Connect with us

Editoriali

Lavagna, quelle assurde accuse alla madre

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

di Silvio Rossi

 

Nella vicenda di Lavagna, dove un ragazzo si è suicidato, buttandosi giù dal balcone, quando un’ispezione della finanza, chiamata dalla madre adottiva, sono state spese molte parole, spesso troppo in libertà.
Leggendo sui social, si possono notare migliaia di persone che "hanno capito tutto", si sentono autorizzati a giudicare, a condannare, a sottolineare ogni singola parola, ogni possibile sbaglio, il tutto decontestualizzando quanto accaduto. Nell’esigenza, non si comprende poi per quale motivo ritenuta prioritaria, di garantire il diritto umano di compiere qualunque idiozia, si è completamente annullato quello di un educatore che cerca di far crescere un ragazzo secondo i propri valori.
Anche Roberto Saviano ha parlato della vicenda. Ha spiegato come, se le droghe leggere fossero state legalizzate, la madre non avrebbe potuto chiamare la Finanza. Forse è proprio qui il cortocircuito. Non si sopporta che lo Stato, che le forze dell’ordine, si occupino di “limitare la libertà personale” di un adolescente, perché si chiede sempre che la Polizia, i Carabinieri, e le altre forze dell’ordine vadano a controllare gli altri, non noi stessi.
Nessuno tra coloro che si ergono a censori delle azioni della madre, o della Finanza, ha ammesso che tra un adulto e un adolescente i controlli devono essere diversi. Ignorare questa differenza sostanziale significa non aver capito nulla o essere ipocriti.
Nell’analisi della storia, bisogna ricordare che il ragazzo aveva 15 anni. Dalle informazioni che giungono sembra che il possesso di dieci grammi di hashish, che hanno generato il dramma, non è stato un fatto casuale. Non siamo davanti al caso di un ragazzo che, durante una festa, "si è fatto una canna" tra amici. Pare che spesso tornava a casa "sballato", "fatto", in uno stato che non vorrei giudicare, ma non mi sembra assolutamente adeguato per un ragazzo di quell'età.
Da quanto si racconta, la madre, che probabilmente avrà avuto le sue colpe, che forse non è stata in grado di trasferirgli la giusta stabilità, abbia provato più volte a farlo smettere. Ha provato con le buone, ha provato con le cattive, sicuramente, dopo i tentativi andati a vuoto, ha provato come estrema ratio a rivolgersi alle forze dell’ordine. In fondo cosa avrebbero potuto fare a un ragazzo di quell’età? Non sarebbe stato certo condannato, si sarebbe preso un bello spavento, uno di quelli che ti fa stare lontano per un po’ di tempo da certe tentazioni. Giusto il tempo di crescere, e diventare adulto per assumere scelte più consapevoli.
Parlare oggi di legalizzazione delle droghe leggere non risolve il problema. Certo, potrebbe togliere un giro d’affari alla criminalità organizzata, ma non salvaguarda gli adolescenti. Legalizzare la cannabis significa dare la possibilità di comprarla per un adulto. Certamente, ed è bene che sia così, non può essere acquistata legalmente da un minorenne. Come non può acquistare una sigaretta o un alcolico.
Criticare il comportamento della madre, significa ignorare tutte le ricerche scientifiche che hanno dimostrato la pericolosità di certe sostanze nell’età evolutiva. Sarebbe stato lo stesso se invece di hashish fosse stato whisky. Ubriacarsi, fumare uno spinello, perdere il controllo delle proprie facoltà a quindici anni, non è sano né normale. Non capirlo è grave. Ignorarlo è criminale, non fare in modo di impedirlo.
 

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Editoriali

“Fuori dal Coro”, Mario Giordano: accuse e disinformazione, tra “ladri di salute” e realtà distorta

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

La trasmissione di Rete4 punta il dito sulle liste d’attesa con tagli e montaggi che distorcono la realtà dando poco spazio alle spiegazioni sulle cause strutturali e storiche di questo problema

Le liste d’attesa sanitarie nella regione Lazio rappresentano da anni una delle maggiori sfide per i cittadini e le istituzioni. Problemi come i lunghi tempi di attesa per visite specialistiche e interventi chirurgici affliggono il sistema sanitario da decenni, ereditati da diverse amministrazioni regionali. Negli ultimi mesi, tuttavia, la trasmissione Fuori dal Coro, condotta da Mario Giordano su Rete4, ha acceso i riflettori sul tema, con servizi che spesso sembrano puntare il dito contro l’attuale governatore Francesco Rocca e i dirigenti delle ASL.

