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Editoriali

I nuovi rifugiati: "Aiutateci se potete"

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Tempo di lettura 4 minuti "C'è chi la vergogna, e non solo in questi casi, non sa proprio dove abita"

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di Roberto Ragone
“Sono italiano, con una figlia invalida, senza casa ne’ lavoro. aiutateci, se potete”. Questa la scritta su di un cartello che un signore molto dignitoso esibiva al di fuori di un supermercato. Ne abbiamo parlato, ipotizzato, favoleggiato come un paradosso, anche se in televisione – unica mangiatoia di tutti gli italiani – sono apparsi alcuni casi di persone bisognose. La storia non ci racconta cosa ne sia successo dopo che le lucette rosse delle telecamere si sono spente. Di sicuro nelle case grande commozione, negli studi molti applausi, audience sostanziosa, in qualche caso offerte di lavoro e di aiuto in tempo reale, che poi non si sa se siano andate a buon fine. Siamo abituati al nero che ti apostrofa per la strada, con uno zaino in spalla pesante di calze da quattro un soldo, e che ti chiede, extrema ratio, un euro per un panino; e, diciamoci la verità, questa sfacciataggine ci disturba, e allunghiamo il passo per toglierci in fretta da quella presenza. Come siamo abituati a quello che, pur avendo in un canto uno zaino pieno di oggetti vari, ti chiede il carrello, per prendere la moneta che garantisce che lo stesso venga riposizionato. Tutte presenze che oramai abbiamo metabolizzato, e alle quali siamo avvezzi. Come siamo abituati ai cartelli pietosi scritti in finto italiano scorretto da parte di mendicanti professionisti che invadono le grandi città; e di questi ormai conosciamo vita e miracoli, sappiamo che vengono da oltre cortina, che fanno capo ad organizzazioni mafiose e che la sera devono rendere conto di quanto hanno raccolto. Anche da costoro cerchiamo di svicolare. Ma una scena come quella che stiamo per raccontare non ci si era mai presentata: all'esterno del supermarket, il migliore della zona – forse pensando che i suoi clienti siano più facoltosi e quindi disposti a una maggiore generosità, mentre è l'esatto contrario – non vicino all'ingresso, ma dieci metri più in là, fermo piantato in piedi come quelle figure assurde che chiedono l'elemosina tinte di argento o d’oro  in pieno centro di Roma, ma molto normale, un signore con un cartello sul petto, scritto in italiano corretto: "Sono italiano, con una figlia disabile, senza casa nè lavoro. Aiutatemi SE POTETE." Subito salta agli occhi il contrasto fra chi ti tampina cercando di impietosirti e la figura, dignitosa, di chi da lontano ti lancia un messaggio di aiuto, rinunciando, per quanto necessario, al suo orgoglio, mettendo subito una condizione, SE POTETE. Riconoscendo che non tutti possono aiutare tutti. C'è chi si toglie la vita, e c'è chi cerca una soluzione nonostante tutto, soprattutto se ha una responsabilità come una figlia disabile. Ne abbiamo favoleggiato, dicevo poc'anzi, e si avverato: i mendicanti siamo diventati noi Italiani, a fronte di assistenze senza freno a chi invece italiano non è, e viene da lontano. Al di là delle speculazioni che hanno colpito le organizzazioni cosiddette 'assistenziali'  finanziate dallo Stato o dall'Europa, ci fa male vedere come i 'migranti' si comportano quando sono qui. E non parliamo dei neri che vengono in estate per vendere le loro merci, e che fanno capo a organizzazioni commerciali – l'evasione fiscale delle quali è tutta da verificare. Mi sono accertato che quel signore fosse effettivamente ciò che dichiarava di essere, dopodichè ho contribuito con quanto avevo in tasca. In un attimo ho pensato alla mia casa, modesta, dopo quarant'anni e più di lavoro, alla pensione vergognosa a fronte dei versamenti; al mio gatto, che ha una busta di croccantini da due chili tutti i mesi e una cuccia comoda, e non mi sono vergognato. Non sono io che mi devo vergognare. Purtroppo chi dovrebbe vergognarsi non ci pensa neanche. Dopo il governo cinico, più che tecnico, di Monti, teso a mettere sul lastrico tutta la nazione; dopo il timido accenno di Enrico Letta, fucilato con una pacca sulla spalla perchè indeciso; dopo le alzate d'ingegno del governo Renzi, che – non perdendo la sana abitudine di Pinocchio – dichiara che il 23 di dicembre la Salerno -Reggio Calabria sarà interamente percorribile, mentre sa benissimo che il tratto agibile è stato 'bonificato' di numerosi cantieri e tagliato nel percorso, diventando, al massimo, una Salerno-Cosenza; dopo tutto questo, posso ben dire che chi dovrebbe vergognarsi è impegnato in tutt'altre faccende, figuriamo pensare agli Italiani indigenti, pur sapendo che sei milioni e passa dei nostri compatrioti sono in miseria totale. Poi penso alla Boldrini e alle sue dichiarazioni, chiedendomi anche se sia consentito ad una figura super partes come la sua di fare politica e tenere comizi, enunciando principi sociali assolutamente personali. Cara signora Laura Boldrini, lei che vuole sostituire gli Italiani con gente purchessia venuta da dovunque perchè dice che gli italiani non fanno più figli, – metteteli in condizioni di mantenerli e vedrete –  anche lei potrebbe essere leggermente toccata da un sano senso di vergogna quando le dovesse capitare di vedere queste cose. Oppure gioirebbe, nel constatare che 'finalmente' anche gli Italiani hanno acquisito la cultura che viene da lontano, sui barconi? Nel vedere che oggi a chiedere l'elemosina non sono più i popoli di colore, ma i nostri vicini di casa? E' questa la cultura che lei si adopera per diffondere? Oggi tutta quella gente – bisognosa, degna di ogni affetto e rispetto, senza dubbio, che fugge dalla guerra e dalla miseria – non chiede più l'elemosina, perchè decine di organizzazioni vere o false no-profit se ne prendono cura, quindi loro sono a posto. Bisognerà, a questo punto, visto che il bisogno di sopravvivere si è spostato, crearne di nuove, che si prendano cura dei nostri amici, parenti, vicini di casa. No, non sono io , non siamo noi che ci dobbiamo vergognare. Ma c'è chi la vergogna, e non solo in questi casi, non sa proprio dove abita.

