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Editoriali

Grano canadese: c'è chi dice no

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Tempo di lettura 7 minuti Secondo Di Benedetti, il grano canadese che arriva in Italia a prezzi stracciati dovrebbe essere smaltito come rifiuto tossico invece di essere commercializzato.

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di Roberto Ragone
 
Secondo Franco Busalacchi, siciliano, scrittore, blogger, uomo politico, e del micologo pugliese Andrea Di Benedetti, il grano canadese che arriva in Italia a prezzi stracciati dovrebbe essere smaltito come rifiuto tossico invece di essere commercializzato.
 
Tutto nascerebbe dalle multinazionali  canadesi del grano, che con opportune 'spinte' a livello di Unione Europea, sarebbero riuscite a vendere nel nostro paese grano contaminato, secondo alcuni un vero e proprio rifiuto tossico e speciale, realizzando un business di oltre 40 miliardi di euro l’anno. La manovra, oltre che a fare profitto, tende a distruggere la produzione italiana di grano duro. Finora già 600.000 ettari di seminativo nostrano sono stati abbandonati, schiacciati dalla concorrenza sleale.
 
Quindi dopo le arance marocchine – che hanno messo in crisi gli agrumeti siciliani –  e l’olio di bassa qualità tunisino, – importato senza dazio a milioni di litri, destinato ad essere venduto nei discount come ‘olio extravergine di oliva’ – si prende di mira un altro settore importante della nostra economia e tradizione, come quello dei prodotti derivati da grano duro. Con ciò minando anche la salute dei consumatori.  Il 19 di giugno di quest’anno, il quotidiano barese ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’, insieme ad altri giornali, racconta in maniera circostanziata dell’arrivo al porto di Bari di una nave proveniente da Vancouver, la ‘'Cmb Partner', da 60.000 tonnellate, attraccata l’8 di giugno, dopo oltre 40 giorni di navigazione, e il cui carico era costituito da 50.000 tonnellate di grano duro canadese, carico sequestrato dai Carabinieri Forestali dopo le prime analisi sul cereale che avrebbe mostrato percentuali di sostanze nocive in quantità superiore a quelle consentite dalla legge. Il sequestro ha riguardato anche il cargo. Carico dissequestrato successivamente, in seguito alle nuove analisi effettuate proprio dai Carabinieri Forestali autori del sequestro. Analisi che avrebbero dimostrato come la presenza di inquinanti nel grano sarebbero nei limiti previsti dalla legge.
 
Limiti che a livello comunitario avrebbero subito una spinta ‘in alto’ per il Canada, che in effetti ha una soglia di sicurezza molto più alta di quella vigente in Italia. In ipotesi, possiamo azzardare che la prima analisi abbia riguardato soglie di sicurezza italiane, e la seconda quelle della provenienza del carico, cioè canadesi. Quindi, grano che in circostanze diverse non sarebbe idoneo neanche all’alimentazione animale, verrebbe regolarmente distribuito sul territorio nazionale, e miscelato, nella migliore delle ipotesi, a grano duro prodotto in Italia. Cosimo De Sortis, presidente della Italmopa, in rappresentanza dell’industria molitoria italiana, ha dichiarato che il sequestro era stato operato a seguito di ‘fake news’ e persecuzione mediatica ordita dalla Coldiretti. Così De Sortis dichiara al ‘Corriere del Mezzogiorno: «Non sarà sfuggito a nessuno — attacca Cosimo De Sortis,  — che i recenti sequestri di frumento duro importato, verificatisi nei mesi di febbraio 2016 e di giugno 2017, sono concomitanti con i “blitz” mediatici organizzati dalla Coldiretti presso il Porto di Bari. La sistematica demonizzazione delle importazioni, da parte sia della Coldiretti, sia di altre “lobbies”, e lo sviluppo di un’irresponsabile politica di comunicazione volta a infondere nei consumatori un sentimento di diffuso sospetto sul frumento di importazione rispondono a esclusivi interessi sindacali e di categoria abilmente camuffati dietro un presunto interesse generale del tutto inesistente», e conclude annunciando azioni legali.
 
