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Giorgetti e Salvini: scontro sul budget nella manovra 2025

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Il ministro dell’Economia annuncia sacrifici e spending review, mentre Salvini si prepara a difendere le risorse per il suo ministero

Ammonterebbe a circa 3 miliardi di euro l’obiettivo della spending review che il governo Meloni intende perseguire per finanziare la manovra economica del 2025. Lo si apprende da fonti di maggioranza, che sottolineano come il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, stia intensificando la sua richiesta di tagli e di sacrifici ai colleghi di governo per trovare le risorse necessarie.

Giorgetti: “Sacrifici necessari, niente nuove tasse”

Parlando durante un evento organizzato dal quotidiano Il Foglio, Giorgetti ha ribadito l’urgenza di razionalizzare la spesa pubblica per garantire sostegno alle famiglie, in particolare a quelle con figli, senza gravare ulteriormente sui contribuenti. “Chi ha figli in età giovane o scolare sostiene sicuramente più spese. Queste spese meritano un trattamento migliore. Spero che martedì un segnale in questa direzione riusciremo a darlo”, ha dichiarato il ministro, anticipando alcune misure previste nella manovra.

Giorgetti ha inoltre ribadito la sua linea ferma contro l’introduzione di nuove tasse. “Non ci saranno più tasse nella prossima manovra. Stiamo già riducendo il carico fiscale, come dimostrato dal taglio del cuneo fiscale che diventerà strutturale”. Questa dichiarazione mira a placare i timori sollevati da alcuni ambienti politici e mediatici su possibili nuovi oneri a carico dei cittadini.

La spending review come priorità

Tuttavia, per coprire il fabbisogno economico senza aumentare le tasse, il governo si affida alla spending review. “Ho preannunciato a tutti i miei colleghi che bisogna fare sacrifici e rinunciare a qualche programma, magari totalmente inutile”, ha proseguito Giorgetti. “Se non presenteranno proposte, sarò io a fare la parte del cattivo”.

La necessità di tagli mirati e razionali è stata confermata anche da fonti vicine alla Presidenza del Consiglio, che sottolineano come la spesa pubblica, ereditata dai precedenti governi, necessiti di una revisione profonda, con l’obiettivo di eliminare sprechi e inefficienze.

Incentivi per restare al lavoro

Tra le misure previste, Giorgetti ha anche anticipato un potenziamento degli incentivi fiscali per chi desidera prolungare la propria carriera lavorativa oltre l’età pensionabile. “Stiamo perfezionando gli incentivi a chi vuole restare al lavoro. Non si tratta solo di una questione di finanza pubblica, ma anche di dare risposta a chi ha più soddisfazione nel lavorare piuttosto che andare in pensione”. Il ministro ha sottolineato che questa misura si allinea alla linea storica della Lega, condivisa anche dal vicepremier Matteo Salvini, e fa parte del solco tracciato da Roberto Maroni negli anni passati.

Salvini: “Difendo il mio budget”

Parallelamente, Salvini si è espresso sulla manovra durante un’assemblea di ANCI Lombardia a Monza, dichiarando: “Oggi vedo Giorgetti per difendere il mio budget”. Il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture ha confermato il suo impegno nel tutelare le risorse destinate al suo ministero, in un contesto di contrazione della spesa che potrebbe incidere su alcuni programmi infrastrutturali.

Le reazioni dell’opposizione

Le opposizioni non hanno tardato a criticare l’approccio del governo, in particolare la mancanza di una visione complessiva. Il Partito Democratico ha accusato l’esecutivo di procedere con tagli indiscriminati senza tenere conto delle ricadute sociali. “Non si possono cancellare interi programmi senza una valutazione dei loro impatti su cittadini e lavoratori”, ha dichiarato un esponente dem. Anche il Movimento 5 Stelle ha manifestato preoccupazione, temendo che la revisione della spesa possa colpire settori chiave come sanità e istruzione.

La manovra 2025 si prospetta quindi come una sfida cruciale per l’esecutivo Meloni, che dovrà bilanciare l’esigenza di ridurre la spesa pubblica con l’obiettivo di non appesantire ulteriormente i cittadini. I prossimi giorni saranno decisivi per definire i contorni di una politica economica che potrebbe determinare il futuro del governo e della sua capacità di mantenere gli impegni presi.

