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Editoriali

Grano canadese: c'è chi dice no

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Tempo di lettura 7 minuti Secondo Di Benedetti, il grano canadese che arriva in Italia a prezzi stracciati dovrebbe essere smaltito come rifiuto tossico invece di essere commercializzato.

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di Roberto Ragone
 
Secondo Franco Busalacchi, siciliano, scrittore, blogger, uomo politico, e del micologo pugliese Andrea Di Benedetti, il grano canadese che arriva in Italia a prezzi stracciati dovrebbe essere smaltito come rifiuto tossico invece di essere commercializzato.
 
Tutto nascerebbe dalle multinazionali  canadesi del grano, che con opportune 'spinte' a livello di Unione Europea, sarebbero riuscite a vendere nel nostro paese grano contaminato, secondo alcuni un vero e proprio rifiuto tossico e speciale, realizzando un business di oltre 40 miliardi di euro l’anno. La manovra, oltre che a fare profitto, tende a distruggere la produzione italiana di grano duro. Finora già 600.000 ettari di seminativo nostrano sono stati abbandonati, schiacciati dalla concorrenza sleale.
 
Quindi dopo le arance marocchine – che hanno messo in crisi gli agrumeti siciliani –  e l’olio di bassa qualità tunisino, – importato senza dazio a milioni di litri, destinato ad essere venduto nei discount come ‘olio extravergine di oliva’ – si prende di mira un altro settore importante della nostra economia e tradizione, come quello dei prodotti derivati da grano duro. Con ciò minando anche la salute dei consumatori.  Il 19 di giugno di quest’anno, il quotidiano barese ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’, insieme ad altri giornali, racconta in maniera circostanziata dell’arrivo al porto di Bari di una nave proveniente da Vancouver, la ‘'Cmb Partner', da 60.000 tonnellate, attraccata l’8 di giugno, dopo oltre 40 giorni di navigazione, e il cui carico era costituito da 50.000 tonnellate di grano duro canadese, carico sequestrato dai Carabinieri Forestali dopo le prime analisi sul cereale che avrebbe mostrato percentuali di sostanze nocive in quantità superiore a quelle consentite dalla legge. Il sequestro ha riguardato anche il cargo. Carico dissequestrato successivamente, in seguito alle nuove analisi effettuate proprio dai Carabinieri Forestali autori del sequestro. Analisi che avrebbero dimostrato come la presenza di inquinanti nel grano sarebbero nei limiti previsti dalla legge.
 
Limiti che a livello comunitario avrebbero subito una spinta ‘in alto’ per il Canada, che in effetti ha una soglia di sicurezza molto più alta di quella vigente in Italia. In ipotesi, possiamo azzardare che la prima analisi abbia riguardato soglie di sicurezza italiane, e la seconda quelle della provenienza del carico, cioè canadesi. Quindi, grano che in circostanze diverse non sarebbe idoneo neanche all’alimentazione animale, verrebbe regolarmente distribuito sul territorio nazionale, e miscelato, nella migliore delle ipotesi, a grano duro prodotto in Italia. Cosimo De Sortis, presidente della Italmopa, in rappresentanza dell’industria molitoria italiana, ha dichiarato che il sequestro era stato operato a seguito di ‘fake news’ e persecuzione mediatica ordita dalla Coldiretti. Così De Sortis dichiara al ‘Corriere del Mezzogiorno: «Non sarà sfuggito a nessuno — attacca Cosimo De Sortis,  — che i recenti sequestri di frumento duro importato, verificatisi nei mesi di febbraio 2016 e di giugno 2017, sono concomitanti con i “blitz” mediatici organizzati dalla Coldiretti presso il Porto di Bari. La sistematica demonizzazione delle importazioni, da parte sia della Coldiretti, sia di altre “lobbies”, e lo sviluppo di un’irresponsabile politica di comunicazione volta a infondere nei consumatori un sentimento di diffuso sospetto sul frumento di importazione rispondono a esclusivi interessi sindacali e di categoria abilmente camuffati dietro un presunto interesse generale del tutto inesistente», e conclude annunciando azioni legali.
 
La preoccupazione di Coldiretti e produttori italiani è che il Ceta peggiori ulteriormente la situazione. Il Ceta è il Comprehensive economic and trade agreement, accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada. Accordo “contro il quale la Coldiretti si dice pronta a scatenare una mobilitazione per scongiurare il paventato azzeramento strutturale dei dazi“. Il grano canadese, oltre ad essere una forma di concorrenza sleale nei confronti dei nostri produttori per il suo prezzo molto basso, rappresenta uno dei ‘regali’ che l’Unione Europea ci ha fatto, spinta dalle multinazionali.  Diciamo subito chi è Franco Busalacchi. Una persona innamorata della sua patria, la Sicilia, impegnato in politica. Il suo desiderio è, tra l’altro, che la nostra agricoltura e le nostre risorse naturali non siano vanificate dagli attacchi di lobby straniere, tese solo a far profitto, a scapito della salute pubblica. Il suo motto, che lo ha portato in politica, è: “Tu devi, quindi puoi.”
 