La preoccupazione di Coldiretti e produttori italiani è che il Ceta peggiori ulteriormente la situazione. Il Ceta è il Comprehensive economic and trade agreement, accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada. Accordo “contro il quale la Coldiretti si dice pronta a scatenare una mobilitazione per scongiurare il paventato azzeramento strutturale dei dazi“. Il grano canadese, oltre ad essere una forma di concorrenza sleale nei confronti dei nostri produttori per il suo prezzo molto basso, rappresenta uno dei ‘regali’ che l’Unione Europea ci ha fatto, spinta dalle multinazionali.  Diciamo subito chi è Franco Busalacchi. Una persona innamorata della sua patria, la Sicilia, impegnato in politica. Il suo desiderio è, tra l’altro, che la nostra agricoltura e le nostre risorse naturali non siano vanificate dagli attacchi di lobby straniere, tese solo a far profitto, a scapito della salute pubblica. Il suo motto, che lo ha portato in politica, è: “Tu devi, quindi puoi.”
 
A fare da contraltare alle analisi  della Italmopa, i risultati ottenuti dalle analisi di Granosalus, l’organizzazione dei produttori di grano duro del Suditalia, che combaciano perfettamente con quelli del MIT, Massachussets Institute of Technology, e non lasciano dubbi: il glifosato presente nella pasta e nel pane può provocare malattie gravi, come diabete, obesità, asma, morbo di Alzheimer, Autismo, malattie autoimmuni, Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), e morbo di Parkinson. E i grani duri provenienti dal Canada contengono alte percentuali di Glifosato, chiamato anche ‘seccatutto’, che viene spruzzato sulle colture nel periodo che precede la raccolta. Infatti, il grano duro andrebbe coltivato soltanto in regioni molto soleggiate e calde – tipo il sud Italia – e non in climi freddi e umidi, che favoriscono la presenza di micotossine e aflatossine, anch’esse nocive per la salute umana perché altamente cancerogene. Alta anche la concentrazione di deossinivalenolo, noto anche come DON, cioè una sostanza chimica prodotta da funghi, una muffa che cresce su cereali come il grano, l’orzo e il granturco. Prodotto dai funghi Fusarium graminearum e Fusarum culmorum, scrivono gli esperti della FAO, il DON:”Può avere un effetto negativo sulla salute umana.” Secondo quanto afferma il micologo pugliese Andrea Di Benedetto, il grano canadese è paragonabile ad “Un rifiuto tossico e speciale, che dovrebbe essere smaltito.
 
Un prodotto che invece finisce sulle tavole dei consumatori europei”. Secondo Di Benedetto, “la presenza della micotossina nei mangimi prodotti e commercializzati in Canada, in una quantità che superi le mille parti per milione, crea seri problemi agli animali monogastrici  [come l’uomo ndr], che non progrediscono nella crescita.” Sempre secondo il micologo pugliese, i limiti fissati per il deossinivalenolo dall’Unione Europea nel 2006 sono troppo elevati. Secondo Di Benedetto, il limite di 1750 μg/Kg è troppo elevato. Sarebbe stato fissato, infatti, “in seguito alle pressioni delle lobby”. Questa legislazione avrebbe portato a un paradosso: “Stranamente nell’Europa Unita tutto il grano duro che in Canada non si potrebbe utilizzare nemmeno per gli animali, si dà all’uomo”. Dello stesso parere Gianni Cantele, presidente della Coldiretti Puglia. Ma, spiega Di Benedetti, un mezzo per difendersi c’è. “Mezzo chilo di pasta non può costare 35-40 centesimi di euro. Se questo avviene, c’è qualche problema.” Secondo Di Benedetti, il DON provocherebbe innanzitutto un aumento della sensibilità al glutine; poi morbo di Crohn, Parkinson, autismo ed altre patologie autoimmuni.  Desta qualche sospetto il fatto che l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, non si sia ancora pronunciata a proposito della pericolosità del deossinivalenolo, pur avendo avviato tre anni fa un processo di ricerca sull’argomento, e pur a fronte di pareri autorevoli come quello del MIT e della FAO, oltre che di Granosalus. Due scienziati del MIT, Anthony Samsel e Stephanie Seneff, ce lo spiegano più chiaramente: “Quando una cellula sta cercando di formare le proteine, può afferrare il glifosato invece della glicina e formare una proteina danneggiata. Dopo di che  è il caos medico. Dove il glifosato sostituisce la glicina, la cellula non può più comportarsi come al solito, provocando conseguenze imprevedibili con molte malattie e disturbi conseguenti”. Come SLA, Alzheimer e autismo. Fino ad ora la ricerca si è concentrata sugli animali, in particolare sui suini. I sintomi più comuni sono nausea, vomito, – il DON è detto anche ‘vomitossina’ – diarrea, dolori addominali, mal di testa, vertigini e febbre, fino alla morte in concentrazioni particolarmente alte. Possibile alterazione delle funzioni cellulari attraverso l’inibizione della sintesi delle proteine. Da notare che i limiti di concentrazione del DON nella pasta sono riferiti ad un consumo annuo medio pro capite di circa 5 kg., mentre in Italia esso si aggira sui 23-25 kg, e, aggiungiamo noi, in particolari casi, molto più alto, con l’ingestione, quindi di quantità pericolose di deossinivalenolo.
 