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Castelli Romani

Frascati: 8 settembre 1943, il giorno del dolore e della rinascita

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Esistono giorni che non solo diventano parte della Storia ma portano dentro di sé ricordi, emozioni e purtroppo anche lutti ed antiche paure.
L’ 8 settembre per noi che siamo nati a Frascati e per tutti quelli che vivono la bellezza di questa città questo giorno è nel contempo triste ma la riprova della forza piena che vive dentro Frascati.
Fu una ferita insanabile quell’8 settembre del 1943 quando alle 12,08 una pioggia di bombe dilaniò la città provocando la morte di centinaia di persone.

piazza San Pietro dilaniata dalle bombe

Ma la voglia di rinascere, la voglia di ricominciare, la voglia di spazzare via i dolori di una guerra rinacque proprio in quel giorno.
Credo che Frascati debba onorare di più questo ricorrenza affinché non diventi e resti la solita passerella di commiato.
Deve divenire vera “giornata della memoria della Città”.
Bisogna far si che l’8 settembre rappresenti per tutti il giorno si del dolore ma anche il giorno in cui Frascati ed i frascatani ritrovarono la forza di risorgere dalle sue ceneri come “araba fenice”.
Ho voluto riportare nella copertina di questo mio pensiero il quadro di un grande frascatano, Guglielmo Corazza, memoria vivente di quel giorno.
Quei colori e quelle immagini debbono divenire il monito a tutti noi degli orrori della guerra, della stupidità della guerra.
Perché Frascati pagò con il sangue dei suoi figli e delle sue figlie e questo non deve più accadere in nessuna altra parte del mondo.