A fare da contraltare alle analisi  della Italmopa, i risultati ottenuti dalle analisi di Granosalus, l’organizzazione dei produttori di grano duro del Suditalia, che combaciano perfettamente con quelli del MIT, Massachussets Institute of Technology, e non lasciano dubbi: il glifosato presente nella pasta e nel pane può provocare malattie gravi, come diabete, obesità, asma, morbo di Alzheimer, Autismo, malattie autoimmuni, Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), e morbo di Parkinson. E i grani duri provenienti dal Canada contengono alte percentuali di Glifosato, chiamato anche ‘seccatutto’, che viene spruzzato sulle colture nel periodo che precede la raccolta. Infatti, il grano duro andrebbe coltivato soltanto in regioni molto soleggiate e calde – tipo il sud Italia – e non in climi freddi e umidi, che favoriscono la presenza di micotossine e aflatossine, anch’esse nocive per la salute umana perché altamente cancerogene. Alta anche la concentrazione di deossinivalenolo, noto anche come DON, cioè una sostanza chimica prodotta da funghi, una muffa che cresce su cereali come il grano, l’orzo e il granturco. Prodotto dai funghi Fusarium graminearum e Fusarum culmorum, scrivono gli esperti della FAO, il DON:”Può avere un effetto negativo sulla salute umana.” Secondo quanto afferma il micologo pugliese Andrea Di Benedetto, il grano canadese è paragonabile ad “Un rifiuto tossico e speciale, che dovrebbe essere smaltito.
 
Un prodotto che invece finisce sulle tavole dei consumatori europei”. Secondo Di Benedetto, “la presenza della micotossina nei mangimi prodotti e commercializzati in Canada, in una quantità che superi le mille parti per milione, crea seri problemi agli animali monogastrici  [come l’uomo ndr], che non progrediscono nella crescita.” Sempre secondo il micologo pugliese, i limiti fissati per il deossinivalenolo dall’Unione Europea nel 2006 sono troppo elevati. Secondo Di Benedetto, il limite di 1750 μg/Kg è troppo elevato. Sarebbe stato fissato, infatti, “in seguito alle pressioni delle lobby”. Questa legislazione avrebbe portato a un paradosso: “Stranamente nell’Europa Unita tutto il grano duro che in Canada non si potrebbe utilizzare nemmeno per gli animali, si dà all’uomo”. Dello stesso parere Gianni Cantele, presidente della Coldiretti Puglia. Ma, spiega Di Benedetti, un mezzo per difendersi c’è. “Mezzo chilo di pasta non può costare 35-40 centesimi di euro. Se questo avviene, c’è qualche problema.” Secondo Di Benedetti, il DON provocherebbe innanzitutto un aumento della sensibilità al glutine; poi morbo di Crohn, Parkinson, autismo ed altre patologie autoimmuni.  Desta qualche sospetto il fatto che l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, non si sia ancora pronunciata a proposito della pericolosità del deossinivalenolo, pur avendo avviato tre anni fa un processo di ricerca sull’argomento, e pur a fronte di pareri autorevoli come quello del MIT e della FAO, oltre che di Granosalus. Due scienziati del MIT, Anthony Samsel e Stephanie Seneff, ce lo spiegano più chiaramente: “Quando una cellula sta cercando di formare le proteine, può afferrare il glifosato invece della glicina e formare una proteina danneggiata. Dopo di che  è il caos medico. Dove il glifosato sostituisce la glicina, la cellula non può più comportarsi come al solito, provocando conseguenze imprevedibili con molte malattie e disturbi conseguenti”. Come SLA, Alzheimer e autismo. Fino ad ora la ricerca si è concentrata sugli animali, in particolare sui suini. I sintomi più comuni sono nausea, vomito, – il DON è detto anche ‘vomitossina’ – diarrea, dolori addominali, mal di testa, vertigini e febbre, fino alla morte in concentrazioni particolarmente alte. Possibile alterazione delle funzioni cellulari attraverso l’inibizione della sintesi delle proteine. Da notare che i limiti di concentrazione del DON nella pasta sono riferiti ad un consumo annuo medio pro capite di circa 5 kg., mentre in Italia esso si aggira sui 23-25 kg, e, aggiungiamo noi, in particolari casi, molto più alto, con l’ingestione, quindi di quantità pericolose di deossinivalenolo.
 


