ISIS: ANCORA FOLLIA DISTRUTTRICE


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Jihadi John chiede scusa alla sua famiglia. In un messaggio inviato dalla Siria,Mohammed Emwazi, il boia dell'Isis, ha fatto sapere di essere dispiaciuto per "i problemi e i guai che la rivelazione della sua identità hanno causato" a genitori e parenti.

 

di Chiara Rai

Dopo Nimrud e Hatra, gli uomini dell'Isis hanno distrutto e saccheggiato l'antica città assira di Dur Sarrukin, l'odierna Khorsabad, fondata nel 717 a.C.. La follia distruttrice dei jihadisti si è abbattuta questa volta contro il sito archeologico che ospita un'antica capitale dell'impero assiro, a circa 20 km a nord-est di Mosul, in Iraq. A lanciare l'allarme è stato il ministro delle Antichità e del Turismo iracheno Adel Shirshab precisando che le autorità stanno verificando le notizie che provengono dal nord del Paese, in base alle quali i miliziani avrebbero già distrutto diverse statue e danneggiato seriamente la città che fu fondata dal re Sargon II. "Il mondo deve fermare le atrocità che i miliziani stanno compiendo altrimenti i gruppi terroristi andranno avanti", ha allertato Shirshab.

Solo qualche settimana fa – con la motivazione che offendevano l'Islam – i miliziani del Califfo al Baghdadi avevano trafugato e distrutto oggetti di inestimabile valore conservati nel museo di Mosul. Poi con una colonna di bulldozer si era accanita contro Nimrud, la biblica Calah, un altro sito assiro. Lo scempio è poi proseguito a Hatra, città del III secolo a.C. inserita nella lista dei siti patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Orrore e sconcerto è stato espresso a livello internazionale contro la 'guerra santa' che il Califfato sta portando avanti. Due giorni fa il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, aveva parlato di "crimine di guerra". Khorsabad (il cui nome significa "Fortezza di Sargon") fu edificata in sette anni, ma mai completata. Dopo la morte del suo ideatore, nel 705, ad appena un anno di distanza dall'inaugurazione, la città venne abbandonata dal suo successore Sennacherib, che portò la capitale di nuovo a Ninive. Tuttavia nella sua incompletezza Khorsabad mostra chiaramente le concezioni urbanistiche dei suoi costruttori: regolarità, simmetria e viabilità. La città presenta infatti una pianta quadrata. Tre delle sette porte dello spesso muro di cinta, presentano una decorazione monumentale, mentre le altre sono più semplici. Intanto, mentre continua l'offensiva delle forze irachene per cercare di strappare all'Isis la strategica area di Tikrit, un'ennesima ondata di attentati ha colpito ieri l'area di Baghdad con almeno 11 morti e 24 feriti. Funzionari di polizia hanno precisato che una prima autobomba è esplosa in un parcheggio a Mahmoudiya e 30 km a sud della capitale irachena uccidendo tre persone e ferendone altre 15. Poco dopo un altro ordigno è esploso in una strada commerciale a Husseiniyah, come altre tre vittime. E in due ulteriori attentati, avvenuti rispettivamente a sud e a est della capitale, ancora cinque persone hanno perso la vita.

Banki – Moon esorta ad agire con urgenza.
Il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, si è detto "oltraggiato dalla continua distruzione del patrimonio culturale in Iraq" da parte dello Stato islamico e ha invitato "urgentemente la comunità internazionale a porre fine rapidamente a un'attività terroristica tanto efferata e a contrastare il traffico illegale di reperti". È quanto riferisce il suo portavoce. "Il segretario generale ribadisce che la distruzione deliberata del nostro patrimonio culturale costituisce un crimine di guerra e che i responsabili devono risponderne davanti alla giustizia", aggiunge. Ieri si è saputo che i militanti dello Stato islamico hanno distrutto un altro sito archeologico in Iraq, quello dell'antica capitale assira di 'Dur-Sharrukin', vicino all'attuale Khorsabad, 15 chilometri a nordest di Mossul.

Il 27 febbraio i jihadisti avevano diffuso un video in cui si vedevano i militanti che distruggevano statue nel museo di Mossul, definite dei "falsi idoli". Poi il 5 marzo avevano distrutto con le ruspe i resti della città assira di Nimrud, 30 chilometri a sudest di Mossul, e il 7 marzo era giunta la notizia della distruzione del sito di Hatra patrimonio dell'Unesco dal 1987, circa 110 chilometri a sudovest di Mossul. Inoltre, prima di questi episodi, gli estremisti dell'Isis avevano distrutto molti templi antichi, santuari, chiese e preziosi manoscritti nella città di Mossul e in diverse altre zone.

