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Editoriali

LEGGE DI STABILITÀ – MIBACT, PATRIMONIO CULTURALE A RISCHIO?: I ROVINOSI EFFETTI DI UNA RIFORMA SCINTILLANTE E PUNITIVA

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Tempo di lettura 7 minuti Fuori dai musei e separate dai territori, accantonate in funzioni meramente burocratiche, le soprintendenze archeologiche sono condannate a un inevitabile declino

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di Domenico Leccese

La notizia è stata diffusa il 17 agosto, quando in vacanza si è disposti a sognare: finalmente era scattata l’ora della rivoluzione nei musei, affidati a manager della cultura (i “migliori”) con la missione di valorizzare tesori inesauribili ma ricoperti di polvere. La riforma è stata presentata attraverso una narrazione semplificata, fondata sul mito moderno del museo/forziere (“tutto il ben di dio che abbiamo”), costruita sull’opposizione tra “vecchio” e “nuovo”, “conservazione” e “progresso”, in cui la parte regressiva è stata spregiudicatamente riservata alle soprintendenze territoriali, dipinte come luoghi di inerzia, quasi biologicamente refrattarie a ogni evoluzione e quindi destinate alla “rottamazione”: così si spiega l’enfasi con cui si è celebrata la nomina, largamente prevalente nei musei autonomi, di direttori non italiani rispetto a funzionari provenienti dai ruoli direttivi del Mibact, sfavoriti nell’insindacabile giudizio del ministro, cui toccava l’ultima responsabilità di scelta. Questo è stato, del resto, l’aspetto recepito dalla superficialità dei media che, come accade sovente, hanno ridotto l’informazione a slogan: dal “finalmente siamo in Europa” all’opposto “abbiamo ceduto il nostro patrimonio allo straniero”, a seconda degli orientamenti automatici di maggioranza e opposizione.
Ma ridurre la discussione al duello stranieri/italiani è solo un modo di eluderla, confondendo il livello della propaganda con quello dei processi reali.

Ad esempio, non bisogna stancarsi di ricordare che le défaillances presenti nella gestione dei musei statali, cui la riforma intende ovviare, sono do-vute a ragioni non imputabili alla responsabilità delle soprintendenze: oltre alla cronica, e progressivamente accentuata, carenza di fondi, che la dice lunga sulla volontà del belpaese di valorizzare i propri “tesori”, ha pesato soprattutto la “mancanza di qualsivoglia autonomia tecnico-scientifica e amministrativa da parte dei musei incorporati nelle soprintendenze” che ora diviene, al contrario, la vera e propria dote dei musei autonomi, cui sono conferiti bilancio e organi di gestione. Il tema delle nuove autonomie museali deve essere quindi inquadrato nel disegno complessivo della riforma del Mibact, sintetizzabile in due punti chiave:
1) la distinzione della funzione della tutela da quella della promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, con l’intento dichiarato di rafforzare entrambe in un sistema integrato di cooperazione;
2) la creazione di un “sistema museale nazionale” adeguato agli standard internazionali attraverso la realizzazione di una rete efficiente tra i “musei dotati di autonomia speciale” e i musei invece integrati nei “poli museali regionali” e anch’essi dotati nel dettato di legge di “autonomia tecnico-scientifica”, di un “proprio statuto” e di un “progetto culturale” curato dal direttore del polo museale regionale.

Spiace osservare che allo stato attuale dei fatti tale disegno resti gravemente incompiuto e rischi addirittura di essere difficilmente realizzabile, la riforma non avendo previsto le complesse procedure tecnico-amministrative e le indispensabili risorse finanziarie atte a garantire in tempi accettabili l’efficace risultato di un processo così radicale di trasformazione: non è ancora chiaro come sarà ripartito il personale in servizio tra le soprintendenze esistenti e i nuovi istituti museali e in che modo saranno trattati organici già ridotti all’osso e ulteriormente decurtati in seguito alla distinzione di competenze precedentemente accorpate (come è evidente ad esempio nel caso dei funzionari scientifici); non è previsto un piano di reintegrazione di alcuni servizi essenziali che saranno suddivisi tra soprintendenze e musei (laboratori tecnici, archivi, depositi); non sono stati efficacemente pesati passaggi di indubbio rilievo patrimoniale come la consegna dei beni custoditi, sovente – e ancora una volta non per colpa degli uffici periferici – privi di un’adeguata catalogazione; non è prevista tra le attribuzioni delle nuove autonomie museali quella, cruciale, del reclutamento di personale con competenze specificamente funzionali ai nuovi compiti di valorizzazione e promozione culturale e turistica a esse assegnate.

