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Editoriali

GRAB'ER BY PUSSY

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"GRAB'ER BY PUSSY"


DONALD TRUMP E IL PRETESO SESSISMO


DI ROBERTO RAGONE


“Grab’er by pussy”. Una frase detta da un tycoon di indubbio successo, registrata nel privato, e che gli oppositori di Donald Trump sono andati a ripescare, nella migliore tradizione americana di una propaganda elettorale senza limitazione di colpi proibiti. Una campagna che tende a denigrare l’avversario, più che a presentare agli elettori un preciso programma politico; un’abitudine che purtroppo ha messo radici anche da noi, in Italia.  Pussy, nella lingua pratica americana, denota quella parte esclusiva del corpo della donna particolarmente sensibile, ed altrettanto protetta nella sua collocazione, 'ça qui fait la difference', come dicono in Francia, e aggiungono: 'Vive la difference!'. Non per nulla, le femministe americane che sfilano in questi giorni indossano un copricapo di una forma particolare, il ‘pussy hat’. “Grab’er” significa “afferrala”, afferrala per la…. In realtà stava ‘istruendo’ il giovane Billy Bush sulle varie possibilità di arrivare al dunque. Un colloquio privato, consigli che magari anche noi adolescenti abbiamo ricevuto da amici più grandi e più esperti. Diciamoci la verità, qui, tra poche centinaia di migliaia di amici lettori: quante volte avremmo voluto essere noi un Donald Trump, di cui apprendevamo i grandi successi economici, e non solo quelli. Ma tutto andava bene, nessuna associazione femminista s’era ribellata, e i successi di Donald ci venivano attraverso le pagine dei quotidiani, quegli stessi che oggi, in obbedienza ad un establishment internazionale, lo denigrano. Le proteste a cui assistiamo oggi contro la legittima elezione del 45.mo presidente americano sono un assurdo. Ma questo, Trump lo aveva previsto, e lo aveva chiaramente denunciato nel suo discorso ante-elezioni, davanti al Congresso degli Stati Uniti. Un discorso che abbiamo già ripreso su queste colonne, in cui aveva dichiarato guerra ad un certo tipo di establishment, e di cui riportiamo alcuni brani significativi. Era l’8 novembre del 2016.


 "Il nostro movimento è nato per sostituire un fallito e corrotto establishment politico con un nuovo governo controllato da voi, il popolo americano. L’establishment di Washington e i gruppi finanziari e di comunicazione che loro hanno fondato, esistono per un’unica ragione: proteggere ed arricchire se stessi. L’establishment ha trilioni di dollari in gioco con queste elezioni. Coloro che controllano le leve del potere a Washington, e per gli interessi particolari globali, fanno accordi con queste persone, che non hanno il vostro bene in mente. La nostra campagna rappresenta una reale ed esistenziale minaccia, come non hanno mai visto prima. Questa non è semplicemente una fra le tante elezioni: questo è un bivio nella storia della nostra civiltà, dove si deciderà se noi, il popolo, rivendicheremo il controllo sul nostro governo.”


Questa si chiama dichiarazione programmatica. Ma è anche una precisa dichiarazione di guerra contro un potere occulto che è dilagato in tutto il mondo con la globalizzazione, facendoci credere che globalizzare portasse dei vantaggi all'uomo della strada, mentre ne porta, e tanti, ai poteri forti. Chiamare ‘sessista’ Trump per una frase pronunciata nel privato, sarebbe come chiamare maniaco sessuale Bill Clinton dopo il fin troppo reclamizzato episodio di Monica Lewinsky. Eppure Clinton è rimasto al suo posto, e nessuno gli ha decretato un impeachment, né le femministe si sono mobilitate in tutto il mondo come in questo caso. A parte il grosso rospo che Hillary ha dovuto ingoiare, dato che, finchè le scappatelle di Bill rimanevano in famiglia – e un po’ tutti i presidenti americani ne hanno nell’armadio, a cominciare da John Fitzgerald Kennedy, quella famosa con Marilyn, e sappiamo come è andata a finire – andava tutto bene. Ma riconoscere davanti a tutto il mondo il sesso orale di Bill con Monica, o quello che per tale è stato fatto passare, nel tentativo pietoso di alleggerire la colpa, è stato un boccone duro da inghiottire. Riportiamo un’altra frase di Trump, sempre dal suo discorso:


