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Cronaca

Incontro ravvicinato con il fuggiasco

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Tempo di lettura 4 minuti Igor è ancora nella bassa padana

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Di Andrea Barbi

E' diventato ormai una specie di leggenda, un racconto dell'orrore che si diffonde con il passaparola, il canale più antico, ma ancora il più efficace per diffusione di notizie, vere e false. Ma si tratta della realtà. Il fantasma che nessuno riesce a vedere, il mostro che spunta dai cespugli e uccide a sangue freddo, senza pietà, esiste davvero e da ormai un mese tutti lo cercano in quelle terre paludose al confine tra l'Emilia e la Romagna, a ridosso delle province di Bologna, Ferrara e Ravenna. Proprio nelle province in cui ha lasciato 3 morti sul suo cammino, un cammino di criminale che si è interrotto soltanto durante gli anni di reclusione nel carcere “dell'arginone” di Ferrara. Parliamo di Norbert Feher alias Igor Vaclavic, l'uomo braccato da 1200 soldati scelti tra i migliori reparti d'Italia con l'ausilio di cani molecolari, droni, elicotteri, mezzi anfibi e ogni tipo veicolo in dotazione alle forze dell'ordine e alla protezione civile nazionale. Si è detto di tutto su questo personaggio misterioso e inafferrabile, crudele e astuto, ma poche sono le certezze sul suo oscuro passato. Si sa che è un cittadino serbo di etnia ungherese, nato nella regione autonoma della Voivodina nel 1977, sa parlare fluentemente almeno 6 lingue, tra cui cinese e russo oltre alle sue 2 lingue madri: il serbo e l'ungherese. E' in Italia da almeno 15 anni, dove ha iniziato la sua carriera criminale nel 2007 (data del suo primo fermo da parte delle forze dell'ordine). Veniva inizialmente chiamato il ladro ninja per il suo modus operanti; entrava infatti di notte in cascine isolate della campagna ferrarese e rodigina, intrufolandosi dalle finestre del primo piano, direttamente nelle camere da letto di anziani contadini che derubava minacciandoli armato di armi e frecce. Poi una escalation di furti in cui adottò durante i quali adottò armi bianche, in particolare grossi coltelli e machete. Fino al suo arresto nel 2010 quando i carabinieri della compagnia di Rovigo lo acciuffarono mentre si nascondeva sul fondo di un canale in aperta campagna; proprio così, era completamente immerso nell'acqua di un corso d'acqua artificiale e respirava grazie ad una canna di bambù che si era infilato in bocca. Dopo cinque anni di reclusione passati da detenuto modello, con la falsa identità di Igor Vaclavic, soldato russo dissertore, è stato rilasciato nel 2015 e da allora nonostante il decreto di espulsione a suo carico, è tornato a delinquere nelle sue zone di adozione, in quella bassa padana che hai tempi dello Stato Pontificio era conosciuta per essere frequentata da bande di briganti e contrabbandieri. Ma questa volta ha scelto le armi da fuoco per i suoi crimini, armi che ha rubato a cacciatori e vigilantes. Dopo giorni di ricerche serrate, falsi allarmi e blitz degni di operazioni antiterrorismo, in uno scenario inverosimile di una tranquilla campagna emiliana trasformata in un campo di battaglia per il numero di militati con equipaggiamento da guerra che la scandagliano giorno e notte, quando ormai l'opinione pubblica era convinta che l'assassino non fosse più li e iniziavano ad alzarsi le prime voci di sdegno per il fallimento di un'operazione di ricerca così costosa e fallimentare un nuovo avvistamento, credibile, avvenuto venerdì sera, ma di cui si è confermata la notizia solo oggi per non creare allarmismi tra la popolazione, conferma l'ipotesi che gli investigatori siano sulla pista giusta. Norbert Feher si trova ancora in zona. A trovarsero di fronte è stato un ragazzo pakistano nelle campagne di Consandolo, tra le province di Ferrara e Ravenna, al quale il fuggiasco ha tentato di rubare la bicicletta.

È uscito all’improvviso da dietro un cespuglio, brandendo un bastone. Così un ciclista pakistano si è trovato di fronte un uomo lacero, vestito con cappello e tuta mimetica, con capelli lunghi e barba incolta, smagrito e dagli occhi febbricitanti e incavati.

Stava percorrendo in bici una ciclabile fra Marmorta e Consandolo, in piena zona rossa, e in un primo momento ha pensato a un maldestro tentativo di rapina, tant’è che gli ha offerto il portafoglio e il cellulare. Poi però l’uomo è tornato nella fitta boscaglia che circonda lo sterrato che porta al fiume Reno e il pakistano è scappato, pedalando a tutta forza.

l ciclista ha capito subito di essersi imbattuto nell'uomo più ricercato d'Italia e ha chiamato i carabinieri. Portato in caserma a Molinella, è stato sentito dal pm Marco Forte in persona. Gli sono state sottoposte delle foto segnaletiche e non ha avuto dubbi: «Era Igor, lo riconosco dalla foto. Non ho dubbi, era lui, solo più magro e con la barba lunga. Voleva la mia bici. Mi pareva in condizioni precarie, forse stava male».

A quel punto sono scattate le ricerche da parte delle forze speciali che hanno rastrellato l’area e le case circostanti. «Erano armati di fucile – racconta un testimone –. Non abito più qui da qualche anno, ci torno soltanto alcuni fine settimana. I soldati hanno messo a soqquadro la casa, controllato anche i garage e l’orto. Ma Igor non c’era e chissà dov’è andato».