In nome di slogan scintillanti a uso dei media, la riforma è stata avviata in assenza di un quadro organico di riferimento e di un’analisi concreta dei rischi e dei fabbisogni: si è destrutturato, dopo averlo lasciato per anni deperire, un sistema integrato di tutela e valorizzazione, per lungo tempo additato ad esempio in Europa, senza avere prima incardinato su solide fondamenta le nuove strutture.
I rischi evidenti sono quelli di una demotivazione del personale in servizio, che subisce una sostanziale delegittimazione, di uno sbandamento provocato da una confusione di competenze e di una paralisi operativa, destinata a durare nel tempo al di là dell’ottimismo di facciata.
Un discorso a parte merita l’archeologia, gravemente penalizzata dalla riforma. Non si tratta solo di avere separato alcuni grandi musei dal proprio territorio, ma, piuttosto, di avere minato l’incisività operativa delle soprintendenze archeologiche, la cui funzione di controllo sul territorio, esercitata sul campo nonostante risorse e personale sempre più ridotti, è stata spesso l’unico baluardo in assenza di un’efficace programmazione territoriale e, forse per questo, subita con crescente irritazione in un paese allergico alle regole come il nostro.
La riforma disgiunge le competenze inseparabili della tutela e della valorizzazione e, persino nei casi delle “aree e parchi archeologici” riduce i compiti delle Soprintendenze Archeologia a una funzione subordinata: a esse è infatti riservata la sola “gestione”, “ferme restando le competenze della Direzione generale musei e dei Poli museali regionali in materia di luoghi di cultura”: un giro di parole tortuoso che sembra confinare le soprintendenze archeologiche ad attività di servizio quali la manutenzione e il diserbo, che non debbono interferire sulle vere e proprie azioni “di cultura”, legate alla fruizione e valorizzazione, concepite come categorie astratte da una specifica conoscenza dei contesti.

Fuori dai musei e separate dai territori, accantonate in funzioni meramente burocratiche, le soprintendenze archeologiche sono condannate a un inevitabile declino: un risultato scontato e terribile di cui la riforma può difficilmente menare vanto.

Art.1 comma 327 della legge 28 dicembre 2015 n.208           
( LEGGE DI STABILITA’) 
327. Nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonche' di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 4, commi 4 e 4-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, si provvede, nel rispetto delle dotazioni organiche del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo di cui alle tabelle A e B del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del medesimo Ministero.

Fiocco viola è il simbolo di protesta esposto dal personale (addetti ai lavori) direttamente coinvolta in questa azione di accorpamento. "Per la tutela del nostro patrimonio culturale – Dichiarano gli addetti ai lavori attraverso una nota –  ormai giunta ad uno dei punti più bassi della sua gloriosa storia. Siamo in presenza di un vero e proprio blitz normativo – prosegue la nota –  che, formalmente giustificato dal doversi uniformare alla legge Madia, non solo accorpa le soprintendenze, ma ne modifica i compiti e ne aggiunge di nuovi ai Poli Museali, tra cui il compito di concedere i beni culturali pubblici. L’istituzione delle Soprintendenze miste rischia di creare strutture acefale, senza un ragionamento consolidato sull'impianto organizzativo. L'operazione del resto scopre le sue vere finalità nella sottrazione di 10 dirigenze alla tutela ed il loro riversamento sui nuovi siti autonomi, spesso del tutto privi privi di ogni dimensione organizzativa e senza alcuna possibilità di introiti. Una operazione analoga la si fa accorpando le soprintendenze archivistiche con quelle bibliografiche: una decisione conseguente alla norma che assegna allo Stato competenze in materia di tutela del patrimonio archivistico e bibliografico prima esercitate da province e regioni, sovraccaricando oltremisura il poco personale assegnato a questi settori. Ci chiediamo che senso possa avere emanare adesso un bando di mobilita' volontaria quando non sono ancora chiari gli organici a seguito di questa nuova riforma. Noi – conclude la nota degli addetti ai lavori – abbiamo avuto formale richiesta di produrre nostre osservazioni su questo nuovo impianto di riforma e graziosamente ci è stato concesso il termine di domani per produrle. noi pensiamo di inviare il nostro comunicato e ci eserciteremo in una azione di contrasto capillare ad un progetto di riforma che riteniamo profondamente sbagliato".