Decapitazioni shock in Libia.
L'orrore delle decapitazioni dell'Isis ha colpito di nuovo la Libia ricordando la minaccia che incombe sul paese, fragilissimo perchè ancora spaccato in due nonostante difficili negoziati di riconciliazione in corso fra Tobruk e Tripoli. Mentre l'onda lunga della destabilizzazione jihadista torna a proiettarsi anche nel vicino Mali dove un attacco, il secondo in due giorni, ha preso oggi di mira una base dell'Onu facendo almeno tre morti.

A essere decapitate sono state otto delle 11 guardie uccise venerdì scorso in un attacco portato dai miliziani del 'califfato' contro il campo petrolifero libico di Al Ghani, a sud di Sirte e dell'omonimo golfo. Informazioni sull'efferatezza del raid erano già circolate, ma ora si è appreso che otto teste sono state consegnate a un ospedale della zona e una macabra foto circola su Twitter. Il ministero degli Esteri di Vienna, dicastero coinvolto perché nell'attacco sono stati rapiti nove dipendenti stranieri dell'impianto tra cui un austriaco di 39 anni e un altro europeo (un ceco), ha precisato che ad attaccare sono stati elementi affiliati dello Stato islamico di Sirte noti per aver decapitato i 21 copti sui quali fu diffuso un video a metà del mese scorso. Nonostante le informazioni restino controverse, fonti libiche confermano che Sirte – come da tempo il 'califfato' di Derna – è ormai in mano allo Stato islamico.

L'attacco, ultimo di una serie che ha preso di mira almeno quattro campi petroliferi nel frattempo riconquistati dalle forze che fanno capo a Tripoli (almeno secondo dichiarazioni di un loro portavoce), non è stato in ogni caso rivendicato. E senza firma resta per ora anche la scarica di oltre 30 razzi e bombe di mortaio che hanno colpito una base dell'Onu a Kidal, nel nord-est del Mali, dove sono morti un Casco blu e due bambini. Il gruppo qaedista "Ansar Dine" aveva rivendicato un attacco simile compiuto nel settembre scorso contro soldati delle Nazioni unite nella stessa città, a circa 1.500 km dalla capitale Bamako. Ma soprattutto un gruppo formato dal capo jihadista algerino Moktar Belmoktar si è ascritto la paternità della raffica di colpi che un uomo a volto coperto ha sparato sabato in un bar-ristorante di Bamako uccidendo cinque persone tra cui un francese e un belga: attentato che sarebbe una vendetta per l'uccisione di un altro leader fondamentalista islamico in un raid franco-maliano (la Francia a inizio 2013 guidò l'intervento militari contro i jihadisti che avevano occupato parte del nord-est del Paese per imporvi la sharia).

Eventi che confermano come la minaccia non sia ancora debellata in Mali.
Mentre imperversa ormai da mesi ad opera dell'Isis in vaste aree della Libia del dopo-Gheddafi: da Derna, sulla costa est, fino a Sirte. Il pericolo sta spingendo le due principali fazioni rivali libiche – il governo riconosciuto internazionalmente, ma riparato a Tobruk, e quello sostenuto da milizie islamiche a Tripoli – a negoziare un accordo di unità nazionale sotto l'egida dell'Onu, con colloqui itineranti che da giovedì a sabato sembrano aver fatto passi avanti nei pressi di Rabat, in Marocco. Il nuovo appuntamento è per mercoledì, ma i media libici segnalano un certo nervosismo fra i delegati 'laici' di Tobruk e tra le forze che fanno capo al generale Haftar, a dispetto delle parole di ottimismo riecheggiate ieri dal tavolo delle trattative. E riferiscono di scontri avvenuti ancora sabato attorno alla base aerea di Brak, dopo che l'Onu aveva avvertito come violazioni dell'attuale cessate il fuoco fossero destinate a rappresentare una "minaccia molto seria" per il negoziato.