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Editoriali

Vince chi non vota: L’apoteosi della disillusione democratica in Liguria

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Le recenti elezioni regionali in Liguria offrono uno spaccato inquietante di una realtà che appare sempre più deteriorata: meno di un ligure su due si è recato alle urne.
Con una percentuale di affluenza che si attesta sul 45,97% degli aventi diritto al voto, ci troviamo di fronte a un ulteriore, doloroso segnale di disaffezione politica nel nostro Paese e ciò che emerge non è solo un dato numerico, ma una vera e propria Caporetto della democrazia rappresentativa.
È sconcertante pensare che in un momento in cui il dibattito politico dovrebbe animarsi e contribuire a delineare il futuro del paese, molti preferiscano rifugiarsi nell’astensione piuttosto che partecipare attivamente.
Questo silenzio assordante, che affonda le radici in una crescente sfiducia nei confronti dei partiti e dei loro rappresentanti, non è un fenomeno isolato, ma un sintomo di un malessere profondamente radicato nella nostra società.
Il “non voto” si erge a un segno di protesta, un atto di ribellione contro un sistema che non riesce più a garantire quella rappresentatività che dovrebbe essere il pilastro dei nostri principi democratici.
Gli scandali che, a ripetizione, travolgono la classe politica italiana alimentano questa crisi di fiducia, spingendo i cittadini a considerare la loro assenza alle urne come una scelta consapevole, una ferma dichiarazione di impotenza contro un sistema che percepiscono come corrotto e distante dalle loro esigenze quotidiane.
In questo marasma, dove la politica langue e i cittadini si sentono sempre più esclusi, il silenzio degli attuali governanti si fa ancora più assordante.
Chi sono coloro che dovrebbero guidarci verso una rinascita democratica?
Dove sono le risposte a questo malcontento?
La retorica confortante non basta più a risollevare le sorti di un’aspettativa sempre più delusa.
In questo contesto, la frase di Robert Sabatier risuona come un monito:
“C’è una azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare.”
Ed è proprio questa la condizione in cui ci troviamo oggi dove i cittadini, privati della motivazione per partecipare attivamente al processo democratico, si trovano a vivere in un limbo di indifferenza, e l’astensione diventa un gesto di rifiuto verso un mondo politico percepito come alieno.
Come ci si può aspettare che l’elettore si senta rappresentato quando le scelte politiche sembrano lontane anni luce dalle vere necessità della comunità?
È necessario un cambio di paradigma, una rinascita del dialogo tra governanti e governati, in grado di restituire ai cittadini la dignità di essere parte attiva del proprio destino.
Nel breve termine, sarà fondamentale fare tesoro di queste elezioni per riscoprire l’importanza del confronto, del dibattito e, in ultima analisi, della responsabilità civica e, forse solo così, potremo sperare di riaccendere la “voglia di votare” in un Paese che, oggi più che mai, ha bisogno di sentirsi rappresentato.
La vittoria decretata dagli astenuti è, probabilmente, la sconfitta più grande per la nostra democrazia.
È tempo di svegliarsi e rispondere a questo grido di allarme.

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Politica

Meloni difende il modello Albania e la manovra: “Non consentirò che venga smontato”

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In un’intervista, la premier difende la manovra economica, critica la sentenza sul blocco dei trattenimenti migratori e risponde alle polemiche sulle nomine. L’opposizione replica con dure critiche sulle politiche migratorie e il caso Spano

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha preso una posizione ferma durante l’intervista alla festa de “Il Tempo”, difendendo il controverso accordo tra Italia e Albania, la gestione del suo governo sulla manovra economica e i fondi per la sanità, nonché la sua agenda politica. La premier ha risposto con fermezza agli attacchi provenienti dal Partito Democratico e dai socialisti europei, che hanno criticato l’intesa con Tirana e chiesto una procedura d’infrazione contro l’Italia.

Meloni ha definito “irragionevole” la sentenza del tribunale di Roma che blocca alcune delle politiche migratorie, affermando che c’è un uso “strumentale” di queste decisioni per ostacolare le scelte del suo governo. Il modello Albania, secondo Meloni, è una soluzione innovativa e necessaria per gestire i flussi migratori in un contesto complesso come quello attuale, e ha sottolineato che non permetterà che venga smontato da “una parte della politica che non è d’accordo”.

Sulle politiche economiche, la premier ha difeso la manovra finanziaria, attaccando i precedenti governi per scelte come il Superbonus, accusandoli di aver lasciato un’eredità pesante. Ha evidenziato l’assenza di aumenti delle tasse nella nuova legge di bilancio e i fondi record destinati alla sanità, ricordando che i problemi legati all’aumento delle pensioni minime sono conseguenza delle spese ereditate.

In merito alle dimissioni di Francesco Spano, capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli, Meloni ha respinto le accuse di conflitto d’interessi, puntando il dito contro la gestione del Maxxi sotto Giovanna Melandri e sottolineando il doppio standard che si applica ai funzionari legati alla destra.