CGIL FP CISL FP UIL PA: basta riforme senza investimenti, così si indebolisce la tutela del territorio  
"Contrarietà nel metodo e nel merito all'ipotesi di accorpare le diverse Soprintendenze del MIBACT, – Commentano in una nota unitaria FP CGIL – CISL FP – UIL PA – unificando quelle archeologiche – prosegue la nota sindacale –  con quelle alle Belle arti e al Paesaggio, è quanto hanno espresso CGIL FP, CISL FP e UIL PAdopo l'incontro con il Ministro dei Beni Culturali Franceschini, che ha illustrato un DM di prossima emanazione in applicazione di quanto previsto nella Legge di stabilità 2016. Nel metodo – spiegano i rappresentanti sindacali – è l'ennesimo intervento a gamba tesa nel mezzo di una riforma in corso che, peraltro, ha già palesato tutti i suoi limiti, senza peraltro aver fornito alcun testo, che a seguito di nostre insistenze ci verrà consegnato dopo l'illustrazione che effettuerà oggi pomeriggio al Consiglio Superiore e domani presso le commissioni Parlamentari competenti. Si prospetta un ulteriore intervento normativo senza aver prima risolto i molteplici problemi organizzativi del MIBACT, a partire dalla carenza di personale in particolare nei profili specialistici, e senza aver completato l'avvio dei nuovi poli museali. Nel merito, il ministero dimentica che il punto di forza cui è ancorata la sua funzione costituzionale, la tutela e salvaguardia del patrimonio culturale e del paesaggio, passa attraverso le Soprintendenze. L'intero territorio italiano è cosparso di siti archeologici (132 aree archeologiche, 106 musei aperti al pubblico, numerosi siti subacquei), di collezioni e monumenti sia pubblici che privati, di cantieri di scavo e di restauro, cui si aggiungono i tantissimi interventi di archeologia preventiva connessi alla realizzazione di servizi e infrastrutture. La tutela architettonica e paesaggistica, storico-artistica, etnoantropologica, archeologica, sono eccellenze italiane uniche in Europa. Ma il numero di funzionari archeologi e professionisti della tutela chiamati a presidiare e salvaguardare questo immenso patrimonio, contrastare le attività illecite di scavo e traffico di oggetti antichi, e fare da argine al consumo del territorio, è sempre più esiguo rispetto al fabbisogno.  Cittadini e istituzioni locali devono comprendere che queste funzioni non possono esser messe a rischio, per non dire soppresse, da quell'operazione di pura ragioneria che sarebbe la fusione delle Soprintendenze in un ammasso indistinto. Purtroppo le disposizioni della Legge Madia, assunte a modello di riferimento per accorpamenti e riduzioni di uffici dirigenziali, nel caso delle Soprintendenze rischiano di abbattersi come una mannaia sulle loro già esauste capacità operative. Significa disarticolare e disperdere le professionalità altamente specializzate di tanti funzionari e tecnici che oggi, pur in un contesto generale di malfunzionamento, possono operare in ambiti lavorativi ben distinti e con competenze definite. Abbiamo rappresentato inoltre che è sbagliato procedere ad una ulteriore riorganizzazione senza porsi il problema di valorizzare il personale in servizio e reperire risorse aggiuntive per finanziare professionalità, formazione e produttività.Al riguardo, la risposta del Ministro è stata insoddisfacente in quanto ha assunto un impegno generico, non meglio specificato. Non è al cambiamento che diciamo no – puntualizzano i sindacati – ma al rischio di consegnare il territorio agli interessi degli speculatori. Già oggi, tra grandi opere ed espansione edilizia senza controllo, il consumo di suolo in Italia è di 8mq al secondo, il triplo della media europea. È imperativo non depotenziare quei presidi di base che sono le Soprintendenze; al contrario, bisogna mantenere in capo ad esse la direzione tecnica e scientifica nell'articolazione attuale storicamente collaudata, e – conclude la nota sindacale –  dotarle di risorse da investire nel rafforzamento delle competenze". 
 

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Editoriali

Giornalismo, giornalettismo e giornalaismo: urge un fronte comune per arginare l’informazione pilotata

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Occorre tornare a suscitare opinione seriamente, a rimettere al centro le competenze e a spegnere e ignorare qualsiasi sensazionalismo

C’è l’urgenza e la necessità di fare fronte comune tra giornalisti seri e professionisti che credono nella deontologia professionale e dedicano il loro tempo agli approfondimenti e indagini per garantire il diritto all’informazione contro una malainformazione sempre più faziosa e sciatta.

