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Esteri

HILLARY CLINTON VINCE IN NEVADA, TRUMP IN SOUTH CAROLINA

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Tempo di lettura 3 minuti Lascia invece l'ex governatore della Florida Jeb Bush, dopo un risultato deludente sotto il 10%

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Red. Politica

Usa – Sarà una guerra all'ultimo voto tra lady Clinton e il grande contestatore affatto simpatico a Papa Francesco. Nonostante la 'scomunica' del Papa per il muro contro gli immigrati, il magnate Donald Trump vince nettamente con oltre il 30% le primarie in South Carolina dopo il successo in New Hampshire, confermandosi il front runner da battere nella corsa per la nomination alla Casa Bianca. Lascia invece l'ex governatore della Florida Jeb Bush, dopo un risultato deludente sotto il 10%: ora i suoi voti potrebbero confluire sul giovane senatore Marco Rubio, suo ex delfino, che al 99% dei voti scrutinati supera di un soffio il collega ultra conservatore Ted Cruz in un testa a testa (22,5% a 22,3%) che comunque lo accredita come candidato dell'establishment del partito in funzione anti Trump. Sul fronte democratico, specularmente, e' Hillary Clinton a consolidare la leadership mettendo a segno nei caucus del Nevada una importante vittoria (52,6% a 47,3%, con l'88,5% dei voti scrutinati) dopo la pesante battuta d'arresto inflittale dallo sfidante da sinistra Bernie Sanders.

In Sud Carolina i primi exit poll e le prime proiezioni avevano visto il vulcanico candidato anti establishment volare subito intorno al 35%, sopra gli ultimi sondaggi, con un ampio margine di vantaggio – intorno ai 12-13 punti – sugli immediati inseguitori. Un trionfo confermato anche dallo scrutinio ormai quasi ultimato: 32,5%. Pur dicendosi soddisfatto del risultato, Cruz vede pero' allontanarsi la possibilita' di essere l'alternativa 'religiosa' al piu' laico Trump come candidato anti establishment, mentre Rubio diventa l'unica carta dei vertici del partito per contrastare il tycoon. Non a caso negli ultimi giorni ha collezionato il maggior numero di endorsement dai dirigenti Gop, sfruttando in particolare l''effetto Haley', la dinamica ed emergente governatrice repubblicana del Sud Carolina che ha fatto campagna per lui e che potrebbe correre in ticket per la vice presidenza. "Ora la corsa e' a tre, ma la nomination la vincero' io", ha assicurato cominciando a corteggiare gli elettori di Bush e a proporsi come campione di una nuova generazione di conservatori pronta a guidare l'America nel XXI secolo. Se Jeb si ritira dopo un magro 7,8%, il governatore dell'Ohio John Kasich, fermo a 7,6%, intende proseguire, come pure il chirurgo in pensione Ben Carson, ultimo con 7,2%. Le primarie del Sud Carolina restano dominate dal ciclone Trump, che sembra essersi addirittura avvantaggiato dallo scontro con il pontefice in uno Stato dove i cattolici sono una minoranza e dominano i fondamentalisti protestanti (evangelici), decisamente ostili a questo Papa progressista e timorosi dell'ingerenza Vaticana, come ai tempi del primo candidato cattolico per la Casa Bianca, John Kennedy. Tanto che dopo la vittoria ha rilanciato la sfida, promettendo che il muro ci sara' e sara' anche piu' alto e sara' il Messico a pagare per costruirlo. "E mi prendero' anche i voti di Bush", ha assicurato comparendo davanti ai suoi fan insieme alla moglie e alla figlia. Il miliardario continua a raccogliere migliaia di fan ai suoi raduni e a "bucare" sui media con le sue bordate provocatorie, coagulando la rabbia e la frustrazione dell'elettorato repubblicano. Anche oggi ne ha lanciate due delle sue. Prima contro Obama per non aver partecipato ai funerali del giudice ultra conservatore della corte suprema Antonin Scalia: "mi chiedo se avrebbe partecipato se fossero stati in una moschea", ha twittato, facendo riferimento alla recente, prima visita del presidente in una moschea americana. Poi contro l'Islam, quando ha raccontato che il leggendario generale Usa John Pershing avrebbe fermato gli attacchi dei musulmani nelle Filippine all'inizio del Novecento sparando contro di loro proiettili immersi nel sangue dei maiali, animale che i musulmani e altri gruppi religiosi considerano impuri

