GIOCARE PER RICONOSCERE LA SOFFERENZA DEI BAMBINI

A cura della Dottoressa Francesca Bertucci, Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare

Albano Laziale (RM) – Negli ultimi anni la nostra società ha maturato una maggiore coscienza della diffusione di maltrattamenti, abusi sessuali e psicologici sui bambini, soprattutto in ambito intrafamiliare, e si è interrogata sui modi più efficaci per riconoscere precocemente condizioni di disagio e di abuso, che, a ogni modo, ancora oggi, restano spesso nascosti, per emergere solo quando guadagnano un posto nella cronaca nera.
Proprio dal racconto che la cronaca ci presenta di maltrattamenti e di abusi si evidenzia la difficoltà degli adulti nell’individuare precocemente i segnali della sofferenza, spesso inascoltata o sottovalutata, dei bambini.
Questa sofferenza può essere originata non solo da maltrattamenti e abusi eclatanti, ma anche dalla mancanza di attenzione e di affetto, dalla solitudine affettiva, da situazioni di disagio familiare, difficoltà nell’apprendimento, incapacità di adattamento alla vita sociale, isolamento. In tale situazione, gli adulti dovrebbero agire tempestivamente per interrompere all’origine la sofferenza emotiva del bambino e diventa fondamentale coltivare la capacità di ascolto e imparare a parlare il linguaggio dei bambini che è il linguaggio del gioco, il loro modo naturale di esprimersi. Con il gioco i bambini dicono quello che con le parole non sanno esprimere. Il gioco è, come diceva Melanie Klein, la via regia all’inconscio dei bambini.
Il gioco è una sorta di spazio intermedio tra una “realtà reale” e una “realtà immaginaria”. La ricchezza degli stati emotivi che possono essere espressi con il gioco è immensa: frustrazione, gelosia, sentimenti ambivalenti, angoscia legata a maltrattamenti e abusi sia fisici sia psicologici, senso di colpa e bisogno di riparazione. Con il gioco, infatti, il bambino può sperimentare le sue emozioni e le sue fantasie, soprattutto se assistito da materiali adeguati, oggetti che siano di piccole dimensioni, semplici e non meccanici e che offrano la possibilità di concepire le situazioni più disparate.
Inoltre, nel gioco infantile si trova la ripetizione di esperienze reali e di particolari della vita quotidiana, spesso arricchiti da elementi fantastici. Dall’osservazione del gioco possiamo trarre, infatti, importanti informazioni sulla vita emotiva del bambino, e anche sui suoi modelli familiari e relazionali, sulla rigidità di questi modelli interiorizzati, sulla capacità del bambino di “far finta di” e quindi di sperimentarsi in esperienze ancora non provate, sulla ricchezza e sulla vivacità della sua vita emotiva, sul suo patrimonio di simboli e sulla sua capacità di pensare in astratto.
Con il gioco, infatti, grazie alle sue regole pre-definite, è possibile trasgredire alle categorie mentali ereditate dalle figure genitoriali, per giungere a una ridefinizione del proprio modo personale di essere nel mondo e per vedere con occhi nuovi la propria storia passata, fino ad agevolare una definizione della propria identità.
Dire che i bambini giocano è come dire che il cielo è azzurro. Giocando con loro impariamo a capirli, a conoscerli, li scopriamo ogni volta di più. E scopriamo un po’ di più di noi stessi. Ma nella vita degli adulti non sempre c’è spazio per il gioco. Le nostre vite sono spesso luoghi affollati di cose inutili, inutili fardelli che appesantiscono i giorni. Le famiglie tradizionali allargate vanno sparendo, lasciando i genitori soli di fronte al loro compito di genitori. Le esigenze pratiche sono troppe e rubano spazio alla relazione, al tempo del gioco. I genitori hanno addosso tutta la responsabilità e diventano ansiosi, si sentono inadeguati e a volte in colpa. Non c’è spazio per il gioco. Non c’è spazio per giocare con i propri figli.
Giocare con i bambini non è facile. Perché ci mette in contatto con la nostra infanzia e non sempre questo recupero ci rende felici, non sempre i ricordi della nostra infanzia ci fanno piacere.
E’ difficile trovare un adulto che sappia giocare. Ma giocare davvero. Nello stesso modo in cui giocano i bambini. Giocando solo per giocare. Perché il gioco è un’attività fine a se stessa. Il gioco non produce, non crea ricchezza materiale.
Ma si può imparare a giocare? Per riscoprire la naturale capacità di giocare che è dentro di noi bisogna fare spazio alle emozioni. Il gioco, per essere davvero gioco, deve essere spontaneo e soprattutto deve essere una sorta di passatempo. Nessuno può essere costretto a giocare, perché in quel caso il gioco perde di senso.

Dott.ssa Francesca Bertucci
Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare
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