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GIANNI TONELLI: LA DIGOS VA IN OSPEDALE E GLI NOTIFICA L'ATTO DELLA PROCURA

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Tempo di lettura 3 minuti "I vertici del Dipartimento della PS continuano a difendere le loro evidenti responsabilità contro ogni verità e contro ogni giustizia"

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Red. Cronaca

Venerdì sera alle 19.30 un funzionario e 2 ispettori della Digos della Questura di Roma hanno raggiunto il Segretario Generale del SAP Gianni Tonelli presso l’ospedale Santo Spirito dove è tuttora ricoverato a causa del mancamento che lo ha colpito lo scorso giovedì, e gli hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 415bis del Codice di procedura penale nonostante le sue precarie condizioni di salute.

L’avviso di conclusione delle indagini, che individuerebbero un’ipotesi per alcuni reati anche a suo carico e legate alle note vicende riguardanti alcune interviste rilasciate da dipendenti della Polizia di Stato sul circuito mediatico, uno dei quali proprio il dirigente sindacale F.R., gli è stato notificato sul letto d’ospedale.

Le motivazioni che Tonelli avrà modo di chiarire ampiamente al pubblico ministero sono state superate totalmente dagli elementi che lo stesso Segretario ha fornito alla Procura di Roma con la denuncia presentata il 21 gennaio contro il Capo della Polizia Alessandra Pansa e il Questore di Roma Niccolò D’Angelo. Secondo quanto riportato su un comunicato del Sindacato Autonomo di Polizia sull’atto in questione "i vertici del Dipartimento della PS continuano a difendere le loro evidenti responsabilità contro ogni verità e contro ogni giustizia, negando ciò che Tonelli ha dimostrato in sede di conferenza stampa il giorno 20 gennaio in maniera incontrovertibile e inequivocabile e cioè che i materiali in uso alla Polizia di Stato era in uso e successivamente ancora utilizzati per i servizi di Polizia  e non come si evince dall’informativa della digos della Questura di Roma che hanno ispirato gli atti del PM".

“Tutto ciò mi lascia sereno – ha evidenziato Tonelli – Sono certo che riuscirò a dimostrare al Pubblico Ministero le verità che i vertici del Dipartimento cercano di nascondere e che dimostrerebbero le responsabilità di chi veramente ha debilitato l’intero apparato della sicurezza nel nostro Paese”.
“Questa bassezza da parte dei vertici del dipartimento e della questura ha il reale obiettivo di  distogliere visibilità alla protesta dello sciopero della fame, iniziato per dimostrare che le nostre intenzioni erano quelle di far luce su quanto è accaduto per un sentimento di verità e di giustizia”.
Dal Sap mettono poi in evidenza il fatto che l’atto della Procura è datato 9 febbraio e "non si comprende – si legge nella nota del Sindacato di Polizia – come mai si sia dovuto aspettare oggi venerdì 4 marzo, alle 19.30, quando ormai gli uffici della segreteria generale SAP sono chiusi e si rende ardua la possibilità di replicare atteso che vi fosse stata la possibilità vista le condizioni di poter conoscere in tempo l’esistenza del comunicato della Questura. Altro motivo – prosegue la nota del Sap –  che mette in luce la malafede è la falsa affermazione secondo la quale nel comunicato sta scritto che gli avvisi di garanzia sono stati notificati a Tonelli e ad altri 4 dipendenti quando invece era stato notificato solo a Tonelli e alcuni degli interessati riceveranno la notifica solo domani. L’intendimento di questi bassi artifizi – si legge ancora nella nota sindacale – è veramente squallido sotto l’aspetto etico-morale ed è quello di inibire qualsiasi reazione di verità ad un comunicato fazioso e fuorviante atteso che la Questura  avesse ricevuto delega dalla Procura di dare pubblicità ad una simile notizia. (sic!) Che il SAP sia animato da sinceri sentimenti di verità e giustizia si evince palesemente dal fatto che fin dall'inizio di questa vicenda abbia dato all’avvocato Marco Zincani, del Foro di Bologna la delega per predisporre un atto di denuncia alla magistratura finalizzato a evidenziare le responsabilità del Questore di Roma D’Angelo e del Capo della Polizia Pansa".