La narrazione mediatica proposta dal programma sembra suggerire che la responsabilità delle inefficienze sia interamente da attribuire alla giunta Rocca, ignorando la complessità storica e sistemica del problema.

La campagna mediatica di Fuori dal Coro

La trasmissione di Giordano, Fuori dal Coro, è nota per il suo stile provocatorio e per servizi che mirano a denunciare inefficienze e disservizi in vari settori della vita pubblica italiana. Negli ultimi tempi, il programma ha rivolto un’attenzione particolare alla sanità del Lazio, accusando il sistema di essere gestito da “ladri di salute”. Giordano, con i suoi servizi taglienti, ha puntato il dito contro la gestione delle liste d’attesa e il ruolo delle ASL, alimentando polemiche sulla responsabilità del governatore Rocca e delle amministrazioni locali nel garantire un servizio sanitario efficiente utilizzando filmati montati ad arte per evidenziare episodi di presunta incompetenza o scarsa trasparenza da parte dei dirigenti delle ASL. Questi servizi, sebbene utili per accendere il dibattito pubblico, rischiano di presentare un quadro distorto della realtà, facendo sembrare che il problema delle liste d’attesa sia frutto esclusivo dell’attuale amministrazione. Gli spezzoni video presentati, tagliati e cuciti ad arte, non offrono sempre un quadro completo delle azioni e delle iniziative messe in campo per risolvere un problema così complesso. Rocca e le ASL regionali vengono spesso messi in ridicolo, attraverso un montaggio selettivo che dà poco spazio alle spiegazioni sulle cause strutturali e storiche di questo problema.

Un problema di lungo corso: le cause storiche delle liste d’attesa

La questione delle liste d’attesa nel Lazio ha radici profonde, e risale a molto prima della gestione di Rocca. Secondo i dati forniti dall’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), la Regione Lazio si è trovata negli ultimi 10 anni a fronteggiare un aumento costante delle richieste di prestazioni sanitarie. Questo è avvenuto in un contesto di scarsità di risorse, con un personale sanitario insufficiente rispetto al fabbisogno, strutture ospedaliere spesso sovraccariche e difficoltà nel gestire in modo efficiente il sistema delle prenotazioni.

Le precedenti amministrazioni regionali hanno tentato varie riforme per affrontare il problema, ma con risultati alterni. Nel 2019, sotto la giunta Zingaretti, il Lazio era già tra le regioni con le più lunghe liste d’attesa in Italia, con pazienti costretti ad attendere mesi, se non anni, per accedere a esami diagnostici e visite specialistiche .

Gli sforzi della giunta Rocca per ridurre i tempi

Dal suo insediamento, Francesco Rocca ha reso le liste d’attesa una priorità per la sua amministrazione. Il governatore, insieme agli assessori competenti, ha avviato un piano di riorganizzazione del sistema sanitario regionale che mira a ridurre significativamente i tempi di attesa. Uno dei punti chiave è l’incremento delle risorse destinate all’assunzione di nuovo personale sanitario e all’implementazione di sistemi digitali più efficaci per la gestione delle prenotazioni.

Un passo importante è stato l’avvio della piattaforma Recup, il sistema unico regionale per le prenotazioni di visite ed esami, che dovrebbe rendere più trasparente e immediata la gestione delle richieste. Inoltre, la giunta Rocca ha stanziato fondi per migliorare l’infrastruttura tecnologica degli ospedali, con l’obiettivo di abbattere le inefficienze burocratiche che spesso causano ritardi nelle prestazioni sanitarie.

Nonostante questi sforzi, il sistema sanitario del Lazio si trova ancora in una fase di transizione, e ci vorrà del tempo prima che le riforme possano produrre risultati tangibili. Le criticità attuali, infatti, sono l’eredità di anni di mancati investimenti e tagli alla sanità, e non possono essere risolte nell’arco di pochi mesi.