 Perche’ il grano canadese ha bisogno di glifosato e altri pesticidi? come difenderci? Da anni ci dicono che il grano canadese è il migliore del mondo, e che ha un contenuto di glutine superiore ai grani duri italiani. Tutto vero. Ma dietro a tutto questo c’è l’uso spregiudicato che viene fatto della chimica, con il glifosato che altera il periodo di maturazione del grano. Esiste il retroscena di un inghippo internazionale – orchestrato dalle multinazionali – che anticipa il TTIP e punta a distruggere la nostra produzione di grano duro, pugliese, siciliano e in genere del sud Italia. Ma perché il grano canadese ha bisogno del glifosato? Il grano è una specie vegetale originaria del Medio Oriente. Di regola, si semina in autunno e si raccoglie in estate. In Canada, che è una nazione fredda, si semina in primavera e si raccoglie a fine estate-inizio autunno, per sfruttare il periodo meteorologicamente più favorevole. Una differenza fondamentale riguarda la raccolta: nei paesi caldi avviene a giugno inoltrato; nel Canada e nel nord degli USA, in autunno, spesso quando il freddo è già arrivato, quindi quando il grano ha difficoltà a maturare. All’arrivo delle prime piogge, poi, si sviluppano erbe infestanti che ostacolano la mietitrebbiatura. Ecco allora l’intervento del glifosato, un diserbante conosciuto come ‘seccatutto’, che, utilizzato circa 15 giorni prima della raccolta, ‘secca’ la spiga ancora verde, che contiene in quel momento un’alta concentrazione di sostanze nutritive, glutine compreso. Gli agricoltori canadesi spiegano che con questo procedimento accelerano la maturazione del grano, ma è una menzogna. Semplicemente con il glifosato/diserbante la spiga verde viene fatta seccare, e in questo procedimento non c’è nulla di naturale, ma solo tanti veleni, insieme ad una quantità certamente maggiore di glutine, che fa sì che la pasta ‘tenga’ meglio la cottura, ciò che piace ai produttori. In questo modo, il Chicago Board Trade, punto di riferimento mondiale del commercio agricolo, fa crollare il prezzo del grano duro, inducendo i nostri produttori ad abbandonare le colture – specialmente nel sud Italia – e magari a cedere i loro terreni agli speculatori. Il vantaggio è anche delle industrie chimiche che producono il glifosato, che lavorano in sinergia con le multinazionali che producono le sementi, magari OGM, e che così si appropriano del mercato italiano della pasta. Uno dei pretesti per l’importazione del grano canadese è che non abbiamo abbastanza produzione nazionale. Certo, se la nostra agricoltura deve subire attacchi di questo genere, alla fine non rimarrà più nulla. Se invece 600.000 ettari di seminativo abbandonati potessero continuare a produrre buon grano non avvelenato da pesticidi, e al prezzo giusto, senza concorrenze sleali, la nostra produzione sarebbe magari sufficiente. Certo non dovremmo ricorrere all’estero nella misura in cui facciamo oggi.

