Connect with us

Editoriali

Il caso Blu Banca e le ombre sulla Popolare del Lazio: l’odor di marcio arriva dall’alto

Published

on

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti

L’inchiesta che punta il dito oltre le scrivanie periferiche

In una settimana carica di rivelazioni e smentite, finalmente anche la grande stampa nazionale ha acceso i riflettori su una vicenda che noi de L’Osservatore d’Italia seguiamo in solitaria ormai da anni, anche se non riguardo il caso specifico: il caso Blu Banca, filiale di Grottaferrata, e le pesanti ombre che si allungano sui vertici della Banca Popolare del Lazio. Un’indagine giudiziaria che, secondo molte fonti, rischia di scardinare non solo le gerarchie interne di un istituto bancario, ma anche un intero sistema di connivenze e silenzi durato troppo a lungo.

Una vicenda che parte dal basso? Poco credibile!

Secondo la ricostruzione dell’inchiesta della Procura, capitanata dal PM Lorenzo Del Giudice, l’origine della maxi-operazione da oltre 100 milioni di euro si troverebbe negli uffici periferici della filiale Blu Banca di Grottaferrata. Ma in molti, tra cui giornalisti d’inchiesta e osservatori di lungo corso, mettono in dubbio che una manovra di tale portata – equivalente agli utili decennali dell’intera Banca Popolare del Lazio – possa essere stata messa in atto senza il benestare, o quantomeno la consapevolezza, dei vertici. Davvero difficile da immaginare.

Difficile credere che figure interne come l’Amministratore Delegato, da anni uomo forte dell’istituto, potessero ignorare simili movimentazioni. L’alternativa sarebbe l’incompetenza di chi siede ai vertici decisionali. Una tesi che appare poco credibile a chi conosce i meccanismi interni di questo mondo: difficile che un semplice cassiere di altri tempi, come Fabrizio Giallatini, oggi vice direttore generale, sia improvvisamente diventato mente di una strategia finanziaria così sofisticata, capace di aggirare controlli interni e normative antiriciclaggio.

La curiosità

Fabrizio Giallattini dal Luglio 1989 fino a Dicembre 1992 ha ricoperto il ruolo di addetto ai fidi presso la filiale di via XX Settembre di quella che era la Banca Carimonte. Stessa filiale che all’epoca era diretta dal Ragioniere Massimo Lucidi oggi AD di Popolare del Lazio. La filiale all’epoca passò alle cronache per la gestione dei così detti fondi neri dei servizi segreti.

Questo l’articolo del 25 gennaio 2019 dove abbiamo scritto della questione fondi neri

Cliccare per ascoltare le audizioni tenutesi a maggio del 1994 dell’attuale AD di Popolare del Lazio nel corso del processo per i fondi neri

I nomi, le dinamiche, i dubbi

Tra gli indagati figurano anche Debora Savina (direttrice della filiale), il vice Domenico Mauro (giovane promessa locale, noto per i legami familiari con la politica cittadina), Antonio Baccari (responsabile dell’area Sud), Ettore Bossoli (referente antiriciclaggio), Flavio Ciccarelli (gestore corporate), e Carla Perrini, figura chiave nella gestione delle segnalazioni sospette.

Il loro coinvolgimento nella presunta complicità con Mirko Pellegrini – imprenditore arrestato insieme al fratello per reati che vanno dalla turbativa d’asta al riciclaggio – apre scenari inquietanti. Pellegrini avrebbe gestito oltre 200 conti e 33 depositi presso la filiale di Grottaferrata, usufruendo di una rete fiduciaria ben radicata nella banca. Rapporti diretti, personali e consolidati, che avrebbero permesso il passaggio e la fittizia intestazione di somme milionarie a prestanome, senza che alcuna segnalazione venisse inoltrata.

Il dubbio resta sempre lo stesso: davvero una manciata di impiegati, per quanto collocati in posizioni strategiche, avrebbe potuto agire con tale autonomia e disinvoltura? 

Il precedente: la truffa dei gratta e vinci

Non è la prima volta che l’istituto finisce nel mirino. In passato, la filiale di Velletri fu coinvolta nella cosiddetta “Truffa dei Gratta e Vinci”, una maxi operazione che vide la movimentazione sospetta di ingenti somme derivate da frodi sui biglietti della lotteria. Anche in quell’occasione, le operazioni avvennero sotto l’egida della Popolare del Lazio e ancora una volta il sistema parve scaricare responsabilità sui livelli più bassi della gerarchia. Dipendenti trasferiti o spinti a cambiare istituto, silenzi imbarazzati e una vigilanza – quella di Banca d’Italia – che, come spesso accade, non arrivò mai a colpire realmente in alto.