“Ben vengano tutte le inchieste atte a fare luce su ciò che invece si desidera coprire. – Afferma Tonelli che prosegue – Io sto praticando lo sciopero della fame da 44 giorni proprio allo scopo di accendere i fari su una vicenda molto fosca e torbida che riguarda i valori fondanti della nostra democrazia. Per converso rilevo che altri soggetti interessati cercano invece di rendere nebulosi e indefiniti i contorni di questa vicenda”.
 

Editoriali

Ricordi di un 4 Novembre: una riflessione sulla pace e il sacrificio

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Nella mia memoria di bambino si staglia un’immagine vivida e preziosa del 4 novembre.
Un paese in festa, bandiere tricolori sventolanti e, tra la folla, mio zio Agreppino, Cavaliere di Vittorio Veneto … era uno di quei “ragazzi” che combatterono per “l’onore d’Italia e per Sua Maestà il Re”.
Con un gesto affettuoso, mi prende per mano e mi guida a ricordare l’eroico sacrificio di oltre mezzo milione di giovani soldati, che hanno dato la vita per il nostro Paese.

Confesso di non aver mai nutrito un particolare amore per le guerre.
Esse seminano solo morte e distruzione, decimano famiglie, portano desolazione e lacrime.
In un mondo colpito da lutti e tragedie, sento un forte bisogno di riflettere sulle parole di Otto von Bismarck:
“Chiunque abbia mai guardato negli occhi vitrei di un soldato morente sul campo di battaglia dovrebbe pensarci bene prima di iniziare una guerra.

Oggi, più che mai, è importante onorare la memoria di coloro che hanno combattuto, non solo per il loro sacrificio, ma per costruire un futuro di pace.

Buon 4 novembre a tutti.

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Editoriali

Vicariato di Roma: nuove riforme o ritorno all’autoritarismo? [INCHIESTA #5]

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Dalla Capitale alla Toscana: Gervasi e Salera verso nuovi incarichi ecclesiastici

Nel corso della storia, la Chiesa ha spesso sperimentato un intricato legame tra potere e fede, dando luogo, talvolta, a episodi di ambiguità e autoritarismo. Questo aspetto sembra oggi riemergere nel cuore del Vicariato di Roma. Le recenti riforme istituzionali promosse da Papa Francesco, culminate nella Costituzione Apostolica In Ecclesiarum Communione del gennaio 2023, avevano l’obiettivo dichiarato di rendere più trasparente e aperta la gestione ecclesiastica, allineandola ai principi di uguaglianza e democrazia. Tuttavia, alcune voci all’interno della Chiesa stessa segnalano che queste modifiche normative potrebbero avere l’effetto opposto, aprendo le porte a una gestione autoritaria.

Il nuovo assetto, che ha sostituito la precedente costituzione Ecclesia in Urbe, ha subito suscitato critiche per le sue contraddizioni. Nel dicembre 2023, Papa Francesco ha approvato un nuovo Regolamento Generale del Vicariato, destinato a chiarire e applicare In Ecclesiarum Communione, ma che non è stato pubblicato ufficialmente. Questo silenzio istituzionale ha generato molteplici interrogativi e sospetti sulla reale natura della riforma, spingendo alcuni a vedere in essa un possibile rafforzamento del potere centrale, concentrato nelle mani del Vicario, Mons. Baldo Reina.

In questo contesto di trasformazioni, sembra che Mons. Dario Gervasi potrebbe essere presto destinato a Grosseto, mentre Mons. Daniele Salera sarebbe in procinto di trasferirsi a Siena per supportare il Cardinale Lojudice, rafforzando la presenza di figure di rilievo nelle diocesi toscane.

Il Ritorno della “Legge ad Personam”?

Un punto particolarmente critico della nuova gestione risiederebbe in quella che alcuni definiscono una sorta di “legge ad personam”, applicata in ambito ecclesiastico per favorire certe figure o escluderne altre da ruoli chiave. Questo principio, associato al clientelismo, desta preoccupazione in quanto sembra contrastare con l’idea di uguaglianza proclamata dalla Chiesa stessa e dai valori democratici. Il potenziale accentramento del potere e l’assegnazione di incarichi specifici a figure già consolidate all’interno del Vicariato di Roma alimentano dubbi circa l’effettiva apertura e trasparenza che la riforma avrebbe dovuto portare.

