gravi alterazioni dei processi cognitivo-emozionali con propensione al rischio.
Le dinamiche relazionali del giocatore d'azzardo attraversano diversi stadi, infatti, egli passa da un momento positivo dove pare che la "fortuna lo baci", con relativi comportamenti positivi anche con chi gli vive accanto a momenti in cui il gioco comincia a prendere piede nella vita dell'individuo e di chi gli sta accanto, con relativi comportamenti più negativi e del giocatore che diviene più schivo nei rapporti interpersonali che di coloro che gli sono accanto che, invece, cominciano a prendere coscienza che ci sia un problema, tanto che lo stadio finale è quello in cui tutta la famiglia, amici e colleghi sono ormai consapevoli del fatto che l'individuo sia ormai preda di un disturbo patologico che lo ha portato a commettere anche una serie di scortesie gravi o veri e propri reati pur di procurarsi il denaro necessario e per giocare e per saldare i debiti di gioco. A questo punto può accadere che la famiglia o chi è più vicino al giocatore abbia due diverse reazione, ossia o abbandona il soggetto a se stesso per incapacità a gestire la situazione o per vergogna oppure ci si fa coinvolgere nei problemi del giocatore andando incontro a rischi e pericoli. Arrivati a tale punto l'unica soluzione saggia è rivolgersi o invitare i soggetti coinvolti a rivolgersi ad un aiuto professionale.
Le modalità di intervento su un giocatore d'azzardo e /o sulla sua famiglia o sui suoi cari ( amici, parenti, colleghi) è una attività di terapia psicologica individuale e di gruppo, se necessario anche di tipo farmacologico e se presenti sul Territorio, inserimento in apposita struttura terapeutica/riabilitativa. L'ideale è però partire con attività di prevenzione facendo informazione sui rischi cui si va incontro circa questo tipo di dipendenza, attenzione al Territorio, nel senso di non creare troppe strutture atte al gioco e preferibilmente lontano dalle scuole o luoghi frequentati da minorenni, poi ricondurre il gioco ai normali canoni dell'aspetto ludico, partendo proprio dai luoghi in cui si gioca”
 
Abbiamo parlato anche con la Dott.ssa Rossana Putignano, Psicologa Clinica, Psicoterapeuta Psicoanalitica Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Psicodiagnosi Neuropsicologica e Forense del CRIME ANALYSTS TEAM.

“Come già detto dalla Dott.ssa Mary Petrillo, la ludopatia necessita di un percorso di psicoterapia individuale e di gruppo, soprattutto alla luce della depressione secondaria che si può associare a questa psicopatologia. L’impoverimento progressivo, i debiti, l’usura, la conflittualità con il partner, l’impossibilità di far fronte alle spese familiari fino all’ipoteca della casa può gettare l’individuo nello scoramento più totale fino ai passaggi all’atto di tipo suicidario. Nel caso in cui l’individuo arrivi a sterminare la propria famiglia, possiamo solo immaginare lo stato in cui giace. Non è infrequente che un poliziotto o un soggetto appartenente alle forze dell’ordine usi l’arma d’ordinanza per ammazzare o farsi del male.  Purtroppo, la polizia sembra non avere molti punti di riferimento nel senso della prevenzione della malattia mentale e del suicidio. Il timore più grande per un poliziotto è che, sottopondendosi a visita con i medici del CMO possa essere levato il tesserino e l’ arma,  cosicché si tende a nascondere il proprio disagio. Uno dei fattori principali alla base del disagio mentale nell’operatore di polizia può essere lo stress. Il lavoro in polizia è riconosciuto in letteratura come altamente stressante poiché espone il poliziotto a una serie di effetti negativi come il divorzio, l’alcolismo, i problemi di salute e il suicidio, in misura maggiore rispetto agli altri tipi di professioni, senza contare gli eventi traumatici come la morte di un collega o gli incidenti in cui si rischia di perdere la vita. In questi due ultimi casi si attiva un programma di supporto da parte degli psicologi del corpo di polizia al fine di ridurre l’impatto emotivo dell’evento traumatico. Esiste un fenomeno molto frequente negli USA chiamato “suicidio attraverso un poliziotto” secondo cui un poliziotto si suicida manipolando la situazione e facendo credere che siano stati altri poliziotti ad ucciderlo. 
Il suicidio di un collega è un evento fortemente stressante per un poliziotto poiché comporta dei sensi di colpa per non aver potuto fare nulla, shock alla notizia, angoscia, sentimento di impotenza, depressione, abbandono, rabbia verso la polizia e abuso di alcol. Alla luce dell’impossibilità di usufruire di un vero servizio di sostegno psicologico – che non sia solo la visita d’idoneità o le sedute di briefing dopo la morte di un collega-  la sottoscritta sta stipulando con i sindacati una convenzione per facilitare alle ffoo l’accesso a un servizio di consulenza e psicoterapia. Ritengo che sia il momento di prendere seri provvedimenti e soprattutto più sistematici rispetto alle visite periodiche previste, al fine di prevenire il burnout ovvero della deflagrazione psicofisica nell’operatore di polizia evitando, magari, tragedie come quella di Cornigliano”.


