GIORNO DELLA MEMORIA, DONATO TAGLIENTE: UN MILITARE ITALIANO CHE SI RIFIUTÒ DI COLLABORARE CON I TEDESCHI

Red. Interni

“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.” Questo è il testo integrale della legge del 20 luglio 2000 n.211 in cui viene istituito il Giorno della Memoria

Il 27 gennaio è un appuntamento che si rinnova di anno in anno per riflettere in modo approfondito sugli accadimenti del secondo conflitto mondiale, da collocarsi in un quadro storico complesso e sofferto, che ha comportato profondi turbamenti, grandi sofferenze e lutti.
In particolare, la tragedia si è consumata per il popolo ebraico, ma anche per i molti cittadini italiani, militari e civili, che furono deportati e internati in Germania, molti dei quali non fecero più ritorno in Patria.

La ricorrenza si celebra per non dimenticare e per far riflettere le giovani generazioni sulla immane tragedia che sconvolse il mondo intero, ma anche e soprattutto per far sì che analoghe catastrofi umanitarie non si ripetano mai più.
Il legislatore, per risarcire moralmente il sacrificio dei cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lagher nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale, nel 2006, ha istituito una apposita medaglia d’onore, quale riconoscimento simbolico. E’ oramai consuetudine che la consegna delle medaglie d’onore avvenga, ogni 27 gennaio, nel corso di una solenne cerimonia commemorativa presso la sede della Presidenza della Repubblica e presso tutte le Prefetture.


L’Osservatore d'Italia per non dimenticare ma soprattutto per far riflettere, intende ricordarlo con una intervista a un familiare di un reduce della deportazione, insignito della medaglia d’onore del Presidente della Repubblica.

Abbiamo voluto sentire il Prefetto Francesco Tagliente, figlio di Donato, militare che dopo l’8 settembre 1943, per essersi rifiutato di collaborare con i tedeschi, fu deportato nei campi nazisti in Germania.

D. Dott. Tagliente cosa raccontava suo padre della deportazione e dei Campi nazisti?
R. Mio padre, come molti reduci della deportazione, non amava parlare di quegli anni sottoposto a privazioni di ogni sorta, non voleva farci conoscere il terribile e lungo dolore della fame, di stenti e di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali.
Tra i suoi ricordi del campo di concentramento – raccontati peraltro in famiglia solo negli ultimi anni di vita, sicuramente per non alimentare l’odio verso il popolo che lo aveva deportato e tenuto prigioniero – ricorrevano frequentemente due espressioni in lingua tedesca, rimastegli impresse: “Sie arbeiten mussen” e “Kartoffelscahalen” (“Bisogna lavorare” e “Bucce di patate”).
I suoi ricordi erano comunque legati a periodi di profonda sofferenza, non solo fisica, e alla fame, tanta fame fino al punto di rischiare la vita per andare a cercare negli scarti di cucina anche le bucce di patate.

D. Quanto tempo è rimasto nei campi nazisti?
Due frasi apposte sul suo foglio matricolare, sintetizzano l’arco temporale e il periodo forse più duro e terribile di quegli anni: 9 settembre 1943: “catturato dalle truppe tedesche e condotto in Germania” 6 settembre 1945 “Rientrato in Italia”. Complessivamente però, sono quasi 11 gli anni trascorsi tra campagne di guerra in Libia, Albania, Grecia e Sicilia e deportazione nazista. 11 lunghi anni sottratti ai propri affetti e dedicati silenziosamente al servizio della Patria.
D. Quale è stato il periodo più duro della deportazione di suo padre
R. Dopo la proclamazione dell’Armistizio, l’8 settembre del 1943, i nostri soldati vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere deportati nei campi di lavoro in Germania. Mio padre di fronte a quella difficile scelta, decise di non venire meno ai suoi doveri, nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di Nazione libera. Rifiutando l’arruolamento nelle file dell’esercito tedesco, venne fatto “prigioniero” e internato in un campo di concentramento in condizioni di vita disumane e sottoposto a privazioni di ogni sorta.
 D. Dott Tagliente che cosa le ha trasmesso suo padre?
R. Mio padre, ha trasmesso, a me e ai miei fratelli, principalmente dei valori morali che ritengo importanti come l’amore per la nostra Patria, la più completa dedizione ad essa, senza compromessi e a costo di rimetterci la propria vita nel corso di 4 campagne di guerra e due anni nei campi nazisti. Da mio padre abbiamo imparato a coltivare il rispetto, la dignità e la consapevolezza di cosa significa servire, amare, difendere il proprio Paese.