 Perche’ il grano canadese ha bisogno di glifosato e altri pesticidi? come difenderci? Da anni ci dicono che il grano canadese è il migliore del mondo, e che ha un contenuto di glutine superiore ai grani duri italiani. Tutto vero. Ma dietro a tutto questo c’è l’uso spregiudicato che viene fatto della chimica, con il glifosato che altera il periodo di maturazione del grano. Esiste il retroscena di un inghippo internazionale – orchestrato dalle multinazionali – che anticipa il TTIP e punta a distruggere la nostra produzione di grano duro, pugliese, siciliano e in genere del sud Italia. Ma perché il grano canadese ha bisogno del glifosato? Il grano è una specie vegetale originaria del Medio Oriente. Di regola, si semina in autunno e si raccoglie in estate. In Canada, che è una nazione fredda, si semina in primavera e si raccoglie a fine estate-inizio autunno, per sfruttare il periodo meteorologicamente più favorevole. Una differenza fondamentale riguarda la raccolta: nei paesi caldi avviene a giugno inoltrato; nel Canada e nel nord degli USA, in autunno, spesso quando il freddo è già arrivato, quindi quando il grano ha difficoltà a maturare. All’arrivo delle prime piogge, poi, si sviluppano erbe infestanti che ostacolano la mietitrebbiatura. Ecco allora l’intervento del glifosato, un diserbante conosciuto come ‘seccatutto’, che, utilizzato circa 15 giorni prima della raccolta, ‘secca’ la spiga ancora verde, che contiene in quel momento un’alta concentrazione di sostanze nutritive, glutine compreso. Gli agricoltori canadesi spiegano che con questo procedimento accelerano la maturazione del grano, ma è una menzogna. Semplicemente con il glifosato/diserbante la spiga verde viene fatta seccare, e in questo procedimento non c’è nulla di naturale, ma solo tanti veleni, insieme ad una quantità certamente maggiore di glutine, che fa sì che la pasta ‘tenga’ meglio la cottura, ciò che piace ai produttori. In questo modo, il Chicago Board Trade, punto di riferimento mondiale del commercio agricolo, fa crollare il prezzo del grano duro, inducendo i nostri produttori ad abbandonare le colture – specialmente nel sud Italia – e magari a cedere i loro terreni agli speculatori. Il vantaggio è anche delle industrie chimiche che producono il glifosato, che lavorano in sinergia con le multinazionali che producono le sementi, magari OGM, e che così si appropriano del mercato italiano della pasta. Uno dei pretesti per l’importazione del grano canadese è che non abbiamo abbastanza produzione nazionale. Certo, se la nostra agricoltura deve subire attacchi di questo genere, alla fine non rimarrà più nulla. Se invece 600.000 ettari di seminativo abbandonati potessero continuare a produrre buon grano non avvelenato da pesticidi, e al prezzo giusto, senza concorrenze sleali, la nostra produzione sarebbe magari sufficiente. Certo non dovremmo ricorrere all’estero nella misura in cui facciamo oggi.

 
Diciamo che le aziende produttrici che attingono maggiormente all’importazione sono quelle che hanno un maggior bisogno di disponibilità di prodotto, cioè le grandi aziende pastiere che tutti conosciamo, e che sono già state in un recente passato oggetto di una specifica indagine da parte della rivista Altroconsumo. Non facciamo nomi, naturalmente, ma ognuno di noi può documentarsi, per evitare rischi e difendersi dall’attacco canadese, tenendo presente, come già spiegato, che se un pacco di pasta costa troppo poco, il suo contenuto è sospetto. Scegliere poi le piccole produzioni, quelle che magari dichiarano sulla confezione il tipo di grano utilizzato, ce ne sono tante. Dopo tutto spendere un po’ di più per un pacco di pasta non ci manderà in rovina, ma permetterà ai produttori onesti di andare avanti, commercializzando un prodotto genuino, e si sa che questo non paga mai in termini economici. Possiamo difenderci anche dal pane fatto con farina non ‘genuina’, in modo molto semplice: prendiamo due o tre fettine di pane, e le teniamo qualche giorno in un luogo asciutto. Se dopo tale periodo la fettina si secca, ed è bianca, la farina è buona. Altrimenti le fettine si copriranno di una muffa verdastra, segno della presenza di micotossine. Fate questa prova, e se positiva, avvertite il vostro panettiere. Qualcuno l’ha fatto, il panettiere ha cambiato farina, e ora il pane è buono. Nello stesso momento potremo colpire i consumi legati agli speculatori e agli ‘avvelenatori’, più o meno consapevoli. Oltre ad aiutare la nostra nazione Italia  a non soccombere ulteriormente di fronte ad una globalizzazione di rapina. Un piatto di pasta, un chilo di pane, una pizza fatta come si deve – può essere un bello slogan per una pizzeria che voglia diversificare il prodotto – sono la base della nostra cultura e della nostra alimentazione, la famosa ‘dieta mediterranea’ da tanti esaltata. Diciamo basta alla prepotenza delle multinazionali e di un’Europa che, diciamo la verità, tutti stavamo meglio senza. Tranne gli ‘avvelenatori’.