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Emanuela Bruni nuovo presidente della Fondazione MAXXI – Museo delle Arti del XXI secolo

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È Maria, detta Emanuela, Bruni frascatana classe 1960 la nuova presidente della Fondazione MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo.
La scelta è stata ufficializzata dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione riunitosi oggi dopo la nomina di Alessandro Giuli come Ministro della Cultura.
La Bruni, giornalista professionista nonché scrittrice, è stata la prima Donna a presiedere l’Ufficio del Cerimoniale di Palazzo Chigi.
Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana su nomina del presidente Carlo Azeglio Ciampi, di cui fu stretta collaboratrice in quanto responsabile della Comunicazione radiotelevisiva per l’ingresso nell’Euro, vanta un curriculum di alto spessore e profilo istituzionale: dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi per circa un decennio al coordinamento dell’attività dei Servizi del Cerimoniale Nazionale ed Internazionale.
Già assessore alla Cultura della città di Frascati, di cui oggi è consigliere comunale e presidente della Commissione Affari Istituzionali della città Tuscolana, la neopresidente Emanuela Bruni, laureata in lettere e con un Master in Comunicazione Istituzionale e Relazione con i Media per la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, è “giornalista di razza” passata attraverso le redazioni di testate importanti come “L’eco di Bergamo” ed il “Sole24Ore”.
Appassionata ed esperta di arte ed architettura è oggi nell’Ufficio Stampa dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia.

Tra le sue pubblicazioni spiccano il “Piccolo dizionario delle italiane”, “La frascatana e le altre” e l’ultima sua opera, “Verde e antico” dedicata ai giardini ed ai paesaggi dei Castelli Romani.
La Bruni, negli ultimi anni, ha dato vita ad uno dei salotti letterari più importanti di Frascati e della provincia romana “Libri in Osteria” che ha ospitato autori del calibro di Angelo Polimeno Bottai, Luigi Contu, Riccardo Cucchi, Antonella Prenner, Michele Bovi e tanti tanti altri.

Giunga alla neopresidente Emanuela Bruni da parte della redazione de L’osservatore d’Italia l’augurio per un buon lavoro

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Cronaca

Scontro tra Bianca Berlinguer e Maria Rosaria Boccia: accuse e polemiche dopo la mancata intervista

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La conduttrice accusa Boccia di voler conoscere in anticipo le domande, mentre l’ex ospite lamenta una discussione trasformata in gossip e politica. La verità resta al centro di un acceso botta e risposta

Bianca Berlinguer, nota conduttrice, ha espresso il suo disappunto dopo la mancata intervista a Maria Rosaria Boccia, accusandola di aver chiesto anticipatamente le domande in forma scritta, cosa che non è mai stata concessa a nessun ospite. Secondo Berlinguer, questo sarebbe stato il vero motivo del contrasto tra le due, sfociato nella decisione di Boccia di non partecipare alla trasmissione È sempre Cartabianca.

