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Editoriali

LA GIUNGLA DELLA GIUSTIZIA

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LA GIUNGLA DELLA GIUSTIZIA

IN ITALIA VIGE LA LEGGE DEL PIU’ FORTE

DI ROBERTO RAGONE

 

È  di questi giorni la notizia, a Trieste, della sentenza che condanna due fratelli di etnia rom, Daniel e Francesco Caris, rispettivamente di 30 e 28 anni, alla pena di un anno e sei mesi, e un anno e otto mesi, con rito abbreviato. In più la difesa ha presentato richiesta di arresti domiciliari, che, se fossero concessi, porterebbero i due a trascorrere il loro tempo presso il campo rom in cui sono sempre vissuti. Questi i fatti: la sera del 10 aprile di quest’anno i due hanno aggredito e picchiato Hellen Prelessi, di 28 anni, madre di due bambini, presso il bar Flavia di Trieste in cui lavora, e nel quale ha trovato lavoro, costretta a lasciare il suo precedente impiego,  dopo le minacce di Francesco Caris, per aver aiutato una sua amica a lasciare quest’uomo violento, indirizzandola presso il Centro Antiviolenza di Trieste. Questa è la colpa di Hellen, aver aiutato un’amica a sottrarsi alle botte di un compagno rom, nullafacente, pregiudicato per reati specifici, membro di una ‘famiglia’ già ben nota alle forze dell’ordine. Hellen ha riportato ematomi sul viso e la frattura del setto nasale. Ma ciò che è più grave è il danno psicologico che ne ha riportato, dato che i due, dopo la rissa durante la quale il fidanzato di Hellen Prelessi ha cercato invano di difenderla, riportando anche lui lesioni varie, hanno minacciato la ragazza di ulteriori e più gravi rappresaglie, prima d’essere intercettati dalla polizia durante la fuga. L’avvocato difensore di Hellen Prolessi parla di un referto medico che descrive condizioni di estremo disagio e sofferenza. Da rimarcare che la Prolessi è madre single di due bambini, che mantiene con il suo lavoro, due bambini in tenera età e vulnerabili. Lo stesso avvocato difensore della Prolessi si è opposto alla concessione dei domiciliari ai due aggressori. Sembra un comune episodio di piccola delinquenza, ma rivela per l’ennesima volta uno dei tanti gravi difetti della nostra amministrazione giudiziaria. Fatte le somme, i due rom potranno scontare la loro pena prima del tempo e continuare a delinquere nei confronti di una ragazza che ha soltanto aiutato un’amica ad uscire da una situazione difficile. Come al solito, in Italia, che delinque non paga, e può continuare indisturbato a nuocere a chicchessia. Come ha rilevato l’avv. Bongiorno, intervenuta ad una trasmissione televisiva, l’errore non è negli avvocati, che fanno bene ad usare tutti i mezzi consentiti per difendere i loro assistiti, né dei giudici, che applicano le leggi vigenti. In realtà sono le leggi ad essere sbagliate. Premiare un imputato con uno sconto di pena del 30%, soltanto per il tempo risparmiato ad istruire un processo, è un premio inaccettabile; visto anche che tale iter giudiziario viene richiesto da imputati che sono evidentemente colpevoli, e che, se processati con rito formale, subirebbero una condanna molto pesante; più pesante, certamente, di quella che ricevono richiedendo l’abbreviazione. Ne consegue che l’iniziativa, che mirava, nello spirito, a far risparmiare tempo ai giudici, si traduce in un illecito e incongruo premio a chi dalla sua colpevolezza non si può più nascondere. Parlando poi di ‘pene alternative’, l’avv. Bongiorno ha detto che dette pene, che si traducono poi, per la maggior parte dei casi, in arresti domiciliari, premiano ulteriormente e indiscriminatamente il condannato. Nel caso di specie, i due rom sarebbero affidati alle loro famiglie, con un paio di controlli quotidiani da parte di Polizia o Carabinieri. Per il resto del tempo, dato che si tratta di persone già ben note per i loro reati, potrebbero tranquillamente continuare la loro vita di sempre: fermo restando che un controllo in un campo rom rimane, per logica, molto difficile. E allora siamo alle solite. Mogli uccise da ex mariti, compagni che uccidono le fidanzate che li vogliono lasciare, episodi di violenza denunciati e malgrado tutto reiterati, fino all’atto finale della tragedia, sono all’ordine del giorno in Italia, dove chi delinque è certo comunque di una cosa: che se non rimarrà proprio impunito, comunque, nella peggiore delle ipotesi, trascorrerà in carcere un periodo trascurabile della propria vita. Fra legge Gozzini, semilibertà, promessi premio e buona condotta, le carceri italiane sono un groviera, e gli Albanesi ci hanno anche insegnato che se ne può ancora evadere in modo classico, con un lenzuolo annodato alle sbarre. Che siamo il ventre molle d’Europa per altri motivi, è ormai sotto gli occhi di tutti: ma che lo siamo diventati anche per il sistema giudiziario e carcerario, è davvero sconcertante. Rimane una donna terrorizzata, madre single di due bambini piccoli che dipendono da lei e dal suo lavoro. Il male contro il bene, e il male in Italia vince sempre. Non vogliamo parlare poi di aggressioni impunite agli autisti dei bus, ai capotreni o ai controllori dei mezzi pubblici: l’ATAC è sulla via del fallimento perché nessuno paga il biglietto, e chi scrive ne è testimone oculare: e non sono solo gli extracomunitari. Ora, obiettivamente, Hellen Prelessi, quale prospettiva ha dinanzi? Armarsi, visto che nessuno la può difendere? Cambiare città, nazione, continente? Subire altre aggressioni e minacce, e vivere morendo ogni giorno di paura? Giriamo la domanda a chi di dovere, a quei politici e magistrati che dovrebbero proteggere i cittadini, amministrare la cosiddetta ‘giustizia’, e fare in modo che la legge e l’ordine proteggano i più deboli, soprattutto gli onesti, e che i delinquenti siano messi in condizione di non nuocere. Senza regole, non c’è democrazia, senza ordine non c’è civiltà, ma solo la giungla. Una postilla: depenalizzare duecentoventi reati non è stata una buona idea. Purtroppo questa aggressione nei confronti della barista di Trieste viene considerato un reato ‘minore’, e quindi non sanzionato sufficientemente: mentre invece è uno dei più pericolosi e nocivi per l’uomo della strada.