Violenti scontri, Baghdad invia rinforzi a Tikrit.
L'esercito iracheno ha inviato rinforzi a Tikrit, 140 chilometri a nord-ovest di Baghdad, dove da giorni sta conducendo una dura battaglia per riconquistare la citta' sunnita, che diede i natali a Saddam Hussein e da mesi controllata dallo Stato Islamico. Lo riferiscono fonti della sicurezza all'emittente televisiva al Jazeera. Nella zona da giorni sono in corso violenti combattimenti, ai quali partecipano anche le milizie sciite. Il villaggio di al Dour, a sud di Tikrit, da pochi giorni e' in parte controllato dall'esercito iracheno. Si combatte anche nella citta' di al Karma, nella provincia sunnita di Anbar. In queste zone i militari stanno trovando una strenua resistenza da parte dei miliziani dello Stato islamico

Colpita raffineria in Siria, morti militanti Isis.
La coalizione internazionale anti Isis ha colpito ieri sera in Siria una raffineria di petrolio sotto il controllo dello Stato islamico che si trova a Tal Abyad, nella provincia di Raqqa vicino il confine con la Turchia, uccidendo 30 militanti dell' Isis. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha anche pubblicato online un video che mostrerebbe le fiamme scoppiate nella raffineria dopo il raid.

Minacce interne al Califfato. Martellato dai cieli dai raid della coalizione internazionale e sul terreno dal pressing delle truppe irachene e delle milizie sciite, lo Stato Islamico sembra cominciare a logorarsi anche all'interno. E' quanto emerge da un reportage dal Washington Post, che per la prima volta testimonia le defezioni e il dissenso che starebbero logorando l'aura di invicibilita' del 'califfato'. "La tensione e' provocata dal dissenso tra i miliziani locali e i foreign fighters, i volontari stranieri, ma anche dagli infruttuosi tentativi di reclutare cittadini pronti ad andare sulla linea del fronte", scrive il quotidiano. Il risultato e' che al momento "la maggiore minaccia alla capacita' dello Stato Islamico di perdurare sembra arrivare dall'interno, pecche' le sue grandiose promesse non collidono con la realta' sul terreno", ha raccontato al quotidiano l'analista, Lina Khatib, alla guida del Carnegie Middle East Center a Beirut. Il segno piu' forte di attrito e' la tensione tra i foreign fighters e e i miliziani locali, sempre piu' risentiti dal trattamento preferenziale riservato agli stranieri, pagati di piu' e con migliori condizioni di vita: ai foreign fighters viene permesso di vivere nelle citta' (dove i raid della coalizione sono abbastanza rari per il timore che vengano colpiti i civili), mentre ai siriani tocca stare negli avamposti rurali, piu' vulnerabili, ha raccontato al quotidiano un attivista che vice nella citta' di Abu Kamal, al confine tra Siria e Iraq. La tensione e' tale che ci sono state anche sparatorie in strada, come la scorsa settimana quando alcuni foreign fighters e un gruppo di siriani hanno incrociato le armi perche' questi ultimi avevano disobbedito all'ordine di un comandante kuwaitiano, rifiutandosi di andare sulla linea del fronte con l'Iraq. E non e' stato l'unico episodio di questo tipo: a gennaio a Ramadi, in Iraq, un gruppo di locali si e' scontrato con un altro, composto soprattutto di ceceni, dopo che questi ultimi avevano deciso di tornare in Siria. Ci sono infatti segnali che i jihadisti stranieri, sempre piu' disillusi, cercano di tornarsene a casa: alcuni attivisti nelle provincie siriane di Deir al-Zour e Raqqa hanno raccontato di tentativi di varcare il confine con la Siria. A febbraio nella citta' di Tabqa, nella provincia di Raqqa, vennero ritrovati i corpi di 30/40 uomini, la gran parte dai tratti asiatici: secondo attivisti locali, erano proprio jihadisti che stavano cercando di scappare e invece sono stati catturati. Non a caso nelle ultime settimane, nel Califfato, l'
Isis ha imposto il divieto ai camion di trasportare uomini senza permesso. E non solo. Secondo l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, nelle ultime settimane ci sono stati 120 pubbliche esecuzioni di jihadisti: alcuni erano accusati di spionaggio, uno di aver fumato, ma la gran parte sarebbero stati invece solo miliziani che cercavano di fuggire

Jihadi John chiede scusa ai parenti. Jihadi John chiede scusa alla sua famiglia. In un messaggio inviato dalla Siria,Mohammed Emwazi, il boia dell'Isis, ha fatto sapere di essere dispiaciuto per "i problemi e i guai che la rivelazione della sua identità hanno causato" a genitori e parenti. Lo riferisce il Sunday Times. Il Sunday Telegraph, dal canto suo, scrive che almeno 320 dei 700"foreign fighters" britannici, andati in Siria a combattere con l'Isis, sarebbero già tornati in patria, smentendo i dati forniti dal governo di sua Maestà.