“L’establishment politico che sta cercando di fermarci, è lo stesso gruppo responsabile dei nostri disastrosi accordi commerciali, massiccia immigrazione illegale e politiche estere che hanno dissanguato il nostro Paese. L’establishment politico ha portato la distruzione delle nostre fabbriche e posti di lavoro, che sono andati in Messico, Cina e in altri paesi in tutto il mondo. È una struttura di potere globale che è responsabile delle decisioni economiche che hanno depredato i nostri lavoratori, ripulito il nostro Paese della sua ricchezza, e messo quel denaro nelle tasche di un manipolo di grandi corporations ed entità politiche. Questa è una lotta per la sopravvivenza della nostra Nazione, e questa sarà la nostra ultima chance per salvarla.”


L’establishment politico ed economico a cui si riferisce Trump è lo stesso che sta attualmente di fatto governando la nostra nazione, l’Italia, e che controlla il parlamento europeo. Non per nulla ci hanno imposto una moneta unica fallimentare, che è in pratica solo un accordo fra banche. Potremmo parafrasare Trump, con un “Grab’em by money”, afferrali per il portafogli, se vuoi avere il potere assoluto sulla loro vita, sul loro futuro, sul loro lavoro, sulle loro famiglie, sulle loro imprese. Un potere che si maschera da democrazia, come accade qui da noi, ma che in realtà rispecchia la famosa frase del marchese del Grillo: “Io so’ io, e voi nun sete un c…”. Dopo il quarto governo non eletto, dopo un referendum disastroso per chi l’aveva concepito e sponsorizzato anche all’estero come la panacea universale, dopo che una legge elettorale che doveva soltanto consolidare il potere nelle mani di pochi, e che oggi si cerca di cambiare – è solo questione di accordi di corridoio e di calcoli numerici – anche in Italia ci sarebbe voluto un Trump, ma purtroppo il nostro panorama politico è squallido. La grande mobilitazione a cui assistiamo oggi contro Trump, nel tentativo di screditarlo agli occhi del mondo, dipende anche da un fatto preciso, che lui stesso denuncia.


“La macchina dei Clinton è al centro di questo sistema di potere. L’abbiamo visto di prima mano nei documenti di Wikileaks, nei quali Hillary Clinton incontra in segreto personaggi di banche internazionali per complottare sulla distruzione della nostra sovranità al fine di arricchire questi poteri finanziari globali, gli interessi particolari dei suoi amici e dei suoi donatori. Con tutta franchezza, quella dovrebbe finire in galera!”


Trump incontrerà presto la May, la seconda lady di ferro che l'Inghilterra può annoverare dopo la Thatcher. Archimede dichiarava di poter sollevare il mondo, solo che gli avessero dato un punto d'appoggio, sfruttando il principio della leva: e il punto d'appoggio per l'Italia per uscire dall'Unione Europea – come per altre nazioni – può essere rappresentato da Donald Trump, facendo leva sulla Brexit. In più, la politica di avvicinamento di Trump alla Russia metterebbe da parte i progetti della vecchia amministrazione, che voleva costringere Putin in un angolo. Ciò che avrebbe creato un forte attrito fra due delle tre più grandi potenze mondiali, con il ritorno ad una guerra che si sperava rimanesse 'fredda', come ai tempi del muro di Berlino. Ma poteva anche succedere il contrario, con grande rischio per tutto il mondo. Questa mossa di Trump presumibilmente avrà come conseguenza una riduzione delle spese militari attive, con perdita secca da parte dei produttori di armamenti. Di contro, il nuovo presidente vuole un'America molto sicura e ben difesa. Il contrario, insomma, di quello che guerrafondai come la Clinton avrebbero voluto, per continuare ad esportare democrazie imposte all'estero, ma soprattutto per continuare ad esportare armamenti. Con Trump l'America ritornerà ad essere più America, con una grande tradizione evangelica, la ripresa dell''American dream', tasse giù, confini protetti, l'America agli Americani, Stars anda Stripes forever. Il discorso dell'8 novembre 2016 continua parlando dei media, quelli che oggi si sono scatenati contro di lui, come previsto.