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Editoriali

Affaire Sangiuliano: dimissioni e polemiche, il governo Meloni nella bufera

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Giustino D’Uva (Movimento Sociale Fiamma Tricolore): “Evidente è il declino inevitabile di quest’Esecutivo, destinato a finire sempre peggio, tra siparietti tragicomici e rinnegamenti indebiti”

L’affaire Sangiuliano ha scosso il governo Meloni, provocando la prima defezione tra i suoi ministri. Gennaro Sangiuliano, alla guida del Ministero della Cultura, ha rassegnato le dimissioni a seguito delle polemiche sorte attorno a una presunta relazione extraconiugale con Maria Rosaria Boccia, che ha generato una serie di accuse riguardanti l’uso improprio di fondi pubblici e l’accesso a documenti riservati.

L’ex direttore del Tg2, dopo ore di polemiche e smentite, ha deciso di farsi da parte, spiegando in una lettera a Giorgia Meloni la sua scelta di lasciare per non “macchiare il lavoro svolto” e per proteggere la sua onorabilità. Nonostante le assicurazioni fornite a più riprese dallo stesso Sangiuliano, secondo cui nessun denaro pubblico sarebbe stato speso per la consulenza di Boccia, la pressione mediatica e politica è diventata insostenibile.

Le reazioni della maggioranza: una difesa d’ufficio

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso solidarietà nei confronti di Sangiuliano, definendolo un “uomo capace e onesto”, sottolineando i successi ottenuti in quasi due anni di mandato. In particolare, Meloni ha ricordato i risultati raggiunti nella promozione del patrimonio culturale italiano, come l’aumento dei visitatori nei musei e l’iscrizione della Via Appia Antica tra i patrimoni dell’UNESCO. Tuttavia, anche la premier non ha potuto evitare di accettare le “dimissioni irrevocabili” di Sangiuliano.

Alessandro Giuli, presidente della Fondazione MAXXI, è stato rapidamente nominato come nuovo ministro della Cultura, suggellando una transizione-lampo che, secondo alcune voci, era già in preparazione da tempo. Giuli, una figura vicina alla destra romana e storicamente legato a Meloni, rappresenta un tentativo di dare stabilità al ministero, ma la scelta non ha fermato le critiche, né ha dissipato le ombre sul governo.

L’opposizione attacca: “Il governo Meloni è allo sbando”

Le reazioni dell’opposizione non si sono fatte attendere. Il Partito Democratico ha definito l’affaire come un altro esempio di un esecutivo privo di coerenza e in preda a scandali interni. Elly Schlein, segretaria del PD, ha parlato di un “governo ossessionato dalla propria immagine” e ha criticato la gestione del caso: “Il problema non è solo il gossip, ma l’incapacità di affrontare le questioni in modo trasparente e senza proteggere chi si trova in difficoltà”.

Dal Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte ha affermato che “questo episodio mostra come la maggioranza sia più attenta alle proprie dinamiche interne che ai reali problemi del Paese”, accusando la premier di “non aver saputo tenere sotto controllo i suoi ministri” e di “anteporre le proprie relazioni personali agli interessi istituzionali”.

Il commento più severo è arrivato da Giustino D’Uva, esponente del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, che ha lanciato un duro attacco al governo: “Indipendentemente dalle eventuali implicazioni giudiziarie ed etiche, l’affaire di Sangiuliano e Boccia è indice del pressapochismo che connota pressoché tutta la compagine governativa. Il governo Meloni è un’accozzaglia di buontemponi e incompetenti, per i quali il gossip costituisce il massimo impegno politico. Ciò che è evidente è il declino inevitabile di quest’Esecutivo, destinato a finire sempre peggio, tra siparietti tragicomici e rinnegamenti indebiti”.

Il rischio di un effetto domino

L’affaire Sangiuliano mette a nudo fragilità interne e potrebbe avere ripercussioni più ampie di quanto non appaia a prima vista. I partiti di opposizione sono pronti a capitalizzare su questo caso per sottolineare le divisioni e la mancanza di trasparenza dell’esecutivo. Alcuni osservatori politici temono che questo possa essere solo il primo di una serie di scossoni che potrebbero minare la stabilità del governo.

Il futuro di Giorgia Meloni e della sua squadra dipenderà dalla capacità di gestire questo e altri potenziali scandali che potrebbero emergere. Ma l’episodio dimostra come il confine tra gossip e politica possa diventare estremamente sottile, e quanto questo possa essere dannoso per la credibilità di un governo, soprattutto se non si affrontano con chiarezza e decisione le situazioni critiche.

In definitiva, il caso Sangiuliano non è solo un episodio personale, ma il simbolo di un esecutivo che sembra sempre più vulnerabile alle proprie contraddizioni interne, in un contesto politico che richiede, invece, risposte concrete e unitarie.

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Editoriali

Come ristorarsi dopo le fatiche quotidiane

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La pedagogia del benessere si occupa delle persone in contesti si salute psico-fisica. Ognuno di noi dopo una giornata di lavoro, commissioni, studio necessita di uno o più momenti di ristoro.


n questi termini si può parlare di pedagogia del benessere sia fisico che mentale.
La pedagogia del benessere è un ramo della pedagogia tradizionale che si occupa, mediante alcune tecniche, di far star bene le persone.

In che senso la pedagogia del benessere parla di ristoro?

Ebbene sì, il pedagogista o lo psicologo non ricevono i clienti nello loro studio e non c’è un rapporto duale, ma il benessere lo si ritrova insieme ad altri soggetti, all’interno di un gruppo, facendo passeggiate, yoga o mindfulness.
Nell’ultimo decennio è nato un forte interesse per queste nuove pratiche fisiche, ma anche mentali.

Lo stare bene insieme ad altri, durante una passeggiata o in una seduta di mindfulness, giova non solo al gruppo, ma soprattutto all’individuo nella sua singolarità. Le strategie individuate dalla pedagogia del benessere sono, in Italia, molto utilizzate; basta pensare ai corsi di yoga o di mindfulness. Quest’ultimi vengono svolti sia nelle palestre, ma anche all’aperto (es. dopo che è piovuto) poiché l’ambiente esterno, l’aria o il venticello sono condizioni di rilassamento.
L’obiettivo della pedagogia del benessere è anche scaricare lo stress quotidiano ed evitare disturbi psicotici quali l’ansia o la depressione. A favore di questo obiettivo è utile sia la palestra per allenare il corpo, ma anche una palestra per esercitare la mente.

La salute mentale è fondamentale per affrontare la vita e le fatiche di tutti i giorni; pertanto “avere il vizio” di utilizzare tecniche di “tonificazione della mente” è sicuramente un’abitudine sana. La pedagogia del benessere professa anche obiettivi di tipo alimentare per promuovere, non tanto il fisico filiforme quanto la salute fisica intesa come consapevolezza di quanti grassi, proteine e zuccheri dobbiamo assumere in una giornata.

Il benessere del corpo è proporzionale a quello della mente e viceversa. Il prendersi cura di noi stessi aiuta a prevenire difficoltà future e soprattutto a vivere esperienze positive. Da sempre lo slogan “prevenire è meglio che curare” è uno degli scopi della pedagogia del benessere.
Non tutti seguono questi consigli, perciò sarebbe opportuno dare un’architettura decisiva alla figura del pedagogista del benessere senza confonderlo con un personal trainer o un nutrizionista. È opportuno parlare di più di questo tipo di pedagogia per promuovere la conoscenza.

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