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Editoriali

Giornalismo, giornalettismo e giornalaismo: urge un fronte comune per arginare l’informazione pilotata

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Occorre tornare a suscitare opinione seriamente, a rimettere al centro le competenze e a spegnere e ignorare qualsiasi sensazionalismo

C’è l’urgenza e la necessità di fare fronte comune tra giornalisti seri e professionisti che credono nella deontologia professionale e dedicano il loro tempo agli approfondimenti e indagini per garantire il diritto all’informazione contro una malainformazione sempre più faziosa e sciatta.

Le trasmissioni tv “strillate” e costruite artatamente per portare avanti una propaganda o gogna mediatica contro il nemico di turno, i siti (soprattutto i locali territoriali) che si dedicano esclusivamente al copia e incolla al servizio del “padrone” di turno, i giornali pilotati dalla politica, la continua corsa spasmodica a caccia dello scoop stanno minando irreversibilmente una professione che va rimessa al centro con serietà e rigore prima che i lettori si ritrovino in una rete di pubblicità malsane e informazioni costruite che non rappresentano la realtà e non ricercano la verità sostanziale dei fatti.

Occorre tornare a suscitare opinione seriamente, a rimettere al centro le competenze e a spegnere e ignorare qualsiasi sensazionalismo. Ma vediamo di cosa stiamo parlando.

Nel panorama mediatico contemporaneo, la distinzione tra giornalismo, giornalettismo e giornalaismo diviene sempre più rilevante e complessa. Questi tre termini, pur avendo radici comuni, delineano sfaccettature diverse dell’informazione e della comunicazione, ognuna con le proprie caratteristiche e implicazioni.

Il giornalismo

Il giornalismo, nella sua forma più tradizionale, rappresenta l’attività professionale volta alla raccolta, alla verifica e alla diffusione di notizie attraverso mezzi di comunicazione di massa. Il giornalista, in questo contesto, opera secondo principi etici e professionali consolidati, come l’obiettività, l’imparzialità e l’accuratezza nella ricerca e nella presentazione delle informazioni. Il giornalismo tradizionale si basa su fonti verificate, ricerca approfondita e rispetto dei codici deontologici.

Il giornalismo è un pilastro fondamentale della democrazia e svolge un ruolo essenziale nel fornire informazioni accurate, analisi approfondite e dibattito pubblico. Questa professione si basa su principi etici e standard professionali volti a garantire l’obiettività, l’equilibrio e l’accuratezza nell’informare il pubblico.

Uno degli elementi chiave del giornalismo è la ricerca delle notizie. I giornalisti conducono indagini, intervistano fonti e raccolgono dati per fornire un quadro completo degli eventi e dei problemi che interessano la società. Questo processo richiede abilità come la capacità di ricerca, la curiosità intellettuale e la capacità di analizzare criticamente le informazioni.

Una volta raccolte le informazioni, i giornalisti devono verificarle accuratamente per assicurarsi che siano affidabili e veritiere. Questo processo di verifica coinvolge la conferma delle fonti, il controllo incrociato dei fatti e la ricerca di testimonianze multiple per confermare o confutare una storia. L’obiettivo è garantire che le informazioni fornite al pubblico siano il più possibile accurate e verificabili.

Oltre alla raccolta e alla verifica delle notizie, il giornalismo comprende anche la capacità di analizzare e interpretare gli eventi. I giornalisti forniscono contesto, prospettive e approfondimenti su questioni complesse, aiutando il pubblico a comprendere meglio il mondo che li circonda. Questo può includere reportage investigativi, reportage specializzati su argomenti come politica, economia, scienza e cultura, nonché l’analisi critica di eventi e tendenze.

Un altro aspetto cruciale del giornalismo è l’etica. I giornalisti devono operare secondo standard etici elevati, come l’onestà, l’integrità e il rispetto per la dignità umana. Questi principi guidano le decisioni editoriali, la gestione delle fonti e la presentazione delle notizie, contribuendo a mantenere la fiducia del pubblico nella professione giornalistica.

In un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti tecnologici e culturali, il giornalismo si sta evolvendo per adattarsi a nuove sfide e opportunità. Le piattaforme digitali e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui le notizie vengono create, diffuse e consumate, portando a nuove forme di giornalismo online, giornalismo partecipativo e giornalismo cittadino. Tuttavia, questi sviluppi presentano anche sfide come la diffusione di notizie false e la diminuzione delle entrate pubblicitarie per le organizzazioni giornalistiche tradizionali.