 
Diciamo che le aziende produttrici che attingono maggiormente all’importazione sono quelle che hanno un maggior bisogno di disponibilità di prodotto, cioè le grandi aziende pastiere che tutti conosciamo, e che sono già state in un recente passato oggetto di una specifica indagine da parte della rivista Altroconsumo. Non facciamo nomi, naturalmente, ma ognuno di noi può documentarsi, per evitare rischi e difendersi dall’attacco canadese, tenendo presente, come già spiegato, che se un pacco di pasta costa troppo poco, il suo contenuto è sospetto. Scegliere poi le piccole produzioni, quelle che magari dichiarano sulla confezione il tipo di grano utilizzato, ce ne sono tante. Dopo tutto spendere un po’ di più per un pacco di pasta non ci manderà in rovina, ma permetterà ai produttori onesti di andare avanti, commercializzando un prodotto genuino, e si sa che questo non paga mai in termini economici. Possiamo difenderci anche dal pane fatto con farina non ‘genuina’, in modo molto semplice: prendiamo due o tre fettine di pane, e le teniamo qualche giorno in un luogo asciutto. Se dopo tale periodo la fettina si secca, ed è bianca, la farina è buona. Altrimenti le fettine si copriranno di una muffa verdastra, segno della presenza di micotossine. Fate questa prova, e se positiva, avvertite il vostro panettiere. Qualcuno l’ha fatto, il panettiere ha cambiato farina, e ora il pane è buono. Nello stesso momento potremo colpire i consumi legati agli speculatori e agli ‘avvelenatori’, più o meno consapevoli. Oltre ad aiutare la nostra nazione Italia  a non soccombere ulteriormente di fronte ad una globalizzazione di rapina. Un piatto di pasta, un chilo di pane, una pizza fatta come si deve – può essere un bello slogan per una pizzeria che voglia diversificare il prodotto – sono la base della nostra cultura e della nostra alimentazione, la famosa ‘dieta mediterranea’ da tanti esaltata. Diciamo basta alla prepotenza delle multinazionali e di un’Europa che, diciamo la verità, tutti stavamo meglio senza. Tranne gli ‘avvelenatori’.

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Costume e Società

Lettura dai 0 ai 6 anni: benefici e consigli pedagogici

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Il Comune di Bologna, nel 1999, ha fatto partire un’importante iniziativa chiamata “Nati per leggere”

La lettura nella fascia d’età 0/6 rappresenta un momento catartico e ricco di emozioni
sia per i bambini che per gli adulti.

La lettura a questa età è un momento di espressione, ma anche di esplorazione.
I bambini nascono con una grande propensione all’ascolto. Già nel grembo materno il
bambino è in grado di riconoscere le voci, soprattutto quella materna e possiede già
una propria sensibilità all’intonazione.

Perciò la lettura ad alta voce ha dei risvolti importanti per lo sviluppo della personalità
dei bambini sia sul piano emotivo, relazionale, cognitivo, linguistico, sociale e
culturale.

Dal punto di vista emotivo la lettura consente al bambino di dare un nome alle emozioni
dei protagonisti e, successivamente, anche alle proprie; da un punto di vista relazionale
consente al bambino di percepire le azioni e le emozioni dei protagonisti, stimolando
l’empatia; da un punto di vista cognitivo la lettura, fin dai primissimi mesi di vita,
sviluppa la creatività, la memoria e la logicità; da un punto di vista linguistico leggere,
in “tenera” età stimola lo sviluppo del linguaggio e del pensiero; dal punto di vista
sociale i bambini che leggono, sia a scuola che a casa, dimostrano di avere un migliore
rendimento scolastico e sono preparati ad inserirsi nel contesto sociale; da un punto di
vista culturale il libro insegna molte cose: il libro è storia, morale e valori che si
tramandano da generazione a generazione.

