INFEZIONI DA “CLOSTRIDIUM DIFFICILE”: INDAGINE EPIDEMIOLOGICA METTE IN GUARDIA DAI RISCHI

di Cinzia Marchegiani

Il "Clostridium difficile" è un batterio isolato in numerose specie animali. Studi epidemiologici hanno evidenziato una sostanziale identità fra questi ceppi e quelli isolati dall’uomo. Le infezioni umane da "Clostridium difficile" sono storicamente considerate una patologia ospedaliera che causa diarrea, dolori addominali o, nei casi più gravi, febbre e dissenteria.


Negli ultimi anni tuttavia si è assistito ad un cambiamento drastico nell’epidemiologia di quest’infezione: il numero di casi e il tasso di mortalità hanno registrato un deciso incremento anche al di fuori dell’ambiente ospedaliero, interessando così soggetti prima considerati non a rischio, come giovani e donne in gravidanza.

Ipotesi causa. Una delle possibili ragioni di questo cambiamento potrebbe derivare da una maggiore esposizione a "Clostridium difficile" attraverso il contatto con animali portatori ed eliminatori del patogeno, oltre che con il consumo di alimenti di origine animale contaminati. Il batterio è stato infatti isolato in numerose specie animali, sia da reddito che d’affezione, e studi di epidemiologia molecolare hanno evidenziato una sostanziale identità fra questi ceppi e quelli isolati dall’uomo.

La trasmissione animale-uomo. Gli animali da compagnia, in particolar modo il cane, possono rappresentare un serio fattore di rischio soprattutto per alcune categorie di persone, come anziani e immunodepressi. In presenza di individui portatori ed eliminatori di C. difficile, infatti, vi può essere una persistente contaminazione ambientale, grazie alla capacità di C.difficile di produrre spore che possono poi essere ingerite dall’uomo, creando così le condizioni per la comparsa dell’infezione ed eventualmente della malattia.

L’ipotesi di trasmissione animale-uomo necessitava però di ulteriori approfondimenti, in particolare per definire il possibile ruolo di vettori degli animali d’affezione, anche alla luce della diffusione di pratiche di pet therapy. Vivendo a stretto contatto con l’uomo e condividendone gli spazi, gli animali da compagnia, in particolar modo il cane, possono rappresentare un serio fattore di rischio soprattutto per alcune categorie di persone, come anziani e immunodepressi.

Ricerca epidemiologica grazie alla ricerca IZSVe. Alla luce di questo scenario la sezione territoriale di Treviso dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha svolto un’indagine sull’epidemiologia di Clostridium difficile mediante caratterizzazione fenotipica e molecolare di isolati di cane e uomo, per ottenere indicazioni preliminari sulla possibile trasmissione del patogeno dal cane all’uomo, inclusi ceppi resistenti agli antimicrobici 

Il progetto RC13/10 di ricerca dell’IZSVe si è sviluppato su più fronti, proponendosi di:

• costruire una collezione di ceppi di C.difficile isolati dal cane, mediante prelievi effettuati presso canili pubblici o privati, o presso ambulatori e cliniche veterinarie della Regione del Veneto e da cani utilizzati per pet therapy
• costruire una collezione di ceppi di C.difficile isolati da campioni umani e raccolti dai reparti di microbiologia degli ospedali della Regione Veneto e risultati positivi per C.difficile
• caratterizzare fenotipicamente (valutando la sensibilità agli antimicrobici) e geneticamente (definendo le caratteristiche molecolari e la capacità di produrre tossine) i ceppi di C.difficile isolati nel corso della ricerca.
Durante il progetto sono stati raccolti 143 campioni fecali umani, già risultati positivi nei laboratori ospedalieri per C.difficile, e 996 di cane, dai quali sono stati isolati in totale 226 ceppi di C.difficile: 133 dell’uomo e 93 del cane.

I risultati. La prevalenza del batterio nel cane è risultata pari al 9,3%. In particolare il batterio è stato isolato dal 31% dei campioni provenienti da soggetti diarroici e soltanto dal 5,4% dei cani che al momento del prelievo non presentavano sintomatologia enterica.

Ribotipi. Nell’uomo sono stati evidenziati 15 diversi ribotipi (RT), con una netta prevalenza del RT-018 (53,2%) e del RT-014/020 (20,2%). Nel cane sono stati invece identificati 8 diversi ribotipi: il più frequente RT-010 (55,9%), atossigeno, seguito dal RT-014/020(29%), produttore invece di tossine. Quest’ultimo risulta quindi comunemente isolato sia nell’uomo sia nel cane, e in Europa rappresenta il ribotipo più frequentemente associato alle infezioni umane.
Infine il 70% dei ceppi isolati dal cane è risultato atossigeno, e quindi non in grado di indurre malattia nei soggetti portatori.
Resistenza agli antimicrobici. È stata poi valutata la sensibilità per alcuni antimicrobici utilizzati in medicina umana per la terapia delle infezioni da C.difficile: clindamicina, moxifloxacina, metronidazolo e vancomicina. Le analisi dei ceppi isolati dal cane hanno messo in evidenza un’elevata percentuale di ceppi resistenti alla clindamicina (46,24%) e al metronidazolo (29%), mentre solo un ridotto numero di ceppi (6,4%) si è dimostrato resistente alla moxifloxacina.
La maggior parte dei ceppi resistenti appartengono al RT-010. Il metronidazolo rappresenta per l’uomo l’antibiotico d’elezione per la terapia delle infezioni da C.difficile da lievi a moderate. Nonostante il meccanismo di resistenza non sia ancora chiaro, la diffusione di questi ceppi merita sicuramente attenzione per la possibile trasferibilità della resistenza a ceppi patogeni di C.difficile.

Conclusione della ricerca. Dai risultati è emerso che il cane può essere portatore di "Clostridium difficile" e c’è una parziale sovrapposizione dei ceppi tossigeni di "Clostridium difficile" isolati dall’uomo e dal cane. Questi risultati evidenziano quindi la possibilità che il cane possa trasmettere all’uomo ceppi tossigeni di "Clostridium difficile". Gli isolati dal cane sono inoltre caratterizzati da elevati livelli di resistenza a clindamicina e metronidazolo, i principali antimicrobici usati nella terapia delle infezioni umane da C.difficile.
L'importanza degli screening come salvavita. Visto lo stretto contatto che spesso c’è tra il cane e l’uomo, è dunque auspicabile sottoporre a screening gli animali che potrebbero entrare in contatto con soggetti a rischio, quali individui immunodepressi e anziani, al fine di prevenire l’insorgenza di infezioni che in questa tipologia di pazienti potrebbero dare origine a patologia (colite pseudomembranosa) caratterizzata da un decorso particolarmente severo e spesso fatale.