Il giornalismo copia e incolla

Esiste poi una forma di “giornalismo copia e incolla” consistente nella pratica giornalistica in cui i giornalisti o gli operatori dei media riproducono testi, informazioni o articoli da altre fonti senza apportare modifiche significative o senza verificarne l’attendibilità. Questa pratica può essere considerata una forma di plagio o una violazione dell’etica giornalistica, poiché non fornisce un valore aggiunto al pubblico e può diffondere informazioni errate o non verificate.

Il copia e incolla può avvenire per una serie di motivi, tra cui la mancanza di tempo o di risorse per condurre ricerche originali, la pressione per pubblicare rapidamente nuove notizie o la mancanza di rigore editoriale nel verificare le fonti e le informazioni. Tuttavia, questa pratica compromette l’integrità e la credibilità del giornalismo, minando la fiducia del pubblico nelle organizzazioni giornalistiche e nell’informazione in generale.

Per contrastare il giornalismo copia e incolla, è essenziale promuovere la responsabilità editoriale e l’etica giornalistica. I giornalisti devono essere incoraggiati a condurre ricerche originali, a verificare accuratamente le fonti e a fornire contesto e analisi alle notizie, anziché limitarsi a riprodurre informazioni senza critica. Le redazioni giornalistiche devono anche impegnarsi a stabilire procedure e standard rigorosi per garantire che le notizie pubblicate siano accurate, verificate e originali.

Nonostante le sfide, il giornalismo rimane un elemento essenziale della società democratica, svolgendo un ruolo critico nel garantire la trasparenza, la responsabilità e il dibattito pubblico. In un’epoca di crescente polarizzazione e disinformazione, il giornalismo di qualità è più importante che mai per garantire la salute e la vitalità della democrazia.

Il giornalettismo

Il giornalettismo è un termine utilizzato per descrivere una pratica giornalistica che si distingue per la sua superficialità, sensazionalismo e mancanza di rigore etico e professionale. Questo fenomeno si manifesta spesso attraverso la semplificazione e la drammatizzazione delle notizie, con un’enfasi sullo scandalo, sull’intrattenimento e sulla creazione di sensazioni forti piuttosto che sull’accuratezza e sulla completezza dell’informazione. Questa forma di comunicazione mediatica può essere spinta da interessi commerciali, politici o ideologici, sacrificando la completezza e l’accuratezza delle informazioni a favore dell’attrazione di pubblico e della generazione di click e visualizzazioni.

Una delle caratteristiche distintive del giornalettismo è il suo focus sulle notizie più spettacolari o sensazionali, a volte a discapito di questioni più rilevanti o complesse. Questo approccio può portare a una distorta percezione della realtà, in cui eventi minori o isolati vengono sovradimensionati mentre questioni cruciali vengono trascurate.

Il giornalettismo è spesso associato a una certa forma di giornalismo popolare, che cerca di attirare l’attenzione del pubblico attraverso titoli accattivanti, foto suggestive e articoli sensazionalistici. Questo tipo di giornalismo tende a privilegiare il lato emotivo delle storie piuttosto che la loro sostanza, incoraggiando una cultura di consumo veloce delle notizie piuttosto che una riflessione critica e approfondita.

Una conseguenza del giornalettismo è la perdita di fiducia nel giornalismo come istituzione e nel ruolo dei media come custodi dell’informazione pubblica. Quando le persone sono bombardate da notizie sensazionalistiche e spettacolari, possono diventare scettiche riguardo alla veridicità e all’attendibilità delle informazioni, alimentando la diffidenza nei confronti dei media e delle istituzioni democratiche in generale.

Il giornalettismo può anche avere implicazioni negative per il dibattito pubblico e il funzionamento della democrazia. Quando le notizie sono presentate in modo distorto o sensazionalistico, possono influenzare le opinioni e i comportamenti delle persone, portando a decisioni politiche o sociali basate su informazioni errate o parziali.

Per contrastare il giornalettismo e promuovere un giornalismo di qualità, è fondamentale sostenere e difendere il rispetto per i principi etici e professionali del giornalismo, come l’obiettività, l’imparzialità e l’accuratezza. Inoltre, i consumatori di notizie possono contribuire a contrastare il giornalettismo cercando fonti informative affidabili, valutando criticamente le notizie e cercando una varietà di punti di vista su un dato argomento.

Il giornalaismo

Infine, il giornalaismo rappresenta una nuova forma di produzione e diffusione di notizie che emerge dall’era digitale e dei social media. Caratterizzato dalla decentralizzazione della produzione e della distribuzione dell’informazione, il giornalaismo si basa spesso su fonti non tradizionali, come i social network, i blog e i forum online. Se da un lato questa democratizzazione dell’informazione ha contribuito a una maggiore diversità di voci e punti di vista, dall’altro ha anche sollevato preoccupazioni riguardo alla veridicità e all’affidabilità delle fonti, dato che spesso mancano i controlli e le verifiche tipiche del giornalismo tradizionale.

