Gran Bretagna, bye bye Europa: a mezzanotte Londra fuori dalla UE

Con il consenso ufficiale della regina Elisabetta II all’accordo per la Brexit, sono stati compiuti tutti i passi formali per il divorzio tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Allo scoccare della mezzanotte, quando a Londra il Big Ben batte le 23, si chiude il periodo di transizione e la Gran Bretagna lascia il mercato comune, concludendo il cammino iniziato il primo gennaio 1973 con l’ingresso nella Cee.

Dal 1 gennaio 2021, i rapporti tra le due sponde della Manica vengono regolati dal trattato concordato con Bruxelles dal governo di Boris Johnson, dopo nove mesi tesissimi durante i quali è aleggiato più volte lo spettro di un ‘no deal’ dalle conseguenze imprevedibili.

Per i 27 si apre forse la chance di una maggiore integrazione, quella “even closer union” che Downing Street ha sempre avversato, forse facendo da involontaria sponda a una Germania che non ha finora condiviso appieno le spinte francesi per un’accelerazione verso un’unione politica e militare. Per Johnson ora il “destino” del Regno Unito “torna fermamente nelle mani” dei suoi cittadini.

Un Paese diviso

Il processo, che si è aperto con la vittoria di stretta misura dei ‘Leave’ al referendum del giugno 2016 e che ha dominato negli ultimi anni il dibattito politico britannico, lascia però un Paese diviso, con la Scozia, dove i ‘Remain’ avevano trionfato, che insiste su un terzo referendum per l’indipendenza e alcune categorie, come i pescatori, che già mugugnano per un compromesso che non ha limitato, come speravano, l’accesso dei concorrenti europei alle pescose acque britanniche.

Forti interrogativi albergano anche nel vitale settore finanziario, che attende di comprendere come potrà continuare a lavorare nel territorio Ue una volta detto addio al mercato comune. Senza il passaporto europeo, le transazioni degli operatori della City saranno sottoposte allo stesso complesso regime di equivalenza previsto per le società americane o giapponesi. Nel cuore finanziario del vecchio continente si vivono situazioni contrastanti.

Da una parte c’è ottimismo e si guarda alla prospettiva di una Gran Bretagna di nuovo proiettata sugli oceani, verso i mercati asiatici, come promesso da Johnson, che nei mesi scorsi ha a volte rievocato il passato imperiale come faro per il futuro. Dall’altra c’è un certo malumore per una trattativa che si è concentrata prevalentemente sul commercio e che ha fatto sentire un po’ ai margini un settore che dalla Ue trae un quarto del suo giro d’affari. BoJo sembra però intenzionato a mantenere l’impegno ad aprire il più possibile la Gran Bretagna ai mercati globali. Gli ultimi giorni lo hanno visto attivissimo sul fronte commerciale: oltre che con l’Europa, sono stati siglati accordi con Giappone, Canada, Singapore e Turchia. I prossimi obiettivi sono un’intesa con l’India, dove il primo ministro intende recarsi il mese prossimo, e con gli Stati Uniti, con i quali è già stato siglato un patto per la continuità doganale lo scorso 16 dicembre.

Le incognite restano: il 43% delle esportazioni del Regno Unito sono dirette verso l’Unione Europea, che dipende invece da Londra per solo l’8% delle proprie esportazioni. E gli effetti concreti dell’uscita dal mercato comune, anche in termini di approvvigionamenti di beni primari, si conosceranno appieno solo nei prossimi giorni.

L’hard boarder scongiurato e la moral suasion di Joe Biden

E’ stata un’ottima notizia l’aver scongiurato il ripristino di un ‘hard border’ tra le due Irlande, che avrebbe violato gli accordi del Venerdì Santo del 1998 e avrebbe potuto far risorgere la minaccia, dormiente ma mai scomparsa, di un ritorno dell’Ira. Ha contato molto, su questo fronte, la ‘moral suasion’ esercitata dal presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden, un cattolico di origini irlandesi che non avrebbe mai tollerato una marcia indietro rispetto agli impegni che posero fine a trent’anni di violenze tra repubblicani cattolici e unionisti protestanti.

Altrove, invece, tornano i controlli alla frontiera

Nonostante l’accordo di libero scambio, ai due lati della Manica si allungheranno i tempi per il passaggio di merci e persone. Il canale tra Francia e Inghilterra è attraversato ogni giorno da 60 mila passeggeri e 12 mila mezzi pesanti. Michael Gove, ministro per l’Ufficio di Gabinetto britannico, ha avvertito che potrebbero esserci “intoppi”. Ad allungare i tempi di transito, sia via mare sia attraverso il tunnel, sarà il controllo dei passaporti. Secondo le stime delle autorità francesi, la durata media dei controlli passerà da 20 a 60 secondi circa. I sudditi di Sua Maestà potranno essere soggetti ai controlli dell’ufficio immigrazione transalpino e potranno restare nel territorio Ue per 90 giorni, dopo i quali avranno bisogno di un visto. Per le merci arriva in soccorso la tecnologia per evitare rallentamenti eccessivi. Ma non è detto che tutto funzioni e subito.

I due lati della Manica

Gli esportatori da entrambi i lati della Manica dovranno dichiarare online i beni che passeranno la frontiera prima che i carichi partano. I camion dovranno presentare una documentazione contenente un codice a barre che gli agenti della dogana scansioneranno e invieranno, insieme al numero di registrazione del mezzo, alla loro controparte d’oltremanica.

Il codice consentirà alle autorità di identificare il contenuto del carico e stabilire se sono necessarie ispezioni. I prodotti animali o vegetali di provenienza britannica verranno dirottati verso gli appositi controlli sanitari qualora le norme comunitarie lo esigano. A tale scopo verranno dispiegati 230 veterinari nei porti di Calais, Dunkirk e Boulogne-sur-Mer. Questi controlli, secondo le stime delle autorità francesi, riguarderanno il 10-12% dei carichi. Saranno esenti dai controlli i prodotti animali trasportati dall’Irlanda al Regno Unito.

Parigi ha investito 40 milioni di euro e assunto 700 nuovi addetti per mettere in campo gli strumenti necessari a scongiurare ingorghi in seguito al ritorno della frontiera. Nei porti francesi sulla Manica sono stati costruiti 6 mila parcheggi aggiuntivi per la sosta dei mezzi che risultino privi della documentazione sufficiente o richiedano controlli approfonditi. Il governo britannico ha stanziato, da parte sua, 200 milioni di sterline (222 milioni di euro) per adeguare le infrastrutture portuali. Il direttore del porto di Dover, Doug Bannister, ha però lamentato il mancato raddoppio dei gabbiotti per il controllo dei passaporti francesi. In assenza di tale intervento, Bannister paventa “attriti” e “ritardi”. Numerosi esportatori hanno cercato di concentrare nel mese di dicembre più consegne possibili per evitare di intasare il canale. E c’è chi teme che gli imbottigliamenti verificatisi in seguito alla temporanea chiusura della frontiera francese, seguita alla scoperta della contagiosissima variante “britannica” del coronavirus, siano stati solo l’inizio.