Le trasmissioni tv “strillate” e costruite artatamente per portare avanti una propaganda o gogna mediatica contro il nemico di turno, i siti (soprattutto i locali territoriali) che si dedicano esclusivamente al copia e incolla al servizio del “padrone” di turno, i giornali pilotati dalla politica, la continua corsa spasmodica a caccia dello scoop stanno minando irreversibilmente una professione che va rimessa al centro con serietà e rigore prima che i lettori si ritrovino in una rete di pubblicità malsane e informazioni costruite che non rappresentano la realtà e non ricercano la verità sostanziale dei fatti.

Occorre tornare a suscitare opinione seriamente, a rimettere al centro le competenze e a spegnere e ignorare qualsiasi sensazionalismo. Ma vediamo di cosa stiamo parlando.

Nel panorama mediatico contemporaneo, la distinzione tra giornalismo, giornalettismo e giornalaismo diviene sempre più rilevante e complessa. Questi tre termini, pur avendo radici comuni, delineano sfaccettature diverse dell’informazione e della comunicazione, ognuna con le proprie caratteristiche e implicazioni.

Il giornalismo

Il giornalismo, nella sua forma più tradizionale, rappresenta l’attività professionale volta alla raccolta, alla verifica e alla diffusione di notizie attraverso mezzi di comunicazione di massa. Il giornalista, in questo contesto, opera secondo principi etici e professionali consolidati, come l’obiettività, l’imparzialità e l’accuratezza nella ricerca e nella presentazione delle informazioni. Il giornalismo tradizionale si basa su fonti verificate, ricerca approfondita e rispetto dei codici deontologici.

Il giornalismo è un pilastro fondamentale della democrazia e svolge un ruolo essenziale nel fornire informazioni accurate, analisi approfondite e dibattito pubblico. Questa professione si basa su principi etici e standard professionali volti a garantire l’obiettività, l’equilibrio e l’accuratezza nell’informare il pubblico.

Uno degli elementi chiave del giornalismo è la ricerca delle notizie. I giornalisti conducono indagini, intervistano fonti e raccolgono dati per fornire un quadro completo degli eventi e dei problemi che interessano la società. Questo processo richiede abilità come la capacità di ricerca, la curiosità intellettuale e la capacità di analizzare criticamente le informazioni.

Una volta raccolte le informazioni, i giornalisti devono verificarle accuratamente per assicurarsi che siano affidabili e veritiere. Questo processo di verifica coinvolge la conferma delle fonti, il controllo incrociato dei fatti e la ricerca di testimonianze multiple per confermare o confutare una storia. L’obiettivo è garantire che le informazioni fornite al pubblico siano il più possibile accurate e verificabili.

Oltre alla raccolta e alla verifica delle notizie, il giornalismo comprende anche la capacità di analizzare e interpretare gli eventi. I giornalisti forniscono contesto, prospettive e approfondimenti su questioni complesse, aiutando il pubblico a comprendere meglio il mondo che li circonda. Questo può includere reportage investigativi, reportage specializzati su argomenti come politica, economia, scienza e cultura, nonché l’analisi critica di eventi e tendenze.

Un altro aspetto cruciale del giornalismo è l’etica. I giornalisti devono operare secondo standard etici elevati, come l’onestà, l’integrità e il rispetto per la dignità umana. Questi principi guidano le decisioni editoriali, la gestione delle fonti e la presentazione delle notizie, contribuendo a mantenere la fiducia del pubblico nella professione giornalistica.

In un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti tecnologici e culturali, il giornalismo si sta evolvendo per adattarsi a nuove sfide e opportunità. Le piattaforme digitali e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui le notizie vengono create, diffuse e consumate, portando a nuove forme di giornalismo online, giornalismo partecipativo e giornalismo cittadino. Tuttavia, questi sviluppi presentano anche sfide come la diffusione di notizie false e la diminuzione delle entrate pubblicitarie per le organizzazioni giornalistiche tradizionali.

Il giornalismo copia e incolla

Esiste poi una forma di “giornalismo copia e incolla” consistente nella pratica giornalistica in cui i giornalisti o gli operatori dei media riproducono testi, informazioni o articoli da altre fonti senza apportare modifiche significative o senza verificarne l’attendibilità. Questa pratica può essere considerata una forma di plagio o una violazione dell’etica giornalistica, poiché non fornisce un valore aggiunto al pubblico e può diffondere informazioni errate o non verificate.

Il copia e incolla può avvenire per una serie di motivi, tra cui la mancanza di tempo o di risorse per condurre ricerche originali, la pressione per pubblicare rapidamente nuove notizie o la mancanza di rigore editoriale nel verificare le fonti e le informazioni. Tuttavia, questa pratica compromette l’integrità e la credibilità del giornalismo, minando la fiducia del pubblico nelle organizzazioni giornalistiche e nell’informazione in generale.