Il termine “giornalaismo” potrebbe essere una creazione linguistica che si riferisce a un’evoluzione o a una variante specifica del giornalismo, magari connotata da caratteristiche distintive rispetto alla pratica tradizionale del giornalismo.

Tuttavia, se intendiamo trattare questo termine come una fusione tra “giornalismo” e “alaismo”, potrebbe essere interessante esplorare come l’alaismo, in politica, si riferisce a un’ideologia o un movimento che cerca di seguire la dottrina o le politiche di un leader carismatico, adattandole o interpretandole a seconda delle circostanze o delle necessità del momento.

Quindi, se applichiamo questa concezione al giornalismo, potremmo ipotizzare che il “giornalaismo” sia una pratica giornalistica che segue o promuove le idee, le politiche o l’agenda di un individuo, di un gruppo o di un’ideologia specifica, piuttosto che aderire ai principi tradizionali di obiettività, imparzialità e verifica delle fonti.

In un contesto simile, il giornalaismo potrebbe essere caratterizzato da una marcata parzialità, sensazionalismo e mancanza di rigore nel fornire informazioni. Questo tipo di giornalismo potrebbe essere utilizzato per promuovere un’agenda politica o ideologica specifica, manipolando o distorcendo le informazioni per adattarle a una narrativa predefinita.

È importante sottolineare che, sebbene questa interpretazione del termine “giornalaismo” possa avere delle implicazioni negative, non rappresenta l’intera gamma di pratiche giornalistiche. Il giornalismo etico e professionale rimane fondamentale per garantire l’informazione accurata e la salvaguardia della democrazia.

La diffusione dei social media e delle piattaforme online ha inoltre alimentato la proliferazione di fenomeni quali le fake news, l’echo chamber e la polarizzazione dell’opinione pubblica. Questi sviluppi pongono nuove sfide per il giornalismo, che deve adattarsi a un ambiente mediatico sempre più frammentato e competitivo, senza compromettere l’integrità e l’attendibilità dell’informazione.

In conclusione, il giornalismo, il giornalettismo e il giornalaismo rappresentano tre approcci diversi alla comunicazione mediatica, ciascuno con le proprie caratteristiche e implicazioni. Mentre il giornalismo tradizionale cerca di garantire l’accuratezza e l’obiettività delle informazioni, il giornalettismo e il giornalaismo possono privilegiare sensazionalismo e semplificazione a scapito della qualità dell’informazione.

In un’era in cui la tecnologia e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui consumiamo e produciamo notizie, è essenziale riflettere sulle implicazioni di questi cambiamenti per il futuro del giornalismo e della democrazia.

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Editoriali

Da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni: 80 anni di percorso tra continuità e cambiamenti della destra italiana

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La politica italiana ha sempre ospitato una serie di correnti e movimenti, con la destra che ha attraversato varie fasi e trasformazioni nel corso del tempo. Da Giorgio Almirante, fondatore del Movimento Sociale Italiano (MSI), a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia (FdI), la destra italiana ha attraversato un percorso complesso, caratterizzato da cambiamenti ideologici, sociali e politici.

L’eredità di Giorgio Almirante e il Movimento Sociale Italiano (MSI)

Giorgio Almirante è stato una figura di spicco della destra italiana nel secondo dopoguerra. Come fondatore e leader del MSI, Almirante incarnava un nazionalismo conservatore e anti-comunista. Il MSI, nato nel 1946, era erede del Partito Fascista di Benito Mussolini e rappresentava un’ala estrema della politica italiana. Tuttavia, negli anni ’70 e ’80, sotto la guida di Almirante, il MSI cercò di rinnovare la sua immagine, cercando di allontanarsi dall’etichetta di “fascista” e di inserirsi nel panorama politico mainstream.

Il passaggio dall’MSI a Alleanza Nazionale

Negli anni ’90, con la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo, la destra italiana subì un cambiamento significativo. Nel 1995, il MSI si trasformò in Alleanza Nazionale (AN), sotto la leadership di Gianfranco Fini. Fini cercò di allontanare il partito dagli elementi più estremisti e fascisti, adottando una retorica più moderata e democratica. AN divenne parte integrante del sistema politico italiano, entrando a far parte di coalizioni di governo e accettando i principi della democrazia pluralista.

La rinascita della destra con Fratelli d’Italia

Tuttavia, il vento della destra italiana ha continuato a soffiare, e nel 2012 è stato fondato Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale (Fdl-AN), guidato da Giorgia Meloni, Gianni Alemanno e Ignazio La Russa. Il partito si è posizionato come l’erede ideologico dell’AN e ha abbracciato un nazionalismo conservatore e identitario. Meloni, in particolare, ha portato una ventata di freschezza alla destra italiana, attrattiva soprattutto per i giovani e per coloro che si sentono trascurati dalle élite politiche tradizionali.