Esteri

Scontri al confine Israeliano-Libanese: Hezbollah lancia razzi, Croce Rossa sotto attacco e rischio escalation

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Razzi lanciati da Hezbollah, violenze sui soccorritori e tentativi di infiltrazione militare respinti

L’escalation del conflitto tra Israele e Gaza ha visto un’ulteriore aggravamento nelle ultime ore, coinvolgendo anche la frontiera tra Israele e Libano. Hezbollah, il gruppo libanese sostenuto dall’Iran, ha rivendicato il lancio di razzi contro le truppe israeliane nel villaggio di Maroun al-Ras, vicino al confine tra i due paesi. Gli scontri tra Hezbollah e le forze israeliane si sono intensificati, con il gruppo libanese che ha dichiarato di aver combattuto contro soldati israeliani che cercavano di infiltrarsi vicino a un altro villaggio di confine.

Contemporaneamente, Israele ha annunciato di aver intercettato cinque razzi provenienti dal Libano, lanciati verso diverse regioni settentrionali tra cui l’Alta Galilea e la Baia di Haifa. Le forze israeliane hanno risposto agli attacchi, intensificando i bombardamenti nell’area.

La Croce Rossa libanese ha inoltre denunciato un grave incidente avvenuto nel sud del Libano, dove alcuni dei suoi soccorritori sono stati feriti durante un attacco a una casa bombardata due volte. La squadra era stata inviata in coordinamento con le Nazioni Unite per cercare di soccorrere le vittime, ma è stata colpita durante il raid, causando feriti tra i paramedici e danni a due ambulanze.

Hezbollah ha rivendicato diversi attacchi contro le forze israeliane nelle ultime 24 ore, affermando di aver fatto esplodere ordigni esplosivi contro i soldati israeliani nei pressi del villaggio di Ramia. I combattimenti sono durati circa un’ora, e il gruppo ha segnalato attacchi sia in Libano che all’interno del confine israeliano.

Parallelamente, le tensioni internazionali continuano a crescere. L’Iran e Hezbollah hanno smentito qualsiasi coinvolgimento diretto nell’attacco di Hamas del 7 ottobre, negando le accuse avanzate da documenti segreti israeliani. La missione iraniana presso le Nazioni Unite ha respinto le notizie che suggeriscono un coordinamento con Hamas per l’attacco, mentre Hezbollah ha ribadito di non essere a conoscenza dell’operazione.

Nel frattempo, emergono nuove rivelazioni sui piani di Hamas, secondo documenti sequestrati dall’esercito israeliano. Anni prima dell’attacco del 7 ottobre, Hamas avrebbe pianificato un’azione molto più devastante, simile all’11 settembre, con l’abbattimento di grattacieli a Tel Aviv e l’uso di attacchi coordinati da terra, mare e aria.

La situazione rimane estremamente volatile, con il rischio di un ulteriore allargamento del conflitto.

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Ambiente

Uragano Milton: la Florida di fronte alla peggior tempesta in 100 anni

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DeSantis: “Decidete ora per salvare voi stessi e le vostre famiglie”

L’uragano Milton potrebbe essere il più devastante a colpire la Florida nell’ultimo secolo. Il presidente Joe Biden ha avvertito che l’uragano potrebbe avere effetti “catastrofici”, chiedendo ai cittadini di rispettare gli ordini di evacuazione. Più di un milione di persone sono già state invitate a lasciare le loro case.

Il governatore della Florida, Ron DeSantis, ha esortato i residenti a prendere decisioni immediate per garantire la propria sicurezza. Milton, inizialmente di categoria 5, è stato declassato a categoria 4, ma resta estremamente pericoloso.

Il Centro nazionale uragani (NHC) prevede che l’uragano toccherà terra mercoledì sera, lasciando poche ore per l’evacuazione. Le strade sono congestionate, con traffico intenso e code ai distributori di benzina. L’urgenza è alta.

Il presidente Biden, per gestire meglio la crisi, ha posticipato il suo viaggio in Germania e Angola. Ha anche dichiarato lo stato d’emergenza per facilitare l’invio di aiuti federali alla Florida.

Incalza il bilancio dell’uragano Helene

Nel frattempo, il sud-est degli Stati Uniti è già devastato dall’uragano Helene, che ha causato almeno 232 vittime, un bilancio che potrebbe ulteriormente crescere. Milton, che segue Helene a breve distanza, aggrava la situazione rendendo le operazioni di soccorso ancora più critiche.