Per contrastare il giornalismo copia e incolla, è essenziale promuovere la responsabilità editoriale e l’etica giornalistica. I giornalisti devono essere incoraggiati a condurre ricerche originali, a verificare accuratamente le fonti e a fornire contesto e analisi alle notizie, anziché limitarsi a riprodurre informazioni senza critica. Le redazioni giornalistiche devono anche impegnarsi a stabilire procedure e standard rigorosi per garantire che le notizie pubblicate siano accurate, verificate e originali.

Nonostante le sfide, il giornalismo rimane un elemento essenziale della società democratica, svolgendo un ruolo critico nel garantire la trasparenza, la responsabilità e il dibattito pubblico. In un’epoca di crescente polarizzazione e disinformazione, il giornalismo di qualità è più importante che mai per garantire la salute e la vitalità della democrazia.

Il giornalettismo

Il giornalettismo è un termine utilizzato per descrivere una pratica giornalistica che si distingue per la sua superficialità, sensazionalismo e mancanza di rigore etico e professionale. Questo fenomeno si manifesta spesso attraverso la semplificazione e la drammatizzazione delle notizie, con un’enfasi sullo scandalo, sull’intrattenimento e sulla creazione di sensazioni forti piuttosto che sull’accuratezza e sulla completezza dell’informazione. Questa forma di comunicazione mediatica può essere spinta da interessi commerciali, politici o ideologici, sacrificando la completezza e l’accuratezza delle informazioni a favore dell’attrazione di pubblico e della generazione di click e visualizzazioni.

Una delle caratteristiche distintive del giornalettismo è il suo focus sulle notizie più spettacolari o sensazionali, a volte a discapito di questioni più rilevanti o complesse. Questo approccio può portare a una distorta percezione della realtà, in cui eventi minori o isolati vengono sovradimensionati mentre questioni cruciali vengono trascurate.

Il giornalettismo è spesso associato a una certa forma di giornalismo popolare, che cerca di attirare l’attenzione del pubblico attraverso titoli accattivanti, foto suggestive e articoli sensazionalistici. Questo tipo di giornalismo tende a privilegiare il lato emotivo delle storie piuttosto che la loro sostanza, incoraggiando una cultura di consumo veloce delle notizie piuttosto che una riflessione critica e approfondita.

Una conseguenza del giornalettismo è la perdita di fiducia nel giornalismo come istituzione e nel ruolo dei media come custodi dell’informazione pubblica. Quando le persone sono bombardate da notizie sensazionalistiche e spettacolari, possono diventare scettiche riguardo alla veridicità e all’attendibilità delle informazioni, alimentando la diffidenza nei confronti dei media e delle istituzioni democratiche in generale.

Il giornalettismo può anche avere implicazioni negative per il dibattito pubblico e il funzionamento della democrazia. Quando le notizie sono presentate in modo distorto o sensazionalistico, possono influenzare le opinioni e i comportamenti delle persone, portando a decisioni politiche o sociali basate su informazioni errate o parziali.

Per contrastare il giornalettismo e promuovere un giornalismo di qualità, è fondamentale sostenere e difendere il rispetto per i principi etici e professionali del giornalismo, come l’obiettività, l’imparzialità e l’accuratezza. Inoltre, i consumatori di notizie possono contribuire a contrastare il giornalettismo cercando fonti informative affidabili, valutando criticamente le notizie e cercando una varietà di punti di vista su un dato argomento.

Il giornalaismo

Infine, il giornalaismo rappresenta una nuova forma di produzione e diffusione di notizie che emerge dall’era digitale e dei social media. Caratterizzato dalla decentralizzazione della produzione e della distribuzione dell’informazione, il giornalaismo si basa spesso su fonti non tradizionali, come i social network, i blog e i forum online. Se da un lato questa democratizzazione dell’informazione ha contribuito a una maggiore diversità di voci e punti di vista, dall’altro ha anche sollevato preoccupazioni riguardo alla veridicità e all’affidabilità delle fonti, dato che spesso mancano i controlli e le verifiche tipiche del giornalismo tradizionale.

Il termine “giornalaismo” potrebbe essere una creazione linguistica che si riferisce a un’evoluzione o a una variante specifica del giornalismo, magari connotata da caratteristiche distintive rispetto alla pratica tradizionale del giornalismo.

Tuttavia, se intendiamo trattare questo termine come una fusione tra “giornalismo” e “alaismo”, potrebbe essere interessante esplorare come l’alaismo, in politica, si riferisce a un’ideologia o un movimento che cerca di seguire la dottrina o le politiche di un leader carismatico, adattandole o interpretandole a seconda delle circostanze o delle necessità del momento.