“ La più potente arma dispiegata dai Clinton sono i media, la stampa. Qui dobbiamo fare chiarezza: i media del nostro Paese non si occupano più di giornalismo. Anche loro sono al servizio di interessi politici, [quello che al 90% accade anche in Italia ndr] e sono simili ai lobbisti e alle entità finanziarie con un definito programma politico. E quel programma non è per voi: è per loro stessi. Chiunque sfidi il loro controllo è tacciato di razzismo, sessismo, xenofobia. Loro mentono, mentono, mentono e fanno anche peggio: faranno tutto quanto necessario.”


La più potente arma dispiegata dai Clinton sono i media. Questo spiega la grande mobilitazione femminista in tutto il mondo. Un femminismo fuori moda che non ha più motivo di essere, specialmente in USA, dove le donne dirigono grandi aziende, e i cui stipendi medi sono molto simili a quelli dei maschi americani: e poi sappiamo molto bene che l’America è un paese matriarcale, lo è stato dalle sue origini. Quello che sta accadendo nel mondo è la manovra dell’establishment che Trump ha osato denunciare e sfidare. Tutto ciò che lui farà o dirà non avrà alcuna rilevanza sulle proteste pilotate a Roma, Berlino, Parigi e in tante altre città del mondo: non avrà assolutamente alcun peso. Quello a cui assistiamo è una vergogna per la società civile. Non è mai accaduto che un presidente americano democraticamente eletto venisse contestato. Se è vero che in democrazia vince la maggioranza, la maggior parte degli Americani votanti ha scelto Trump, e gli altri si devono adeguare. Ci sono altri mezzi per condurre le battaglie politiche. La contestazione tesa a denigrare, con argomenti di bassa lega, è soltanto di chi non si rassegna ad aver perso e crede di poter continuare la campagna elettorale. Allora, cos’avremmo dovuto fare noi, quando ci hanno imposto dall’alto Matteo Renzi? La rivoluzione? Vogliamo poi fare chiarezza sulle accuse di ‘populismo’: Bergoglio, a proposito di Trump, ha cercato, cerchiobottisticamente, di darne una spiegazione facendo un ‘distinguo’. Per cui, nella sua nazione, l’Argentina, il populismo è inteso come qualcosa di buono, che va verso il popolo, mentre in occidente diventa Satana, la peggiore posizione sociale e politica che si possa esprimere, in quanto territorio della destra. Tuttavia da noi il populismo viene esercitato quotidianamente nella sua forma più becera, quando i media ci ammanniscono certe notizie e ne nascondono altre, o la TV mette in scaletta programmi lacrimosi e buonisti. Ecco, il buonismo è la forma più deteriore di un populismo strumentale, volto ad orientare le coscienze del grande pubblico, utilizzato a vantaggio del potere. Non sono forse ‘populiste’ le apparizioni dei nostri cari politici, che ci raccontano che tutto va bene, che l’Italia è in ripresa – puntualmente smentiti da ll’ISTAT o chi per lui – che i terremotati riceveranno fondi e le loro case saranno ricostruite ‘come prima’ – Renzi dixit – ed anche rapidamente; quando ci raccontano che, alleluia, sono arrivate, dopo cinque mesi, le prime casette di legno, ma che vanno sorteggiate perché sono insufficienti, e qualcuno sarà sorteggiato, ma dovrà aspettare il prossimo turno: sempre che nel frattempo non muoia di freddo? E che dire dell’accoglienza a tutti i costi, costola del buonismo imperante sui giornali e in TV? “Fai la cosa giusta” predica un certo personaggio su Rai Uno una volta alla settimana. Ma qual è la cosa giusta? Perché i nostri conterranei devono soffrire dormendo in auto o in una sgangherata roulotte, e il denaro per chi ne ha bisogno dev’essere raccolto con il numero 45500, a spese di tutti noi? Dov’è lo Stato? E le partite di calcio, oppio dei popoli, non sono una manifestazione di populismo elementare? Eccetera eccetera. In un’Italia votata all’Europa, o meglio, a quell’Unione Europea che ogni giorno di più dimostra di essere sempre meno orientata ai bisogni reali del popolo italiano; in un’Italia in cui essere antieuropeisti e affezionati alla bandiera; in un’Italia in cui pronunciare la parola ‘patria’ ti fa’ dare del fascista, ci vorrebbe un Trump,  un sano movimento che vada incontro agli Italiani e li aiuti realmente a ricostruire questa nazione distrutta ad arte dagli ultimi potenti. Trump corre un rischio reale: questi sommovimenti sono come una ‘fatwa’ lanciata contro di lui, per cui in USA, il paese delle armi, il primo squilibrato che voglia passare alla storia potrebbe prenderlo di mira. Allora ci chiediamo: fin dove sono disposti ad arrivare gli appartenenti a questo mica tanto misterioso establishment, che qualcuno chiama ‘Nuovo Ordine Mondiale’, o Bilderberg o Trilaterale, e che fa capo ai grossi capitali guerrafondai di fabbricanti d’armi, oltre che alle banche internazionali? Ricordiamoci che in Inghilterra la Brexit ha avuto dei fieri oppositori, e che a pochi giorni dal voto referendario è stata uccisa Jo Cox, una giovane deputata laburista contraria all’uscita della Inghilterra dall’Unione Europea. L’omicidio ha suscitato orrore, sia per l’età della vittima, 42 anni, madre di famiglia, e sia perché è stata accoltellata e finita a colpi d’arma da fuoco. Subito arrestato l’assassino, appartenente ad un movimento nazionalista di estrema destra, ma di lui si sono perse le tracce, nella migliore tradizione, da Kennedy-Oswald-Ruby in poi. È legittimo, a questo punto, specialmente da parte di chi, come noi, ha sofferto la strategia della tensione degli anni 70/80, e che sa distinguere certi segnali, pensare che l’omicidio sia stato strumentale ad uno scalpore che avrebbe dovuto orientare il voto in antitesi alla tesi Brexit. Ciò che non è avvenuto. Ci chiediamo: fin dove è disposto ad arrivare questo ‘establishment’ contro cui Trump ha dichiarato guerra? Così continua Donald Trump:


“In questa elezione si deciderà se saremo un Paese libero o se avremo solo l’illusione della democrazia, ma saremo di fatto controllati da una élite di persone con interessi particolari che manipolano il sistema, e il nostro sistema è manipolato. Questa è la realtà: voi lo sapete, loro lo sanno, io lo so, e credo che tutto il mondo lo sappia.”


Un altro passaggio del discorso di Trump. Una condizione che non è solo riferita e riferibile agli USA, ma che è anche la nostra. Siamo manipolati, e controllati da una oligarchia che fa capo a grossi capitali finanziatori della politica e a banche d'investimento; il nostro sistema è manipolato, la nostra economia lo è, lo sono il mercato del lavoro, le pensioni, la politica, la cultura, la scuola. Eccetera eccetera. Vorremo ancora condannare il populismo, o non lo considereremo piuttosto come l’unica via di salvezza per il cittadino comune?


 


 


 


 


 


 

 

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Castelli Romani

Frascati: 8 settembre 1943, il giorno del dolore e della rinascita

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Esistono giorni che non solo diventano parte della Storia ma portano dentro di sé ricordi, emozioni e purtroppo anche lutti ed antiche paure.
L’ 8 settembre per noi che siamo nati a Frascati e per tutti quelli che vivono la bellezza di questa città questo giorno è nel contempo triste ma la riprova della forza piena che vive dentro Frascati.
Fu una ferita insanabile quell’8 settembre del 1943 quando alle 12,08 una pioggia di bombe dilaniò la città provocando la morte di centinaia di persone.