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Cronaca

Beautiful all’italiana, il caso Sangiuliano-Boccia: Governo Meloni alla prova del fuoco

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L’opposizione chiama la Premier in Parlamento: il caso Sangiuliano-Boccia scuote il governo

La politica italiana è in subbuglio, con l’opposizione che punta il dito contro la premier Giorgia Meloni, chiedendo chiarimenti in Parlamento sul caso che coinvolge il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia, al centro di una controversa relazione personale e professionale ormai definita da molti come una “Beautiful all’italiana”. La vicenda ha assunto un forte peso politico, spingendo Pd, Movimento 5 Stelle e Italia Viva a denunciare “un duro colpo alle istituzioni”. Angelo Bonelli, leader dei Verdi, ha addirittura presentato un esposto alla Procura di Roma per presunte irregolarità nell’operato del ministro.

Il punto focale della questione è la gestione di risorse e ruoli pubblici. Secondo Bonelli, il comportamento di Sangiuliano è segnato da potenziali distrazioni di fondi pubblici e rivelazione di segreti d’ufficio, facendo riferimento al presunto accesso a documenti riservati da parte di Boccia. L’esponente di Europa Verde è stato chiaro: “Meloni difende l’indifendibile. Sangiuliano non deve scusarsi solo con la moglie, ma con gli italiani, per aver messo una persona senza incarico a conoscenza di atti della Pubblica amministrazione”. Il ministro, in lacrime durante un’intervista al Tg1, ha chiesto scusa per la vicenda, rivolgendo le sue parole alla premier, alla moglie e ai collaboratori.

L’opposizione non si ferma qui. Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle chiedono un confronto in Parlamento. L’ex premier Giuseppe Conte ha definito la situazione “intollerabile”, accusando il governo di minimizzare un caso che tocca la credibilità delle istituzioni. Anche Italia Viva, attraverso le parole di Matteo Renzi, ha espresso preoccupazione per il “silenzio assordante” della maggioranza.

Dal fronte del centrodestra, però, l’atteggiamento è completamente diverso. Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, ha dichiarato che la questione è “ampiamente chiarita” grazie all’intervista di Sangiuliano. Anche altri esponenti della maggioranza, come la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, hanno difeso il ministro, sostenendo che le sue scuse pubbliche dimostrano trasparenza e responsabilità.

Il caso Boccia, però, sembra tutt’altro che concluso. La stessa protagonista, in un post su Instagram, ha respinto le accuse di ricatto, affermando che “il vero ricatto è quello di chi detiene il potere”. Boccia ha attaccato duramente coloro che, secondo lei, hanno sfruttato la sua vicenda personale per fini politici e mediatici, lamentando il danno alla sua dignità.

Intanto, il ministro della Cultura continua con il suo lavoro istituzionale, firmando un decreto che riorganizza gli uffici dirigenziali del ministero, ma l’attenzione resta alta. La presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barbara Floridia, ha annunciato la convocazione urgente di un ufficio di presidenza per discutere del caso e delle richieste dei gruppi parlamentari.

L’equilibrio politico appare fragile, con l’opposizione determinata a fare luce sull’intera vicenda e la maggioranza impegnata a contenere i danni. In un contesto in cui la fiducia nei confronti delle istituzioni è cruciale, il caso Sangiuliano-Boccia rappresenta una prova di fuoco per la tenuta del governo Meloni.

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Editoriali

L’esperienza è realtà o verità?

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Le scienze umanistiche abbracciano il concetto di esperienza per indicare che senza di essa non possiamo conoscere la realtà. Ma quale realtà?

Esistono tanti tipi di realtà e nessuno può permettersi di dire che ciò che vede o che fa è vero in assoluto; ognuno di noi vive quotidianamente realtà differenti rispetto ad altri. In tal senso possiamo dire che ogni soggetto ha una “sua” realtà e una “sua” verità.

Ma la realtà è verità? Oppure la realtà non è verità? Rispondere in modo decisivo non è così semplice, poiché ognuno vive una sua verità che può essere valida per qualcuno e illegittima per qualcun altro. Realtà e verità, apparentemente, sembrano sinonimi, ma non lo sono.
Facciamo un esempio, se dicessimo “la realtà è fatta di lavoro e famiglia” non possiamo affermare che tale espressione sia uguale per tutti, mentre se dicessimo “io ho una verità nascosta” anche in questo caso non possiamo dichiarare che tale asserzione sia valida per tutti.

Ecco, se in ambito linguistico realtà è sinonimo di verità e viceversa, questo non lo può essere nell’area delle scienze umane. Perché?

Perché le scienze umane sono cangianti e fanno riferimento alle esperienze dell’essere umano. Tuttavia, per alcuni individui la realtà può essere interpretata come il lavoro e la famiglia, per altri può essere vista come i viaggi e la natura.

