Governo in bilico, Bellanova: “Il tempo è finito. Questa esperienza per me è archiviata”

di Teresa Bellanova, ministro all’Agricoltura (Italia Viva)

Leggo e rileggo l’intervista a Giuliano Pisapia, una persona che ho sempre stimato ma che raramente ha fatto scelte politiche simili alle mie. E ne sono confortata. Leggo che l’ex sindaco di Milano conviene che, al di là dei metodi, le questioni che poniamo sono condivisibili. Leggo che anche lui sostiene che il Premier non possa fare tutto da solo, specie di fronte all’altezza delle sfide che abbiamo davanti e che il Recovery Plan non può essere uno sconto per cambiare i rubinetti di casa come si è fatto in finanziaria, ma l’occasione per ridisegnare il nostro futuro. L’Italia del 2030.

Non sono poche le voci che in queste settimane si sono levate dal centrosinistra per costringere tutti a concentrarci sui temi, sui contenuti del piano, sulle questioni di merito, oltre che di metodo. Penso all’intervento di Luigi Zanda in Senato, all’intervista all’ex Premier Gentiloni, a Massimo Cacciari, a De Vincenti, a tanti altri. O a Walter Veltroni sulla nostra collocazione internazionale. Se non è questo il nostro compito, se non è questo il compito di chi vi rappresenta in Parlamento e serve il Paese da un ruolo di governo, quale è allora? Schiacciare tasti?

A chi ci dice che proprio in una pandemia si dovrebbe stare tutti uniti ed accelerare sul piano, rispondo: non a prescindere da tutto. Il treno del Recovery passa ora e non passerà per molti anni, quasi sicuramente per decenni. Le scelte che dobbiamo fare sono enormi, valgono più di quattro leggi di bilancio. Che cosa vi aspettate quindi dalla politica? Che non legga il piano e lo approvi così come viene proposto, in nome di quell’unità, o che entri nel merito e costringa tutti ad un supplemento di riflessione? Che respinga al mittente chi prova a sfidare questo nostro insistere sui contenuti cercando maggioranze raccogliticce, minacciando elezioni – che in democrazia non sono mai una minaccia – o passaggi in Parlamento a scatola chiusa, con un piano presentato con il diktat: prendere o lasciare? Che infine si ponga il dubbio se la squadra di “costruttori” che dovrà attuarlo sia la migliore del mondo o se invece questo Paese, a fronte delle sfide che ci attendono, non possa e sappia esprimere di più?

La democrazia è fatica. È mediazione, sintesi, dialogo. Ma è e deve essere anche approfondimento. Velocità, certo, perché questo richiedono le sfide della modernità, ma anche attenzione ai contenuti. Ed allora io continuo a dire di non essere a mio agio in un equipaggio in cui ci si chiede di prendere o lasciare. In cui passiamo ore ad attendere che parti di questo Governo ci mandino come fossimo una controparte un documento su cui ci giochiamo il futuro dei nostri figli, senza che nessuno metta in dubbio il fatto che proprio in una squadra sarebbe normale sedersi a un tavolo e forse scriverlo insieme. In cui “intanto siete al 2%” o “vogliono incarichi” sono le veline che vengono sapientemente riproposte ogni volta che insistiamo sui contenuti. In cui giornali contigui a pezzi determinanti di questa maggioranza insultano me e la comunità cui appartengo un giorno sì e l’altro pure. In cui vengo fatta passare come la “record woman” delle dimissioni paventate, mentre ciò che mi trattiene è solo ed unicamente il senso di responsabilità verso il Paese che rappresento, verso il settore agroalimentare che ho difeso in tutto questo anno e continuerò a difendere, verso la comunità politica di cui faccio parte. Perché come sono fatta, nel bene e nel male, un po’ l’avete intuito. Ed avete intuito quali sarebbero state le mie reazioni di istinto alle vicende di queste ultime settimane.

Per uscire serve discontinuità. Radicale discontinuità, nei metodi e nel merito. Ed il compito di metterla in campo, ben oltre qualche post Facebook ma con atti politici, non spetta a me, ma spetta a chi ne ha oggi la responsabilità. Al Presidente del Consiglio, quindi. Cui chiediamo, ora sì, chiarezza di comportamento, capacità di rilanciare, onere della sintesi politica, affermazione del proprio ruolo di garanzia di tutte le componenti. In una parola: leadership. Perché a chi queste ore mi chiede che farà Italia Viva dico che la domanda è inversa: cosa risponde Conte? È Conte che deve dire. Noi abbiamo già detto. Alle domande non è arrivata nessuna risposta, se non un Bignami di 13 pagine. Non c’è ad oggi alcun testo su cui valutare. Non c’è alcuna discontinuità, se non un post Facebook cui, per farlo comprendere, è dovuta seguire un’agenzia di stampa chiarificatrice.

Il tempo è davvero finito. E questa esperienza per me è archiviata, perché sono insostenibili questi metodi e queste incertezze sul meriti, questo giocare a un rimpiattino intollerabile e offensivo, che toglie forza e credibilità a questa maggioranza. Che ha solo una strada obbligata: guardarsi in faccia, intendersi sul da farsi, sconfiggere questa pigrizia continua, questo lasciar scorrere il tempo scansando problemi e non sciogliendo i nodi. Arrivi questo benedetto Recovery Plan, ci si dia il tempo di leggerlo e valutarlo e ci si confronti in Consiglio dei Ministri. Perché noi a confronti sui contenuti non ci siamo mai sottratti, anzi siamo stati quasi sempre i primi a chiederlo a gran voce. Anzi, il confronto si faccia anche sugli altri nodi politici che ci separano, costruendo un patto di legislatura su cui vedo oggi in tanti accapigliarsi reclamandolo a gran voce, ma che Italia Viva chiede da mesi. Se ci sarà tutto questo io ci sono, noi ci siamo. Diversamente l’esito di tutta questa vicenda è già scritto, e la responsabilità sarà solo di altri, di chi non ha dato risposte al tempo giusto e nei luoghi giusti, preferendo alle risposte chiare e alla lealtà il gioco dei muri di gomma, non di chi ha avuto il ruolo scomodo di parlare sempre chiaro e mettere al centro i temi. Perché tirare a campare non è mai stato il mio forte. Perché fare tappezzeria è un esercizio che preferisco lasciare ad altri. Perché le sfide che abbiamo di fronte richiedono persone che ne siano all’altezza. Perché voglio continuare a guardare negli occhi mio figlio spiegandogli che i soldi che mi ha prestato li ho spesi per il suo futuro.