Quindi, se applichiamo questa concezione al giornalismo, potremmo ipotizzare che il “giornalaismo” sia una pratica giornalistica che segue o promuove le idee, le politiche o l’agenda di un individuo, di un gruppo o di un’ideologia specifica, piuttosto che aderire ai principi tradizionali di obiettività, imparzialità e verifica delle fonti.

In un contesto simile, il giornalaismo potrebbe essere caratterizzato da una marcata parzialità, sensazionalismo e mancanza di rigore nel fornire informazioni. Questo tipo di giornalismo potrebbe essere utilizzato per promuovere un’agenda politica o ideologica specifica, manipolando o distorcendo le informazioni per adattarle a una narrativa predefinita.

È importante sottolineare che, sebbene questa interpretazione del termine “giornalaismo” possa avere delle implicazioni negative, non rappresenta l’intera gamma di pratiche giornalistiche. Il giornalismo etico e professionale rimane fondamentale per garantire l’informazione accurata e la salvaguardia della democrazia.

La diffusione dei social media e delle piattaforme online ha inoltre alimentato la proliferazione di fenomeni quali le fake news, l’echo chamber e la polarizzazione dell’opinione pubblica. Questi sviluppi pongono nuove sfide per il giornalismo, che deve adattarsi a un ambiente mediatico sempre più frammentato e competitivo, senza compromettere l’integrità e l’attendibilità dell’informazione.

In conclusione, il giornalismo, il giornalettismo e il giornalaismo rappresentano tre approcci diversi alla comunicazione mediatica, ciascuno con le proprie caratteristiche e implicazioni. Mentre il giornalismo tradizionale cerca di garantire l’accuratezza e l’obiettività delle informazioni, il giornalettismo e il giornalaismo possono privilegiare sensazionalismo e semplificazione a scapito della qualità dell’informazione.

In un’era in cui la tecnologia e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui consumiamo e produciamo notizie, è essenziale riflettere sulle implicazioni di questi cambiamenti per il futuro del giornalismo e della democrazia.

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Da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni: 80 anni di percorso tra continuità e cambiamenti della destra italiana

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La politica italiana ha sempre ospitato una serie di correnti e movimenti, con la destra che ha attraversato varie fasi e trasformazioni nel corso del tempo. Da Giorgio Almirante, fondatore del Movimento Sociale Italiano (MSI), a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia (FdI), la destra italiana ha attraversato un percorso complesso, caratterizzato da cambiamenti ideologici, sociali e politici.

L’eredità di Giorgio Almirante e il Movimento Sociale Italiano (MSI)

Giorgio Almirante è stato una figura di spicco della destra italiana nel secondo dopoguerra. Come fondatore e leader del MSI, Almirante incarnava un nazionalismo conservatore e anti-comunista. Il MSI, nato nel 1946, era erede del Partito Fascista di Benito Mussolini e rappresentava un’ala estrema della politica italiana. Tuttavia, negli anni ’70 e ’80, sotto la guida di Almirante, il MSI cercò di rinnovare la sua immagine, cercando di allontanarsi dall’etichetta di “fascista” e di inserirsi nel panorama politico mainstream.

Il passaggio dall’MSI a Alleanza Nazionale

Negli anni ’90, con la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo, la destra italiana subì un cambiamento significativo. Nel 1995, il MSI si trasformò in Alleanza Nazionale (AN), sotto la leadership di Gianfranco Fini. Fini cercò di allontanare il partito dagli elementi più estremisti e fascisti, adottando una retorica più moderata e democratica. AN divenne parte integrante del sistema politico italiano, entrando a far parte di coalizioni di governo e accettando i principi della democrazia pluralista.

La rinascita della destra con Fratelli d’Italia

Tuttavia, il vento della destra italiana ha continuato a soffiare, e nel 2012 è stato fondato Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale (Fdl-AN), guidato da Giorgia Meloni, Gianni Alemanno e Ignazio La Russa. Il partito si è posizionato come l’erede ideologico dell’AN e ha abbracciato un nazionalismo conservatore e identitario. Meloni, in particolare, ha portato una ventata di freschezza alla destra italiana, attrattiva soprattutto per i giovani e per coloro che si sentono trascurati dalle élite politiche tradizionali.