La medesima cosa vale per la verità, ci sono persone che affermano “non esiste la verità, ci sono altri soggetti che dichiarano “io penso che la verità è il fatto stesso che noi esistiamo”.
Riflettendo su questi pensieri, possiamo dire che nell’ambito delle scienze umanistiche i due termini, realtà e verità, sono visti in modo diverso; c’è chi ha delle concezioni più filosofiche, antropologiche, psicologiche e pedagogiche, e chi da più importanza al settore scientifico per parlare di verità. Occupandoci in senso stretto di scienze umanistiche, possiamo dire che dall’ esperienze di ciascuno di noi hanno origine discorsi su ciò che si intende per reale e per verità.
Facciamo un secondo esempio, c’è chi dice “ognuno ha una propria realtà e la vive per com’è”, mentre altri dicono “io sono una persona autentica e questa è la mia verità”.
Spaziare all’interno di tali concetti ci rende consapevoli che non esiste una realtà e una verità oggettiva, ma ognuno ha la sua in quanto puramente soggettiva e libera da vincoli altrui.
Ciò che può essere ritenuta una verità valida per tutti può essere la seguente frase “se rubi o se uccidi vai in carcere”; mentre trovare una frase valida per tutti per la parola realtà è molto più spigoloso, poiché ad esempio c’è sempre qualcuno che potrebbe dire “io ho fatto una rapina a mano armata e ora la mia realtà di vita è il carcere”.

Secondo tali esempi si potrebbe esprimere che ciò che designa una situazione reale o veritiera è l’esperienza che ogni essere umano fa nel corso della sua vita. Pertanto, in relazione alle scienze umanistiche, ogni individuo “è fatto della sua esperienza” che
unendola a esperienze altrui può decidere di pensare se quella è una sua realtà o una sua verità oppure una realtà/verità uguale per tutti.

In questo caso ci addentriamo in discorsi legati a dimensioni molto complesse che riguardano ogni singolo individuo inteso come “essere umano vivente”.

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Editoriali

Bracciano, guerra alla libertà di stampa: Marco Tellaroli e Donato Mauro perdono anche in Tribunale

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Tempo di lettura 4 minuti Questo mio editoriale vuole accendere ancora una volta i riflettori su un’annosa questione: le querele temerarie soprattutto intentate da parte di politici e amministratori a danno dei giornalisti a cui si vorrebbe tappare la bocca. Non è con questi atti che si aiuta un Paese ad essere migliore.

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Dopo varie denunce fatte a questo giornale e al suo direttore Chiara Rai dai due Consiglieri comunali dell’epoca e dal giornalista Silvio Rossi anche il Tribunale assolve Chiara Rai perchè il fatto non sussiste

Bracciano, Consiglieri di minoranza nel pallone. Gentili a Donato: “Se nella relazione c’è qualche refuso facciamo la figura del cazzo”. Questo è il titolo dell’articolo pubblicato sul quotidiano da me diretto L’Osservatore d’Italia il 10 settembre del 2019.

Fra poco ricorre il suo compleanno: poco meno di 5 anni dopo è emersa la mia totale correttezza di giornalista!

Il 30 maggio 2024 il giudice Dottoressa Paola Ginesi mi assolve perché il fatto non sussiste

Questo non sarebbe accaduto se non mi fossi opposta a un precedente decreto penale di condanna a 8 mesi di reclusione per aver scritto un articolo. Insieme all’Avvocato Marco Fagiolo del Foro di Velletri ci siamo opposti e abbiamo depositato la prova regina: l’audio dove i consiglieri dicevano testualmente ciò che ho fedelmente riportato nell’articolo. Tant’è.

Azzerate le chiacchiere. La querela per diffamazione a mezzo stampa presentata nei miei confronti da Marco Tellaroli e Donato Mauro è finita con una piena assoluzione nei miei riguardi.

Una sentenza epilogo di una persecuzione giudiziaria contro di me che ho soltanto fatto il mio lavoro, ponendomi sempre dalla parte del lettore che ha il dovere diritto di conoscere i fatti, soprattutto se di chiaro interesse pubblico.

Questi signori non volevano arrendersi al fatto che fossero stati sentiti mentre pronunciavano proprio le parole imbarazzanti che si possono rispolverare leggendo il famoso articolo che mi è valso un impegno economico non indifferente per essermi difesa e per aver fatto il mio dovere.