Il meccanismo sembra ripetersi: figure deboli, spesso giovani o inesperte, sarebbero scelte proprio perché facilmente influenzabili o troppo ingenue per opporsi a dinamiche più grandi di loro. Nel frattempo, tutto il resto rimane al proprio posto.

Il movente: una domanda chiave

Seguendo la logica suggerita dal giudice Giovanni Falcone – “Segui i soldi” – ci si chiede: chi ha guadagnato da queste operazioni? Perché una banca di medie dimensioni dovrebbe esporsi a un rischio così grande? È difficile pensare che il tutto sia avvenuto in cambio di qualche favore sociale o vacanza di lusso. È legittimo ipotizzare che parte consistente di quei 100 milioni, o almeno dei primi 5 milioni movimentati, sia servita a oliare gli ingranaggi del sistema.

Senza il supporto consapevole della banca – o di alcuni suoi dirigenti – Mirko Pellegrini e la sua rete non avrebbero potuto mettere in piedi un’operazione così articolata, né ottenere gli appalti miliardari di cui oggi si parla: manutenzione stradale, Ryder’s Cup, Giubileo, opere Anas, fino alla cittadella giudiziaria.

La reazione del territorio e la presidentessa

Intanto, a Velletri e nei territori storicamente legati alla Banca Popolare del Lazio, cresce il malcontento. L’istituto, un tempo fiore all’occhiello dell’economia locale, è precipitato al 17° posto nella classifica regionale, superato anche da realtà più piccole come le banche di Fondi e del Cassinate. Le azioni, ormai svalutate, non trovano più acquirenti. I soci, spesso anziani risparmiatori con capitali personali importanti, restano silenziosi ma indignati.

Ne abbiamo parlato tanto. Nel corso delle nostre inchieste, abbiamo svelato anche il meccanismo oscuro che lega Ampla, CoopCredit e la Banca Popolare del Lazio.

Ampla, con 80% di proprietà di Angela Ghirga (moglie del fratello dell’attuale AD), emetteva fatture per consulenze apparentemente legittime a favore di CoopCredit, quest’ultima incaricata di gestire le pratiche di garanzia Ismea per la Banca Popolare del Lazio. I pagamenti transitavano quindi verso Ampla, di fatto remunerando una società riconducibile, indirettamente, all’amministratore delegato – un evidente conflitto d’interessi e una potenziale via di riciclaggio.

Il Dossier su AMPLA Srl – Cliccare sull’immagine per leggere

Ora un altro scandalo

Si attende una presa di posizione netta da parte di Sabrina Morelli, presidente dell’istituto, figura pubblica nota anche per il prestigio familiare. In molti si chiedono se avrà la forza di prendere le distanze dai poteri interni, prima di esserne travolta. C’è chi spera che almeno lei voglia onorare quella cultura della trasparenza e del servizio pubblico di cui la famiglia si è fatta vanto. Intanto, si vocifera di una “gola profonda” interna al Consiglio d’Amministrazione che sta fornendo dettagli cruciali agli inquirenti, mentre più di una cordata sarebbe già pronta a subentrare agli attuali vertici.

In attesa della verità

La domanda resta sospesa: i vertici della Banca Popolare del Lazio sono semplicemente sordi e ciechi, o sono parte attiva di un ingranaggio più grande, di cui hanno il compito di garantire il silenzioso funzionamento? Il sospetto che siano anche loro pedine consapevoli, se non manovratori, è oggi più vivo che mai.

L’interrogatorio “preventivo” dei dirigenti indagati, avvenuto venerdì scorso davanti al GIP, potrebbe segnare una svolta. Il giudice dovrà decidere se interdirli temporaneamente dai loro incarichi. Una decisione è attesa a breve.

Nel frattempo, cittadini, risparmiatori e osservatori attendono. E, come gli squali quando sentono il sangue, anche la giustizia pare iniziare a girare intorno alla preda. Sperando che questa volta, l’attacco non si fermi ai pesci piccoli.