Gli sforzi di preparazione e soccorso sono in pieno svolgimento, con l’obiettivo di limitare il più possibile le perdite e i danni.

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Esteri

Israele e Iran: rischio di escalation verso una guerra nucleare e nuove tensioni globali

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Israele valuta l’opzione militare contro l’Iran: rischio di coinvolgimento globale nel conflitto

L’attacco missilistico subito da Israele nei giorni scorsi ha suscitato una forte reazione da parte del governo israeliano, che ha già fatto sapere che prenderà le misure necessarie per proteggere la propria sicurezza nazionale. Storicamente, Israele ha dimostrato di non tollerare minacce dirette da parte dell’Iran, suo acerrimo rivale nella regione, e potrebbe optare per una risposta militare calibrata, come raid aerei contro infrastrutture strategiche iraniane, impianti nucleari o basi militari.

Possibili scenari di escalation

Un attacco di Israele all’Iran potrebbe scatenare diverse reazioni a catena:

  1. Risposta diretta dell’Iran: Se Israele colpisse l’Iran, Teheran potrebbe rispondere con attacchi missilistici o cyberattacchi contro infrastrutture civili o militari israeliane. L’Iran potrebbe anche attivare le sue milizie alleate, come Hezbollah in Libano o gruppi in Siria e Iraq, per intensificare la pressione su Israele attraverso attacchi via terra o missilistici.
  2. Conflitto regionale: Una rappresaglia iraniana potrebbe far precipitare l’intera regione mediorientale in una guerra su più fronti. Paesi come la Siria e l’Iraq, dove l’Iran ha una forte influenza, potrebbero diventare teatri di guerra. Hezbollah, che ha una forte presenza nel Libano meridionale, potrebbe lanciare migliaia di razzi contro Israele, come accaduto nel conflitto del 2006.
  3. Intervento internazionale: Un conflitto aperto tra Israele e Iran coinvolgerebbe inevitabilmente le grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti, storicamente alleati di Israele, potrebbero decidere di intervenire militarmente in sostegno di Tel Aviv, mentre Russia e Cina, con rapporti stretti con l’Iran, potrebbero schierarsi diplomaticamente e, in casi estremi, militarmente con Teheran. In questo contesto, la già fragile situazione geopolitica derivante dal conflitto tra Russia e Ucraina verrebbe ulteriormente aggravata, aumentando il rischio di un conflitto mondiale.

L’intervento delle grandi potenze potrebbe innescare un’escalation pericolosa. Il conflitto tra Russia e Ucraina, con il coinvolgimento indiretto della NATO, ha già portato il mondo in una fase di alta tensione. L’apertura di un nuovo fronte di guerra in Medio Oriente potrebbe creare le condizioni per una crisi internazionale su vasta scala, specialmente se coinvolgesse simultaneamente più potenze nucleari.

Un’escalation regionale tra Israele e Iran potrebbe trasformarsi in una crisi globale se altri attori statali, come la Turchia, la Russia o anche paesi europei, dovessero intervenire. Il rischio più grande è che una guerra convenzionale possa degenerare in un conflitto nucleare, data la potenza di fuoco disponibile sia a Israele sia agli Stati Uniti, e l’incertezza sul programma nucleare iraniano.

“Non tollereremo atti di aggressione contro il nostro territorio. – Ha affermato Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele – L’Iran è il maggiore sponsor del terrorismo mondiale, e agiremo per garantire la sicurezza dei nostri cittadini.”

Hossein Salami, comandante delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane, ha dichiarato: “Israele pagherà un prezzo pesante per ogni aggressione. Le nostre capacità difensive e di risposta sono pronte a neutralizzare ogni minaccia.”

Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha ribadito: “Sosteniamo il diritto di Israele a difendersi, ma invitiamo alla moderazione e al dialogo per evitare un’escalation irreversibile.”

Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha avvertito: “Un attacco contro l’Iran destabilizzerebbe ulteriormente la regione e avrebbe conseguenze imprevedibili per l’intero ordine mondiale.”

L’incertezza e il rischio di un conflitto aperto sono palpabili, e la situazione tra Israele e Iran rimane uno dei nodi più delicati della geopolitica internazionale. La diplomazia sarà cruciale per evitare che le tensioni sfocino in una guerra regionale con ripercussioni globali. Tuttavia, la storia recente ha mostrato che, senza una forte volontà politica per il dialogo, il rischio di un’escalation è sempre presente.

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