piazza San Pietro dilaniata dalle bombe

Ma la voglia di rinascere, la voglia di ricominciare, la voglia di spazzare via i dolori di una guerra rinacque proprio in quel giorno.
Credo che Frascati debba onorare di più questo ricorrenza affinché non diventi e resti la solita passerella di commiato.
Deve divenire vera “giornata della memoria della Città”.
Bisogna far si che l’8 settembre rappresenti per tutti il giorno si del dolore ma anche il giorno in cui Frascati ed i frascatani ritrovarono la forza di risorgere dalle sue ceneri come “araba fenice”.
Ho voluto riportare nella copertina di questo mio pensiero il quadro di un grande frascatano, Guglielmo Corazza, memoria vivente di quel giorno.
Quei colori e quelle immagini debbono divenire il monito a tutti noi degli orrori della guerra, della stupidità della guerra.
Perché Frascati pagò con il sangue dei suoi figli e delle sue figlie e questo non deve più accadere in nessuna altra parte del mondo.

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Editoriali

Affaire Sangiuliano: dimissioni e polemiche, il governo Meloni nella bufera

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Giustino D’Uva (Movimento Sociale Fiamma Tricolore): “Evidente è il declino inevitabile di quest’Esecutivo, destinato a finire sempre peggio, tra siparietti tragicomici e rinnegamenti indebiti”

L’affaire Sangiuliano ha scosso il governo Meloni, provocando la prima defezione tra i suoi ministri. Gennaro Sangiuliano, alla guida del Ministero della Cultura, ha rassegnato le dimissioni a seguito delle polemiche sorte attorno a una presunta relazione extraconiugale con Maria Rosaria Boccia, che ha generato una serie di accuse riguardanti l’uso improprio di fondi pubblici e l’accesso a documenti riservati.

L’ex direttore del Tg2, dopo ore di polemiche e smentite, ha deciso di farsi da parte, spiegando in una lettera a Giorgia Meloni la sua scelta di lasciare per non “macchiare il lavoro svolto” e per proteggere la sua onorabilità. Nonostante le assicurazioni fornite a più riprese dallo stesso Sangiuliano, secondo cui nessun denaro pubblico sarebbe stato speso per la consulenza di Boccia, la pressione mediatica e politica è diventata insostenibile.

Le reazioni della maggioranza: una difesa d’ufficio

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso solidarietà nei confronti di Sangiuliano, definendolo un “uomo capace e onesto”, sottolineando i successi ottenuti in quasi due anni di mandato. In particolare, Meloni ha ricordato i risultati raggiunti nella promozione del patrimonio culturale italiano, come l’aumento dei visitatori nei musei e l’iscrizione della Via Appia Antica tra i patrimoni dell’UNESCO. Tuttavia, anche la premier non ha potuto evitare di accettare le “dimissioni irrevocabili” di Sangiuliano.

Alessandro Giuli, presidente della Fondazione MAXXI, è stato rapidamente nominato come nuovo ministro della Cultura, suggellando una transizione-lampo che, secondo alcune voci, era già in preparazione da tempo. Giuli, una figura vicina alla destra romana e storicamente legato a Meloni, rappresenta un tentativo di dare stabilità al ministero, ma la scelta non ha fermato le critiche, né ha dissipato le ombre sul governo.

L’opposizione attacca: “Il governo Meloni è allo sbando”

Le reazioni dell’opposizione non si sono fatte attendere. Il Partito Democratico ha definito l’affaire come un altro esempio di un esecutivo privo di coerenza e in preda a scandali interni. Elly Schlein, segretaria del PD, ha parlato di un “governo ossessionato dalla propria immagine” e ha criticato la gestione del caso: “Il problema non è solo il gossip, ma l’incapacità di affrontare le questioni in modo trasparente e senza proteggere chi si trova in difficoltà”.

Dal Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte ha affermato che “questo episodio mostra come la maggioranza sia più attenta alle proprie dinamiche interne che ai reali problemi del Paese”, accusando la premier di “non aver saputo tenere sotto controllo i suoi ministri” e di “anteporre le proprie relazioni personali agli interessi istituzionali”.