Boccia, dal canto suo, ha risposto via Instagram, sostenendo che la trasmissione fosse orientata più a creare un dibattito politico e gossip piuttosto che ad ascoltare la sua verità. Inoltre, ha lamentato di essere stata trattenuta in camerino contro la sua volontà per due ore, un’accusa che Berlinguer ha definito “ridicola” e fuori luogo, dichiarando di non aver mai vissuto una situazione simile nei suoi 35 anni di carriera.

Le tensioni tra le due figure pubbliche si sono ulteriormente infiammate quando Berlinguer ha chiesto a Boccia prove concrete per sostenere affermazioni delicate riguardanti un colloquio tra Gennaro Sangiuliano e Arianna Meloni, suscitando reazioni di fastidio da parte dell’ex ospite, che ha accusato la conduttrice di non essere sufficientemente preparata sulla sua storia.

In un contesto di forti polemiche, la questione rimane aperta, lasciando spazio a diverse interpretazioni sui motivi del fallimento dell’intervista e su quanto avvenuto dietro le quinte.

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Ambiente

Tragedia sul Monte Bianco: Ritrovati i corpi di quattro alpinisti

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Due italiani e due coreani vittime della montagna. L’ultimo sogno realizzato sul Cervino prima del fatale destino

Un silenzio carico di dolore avvolge le pendici del Monte Bianco, dove ieri sono stati ritrovati i corpi senza vita di quattro alpinisti: due italiani e due coreani. Sara Stefanelli e Andrea Galimberti, i due connazionali di cui si erano perse le tracce dal 7 settembre, hanno trovato il loro ultimo riposo tra i ghiacci eterni della montagna che amavano.

Il tragico epilogo è giunto dopo giorni di angosciosa attesa e speranza. Le condizioni meteorologiche avverse avevano impedito per tre interminabili giorni il decollo degli elicotteri di soccorso. Solo ieri, con una schiarita, un elicottero del soccorso alpino francese è riuscito a levarsi in volo, portando alla luce la drammatica verità.

Etienne Rolland, comandante del Pghm di Chamonix, ha confermato che le due cordate sono state “rapidamente localizzate”, grazie alle informazioni sul loro probabile percorso e altitudine. Una conferma che rende ancora più straziante l’idea che i soccorritori sapessero dove cercare, ma fossero stati ostacolati dalle forze della natura.

La notizia ha scosso profondamente la comunità alpinistica e non solo. Sulla pagina Facebook di Andrea Galimberti, una cascata di messaggi di cordoglio ha sostituito le precedenti speranze di un lieto fine. Amici e conoscenti piangono ora la perdita di un appassionato alpinista e della sua compagna d’avventure, Sara.

Le ultime immagini condivise sui social dai due mostrano momenti di pura gioia sul Cervino, appena pochi giorni prima della tragedia. Scatti che ora assumono un significato quasi profetico, immortalando l’ultimo grande sogno realizzato insieme. Andrea descriveva con entusiasmo l’ascesa al Cervino compiuta il 3 settembre: “Dopo il classico corso di alpinismo tre mesi fa Sara inizia ad arrampicare con me. Davvero tanta roba da subito, in alta quota sul facile non ha problemi anzi va da Dio”.

Queste parole, cariche di orgoglio e affetto, risuonano ora come un addio involontario, un testamento della passione che li univa e che li ha portati a sfidare le vette più impervie.

La tragedia sul Monte Bianco non ha risparmiato nemmeno i due alpinisti coreani, il cui destino si è intrecciato fatalmente con quello degli italiani. Quattro vite spezzate, quattro storie di passione per la montagna interrotte bruscamente.

Mentre la comunità alpinistica si stringe nel dolore, questa tragedia riaccende il dibattito sulla sicurezza in montagna e sui rischi che anche i più esperti corrono nell’affrontare le sfide delle alte quote. Il Monte Bianco, maestoso e implacabile, si conferma ancora una volta una bellezza tanto affascinante quanto pericolosa, capace di regalare emozioni uniche ma anche di reclamare un tributo altissimo.

Le indagini sulle cause precise dell’incidente sono ancora in corso, ma già si leva un coro unanime: quello della prevenzione e della prudenza, anche per i più esperti. Perché la montagna, nella sua immensa bellezza, resta sempre un ambiente che richiede il massimo rispetto e un’infinita cautela.

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