Il ruolo delle ASL e il problema della comunicazione

Un altro punto sollevato da Fuori dal Coro riguarda i dirigenti delle ASL, spesso accusati di essere poco trasparenti o addirittura di boicottare le riforme. Tuttavia, è importante ricordare che le ASL sono strutture complesse, e molte delle inefficienze segnalate dipendono da vincoli amministrativi e da una scarsità di risorse che si protrae da anni.

La campagna di discredito portata avanti da alcuni programmi televisivi rischia di delegittimare il lavoro di migliaia di professionisti della sanità, che ogni giorno si impegnano per garantire il miglior servizio possibile ai cittadini, nonostante le difficoltà.

La necessità di una corretta informazione

In un contesto così delicato, è fondamentale che il dibattito pubblico venga alimentato da informazioni accurate e contestualizzate. La disinformazione, come quella veicolata da montaggi video parziali, non fa altro che creare sfiducia nei confronti delle istituzioni e alimentare tensioni sociali. Al contrario, è necessario riconoscere gli sforzi che la Regione Lazio sta compiendo per risolvere un problema che affligge non solo questa regione, ma molte altre parti d’Italia.

Le riforme sanitarie richiedono tempo, risorse e la collaborazione di tutti gli attori coinvolti, dai politici ai dirigenti sanitari, fino ai cittadini stessi. Solo attraverso un approccio condiviso e una comunicazione trasparente si potranno raggiungere risultati concreti e duraturi nella riduzione delle liste d’attesa e nel miglioramento della sanità pubblica.

E così, mentre la trasmissione Fuori dal Coro punta il dito contro Rocca e le ASL del Lazio, sarebbe invece importante non perdere di vista la complessità della questione e il lavoro che si sta facendo per migliorare una situazione ereditata da anni di difficoltà strutturali.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno di articoli con L’Osservatore d’Italia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Un anno di esperienza con questa testata giornalistica! Beh che dire, lo staff è davvero impegnato su diversi fronti e la collaborazione con loro aiuta sicuramente uno scrittore esordiente ad imparare a scrivere in termini giornalistici.

La testata giornalistica di www.osservatoreitalia.it è sempre molto accattivante e ricca di notizie, dalla cronaca nera a quella rosa. Fare esperienza con un’equipe ben organizzata è il giusto trampolino di lancio per modellare e migliorare l’arte dello scrivere.

La possibilità di vedere i propri articoli pubblicati e seguiti da molti followers investe positivamente sia sul pubblicista che sul giornale. La direttrice, Chiara Rai e il marito Ivan Galea sono impegnati su tanti fronti (dalla politica, alla finanza, alla salute, alla cronaca etc ..) e si occupano in modo chiaro di dare qualità al loro lavoro.

Un “mestiere” quello del giornalista molto scrupoloso e curioso che deve accendere nei lettori la necessità di leggere una determinata notizia. Il giornale si occupa di organizzare momenti di rassegna stampa su diverse tematiche interessanti.

Scrivere articoli per www.osservatoreitalia.it è stata e sarà un’esperienza che ha colmato lacune e incoraggiato l’uso della lingua italiana. Ha arricchito l’esperienza culturale di ciascun collaboratore che ne fa parte.

www.osservatoreitalia.it è una realtà in espansione e mi auguro di vederla sempre di più crescere nell’ambito giornalistico e di espressione. È un’opportunità che va calibrata e pensata, nessuna notizia può essere un caso, ma deve rispecchiare gli avvenimenti reali della nostra quotidianità. Deve incuriosire per espandersi sempre oltre.

La collaborazione con Chiara Rai è efficace sotto ogni punto di vista, poiché il suo modo diretto di spiegare e render noto gli avvenimenti è molto oggettivo e schietto. Non esistono ma e se …, ma la consapevolezza di chi si è e di chi si vuol essere.
Il giornalismo è un’attitudine alla scoperta e alla capacità, non solo di vincere l’attenzione del lettore, ma di formulare articoli chiari e concisi.
La grande “famiglia” di www.osservatoreitalia.it sta lavorando sempre più per ampliare le sue conoscenze e competenze pertanto far parte di questo team è davvero eccezionale.
Nel dedicare questo articolo al mio primo anno di collaborazione, ringrazio Chiara e Ivan in modo speciale. Continuate e continuiamo così, l’informazione c’è e noi ci saremo sempre cari lettori!