I bambini devono essere stimolati alla lettura fin dai primi mesi di vita

Si tratta di una lettura condivisa, ovvero quella in cui l’adulto legge ad alta voce;
l’adulto deve dimostrarsi un lettore consapevole poiché solo così si può trasmettere al
bambino, anche di 7 mesi, una valida esperienza di ascolto e di osservazione.
La lettura deve essere proposta in momenti e luoghi adatti (es. costruire un angolo
lettura con materassini morbidi) per favorire non solo l’ascolto, ma anche il
rilassamento.

L’adulto (educatore e/o genitore) deve leggere con espressività e stabilire un contatto
visivo con il bambino o il gruppo di bambini. Leggere ai bambini nei primi anni di vita fa si che il cervello del bambino raggiunga una ricettività agli stimoli esterni che mai più si ripeterà uguale.

Dopo aver sottolineato i principali benefici del leggere ad alta voce e della rilettura,
osserviamo quali sono i consigli pedagogici da un punto di vista dell’offerta educativo formativa:

  • tra i 0 e i 6 mesi sono consigliati i libri tattili poiché, il neonato alla nascita riesce
    a vedere in modo sfocato e solo in bianco e nero; perciò le prime immagini che
    il bambino vede hanno contorni netti, regolari e lineari. In questa fase, è
    importante prediligere libri piccoli in bianco e nero, con forti contrasti cromatici
    e immagini semplici. Questo primo approccio al libro è soprattutto fisico, per
    questo sono preferibili libri da manipolare e stimolare i cinque sensi. In questa
    fascia d’età si possono leggere filastrocche oppure cantare, favorendo nel
    bambino la capacità di ascolto;
  • tra i 6 e i 12 mesi lo sguardo del bambino è più attento, quindi si consigliano
    libri veri e propri con pagine spesse e cartonate, magari ancora di piccolo
    formato per renderli più maneggevoli. I libri di questa fascia d’età possono
    raffigurare animali o soggetti che fanno parte della loro quotidianità. Importanti
    sono anche i primi libri sonori;
  • tra i 12 e i 18 mesi il libro diventa una vera e propria scoperta; in questo caso si
    possono proporre libri con i buchi, con le finestrelle o con delle alette da alzare.
    In questa fase, i bambini sfogliano i libri con un adulto e indicano con il dito le
    figure. Il libro è un oggetto ancora da scoprire e da manipolare. I bambini
    attribuiscono suoni alle cose e danno un nome agli oggetti. Dai 18 mesi si
    propongono storie semplici e brevi caratterizzate da una trama essenziale (inizio,
    svolgimento e fine). È in questa fase che il bambino acquisisce la
    consapevolezza che esiste un prima e un dopo;
  • tra i 18 e i 24 mesi il bambino ripete piccole sequenze di storie e gli piacciono i
    libri che parlano di animali o di azioni legate alla sua quotidianità. È verso i 24
    mesi che il bambino inizia a comporre le sue prime frasi e il libro diventerà
    sempre più un oggetto “suo”;
  • tra i 2 e i 3 anni il bambino possiede un ampio vocabolario e riconosce molte
    immagini e parole. È la fase dell’autonomia e della sperimentazione. In questa
    fase, i libri consigliati sono gli albi illustrati (es. i libri sulle emozioni, sulle
    diversità, sull’autonomia, sull’amicizia etc …);
  • tra i 3 e i 6 anni il bambino è considerato un piccolo lettore, legge insieme ai
    pari, agli insegnanti, ai genitori oppure da solo.
    Dai 4 anni in poi si possono proporre la lettura di fiabe classiche, degli albi
    illustrati e anche dei silent book.

Questo excursus ha evidenziato i benefici della lettura fin dai primissimi mesi di vita e
ha suggerito quali tipologie di libri presentare in ogni fascia d’età.

Il Comune di Bologna, nel 1999, ha fatto partire un’importante iniziativa chiamata “Nati per leggere” tutt’ora attiva

È un progetto nazionale nato dall’alleanza tra esperti (pediatri) e bibliotecari per incentivare la lettura ad alta voce ai bambini dall’età prescolare ai 6 anni. Questo progetto sostiene da sempre la crescita e lo sviluppo dei bambini attraverso la lettura ad alta voce e la rilettura.