L’ascesa di Giorgia Meloni e la nuova destra italiana

Giorgia Meloni, nata nel 1977, rappresenta una nuova generazione di leader della destra italiana. Con una retorica forte e decisa, Meloni ha saputo capitalizzare sul malcontento verso l’establishment politico e sulle preoccupazioni riguardanti l’immigrazione, la sicurezza e l’identità nazionale. Fratelli d’Italia ha ottenuto risultati significativi nelle elezioni politiche, consolidando la sua posizione come uno dei principali partiti di destra in Italia.

La destra italiana nel contesto europeo

Il percorso della destra italiana, da Almirante a Meloni, riflette anche le tendenze più ampie all’interno della destra europea. La crescente preoccupazione per l’immigrazione, l’identità nazionale e la sovranità statale ha alimentato la salita di partiti di destra in molti paesi europei. Tuttavia, ciascun paese ha le sue specificità e la sua storia politica unica, che influenzano il modo in cui la destra si presenta e agisce.

La Frammentazione della Destra Italiana: Un’Analisi Politica

La politica italiana è stata da sempre caratterizzata da una molteplicità di partiti e movimenti, ognuno con la propria ideologia e visione politica. Tra questi, la destra italiana non è stata immune dalla frammentazione, che ha avuto un impatto significativo sul paesaggio politico del Paese.

Origini della Frammentazione

Per comprendere appieno la frammentazione della destra italiana, è necessario analizzare le sue origini. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha visto la nascita di una serie di partiti politici di destra, che spaziavano dall’estrema destra nazionalista a movimenti conservatori più moderati.

Tuttavia, nel corso degli anni, la destra italiana ha subito numerose scissioni e divisioni interne, spesso dovute a conflitti personali, divergenze ideologiche e lotte di potere. Questi fattori hanno contribuito alla creazione di una serie di partiti e movimenti di destra, ognuno con il proprio leader carismatico e seguaci devoti.

Le Principali Fazioni

La frammentazione della destra italiana ha portato alla creazione di diverse fazioni e gruppi politici, ciascuno con le proprie caratteristiche e obiettivi. Tra i principali vi sono:

  1. Forza Italia: Fondato da Silvio Berlusconi nel 1994, Forza Italia è stato uno dei principali partiti di centro-destra in Italia per diversi decenni. Tuttavia, nel corso degli anni, il partito ha subito diverse scissioni e ha visto la nascita di nuove formazioni politiche.
  2. Lega Nord: Originariamente un movimento separatista del Nord Italia, la Lega Nord si è trasformata in un partito nazionale di destra sotto la leadership di Matteo Salvini. La Lega Nord è nota per le sue posizioni anti-immigrazione e euroscettiche.
  3. Fratelli d’Italia: Un partito di destra nazionalista fondato da Giorgia Meloni nel 2012, Fratelli d’Italia è diventato uno dei principali attori della destra italiana. Il partito si basa su un nazionalismo conservatore.
  4. Movimento Sociale Italiano (MSI): Originariamente un partito neofascista fondato nel dopoguerra, il MSI è stato successivamente trasformato in Alleanza Nazionale e infine assorbito da Forza Italia. Tuttavia, una parte dei suoi ex membri ha continuato a operare all’interno di movimenti di estrema destra.

Impatto sulla Politica Italiana

La frammentazione della destra italiana ha avuto un impatto significativo sulla politica del Paese. Innanzitutto, ha reso difficile per la destra italiana presentare un fronte unito e coeso, spesso conducendo a coalizioni fragili e instabili.

Inoltre, la frammentazione ha alimentato la polarizzazione politica in Italia, con i vari partiti di destra che competono per attirare l’elettorato con discorsi populisti e promesse di cambiamento. Questo ha contribuito a una maggiore instabilità politica e ha reso difficile per il Paese affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali.

Prospettive Future

Il futuro della destra italiana rimane incerto, con molte domande sulla sua capacità di unirsi e presentare un fronte coeso. Tuttavia, con l’aumento del nazionalismo e del populismo in Europa, è probabile che la destra italiana continui a giocare un ruolo significativo nella politica del Paese. In conclusione, la frammentazione della destra italiana è stata una caratteristica persistente della politica italiana, con profonde implicazioni per il Paese nel suo complesso. Mentre la politica italiana continua a evolversi, sarà interessante osservare come la destra italiana si adatterà e influenzerà il futuro del Paese.