Cara Maria Rossella Randi,
grazie di cuore per il tuo bellissimo editoriale e per le parole di stima e apprezzamento verso L’Osservatore d’Italia.

È un piacere sapere che la tua esperienza con noi sia stata così positiva e formativa. Il tuo impegno e la tua dedizione nel contribuire alla nostra testata ci rendono orgogliosi. Il giornalismo è un lavoro di passione e attenzione, e siamo felici che tu abbia trovato in noi una squadra con cui crescere e sviluppare le tue abilità. Siamo certi che il tuo contributo continuerà a essere prezioso, e ti ringraziamo per la fiducia e la collaborazione! Un caro saluto e un grande augurio per il futuro!

La redazione de L’Osservatore d’Italia!

Continua a leggere

Editoriali

Il Consiglio di Stato: “Non ci sono fondi per la disabilità” dobbiamo limitare l’inclusione scolastica

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Il titolo preannuncia una possibile “tragedia” che sta colpendo la dignità umana, questa è pura follia! L’inclusione della disabilità ha seguito un iter legislativo molto complesso che va consolidato ogni giorno con dei progetti validi a livello nazionale/europeo. Sentir parlare di limitare i fondi di bilancio che promuovono l’inclusione della disabilità è disfunzionale alla nostra etica morale.

La scuola italiana negli ultimi decenni si è impegnata sempre più in termini di inclusione, pertanto i “cantieri che si sono aperti” devono essere lavorati e non serrati. Sull’inclusione scolastica sono stati fatti numerosi studi, convegni e seminari; ad esempio l’Università Alma Mater di Bologna riconosce un grande merito al professore Andrea Canevaro, nonché il pioniere della prima cattedra di pedagogia speciale in Italia. Purtroppo, venuto a mancare da qualche anno, il professore Canevaro ha scritto i cardini su cui poggia la pedagogia speciale, ha studiato e fatto ricerca su molti punti chiave della disabilità: in particolare proprio sul concetto di inclusione.

È intervenuto con tecniche e strategie innovative tali da diffondere tre concetti chiave: il disabile non è diverso, ma tutti siamo uomini diversi, la consapevolezza dell’assenza di giudizio, il sostegno alla disabilità e le famiglie come fulcro del suo pensiero pedagogico.
Ostacolare oggi questi studi è come buttare una “mina” su tutto quello che è stato fatto da numerosi professionisti, insegnanti di sostegno e docenti. Inoltre, tutto quello che il Consiglio di Stato Italiano ha detto non ha fatto altro che creare malcontenti, delusioni e rabbia, nonché profonde ferite che colpiscono gli animi dei ragazzi/e, gli studiosi, le istituzioni e le famiglie stesse.
Il taglio dei fondi riguarderebbe non solo la disabilità certificata, ma anche le fragilità di alcuni ragazzi/e (i DSA e i BES). In tal caso, crollerebbe l’istituzione scuola, il ruolo degli insegnanti di sostegno e le progettazioni che si organizzano (es. i Piani Educativi Individualizzati).

Le famiglie sono molto preoccupate dopo la sentenza n° 1798/2024, poiché quest’ultima non riguarderebbe solo la violazione del diritto all’istruzione degli studenti disabili, ma anche di tanti altri servizi importanti come il trasposto, la riabilitazione e le cure. Le amministrazioni certificano, così, che il diritto allo studio per i disabili vale meno degli altri, riportando-ci ad un concetto terrificate: la discriminazione. Concetto, quest’ultimo, che non deve “esistere” in una repubblica democratica come l’Italia.


Se i fondi per l’assistenza scolastica stanno finendo, non bisogna certo infierire contro le situazioni più deboli. In tal caso si vanno ad infrangere i principi della nostra Costituzione Italiana quali, la dignità, l’uguaglianza, l’inclusione e le pari opportunità.

Pertanto, diciamo NO a questi possibili “tagli” ne va della nostra reputazione personale e collettiva.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti