L'AFFAIRE TAVECCHIO, TRA BANANE E KENNEDY

di Daniele Rizzo

Dicono che le parole non dette fanno più male di quelle pronunciate. Non è vero. Chiedere a Optì Pobà, il fittizio mangia-banane evocato da Tavecchio che certamente si sarà risentito della frase razzista. Carlo Tavecchio, il volto “nuovo” della Figc, ha compromesso la sua elezione con quel famoso discorso di fine luglio in cui con dei termini discutibili affermava l’esigenza di dover puntare forte sui vivai delle squadre italiane per far ripartire il movimento calcistico nazionale. Il discorso non fa una piega: da anni sentiamo dire da più parti che questa è l’unica via da intraprendere per riportare le italiane al livello delle rivali europee. Ma le parole sono importanti, ed a insegnarcelo non è solo Nanni Moretti. Spesso un concetto giusto viene espresso con dei termini sbagliati, ed ecco lì che in un attimo passi dalla ragione al torto, dalla presidenza della Figc al rischio di rimanere senza poltrona, dalla stima incondizionata di amici e parenti ai giornalisti che mettono a soqquadro la tua vita pubblica o privata in cerca di qualche scandalo, di qualche processo (cinque) e di qualche condanna (sempre cinque), come se essere processati o condannati in questo paese bastasse per star lontano da cariche pubbliche.

Carlo Tavecchio la sua fossa se l’è scavata da solo, forse perché le spalle se le sentiva abbastanza coperte, con ben 18 squadre di Serie A che lo sostenevano e tutta la Lega Pro a fargli da bacino elettorale. Ma oggi la Lega di A è divisa: 8/9 presidenti sostengono quel movimento che ironicamente è stato battezzato No Tav, dove Tav sta per Tavecchio, e non per treno ad alta velocità, anche se il candidato federale continua a correre come un treno sui binari delle proprie posizioni. Non un passo indietro in favore del candidato Demetrio Albertini, l’unico vero volto nuovo all’interno della Federazione. Solo le scuse (almeno le scuse, verrebbe da dire) e un proclama che sa di autocommiserazione: “sono stato trattato peggio dell’assassino di Kennedy”. Lee Harvey Oswald il 22 novembre 1963 uccideva il presidente americano e dopo due giorni veniva assassinato mentre cercavano di tradurlo in prigione. Tavecchio, al massimo, non sarà eletto: una fine decisamente più lieta. Oggi, a proteggere le spalle del candidato Oswald, scusate, Tavecchio, sono rimasti però due sponsor importantissimi Claudio Lotito e Adriano Galliani, due pezzi da novanta che, in altre circostanze, da soli basterebbero probabilmente a far eleggere anche il sottoscritto alla presidenza della Figc. Tuttavia il presidente del Coni Malagò in un’intervista a Repubblica ha annunciato un probabile finale a sorpresa per la vicenda, che tra le righe si legge come commissariamento della Federazione, che sarebbe così affidata a lui stesso.

Le circostanze, come detto, sono dunque cambiate. Dopo la UEFA e la FIFA, massimi organismi politici del calcio europeo e mondiale, anche Sky ha espresso il proprio parere negativo sul candidato Tavecchio. I motivi? Ufficiali e ufficiosi. Ufficiali: Tavecchio rappresenta “vecchie logiche gestionali” e ancora “è uno di quelli che ha contribuito alla crisi del sistema”. Ufficiosi: all’emittente di Murdoch non è andato giù lo sgarbo sui diritti per la Champions League 2015, su cui Mediaset avrà l’esclusiva; inoltre Sky sta da mesi facendo i conti con la campagna che i tifosi laziali stanno conducendo contro il presidente Lotito, campagna che ha portato a numerose disdette dell’abbonamento. Logico dunque pensare che la posizione No Tav dell’emittente sia da attribuire tanto ad una questione etica e di principio, che ad una ritorsione contro i due personaggi che stanno manovrando l’elezione: Galliani (che rappresenta Berlusconi, quindi Mediaset) e Lotito. Da segnalare nel fronte pro Tav anche l’Inter, la quadra del cuore del candidato: brianzolo di nascita, Tavecchio è stato anche sindaco della sua città, Ponte Lambro, dal 1976 al 1995. Non uno a cui viene facile mollare la poltrona.