Conclusioni

Il percorso della destra italiana da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni è stato caratterizzato da continuità e cambiamento. Mentre alcuni principi fondamentali, come il nazionalismo e il conservatorismo, sono rimasti costanti, il modo in cui questi principi sono stati interpretati e presentati è cambiato nel corso degli anni. Con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, la destra italiana si trova oggi in una fase di rinnovato vigore e ambizione, giocando un ruolo sempre più centrale nel panorama politico nazionale.

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Costume e Società

Famiglie allargate si o no?

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Le ricerche sociologiche, oggi, vedono un forte cambiamento nell’assetto familiare. Tale condizione ha origine sia da un mutamento nel concetto di genitorialità che nel ruolo della famiglia all’interno della società: cambiano le persone, si modificano le strutture familiari, mutano le coppie, si spostano gli interessi di ogni singolo individuo, passando dalla condivisione all’individualizzazione.

Molti aspetti legati alla natura psicologica del singolo soggetto subiscono un cambio repentino: si pensa più a sé stessi che agli altri. In questo scenario, siamo di fronte a molte trasformazioni che vanno ad incidere, inevitabilmente, sulla composizione della famiglia stessa.

Quello che cambia oggi rispetto a circa 50 anni fa è legato alle cause della nascita delle nuove famiglie “allargate”, “ricomposte” o “ricostituite. Mentre un tempo le famiglie ricostituite si formavano dopo la morte di un coniuge, dagli anni ‘70, invece, con la possibilità anche in Italia di ricorrere a separazione e divorzio, si sono verificati cambiamenti sociali e culturali che hanno portato ad una nuova struttura di queste famiglie.

Le famiglie “allargate”, ovvero le famiglie composte da due partners che hanno vissuto l’esperienza della fine di un precedente matrimonio, da cui almeno uno ha avuto figli che attualmente vivono con loro, hanno la caratteristica di avere confini più labili e incerti rispetto alla famiglia “tradizionale”, sia in termini biologici che legali. I processi relazionali sono sicuramente più complessi, sia nella comprensione che nella gestione, sono flessibili e hanno un inizio e un’evoluzione molto rapida.

Le famiglie ricostituite sono state definite “cespugli genealogici”, per la loro ampia estensione orizzontale anziché verticale. Mentre alcuni studiosi non appoggiano totalmente questi cambiamenti, altri fanno fronte alle nuove forme familiari che non possono essere ignorate, ma devono essere comprese e sostenute.

Le famiglie ricostituite vivono la crisi di chi, con storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, deve trovare dei compromessi per affrontare insieme nuove situazioni.
Gli studi affermano che i precedenti rapporti coniugali e la loro chiusura siano stati rielaborati, con una buona definizione delle attuali relazioni e con confini chiari, in modo che i partner possano iniziare un nuovo rapporto senza rancori passati. È importante che i figli non abbiano un atteggiamento oppositivo verso il nuovo partner, sperando in una riappacificazione tra i suoi genitori. Questo sarà direttamente proporzionale ai livelli di chiarezza e definizione raggiunti.

L’età dei figli è importante: i bambini in età prescolare potrebbero manifestare regressioni, nascondendo il desiderio di farsi accudire. Per i ragazzi la necessità di conferme da parte del genitore biologico potrebbe invece lasciare il posto alla rabbia verso il genitore acquisito, soprattutto nella fase adolescenziale, all’interno della quale avviene il processo di costruzione della loro identità e questo totale mutamento potrebbe essere percepito come un ostacolo.
In questa fase, per i figli, il formarsi di una famiglia allargata, sancisce definitivamente la fine della relazione tra i genitori biologici, e spesso questo può portare alla paura inconscia che affezionandosi al genitore acquisito, in qualche modo si “tradisca” quello biologico. La causa che ne consegue è che ciò potrebbe portare i figli ad allearsi con quest’ultimo e sviluppare un senso di protezione morboso.

In ogni caso la genitorialità è ancora più difficile poiché i genitori dovranno imparare a gestire eventuali conflitti e gelosie tra i fratelli acquisiti. Nelle famiglie allargate è opportuno costruire nuove identità familiari, nuove stabilità ed equilibri.
A tale proposito, non si può dare una risposta definitiva alla domanda “Le famiglie allargate sì o no?”, poiché essendo in continua espansione necessitano di sostegno e di supporto. Sicuramente nelle famiglie ricostituite possono innescarsi situazioni particolari, ma dare una “valutazione” negativa o positiva non è certo il modo migliore per andare verso un processo di accettazione.

Di concerto, le famiglie ricostituite possono racchiudere al loro interno grandi risorse ed elementi di ricchezza per tutti i componenti, i quali si troveranno a contatto con abitudini, tradizioni, modelli e storie diverse dalle proprie.

Tutto questo, se integrato con nuovi “ingredienti” e abitudini comuni diviene un elemento fondamentale per la crescita e il benessere di tutti, portando alla costruzione di nuovi equilibri.

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