L’ascesa di Giorgia Meloni e la nuova destra italiana

Giorgia Meloni, nata nel 1977, rappresenta una nuova generazione di leader della destra italiana. Con una retorica forte e decisa, Meloni ha saputo capitalizzare sul malcontento verso l’establishment politico e sulle preoccupazioni riguardanti l’immigrazione, la sicurezza e l’identità nazionale. Fratelli d’Italia ha ottenuto risultati significativi nelle elezioni politiche, consolidando la sua posizione come uno dei principali partiti di destra in Italia.

La destra italiana nel contesto europeo

Il percorso della destra italiana, da Almirante a Meloni, riflette anche le tendenze più ampie all’interno della destra europea. La crescente preoccupazione per l’immigrazione, l’identità nazionale e la sovranità statale ha alimentato la salita di partiti di destra in molti paesi europei. Tuttavia, ciascun paese ha le sue specificità e la sua storia politica unica, che influenzano il modo in cui la destra si presenta e agisce.

La Frammentazione della Destra Italiana: Un’Analisi Politica

La politica italiana è stata da sempre caratterizzata da una molteplicità di partiti e movimenti, ognuno con la propria ideologia e visione politica. Tra questi, la destra italiana non è stata immune dalla frammentazione, che ha avuto un impatto significativo sul paesaggio politico del Paese.

Origini della Frammentazione

Per comprendere appieno la frammentazione della destra italiana, è necessario analizzare le sue origini. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha visto la nascita di una serie di partiti politici di destra, che spaziavano dall’estrema destra nazionalista a movimenti conservatori più moderati.

Tuttavia, nel corso degli anni, la destra italiana ha subito numerose scissioni e divisioni interne, spesso dovute a conflitti personali, divergenze ideologiche e lotte di potere. Questi fattori hanno contribuito alla creazione di una serie di partiti e movimenti di destra, ognuno con il proprio leader carismatico e seguaci devoti.

Le Principali Fazioni

La frammentazione della destra italiana ha portato alla creazione di diverse fazioni e gruppi politici, ciascuno con le proprie caratteristiche e obiettivi. Tra i principali vi sono:

  1. Forza Italia: Fondato da Silvio Berlusconi nel 1994, Forza Italia è stato uno dei principali partiti di centro-destra in Italia per diversi decenni. Tuttavia, nel corso degli anni, il partito ha subito diverse scissioni e ha visto la nascita di nuove formazioni politiche.
  2. Lega Nord: Originariamente un movimento separatista del Nord Italia, la Lega Nord si è trasformata in un partito nazionale di destra sotto la leadership di Matteo Salvini. La Lega Nord è nota per le sue posizioni anti-immigrazione e euroscettiche.
  3. Fratelli d’Italia: Un partito di destra nazionalista fondato da Giorgia Meloni nel 2012, Fratelli d’Italia è diventato uno dei principali attori della destra italiana. Il partito si basa su un nazionalismo conservatore.
  4. Movimento Sociale Italiano (MSI): Originariamente un partito neofascista fondato nel dopoguerra, il MSI è stato successivamente trasformato in Alleanza Nazionale e infine assorbito da Forza Italia. Tuttavia, una parte dei suoi ex membri ha continuato a operare all’interno di movimenti di estrema destra.

Impatto sulla Politica Italiana

La frammentazione della destra italiana ha avuto un impatto significativo sulla politica del Paese. Innanzitutto, ha reso difficile per la destra italiana presentare un fronte unito e coeso, spesso conducendo a coalizioni fragili e instabili.

Inoltre, la frammentazione ha alimentato la polarizzazione politica in Italia, con i vari partiti di destra che competono per attirare l’elettorato con discorsi populisti e promesse di cambiamento. Questo ha contribuito a una maggiore instabilità politica e ha reso difficile per il Paese affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali.

Prospettive Future

Il futuro della destra italiana rimane incerto, con molte domande sulla sua capacità di unirsi e presentare un fronte coeso. Tuttavia, con l’aumento del nazionalismo e del populismo in Europa, è probabile che la destra italiana continui a giocare un ruolo significativo nella politica del Paese. In conclusione, la frammentazione della destra italiana è stata una caratteristica persistente della politica italiana, con profonde implicazioni per il Paese nel suo complesso. Mentre la politica italiana continua a evolversi, sarà interessante osservare come la destra italiana si adatterà e influenzerà il futuro del Paese.

Conclusioni

Il percorso della destra italiana da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni è stato caratterizzato da continuità e cambiamento. Mentre alcuni principi fondamentali, come il nazionalismo e il conservatorismo, sono rimasti costanti, il modo in cui questi principi sono stati interpretati e presentati è cambiato nel corso degli anni. Con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, la destra italiana si trova oggi in una fase di rinnovato vigore e ambizione, giocando un ruolo sempre più centrale nel panorama politico nazionale.