Il progetto “Nati per Leggere” si è espanso anche a livello nazionale, istituendo anche percorsi formativi per gli adulti (educatori, insegnanti e genitori). Ogni anno viene istituito un seminario o degli incontri a tema dove, gli esperti, parlano per dare nuovi suggerimenti agli adulti che sono a stretto contatto con i bambini. È un progetto che sta avendo molto successo e che incentiva i propri obiettivi anno per anno.

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Castelli Romani

Albano Laziale, colpo di scena al Consiglio comunale: la maggioranza scricchiola

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Aria di crisi per la maggioranza che sostiene il governo locale ad Albano Laziale guidato dal sindaco Massimiliano Borelli? Sembrerebbe proprio di si dopo quello che definiamo come un vero e proprio colpo di scena avvenuto durante il Consiglio comunale di giovedì 9 novembre.

Tra i vari ordini del giorno quello che riguardava l’elezione del Consiglio delle Autonomie Locali – CAL – l’organismo che ha la funzione di controllo e raccordo tra le attività regionali e quelle delle autonomie locali – i Comuni – e nella fattispecie la lista di centrodestra “Territorio e Partecipazione” ha battuto quella di centrosinistra che governa Albano Laziale.


“L’urna ha dato questa sentenza infatti i consiglieri di minoranza sono 9 e noi abbiamo preso 12 voti. Quindi viene da sé che tre consiglieri di maggioranza hanno votato la lista di centrodestra.” Questo il commento del Consigliere comunale e coordinatore di Fdi Roberto Cuccioletta durante la trasmissione web del venerdì mattina Officina Stampa BAR la rassegna settimanale condotta da Chiara Rai.

La puntata di Officina Stampa BAR la rassegna stampa di Chiara Rai di venerdì 10 novembre con ospite Roberto Cuccioletta Consigliere comunale di Fdi ad Albano Laziale

Sulla questione il Consigliere comunale Giovanni Cascella ha commentato: “A metà legislatura con un Paese in grandissime difficoltà è evidente che questa maggioranza mostra evidenti segni di cedimento. Ricordiamo che bastano quattro Consiglieri di maggioranza insieme a quelli di opposizione per sfiduciare il Sindaco. Quello che è successo ieri – 3 Consiglieri di maggioranza che votano a favore della lista di centrodestra – è qualcosa di clamoroso e un chiaro segnale dello stato di salute di Albano, una Città ormai senza prospettive e governata con poca competenza e lungimiranza”.

Un’intervista a 360 gradi dove si sono toccati molteplici argomenti che stanno a cuore ai cittadini di Albano Laziale come quello del termovalorizzatore o dell’anfiteatro. Ma Cuccioletta ha voluto porre l’accento sulla variante al Prg relativa la conversione di un’area, situata sulla via Nettunense incrocio via Tenutella con via Cancelliera, da alberghiera in commerciale.

“L’attenzione al suolo, all’ambiente a una programmazione che possa sviluppare un’attività turistico ricreativa su Albano è venuta in qualche modo a mancare.” Ha commentato Cuccioletta criticando quella che ha definito come l’assenza di una programmazione effettiva all’interno del Comune. La via Nettunense in quel tratto è piena di attività commerciali alle quali se ne andrebbero ad aggiungere altre con la conversione di questa area.

“Un’altra area, – ha dichiarato il Consigliere comunale Marco Moresco – dopo quella di Cecchina, destinata al commerciale, e soprattutto in una zona dove già molte attività hanno chiuso e quelle esistenti fanno fatica ad andare avanti. Un albergo sicuramente poteva dare un valore aggiunto al nostro territorio. L’area così destinata, circa 10 mila metri cubi, creerà ancora più disagi agli automobilisti che dovranno attraversare la Nettunense.”

Sintetico il consigliere Massimo Ferrarini che ha detto “L’Ennesima improbabile scelta di una amministrazione che invece di risolvere i tanti e diversi problemi dei cittadini sembra si diverta a crearne di nuovi”.

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Castelli Romani

Albano Laziale: tra politica, opere e decadimento. Una Città divisa

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Albano Laziale, città incantevole, è indubbiamente un posto affascinante e appetibile che offre una combinazione di bellezze naturali e patrimonio storico. Visitare questa Città significa immergersi in una ricca tradizione, esplorare la sua storia millenaria e godere della bellezza del paesaggio circostante con lo sguardo che arriva fino al mare.