Riorganizzazioni e possibili conseguenze

Le riforme non si limitano alla riorganizzazione dei ruoli, ma interessano anche la struttura di controllo all’interno del Vicariato. Tra le modifiche previste, si vocifera che Mons. Reina possa ottenere poteri simili a quelli previsti in Ecclesia in Urbe, e che l’eliminazione della Commissione Indipendente di Vigilanza, istituita per garantire trasparenza e giustizia, sia ormai all’orizzonte. La soppressione di alcuni ruoli, come quello dei vescovi ausiliari e dei direttori, potrebbe accentrare ulteriormente la gestione della Diocesi nelle mani di pochi.

Le reazioni a questa “retro-riforma” vanno oltre le semplici divergenze normative, ponendo questioni più ampie di equità e coerenza rispetto ai valori fondanti della Chiesa. Invece di promuovere una distribuzione del potere che rispecchi i principi evangelici, il Vicariato potrebbe andare incontro a un’involuzione, trasformandosi in una struttura accentrata e chiusa. Se i timori legati a un nuovo autoritarismo trovassero conferma, questa riforma rappresenterebbe un momento delicato per la Chiesa, chiamata a rispondere delle proprie scelte nel rispetto della trasparenza e dell’uguaglianza che predica.

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Editoriali

Vince chi non vota: L’apoteosi della disillusione democratica in Liguria

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Le recenti elezioni regionali in Liguria offrono uno spaccato inquietante di una realtà che appare sempre più deteriorata: meno di un ligure su due si è recato alle urne.
Con una percentuale di affluenza che si attesta sul 45,97% degli aventi diritto al voto, ci troviamo di fronte a un ulteriore, doloroso segnale di disaffezione politica nel nostro Paese e ciò che emerge non è solo un dato numerico, ma una vera e propria Caporetto della democrazia rappresentativa.
È sconcertante pensare che in un momento in cui il dibattito politico dovrebbe animarsi e contribuire a delineare il futuro del paese, molti preferiscano rifugiarsi nell’astensione piuttosto che partecipare attivamente.
Questo silenzio assordante, che affonda le radici in una crescente sfiducia nei confronti dei partiti e dei loro rappresentanti, non è un fenomeno isolato, ma un sintomo di un malessere profondamente radicato nella nostra società.
Il “non voto” si erge a un segno di protesta, un atto di ribellione contro un sistema che non riesce più a garantire quella rappresentatività che dovrebbe essere il pilastro dei nostri principi democratici.
Gli scandali che, a ripetizione, travolgono la classe politica italiana alimentano questa crisi di fiducia, spingendo i cittadini a considerare la loro assenza alle urne come una scelta consapevole, una ferma dichiarazione di impotenza contro un sistema che percepiscono come corrotto e distante dalle loro esigenze quotidiane.
In questo marasma, dove la politica langue e i cittadini si sentono sempre più esclusi, il silenzio degli attuali governanti si fa ancora più assordante.
Chi sono coloro che dovrebbero guidarci verso una rinascita democratica?
Dove sono le risposte a questo malcontento?
La retorica confortante non basta più a risollevare le sorti di un’aspettativa sempre più delusa.
In questo contesto, la frase di Robert Sabatier risuona come un monito:
“C’è una azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare.”
Ed è proprio questa la condizione in cui ci troviamo oggi dove i cittadini, privati della motivazione per partecipare attivamente al processo democratico, si trovano a vivere in un limbo di indifferenza, e l’astensione diventa un gesto di rifiuto verso un mondo politico percepito come alieno.
Come ci si può aspettare che l’elettore si senta rappresentato quando le scelte politiche sembrano lontane anni luce dalle vere necessità della comunità?
È necessario un cambio di paradigma, una rinascita del dialogo tra governanti e governati, in grado di restituire ai cittadini la dignità di essere parte attiva del proprio destino.
Nel breve termine, sarà fondamentale fare tesoro di queste elezioni per riscoprire l’importanza del confronto, del dibattito e, in ultima analisi, della responsabilità civica e, forse solo così, potremo sperare di riaccendere la “voglia di votare” in un Paese che, oggi più che mai, ha bisogno di sentirsi rappresentato.
La vittoria decretata dagli astenuti è, probabilmente, la sconfitta più grande per la nostra democrazia.
È tempo di svegliarsi e rispondere a questo grido di allarme.

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