Non sono mancate le critiche da parte dell’opposizione. Esponenti del Partito Democratico, come Elly Schlein, hanno accusato Meloni di eludere i veri problemi del Paese, concentrandosi invece su polemiche sterili. Altri membri della sinistra hanno ribadito l’importanza di una revisione delle politiche migratorie, che vedono l’Albania come un approccio inadeguato, mentre alcune voci interne al centrodestra hanno chiesto maggiore chiarezza sulla vicenda di Spano e sul suo ruolo nel governo.

La prima udienza sul caso è attesa per le prossime settimane, e il dibattito politico sembra destinato a intensificarsi.

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Politica

L’email “bomba” di Patarnello apre il conflitto: Meloni e la magistratura ai ferri corti

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Governo e toghe in rotta di collisione, tra accuse di politicizzazione e difese d’indipendenza

Lo scontro tra governo e magistratura ha raggiunto una nuova fase di tensione, questa volta innescato da una mail inviata da Marco Patarnello, sostituto procuratore della Cassazione e figura di spicco di Magistratura democratica, alla quale la premier Giorgia Meloni ha risposto pubblicamente sui suoi profili social.

La mail, pubblicata da Il Tempo, contiene una riflessione su Meloni e il suo ruolo politico. Secondo quanto riportato dal quotidiano, Patarnello avrebbe scritto: “Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche, e questo la rende molto più forte, forse neppure ai tempi di Berlusconi. E rende anche molto più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto”. La frase finale, “Dobbiamo porre rimedio”, è stata particolarmente sottolineata dai critici come un tentativo di politicizzare il ruolo della magistratura.

La reazione del governo

Non ha tardato la risposta della premier Meloni, che ha rilanciato il passaggio della mail in un post su Facebook, definendo la sua posizione come un attacco diretto alla sua azione politica e al programma di riforme del suo governo. Per la leader di Fratelli d’Italia, questo sarebbe un chiaro segnale di una parte della magistratura “politicizzata”, accusata di voler ostacolare l’operato dell’esecutivo.

Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, ha espresso preoccupazione per il contenuto della mail, sottolineando la possibile “invasione del campo politico” da parte di alcuni settori della magistratura. Foti ha dichiarato che la mail confermerebbe la propensione di una parte della magistratura ad agire non solo come interprete della legge, ma come attore politico. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ha rincarato la dose, annunciando un’interrogazione urgente per chiedere un’ispezione ministeriale sul comportamento di Patarnello, definendo le sue affermazioni come “politicamente molto gravi”.

La replica della magistratura

L’Associazione nazionale magistrati (Anm) ha risposto alle critiche con una dichiarazione ufficiale, definendo “maliziose” le interpretazioni date al contenuto della mail di Patarnello. Secondo l’Anm, la mail non aveva l’intenzione di attaccare il governo, ma di evidenziare le divisioni interne alla magistratura stessa e di difendere le prerogative istituzionali. “I magistrati italiani intendono soltanto onorare il mandato costituzionale di effettiva garanzia dei diritti delle persone”, ha dichiarato l’associazione, difendendo il ruolo della magistratura come indipendente e imparziale.

Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha definito “inaccettabili” le dichiarazioni contenute nella mail, respingendo però l’idea di un conflitto generalizzato tra governo e magistratura. Tajani ha piuttosto inquadrato la situazione come una questione legata a una specifica corrente di magistrati, Magistratura democratica, accusata di portare avanti una linea di opposizione politica già attuata in passato contro Silvio Berlusconi.

Una frattura che si allarga

Questo episodio rappresenta un ulteriore capitolo di un rapporto sempre più difficile tra governo e magistratura, che si è accentuato dopo la recente sentenza del Tribunale di Roma sulla questione dei migranti in Albania. La decisione del tribunale di non convalidare il trattenimento dei migranti ha scatenato la reazione del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha definito la sentenza “abnorme”. La tensione è alta, e il dibattito sembra destinato a proseguire mentre il governo prepara un decreto per blindare i rimpatri verso Paesi sicuri, un punto cruciale della sua politica migratoria.

Mentre la magistratura difende la propria indipendenza, il governo continua a denunciare interferenze politiche, rafforzando la narrativa di una magistratura che cerca di ostacolare la volontà politica espressa dagli elettori. In questo clima di crescente polarizzazione, il dialogo tra i due poteri dello Stato sembra sempre più difficile, e il rischio di un’escalation è concreto.

Con il decreto in arrivo e le tensioni tra le parti in aumento, il conflitto tra esecutivo e magistratura potrebbe segnare una nuova stagione di scontri istituzionali, con ripercussioni significative sul quadro politico e sull’equilibrio dei poteri in Italia.

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