Ciononostante, Albano Laziale è una gemma poco conosciuta per come potrebbe esserlo. C’è il Lago Albano, uno dei gioielli naturali più affascinanti d’Italia. Il Palazzo Savelli affacciato su Piazza Mazzini, costruito nel Medioevo come fortezza lungo la via Appia che ultimamente perde pezzi d’intonaco e meriterebbe una manutenzione particolare, non solo esterna.

L’Anfiteatro Severiano edificato dalle maestranze della Legione Albana nei primi anni del III sec. d.C., oltre il lato Nord Est del Castra. Rappresenta un luogo straordinario per scoprire la storia dell’antica Roma. Potrebbe essere gremito di turisti ma non è valorizzato e non è ancora stato pensato un circuito turistico che ne amplifica la giusta importanza. Il centro storico, i negozi e ottimi ristoranti, i parchi, il Museo Civico, il teatro, un cinema che non c’è più. I cisternoni fatti costruire dall’imperatore Settimio Severo tra il II e il III secolo d.C. per rifornire d’acqua l’accampamento della Seconda legione Partica. Sono grandi quanto una basilica a cinque navate scavati direttamente nel banco di tufo e tra le varie cisterne d’acqua che furono costruite dagli antichi romani, si è perfettamente conservata ed è conosciuta in tutto il mondo non solo per la sua maestosità, ma anche perché ancora funzionante. Con un patrimonio del genere Albano potrebbe essere meta di turismo mondiale, una miniera per la ricchezza e il benessere socio economico dell’intera area castellana. Offrono meno, alcune cittadine che per qualche azzeccata campagna pubblicitaria e comunicativa sono finite sui quotidiani esteri promuovendo “l’isola che non c’è” o meglio la nave mai ritrovata.

Albano è una vecchia signora, elegante, nobile e ricca di tesori nascosti. Ogni vicolo racconta qualcosa, ogni frazione ha la sua storia. Piace ma nel contempo dispiace vedere che alcune cose proprio non vanno e non si può puntare il dito soltanto sull’attuale sindaco. Sarebbe troppo facile, superficiale e si ridurrebbe a una mera strumentalizzazione del momento perché la caratteristica di chi è amministrato è avere la memoria corta. Si tratta di un discorso ampio e complesso e anche di alcuni fallimenti collezionati dal Partito Democratico che governa ormai da circa tredici anni e che, purtroppo, ha fallito sul punto più cruciale: la salute dei cittadini. la politica “locale” non è riuscita fare da scudo rispetto la Capitale imponendo un niet forte e autoritario: Albano non deve essere la discarica dei rifiuti di Roma. Il più grande dei fallimenti è stata proprio la questione della discarica di Albano, l’impianto del compianto e combattuto (ma non a ragion veduta) “ras della monnezza”, tanto contrastato per strada e nelle piazze ma che avrebbe risolto in piccolo e meglio di adesso lo smaltimento della monnezza.

La raccolta differenziata ad Albano è molto spinta e virtuosa, i residenti fanno la loro parte e il vicesindaco Luca Andreassi, ingegnere specialista ambientale, ci si è sempre dedicato. Ha fatto scelte politiche a volte criticabili e per certi versi infauste ma è comunque rimasto coerente e fedele alle sue idee. Oggi sarebbe probabilmente seduto da un’altra parte solo se avesse preso scelte diverse ma col senno del poi sono piene le tasche e al momento la sua situazione è paragonabile a quella di un osservatore consapevole e silenzioso a meno che non disegni un piano strategico politico coraggioso che però non può tener conto di alcune tempistiche dettate anche da forbici e nastri che raccontano qualche fatica. Il suo progetto politico e la fondazione e battesimo dell’associazione civica “Nel merito”, racconta la volontà di fare che anima un nutrito numero di amministratori sparsi per l’area dei Castelli e dei Monti Prenestini. La beffa è che il virtuosismo e la buona volontà non sono bastati a risolvere l’annosa questione della gestione dei rifiuti. Ora pende sulle teste dei residenti di Albano la realizzazione del termovalorizzatore nel vicino quadrante romano di Santa Palomba, che ricade nei confini del Municipio IX di Roma ma di fatto si trova ai Castelli Romani, attaccato ad Albano Laziale. Un capitolo nero per i residenti castellani. Come previsto dall’ultima ordinanza emessa dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri la discarica di Albano Laziale verrà avviata a bonifica. Danneggiati e beffati. Da una parte si bonifica e vicino, vicino, dall’altra parte della strada, per intenderci, si incenerisce e con metodi ben più obsoleti di quelli tanto contrastati ma più innovativi di Manlio Cerroni che a maggio scorso, dopo una prima chiusura dettata dalla Procura, tramite la Ecoambiente ha prodotto le “garanzie finanziarie previste per la cosiddetta gestione post mortem dell’impianto”.