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Costume e Società

Famiglie allargate si o no?

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Le ricerche sociologiche, oggi, vedono un forte cambiamento nell’assetto familiare. Tale condizione ha origine sia da un mutamento nel concetto di genitorialità che nel ruolo della famiglia all’interno della società: cambiano le persone, si modificano le strutture familiari, mutano le coppie, si spostano gli interessi di ogni singolo individuo, passando dalla condivisione all’individualizzazione.

Molti aspetti legati alla natura psicologica del singolo soggetto subiscono un cambio repentino: si pensa più a sé stessi che agli altri. In questo scenario, siamo di fronte a molte trasformazioni che vanno ad incidere, inevitabilmente, sulla composizione della famiglia stessa.

Quello che cambia oggi rispetto a circa 50 anni fa è legato alle cause della nascita delle nuove famiglie “allargate”, “ricomposte” o “ricostituite. Mentre un tempo le famiglie ricostituite si formavano dopo la morte di un coniuge, dagli anni ‘70, invece, con la possibilità anche in Italia di ricorrere a separazione e divorzio, si sono verificati cambiamenti sociali e culturali che hanno portato ad una nuova struttura di queste famiglie.

Le famiglie “allargate”, ovvero le famiglie composte da due partners che hanno vissuto l’esperienza della fine di un precedente matrimonio, da cui almeno uno ha avuto figli che attualmente vivono con loro, hanno la caratteristica di avere confini più labili e incerti rispetto alla famiglia “tradizionale”, sia in termini biologici che legali. I processi relazionali sono sicuramente più complessi, sia nella comprensione che nella gestione, sono flessibili e hanno un inizio e un’evoluzione molto rapida.

Le famiglie ricostituite sono state definite “cespugli genealogici”, per la loro ampia estensione orizzontale anziché verticale. Mentre alcuni studiosi non appoggiano totalmente questi cambiamenti, altri fanno fronte alle nuove forme familiari che non possono essere ignorate, ma devono essere comprese e sostenute.

Le famiglie ricostituite vivono la crisi di chi, con storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, deve trovare dei compromessi per affrontare insieme nuove situazioni.
Gli studi affermano che i precedenti rapporti coniugali e la loro chiusura siano stati rielaborati, con una buona definizione delle attuali relazioni e con confini chiari, in modo che i partner possano iniziare un nuovo rapporto senza rancori passati. È importante che i figli non abbiano un atteggiamento oppositivo verso il nuovo partner, sperando in una riappacificazione tra i suoi genitori. Questo sarà direttamente proporzionale ai livelli di chiarezza e definizione raggiunti.

L’età dei figli è importante: i bambini in età prescolare potrebbero manifestare regressioni, nascondendo il desiderio di farsi accudire. Per i ragazzi la necessità di conferme da parte del genitore biologico potrebbe invece lasciare il posto alla rabbia verso il genitore acquisito, soprattutto nella fase adolescenziale, all’interno della quale avviene il processo di costruzione della loro identità e questo totale mutamento potrebbe essere percepito come un ostacolo.
In questa fase, per i figli, il formarsi di una famiglia allargata, sancisce definitivamente la fine della relazione tra i genitori biologici, e spesso questo può portare alla paura inconscia che affezionandosi al genitore acquisito, in qualche modo si “tradisca” quello biologico. La causa che ne consegue è che ciò potrebbe portare i figli ad allearsi con quest’ultimo e sviluppare un senso di protezione morboso.

In ogni caso la genitorialità è ancora più difficile poiché i genitori dovranno imparare a gestire eventuali conflitti e gelosie tra i fratelli acquisiti. Nelle famiglie allargate è opportuno costruire nuove identità familiari, nuove stabilità ed equilibri.
A tale proposito, non si può dare una risposta definitiva alla domanda “Le famiglie allargate sì o no?”, poiché essendo in continua espansione necessitano di sostegno e di supporto. Sicuramente nelle famiglie ricostituite possono innescarsi situazioni particolari, ma dare una “valutazione” negativa o positiva non è certo il modo migliore per andare verso un processo di accettazione.

Di concerto, le famiglie ricostituite possono racchiudere al loro interno grandi risorse ed elementi di ricchezza per tutti i componenti, i quali si troveranno a contatto con abitudini, tradizioni, modelli e storie diverse dalle proprie.

Tutto questo, se integrato con nuovi “ingredienti” e abitudini comuni diviene un elemento fondamentale per la crescita e il benessere di tutti, portando alla costruzione di nuovi equilibri.

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