Gli inquirenti ritengono credibile la testimonianza. Potrebbe in effetti essere stato Feher ad avvicinare il pakistano, anche se di solito non si comporta così, preferendo semmai rubare oggetti incustoditi. Ma forse le sue condizioni sono al limite, a causa di fame e stanchezza, ed è costretto a correre dei rischi.

E’ proprio quello che sperano i carabinieri e la Procura, dopo un mese di caccia infruttuosa. Sperano in un passo falso dettato dalla forte pressione a cui il fuggiasco è sottoposto. Ovvio che il pakistano potrebbe anche essersi sbagliato, visto che in zona ci sono parecchi sbandati. Però la coincidenza sarebbe strana. Mentre la terza possibilità, ovvero che lo straniero si sia inventato tutto di sana pianta, secondo gli inquirenti non avrebbe alcuna motivazione.

Nel frattempo, i blitz continuano incessanti e approdano anche fuori dalla zona rossa. Secondo le tracce fiutate dai cani molecolari, Feher-Igor nei giorni scorsi avrebbe usato l'argine del Canale della Botte per arrivare al ponte Bailey, a Baricella, e da qui ha continuato sul canale Savena Abbandonato ad Altedo di Malalbergo. In questa zona ancora inesplorata i carabinieri hanno perciò organizzato i posti di blocco: dopo aver perquisito le auto, hanno invitato tutti a tornare in fretta a casa. Al setaccio soprattutto station wagon, furgoni e camion. Purtroppo del serbo non c’era alcuna traccia. I controlli si sono poi allargati a un un piccolo santuario lì vicino. Ma è stato tutto inutile, Del fantasma non c'è traccia, non ancora.

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Cronaca

Ponzano Romano, “caso del canile lager”: il GIP archivia il procedimento verso il titolare

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Il GIP di Rieti ha archiviato la vicenda che ha visto il titolare di un castello del 1200 con diversi ettari di tenuta a Ponzano Romano finire indagato per il reato previsto dall’articolo 727 del Codice Penale, ovvero di “abbandono di animali”

Una vicenda iniziata due anni fa quando venne diramata la notizia del sequestro di un “canile lager” con 110 husky maltrattati. Il titolare, un uomo di 45 anni, finì quindi indagato per maltrattamento di animali.

Vista la richiesta di archiviazione depositata dal PM – si legge sul decreto di archiviazione – ritenuto, conformemente a quanto sostenuto dal PM, che non è possibile sostenere l’accusa in dibattimento, in quanto: lo stato in cui si trovavano gli animali al momento del controllo non è imputabile al comportamento dell’indagato momentaneamente assente per motivi di salute.

Il 45enne, infatti, al momento del controllo si trovava ricoverato, già da una settimana, al policlinico.

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Kata, la bambina scomparsa a Firenze: gli inquirenti tornano nell’albergo

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Tre mesi dopo la scomparsa della piccola Kata, le indagini sono ripartite dalle immagini di alcune telecamere di videosorveglianza nei pressi dell’hotel Astor di Firenze. Le ricerche della bimba di 5 anni scomparsa dall’ex albergo occupato continuano da mesi e in queste settimane si sono aperte diverse piste che potrebbero portare alla bambina. Stando a quanto reso noto, infatti, si erano aperte due piste che portavano gli inquirenti all’estero: la piccola Kata potrebbe essere stata rapita “per errore” da alcune persone che volevano vendicarsi dell’ex compagna di un narcotrafficante che fino a pochi anni fa viveva in Italia.

La donna ha infatti una bimba della stessa età di Kata e dopo l’arresto dello spacciatore peruviano, poi rimpatriato, si sarebbe trasferita con la sua piccola nell’ex albergo occupato, lì dove la minore scomparsa viveva con la famiglia. A rendere nota per la prima volta la possibilità di un rapimento avvenuto “per errore” sarebbe stato il nonno della bimba che dal Perù avrebbe detto ai familiari di essere pronto a “occuparsi lui del caso”. 

Gli inquirenti tornano nell’albergo degli orrori. In diretta da Firenze lo racconta “Chi l’ha visto?” nella nuova puntata di questa sera mercoledì 20 settembre con Federica Sciarelli questa sera in diretta.

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Cagliari, smantellata un’associazione a delinquere dedita allo sfruttamento del lavoro nero

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Gli stranieri venivano reclutati dal CAS e portati in diverse aziende agricole e nei vigneti di note cantine della provincia

All’alba di oggi, la Polizia di Stato ha smantellato una presunta associazione a delinquere che reclutava i cittadini stranieri ospiti del Centro di Accoglienza Straordinaria di Monastir (CA), per farli lavorare in nero in alcune aziende agricole della provincia.

La Squadra Mobile di Cagliari ha eseguito cinque fermi di indiziato di delitto a carico di altrettanti cittadini pakistani, dimoranti a Cagliari, tutti con permesso di soggiorno in Italia, indagati per aver costituito e organizzato un’associazione a delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro nero, con violazione dei contratti nazionali e delle norme sulla sicurezza del lavoro.

Un altro cittadino pakistano, che avrebbe fatto da autista per l’organizzazione, è stato indagato in stato di libertà quale partecipe dell’associazione a delinquere.

I fermati, ogni mattina, prelevavano dal C.A.S. gli stranieri e li portavano a lavorare in alcune aziende agricole della provincia, che li sfruttavano dando loro una paga di 5 euro l’ora. A volte i lavoratori dovevano provvedere anche a procurarsi il cibo per la  giornata.

Sono 12 i titolari di aziende agricole e cantine indagati in stato di libertà perché avrebbero utilizzato manodopera, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno.

Nell’operazione sono stati impegnati complessivamente 60 uomini della Squadra Mobile, del Reparto Prevenzione Crimine di Abbasanta e del Reparto Mobile di Cagliari.

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