Massimiliano Borelli, brillante, onesto e politico di professione, proiettato a uno sforzo continuo di strenua e tenace volontà di remare controcorrente o contro la sua corrente, appare come un uomo lasciato solo che si muove in una vasca di squali. Nicola Marini, l’ex sindaco che ha governato per un decennio, attuale presidente del consiglio, che lo ha comunque sostenuto più o meno con intenzione, anche se a parole rimane un signore della politica viene tradito da una mimica facciale, tessuta di principi, che vanno da tutt’altra parte del suo sindaco che ricordiamo essere non di sua diretta espressione perché le mire erano altre ma quando ci sono dei professionisti che vengono coinvolti non sempre, questi, sono disposti a lasciare o allentare i propri ritmi personali lavorativi. Soprattutto se seduti in certe stanze trapuntate da bottoni. Su tutte una verità: Marini ha governato Albano in maniera meno social (erano altri tempi), più autoritaria forse, senza pensare di dover dire a troppe persone dei sì che poi si sarebbero potuti trasformare in boomerang. Che poi Marini abbia amministrato bene o meno bene è inutile stilarne a posteriori un bilancio. Albano Laziale è la diretta interessata e con le sue criticità e virtuosità è pronta a raccontare la sua storia. Prima di Marini, il centrodestra, aveva avviato opere e progetti di un certo rilievo. Progetti che sono stati interrotti e che oggi, una coalizione coesa, non senza spigolature da smussare, vorrebbe riprendere e sarebbe assurdo non farlo. Se non fosse che la buona eredità è come una pianta sempreverde, se la voglia di leadership non sovrasta le idee, il vento potrebbe girare pure in favore di qualche fiche politica di vantaggio. Del resto sono le urne il vero banco di prova: si valutano i risultati e poi si sceglie.

Purtroppo al momento la manutenzione di Albano è carente: diversi palazzi cadono a pezzi e lo raccontano le cronache, molte strade comunali gridano vendetta e su questo l’opposizione ha chiesto che venga convocato al più presto un Consiglio comunale straordinario e urgente per affrontare questa condizione ormai definita da ‘terzo mondo’ con immobili, strade, scuole, parchi, giardini e infrastrutture obsolete. Ad alzare la voce sono Massimo Ferrarini, Roberto Cuccioletta, Marco Moresco, Matteo Orciuoli, Romeo Giorgi, Pina Guglielmino, Luca Nardi, Federica Nobilio e Giovanni Cascella.

“Il controllo continuativo delle condizioni dei beni demaniali – scrivono – rientra negli obblighi (istituzionali) di manutenzione ordinaria, dai quali l’ente locale non può esimersi, ciò in quanto il progresso tecnologico predispone, oggi, gli strumenti di verifica più idonei a evitare insidie. Sussiste l’obbligo dell’amministrazione pubblica di osservare, a tutela dell’incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e di regolamento disciplinanti le attività manutentive e gestionali delle opere custodite, nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che l’inosservanza di dette disposizioni e norme comporta la responsabilità dell’amministrazione per i danni arrecati, o potenzialmente arrecati, a terzi”.

Albano è una città bellissima ma ricca di contraddizioni: merita di vivere un periodo di crescita e prosperità.

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