Il commento più severo è arrivato da Giustino D’Uva, esponente del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, che ha lanciato un duro attacco al governo: “Indipendentemente dalle eventuali implicazioni giudiziarie ed etiche, l’affaire di Sangiuliano e Boccia è indice del pressapochismo che connota pressoché tutta la compagine governativa. Il governo Meloni è un’accozzaglia di buontemponi e incompetenti, per i quali il gossip costituisce il massimo impegno politico. Ciò che è evidente è il declino inevitabile di quest’Esecutivo, destinato a finire sempre peggio, tra siparietti tragicomici e rinnegamenti indebiti”.

Il rischio di un effetto domino

L’affaire Sangiuliano mette a nudo fragilità interne e potrebbe avere ripercussioni più ampie di quanto non appaia a prima vista. I partiti di opposizione sono pronti a capitalizzare su questo caso per sottolineare le divisioni e la mancanza di trasparenza dell’esecutivo. Alcuni osservatori politici temono che questo possa essere solo il primo di una serie di scossoni che potrebbero minare la stabilità del governo.

Il futuro di Giorgia Meloni e della sua squadra dipenderà dalla capacità di gestire questo e altri potenziali scandali che potrebbero emergere. Ma l’episodio dimostra come il confine tra gossip e politica possa diventare estremamente sottile, e quanto questo possa essere dannoso per la credibilità di un governo, soprattutto se non si affrontano con chiarezza e decisione le situazioni critiche.

In definitiva, il caso Sangiuliano non è solo un episodio personale, ma il simbolo di un esecutivo che sembra sempre più vulnerabile alle proprie contraddizioni interne, in un contesto politico che richiede, invece, risposte concrete e unitarie.

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Editoriali

Come ristorarsi dopo le fatiche quotidiane

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La pedagogia del benessere si occupa delle persone in contesti si salute psico-fisica. Ognuno di noi dopo una giornata di lavoro, commissioni, studio necessita di uno o più momenti di ristoro.


n questi termini si può parlare di pedagogia del benessere sia fisico che mentale.
La pedagogia del benessere è un ramo della pedagogia tradizionale che si occupa, mediante alcune tecniche, di far star bene le persone.

In che senso la pedagogia del benessere parla di ristoro?

Ebbene sì, il pedagogista o lo psicologo non ricevono i clienti nello loro studio e non c’è un rapporto duale, ma il benessere lo si ritrova insieme ad altri soggetti, all’interno di un gruppo, facendo passeggiate, yoga o mindfulness.
Nell’ultimo decennio è nato un forte interesse per queste nuove pratiche fisiche, ma anche mentali.

Lo stare bene insieme ad altri, durante una passeggiata o in una seduta di mindfulness, giova non solo al gruppo, ma soprattutto all’individuo nella sua singolarità. Le strategie individuate dalla pedagogia del benessere sono, in Italia, molto utilizzate; basta pensare ai corsi di yoga o di mindfulness. Quest’ultimi vengono svolti sia nelle palestre, ma anche all’aperto (es. dopo che è piovuto) poiché l’ambiente esterno, l’aria o il venticello sono condizioni di rilassamento.
L’obiettivo della pedagogia del benessere è anche scaricare lo stress quotidiano ed evitare disturbi psicotici quali l’ansia o la depressione. A favore di questo obiettivo è utile sia la palestra per allenare il corpo, ma anche una palestra per esercitare la mente.

La salute mentale è fondamentale per affrontare la vita e le fatiche di tutti i giorni; pertanto “avere il vizio” di utilizzare tecniche di “tonificazione della mente” è sicuramente un’abitudine sana. La pedagogia del benessere professa anche obiettivi di tipo alimentare per promuovere, non tanto il fisico filiforme quanto la salute fisica intesa come consapevolezza di quanti grassi, proteine e zuccheri dobbiamo assumere in una giornata.

Il benessere del corpo è proporzionale a quello della mente e viceversa. Il prendersi cura di noi stessi aiuta a prevenire difficoltà future e soprattutto a vivere esperienze positive. Da sempre lo slogan “prevenire è meglio che curare” è uno degli scopi della pedagogia del benessere.
Non tutti seguono questi consigli, perciò sarebbe opportuno dare un’architettura decisiva alla figura del pedagogista del benessere senza confonderlo con un personal trainer o un nutrizionista. È opportuno parlare di più di questo tipo di pedagogia per promuovere la conoscenza.

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