LA TASSA SULLA PRIMA CASA E GLI EQUILIBRI ECONOMICI E POLITICI

di Silvio Rossi

 

L’annuncio di Matteo Renzi all’assemblea del PD, riunita il 18 luglio nella sede dell’Expo milanese, ha ricordato quando, nella campagna elettorale del 2006, un Berlusconi indietro nei sondaggi, riuscì con un «Coup de théâtre», a recuperare gran parte del distacco, portando il risultato della consultazione in sostanziale pareggio.
La tassa sulla prima casa, introdotta da Amato nel 1992, la prima volta in forma “una tantum”, poi regolarizzata l’anno successivo, è uno dei balzelli più odiati dagli italiani. Sebbene essa sia presente nella maggior parte dei paesi europei, nella nostra nazione appare maggiormente vessatoria, perché se in molti posti la casa di proprietà è una scelta, vista la grande disponibilità di case pubbliche, in Italia una politica della casa che ha visto da sempre favorire l’edilizia privata, i residenti in case di proprietà sono quasi l’80% della popolazione.
La proposta dell’abolizione o perlomeno della forte riduzione dell’imposizione sulla prima casa è abbastanza trasversale, è stato un cavallo di battaglia della destra, ma molti settori della sinistra non disdegnano un intervento forte per rendere molto meno incisiva la tassazione, per lasciarla solo agli immobili di lusso.
D'altronde, una delle leggi che hanno caratterizzato negativamente, nell’accoglimento popolare, il governo Monti, oltre alla riforma Fornero, è stata proprio la reintroduzione dell’Imu (al posto della vecchia ICI). Provvedimento preso allora perché l’abolizione realizzata da Berlusconi nel suo governo precedente, aveva provocato un buco di bilancio che solo la tassa patrimoniale avrebbe potuto pareggiare.
La proposta renziana oggi, deve quindi essere accompagnata da un provvedimento strutturale che ne copra i costi. Solo se si riesce a trovare la copertura adeguata, l’abolizione potrà essere la chiave vincente per il premier, l’elemento che nelle passate legislature nessuno è riuscito a far equilibrare.
La tassa sulla prima casa potrebbe rappresentare quindi, per una eventuale prossima ricandidatura di Renzi a Palazzo Chigi, la carta vincente, nel caso riesca ad abolirla senza conseguenze per l’erario, o la classica zappa sui piedi, in caso contrario.