Quelle parole così imbarazzanti pronunciate all’epoca dai consiglieri di minoranza del Comune di Bracciano non erano uscite da sotto le docce nei loro rispettivi bagni di casa ma mentre costoro (tra loro anche l’avvocato Claudio Gentili che se ne è guardato bene dallo sporgere una querela temeraria e infondata) si trovavano nella sede del palazzo comunale e non stavano interrogandosi su cosa avrebbero mangiato per cena ma parlavano di atti pubblici.

Addirittura i consiglieri hanno dimostrato confusione e imbarazzo nel presentare la proposta di annullamento della Deliberazione n. 2 che riguardava il comparto edificatorio in zona “La Lobbra” prendendo posizione contro l’amministrazione dell’epoca senza però dimostrare di averne realmente capito i motivi. Una domanda su tutte: è lecito sapere da chi si è rappresentati in Consiglio Comunale? Da qui ne è emersa una esigenza da parte mia come giornalista nel far emergere come una questione di interesse pubblico venga presa in considerazione da una rappresentanza, seppur minore, di una porzione di elettorato che ha posto fiducia (manifestata con il voto) in persone che in quel momento non hanno certo brillato nell’esecuzione dei loro “compiti”. Ai posteri l’ardua sentenza.

Da quel settembre 2019, su questa vicenda, Marco Tellaroli e Donato Mauro hanno dato il peggio di se stessi. Hanno sporto querela contro una giornalista in netta opposizione alla libertà di stampa (sorprende che gli attori siano un ex cinque stelle o ancora cinque stelle e un generale in pensione che nei suoi discorsi ha sempre sventolato valori come la democrazia e la libertà individuale ecc).

Prima ancora questi signori mi hanno segnalato al Consiglio Disciplinare dell’Ordine dei Giornalisti attraverso una segnalazione di Silvio Rossi che si faceva portavoce di questi signori (in pratica un giornalista intenta una azione contro una collega rappresentando dei consiglieri comunali) a cui personalmente, attraverso il mio giornale, ho dato l’opportunità di diventare pubblicista per poi ricevere un “benservito” che mi è dispiaciuto moltissimo a livello umano.

L’Ordine dei Giornalisti ha deliberato che l’esposto di Silvio Rossi è “risultato privo di fondamento e affermi palesemente il falso”

Ancora non mi spiego come sia stato possibile manifestare un comportamento simile contro una collega anche se personalmente con Silvio Rossi ritengo ci separino differenti valori etici e professionali.

Se avessero vinto loro avrebbero sbandierato ai quattro venti la condanna a Chiara Rai. Sarei stata pregiudicata a causa loro! Ebbene dovranno mandare giù un amaro boccone. Io li ringrazio per tutto il male che hanno tentato di farmi perché con le loro azioni (per me una medaglia sul petto) hanno accresciuto ancora di più la credibilità de L’Osservatore d’Italia.

Non mi aspetto le scuse da personaggi simili, sarebbe un gesto troppo nobile.
“I toni utilizzati non sono sfociati in alcuna offesa inutile e gratuita – leggo nella sentenza di assoluzione -. La notizia riportata assume i caratteri della verità. Le tematiche portate all’attenzione della Rai hanno certamente rilevanza pubblica riguardando i lavori del consiglio comunale di Bracciano. Le espressioni utilizzate dall’odierna imputata (io) rientrano nel diritto di cronaca. Ne consegue che Maria Chiara Shanti Rai – Firma giornalistica Chiara Rai Ndr. – deve andare assolta da reato a lei ascritto perché il fatto non sussiste”.

La sentenza è disponibile su questo sito cliccando sull’immagine sui sotto

Questo mio editoriale vuole accendere ancora una volta i riflettori su un’annosa questione: le querele temerarie soprattutto intentate da parte di politici e amministratori a danno dei giornalisti a cui si vorrebbe tappare la bocca. Non è con questi atti che si aiuta un Paese ad essere migliore.

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